Archivio per ANTIFASCISMO

IL NEMICO ALLE PORTE

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , on 25 aprile 2024 by Sendivogius

Un noto scrittore, autore di una tetralogia in fieri su M capo del governo, in arte “duce”, a distanza di un secolo dall’ascesa del Mascellone in orbace, scrive un monologo (piuttosto basico), su un’altra M, presidente bonsai del consiglio, e sull’avvento al potere (evidentemente inteso come totalizzante) del partito che ne raccoglie il testimone in più che ideale continuità con l’originale, quale feticcio protettore ed ispiratore per eredità diretta e con ostentato orgoglio rivendicata. In fondo, è molto più di una biografia di famiglia…
Va da sé che il monologo impertinente non poteva che essere prontamente censurato, per lesa maestà dalla nuova EIAR; quindi svillaneggiato dalle azzimate squadracce di famigli e bastonatori in livrea al seguito, ai tempi cupi della Nazione ribollita nel brodo nero della reazione, a consumo di un pecoreccio revival fascio-sovranista di parodie mussoliniane e sagre strapaesane alla fiera nostalgica di Borgo Citrullo.
Il ché non risolve né esaurisce il problema, vista la naturale inclinazione genetica verso un passato che non passa. Sono “identitari”: ci tengono alle origini. Tutto il resto è a loro estraneo, perché ostile e al contempo incompatibile. Forse, molto ‘forse’, non saranno “nazisti nell’anima” (né una querela cambia la sostanza), ma di sicuro riesce loro impossibile pronunciare la parola “antifascista” e riconoscersi tali, con tutto quello che ne consegue per appartenenza su ovvia associazione, nell’esclusione di ciò che non si è.
Puoi anche provare a spiegarglielo in PILLOLE… non è che non capiscono. È che nel loro intimo, nel profondo delle appartenenze inconfessabili, resta più che concreto il sospetto siano proprio quella roba lì.
Cosa resta dunque della Festa di Liberazione (dal nazifascismo) in questo oscuro 2024 sconquassato da venti di guerra sempre più forti. A mal vedere, NIENTE!
È tutto da rifare; tutto da ricostruire. Più che mai Resistere. Oggi come allora, a mani nude in condizioni difficilissime. C’è tantissimo da lavorare… nel pessimismo della ragione, ma sostenuti dall’ottimismo della volontà.

P.S. Un piccolo contributo for dumbies e finti tonti di regime, per ricordare (senza veli) il biennio nero dell’ennesima variante del fronte dei patrioti al governo della Nazzzione, quale sia l’ideologia che ne sottende la concezione del potere, e cosa cuoce dietro la crosta formale di facciata democratica sempre più friabile, con opportune correzioni per rendere l’impasto digeribile, senza inficiarne la sostanza…

«È in voga l’opinione abbastanza mainstream che non è il caso di rievocare il Fascismo nelle attuali contingenze politiche in Italia, perché quel movimento politico è nato e morto con Benito Mussolini. Fra i più solerti sostenitori di questa tesi si segnalano, fra gli altri, giornalisti insigni come Paolo Mieli e Marco Travaglio, i quali negano l’esistenza di una minaccia di stampo fascista alla democrazia italiana. Occorre chiarire alcuni punti e dissipare equivoci più o meno volontari.
È ovvio che non si ripresenteranno le adunate oceaniche in camicia nera, i discorsi littori dal balcone, le chiamate alle armi che contraddistinsero il Ventennio. In un secolo il mondo è stato stravolto dall’accelerazione portentosa delle scoperte scientifiche che hanno cambiato radicalmente il comune sentire e le sensibilità della gente.
Due guerre mondiali hanno segnato irrimediabilmente la sorte del pianeta, alle prese oggi con emergenze sconosciute – e purtroppo anche con drammi storici ben noti come le guerre – all’epoca in cui il fascismo mussoliniano arrivò al potere.
Nessuno sano di mente immagina di rivedere nelle strade una seconda marcia su Roma o di veder spuntare Giorgia Meloni in camicia nera che arringa le folle dal balcone di palazzo Chigi. Le vuote coreografie del fascismo storico, funzionali al messaggio imposto dal duce, sono consegnate definitivamente alla Storia.
Non lo è altrettanto purtroppo il complesso di disvalori e di pratiche antidemocratiche, né l’armamentario ideologico – nutrito di riti e sermoni, cerimonie e commemorazioni – sul quale Mussolini costruì il consenso attorno al regime e dentro il quale generazioni di italiani erano cresciute.
Populismo (Mussolini ne fu l’inventore e il massimo interprete), nazionalismo, sovranismo mescolati a pulsioni autoritarie e aggressive e alla violenza come pratica di governo unita alla repressione organizzata del dissenso (con corollario di migliaia di epurazioni, condanne al carcere e al confino inflitte agli oppositori politici) connotarono il regime. Di tutto questo arsenale antidemocratico cosa resta oggi nell’Italia a guida Giorgia Meloni?
Le tracce mi sembrano chiare ed evidenti. Pur nel quadro storico-politico che non assomiglia a quello che frantumò la fragile democrazia italiana liberale del primo Dopoguerra, persistono elementi distintivi di quello che fu il fascismo.
Il caso freschissimo della censura imposta allo scrittore Antoni Scurati, colpevole agli occhi della maggioranza di governo di difendere i valori dell’antifascismo e di aver osato inchiodare la premier Meloni al suo consolidato rifiuto di proclamarsi antifascista, è l’ultimo di molti soprassalti reazionari che hanno connotato il governo dell’ultradestra italiana.
Berlusconi col suo decreto bulgaro mise alla porta della Rai Santoro, Luttazzi e Biagi. Gli accoliti meloniani, inciampando in una pietra assai aguzza, hanno cancellato l’intervento di Scurati su Rai3 costringendo una Meloni furiosa per la loro grossolana gaffe ad una frettolosa e goffa retromarcia.
“Ma quale censura – ha dettato Giorgia – noi che le censure le abbiamo subite per decenni non censuriamo nessuno, neppure gli avversari politici”.
Falsi a parte – non c’è stata alcuna disputa sul compenso di Scurati, come sostenuto dal governo; è stata la stessa azienda, in un documento interno che sarebbe dovuto restare riservato, a parlare di “ragioni editoriali” alla base del siluro allo scrittore napoletano – l’effetto ottenuto è stato esattamente l’opposto di quello sperato dal governo.
Anziché silenziare l’intervento di Scurati, le parole nette dell’autore di “M. L’uomo del secolo” sono dilagate sulle emittenti televisive concorrenti della Rai, hanno riempito le pagine dei giornali e sono rimbalzate al di là dei confini patrii, incendiando polemiche roventi e provocando l’intervento di Bruxelles. Una Caporetto politico-mediatica che ha avuto se non altro il merito di riportare al centro dell’attenzione il tema del fascismo “che non esiste più”.
Sotto mentite spoglie, pudicamente ammantato di politically correct, il fascismo esiste ancora, eccome! L’occupazione manu militari della Rai, ossia del servizio pubblico, avviata dalla legge Gasparri, rafforzata dalla riforma dell’allora segretario del Pd e premier Matteo Renzi, trova nell’esecutivo Meloni il suo punto più alto e perfetto.
Non più lottizzazione fra i partiti ma sottomissione diretta all’esecutivo, senza neppure la mediazione (imperfetta ma meglio che nulla) del Parlamento. Neppure Berlusconi, proprietario di tre reti televisive ed occupante abusivo delle tre reti Rai, era arrivato a tanto.
Il progetto è chiaro. Chi controlla i media controlla gli elettori, già fiaccati da una legge elettorale che di fatto li priva della possibilità reale di scegliere i suoi rappresentanti. Non potendo immaginare un golpe, il pensiero unico è essenziale per la conservazione del potere. Meloni ne ha preso buona nota.
Ribadisco. Il fascismo è stato un coacervo violenza, fisica e spirituale, che ha costruito sé stesso sulla negazione dei diritti civili fondamentali (libertà di parola, di pensiero, di espressione, di voto), della libertà di associazione politica. Si è nutrito di un sovranismo spinto all’eccesso, di prevaricazione istituzionalizzata a danno di chiunque osteggiasse la dottrina mussoliniana, di repressione sistematica di ogni voce ostile al regime, di disprezzo conclamato per la democrazia, di ostracismo verso i diversi, si trattasse degli oppositori politici – marchiati come nemici dello Stato – e più tardi degli ebrei e degli antifascisti tout court.
Sintomi di un fascismo reviviscente si sono manifestati con sempre maggiore evidenza nell’anno e mezzo di governo meloniano. Malintesa italianità da difendere ad ogni costo e su qualunque fronte, talvolta incappando in ridicoli strafalcioni: la campagna del formaggio inaugurata da quel brillante intellettuale del ministro dell’agricoltura, il quale si è appena spinto a denunciare l’antifascismo come fabbrica di morte.
I manganelli adoperati con il plauso della premier contro inermi giovanissimi studenti di Pisa e de La Sapienza romana che avevano osato scendere in strada per protestare come la Costituzione consente: pacificamente e senz’armi.

Demolizione sistematica delle guarentigie di legge (un inedito assoluto da parte di un partito erede del MSI che ebbe la sua parola d‘ordine nello slogan: legge ed ordine) affidata ad un ex pm rivestito dei panni del Guardasigilli, preoccupato di sottrarre quanti più strumenti investigativi possibili e di coartare la libertà di azione delle procure.
Ancor più allarmante, il progetto di legge sul premierato svuoterebbe di contenuti la Costituzione repubblicana e antifascista e consegnerebbe al governo (nella speranza dei promotori, a Giorgia Meloni) il controllo sul Parlamento evirato e dunque sul Paese. Relegando il presidente della Repubblica al ruolo di notaio.
Via via che trascorrono i mesi il progetto potenzialmente eversivo della destra antidemocratica si precisa. Il corrivo ammiccare ai movimenti di estrema destra, lasciati liberi di manifestare col braccio teso nel saluto romano, indisturbati da parte delle forze dell’ordine così solerti nel bastonare gli studenti. La tolleranza verso il proliferare degli episodi di intolleranza e di violenza gratuita ai danni di omosessuali, homeless, militanti di sinistra; gli stupri di gruppo. Sono segnali di imbarbarimento che richiedono, questi sì, risposte ferme che viceversa il governo esita a dare.
Il governo viceversa piazza una bomba ad orologeria sotto la legge 194 (autorizzando le associazioni pro vita a mettere il naso nella libera determinazione della donna di interrompere la gravidanza), dimostrando una volta di più il suo disprezzo per il genere femminile.
È questo tutto ciò che Meloni, una donna, sa proporre per incentivare le nascite?’ Non sentite puzza di fascismo? Del fascismo 2.0, comunque ideologicamente e romanticamente legato al regime mussoliniano: o perlomeno dell’inedita (per l’Italia) produzione di un regime autoritario stile Ungheria di Orban.
La sempre ribadita fedeltà di Meloni al verbo atlantista a trazione Usa (vedi Ucraina) la garantisce da sgambetti di matrice internazionale ma non ne altera la vocazione autoritaria negli affari domestici. E infine, se davvero il fascismo è morto con Mussolini che senso ha invocare l’antifascismo? Forse è proprio ciò che vuole Meloni. Svuotare la parola antifascista del suo significato più vero e profondo. Attenti dunque a sostenere che il fascismo è morto

(Renzo Parodi – TPI)

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Una nuova Resistenza

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , on 25 aprile 2023 by Sendivogius

Ora che l’Innominabile non è più ipotesi concreta, ma pratica stabilmente incistata al governo della Nazione, sarà divertente vedere gli esponenti di fascio e di potere costretti loro malgrado a presenziare (nel luogo sbagliato) le celebrazioni ufficiali per dovere istituzionale, con le mascelle serrate a masticare l’amaro boccone, ma soprattutto impegnati a snaturare una festa che di Liberazione di sicuro non sarà, mentre si prepara a divenire altro e dove ovviamente non verrà MAI pronunciata la parola proibita.
Abbastanza per rassicurare quella “destra italiana che non è mai stata fascista” e che nell’album di famiglia presenzia a braccio teso per monoplegia dell’arto destro.
Intanto, in onore ai nipotini di Bandera, nel paradiso degli ukronazi assurto a culla della civiltà, in quel di Torino si festeggia la NATO, il cui contributo alla Resistenza resta ignoto, ma che ormai è assurta a valore costituzionale, per imprescindibile deferenza atlantica, su atto di fede e provocazione mirata nella prevaricazione di pochi, con la complicità della sedicente “Opposizione” organica di regime, mentre si distribuiscono manganellate democratiche, dispensate con particolare gusto su chi pensava di festeggiare ben altro…
Per tutto il resto, sarà bene ricordare (ce n’è sempre bisogno!), cosa l’Innominabile non è e cosa invece la Liberazione non sarà, per tutti coloro (e a quanto pare sono parecchi) che se ne fossero dimenticati nel frattempo.
C’è ancora tanto lavoro da fare e tutto da ricostruire…

«Il Fascismo conviene agli italiani perché è nella loro natura e racchiude le loro aspirazioni, esalta i loro odi, rassicura la loro inferiorità.
Il fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di cultura, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli “altri” le cause della sua impotenza o sconfitta.
Il fascismo è lirico, gerontofobo, teppista se occorre, stupido sempre, ma alacre, plagiatore, manierista.
Non ama la natura, perché identifica la natura nella vita di campagna, cioè nella vita dei servi; ma è cafone, cioè ha le spocchie del servo arricchito. Odia gli animali, non ha senso dell’arte, non ama la solitudine, né rispetta il vicino, il quale d’altronde non rispetta lui.
Non ama l’amore, ma il possesso. Non ha senso religioso, ma vede nella religione il baluardo per impedire agli altri l’ascesa al potere. Intimamente crede in Dio, ma come ente col quale ha stabilito un concordato, do ut des. È superstizioso, vuole essere libero di fare quel che gli pare, specialmente se a danno o a fastidio degli altri. Il fascista è disposto a tutto purché gli si conceda che lui è il padrone, il padre. Le madri sono generalmente fasciste

Ennio Flaiano;Don’t Forget. “Diario degli errori”, 1976. (“Scritti postumi”. Bompiani, 1998)

Ricorda niente?!

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La Costituzione for dummies (e per Ignazio)…

Posted in A volte ritornano with tags , , , , , , , , on 23 aprile 2023 by Sendivogius

“Guardate che nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo.”
Ignazio Benito Maria La Russa  (23/04/23)

In quella della cosiddetta Repubblica Sociale di Salò sicuramente riferimenti non ve ne sono. Peccato solo che il camerata Benito (Ignazio) abbia fatto (finta?) di giurare solennemente su quella sbagliata, che con ogni evidenza non ha mai letto e ancor meno conosce. Benito Maria è fatto così: inutile aspettarsi altro dal personaggio, più che altro noto al grande pubblico per l’inconfondibile pizzetto luciferino e per le epiche risse televisive, durante le quali di solito insolentisce gli interlocutori, in spumeggianti profusioni di italianità e fascismo pecoreccio da macchietta missina. Meglio se in concomitanza con la Festa della Liberazione, che di solito dalle parti dei destronzi (al governo o meno) funziona come un repellente naturale. Ad ogni modo, Benito Maria fa colore e, come sembra, è quanto di meglio la destra (post?)fascista ha da esibire in ambito istituzionale; tale è la caratura dello ‘statista’ in orbace, che pure vanta un prodigioso cursus honorum, non nella Camera dei fasci e delle corporazioni di Salò ma nei palazzi del potere romano, anche se parla ancora come un picciotto delle campagne di Paternò.   Perché occuparci dunque di questo pittoresco cimelio vivente del Ventennio fascista, che pare fuggito da uno scaffale di chincaglierie di Predappio?!? Non sprecheremmo una sola riga in più sulle “sgrammaticature” (copyright della puffetta nera di Garbatella) dell’incontinente figlio d’arte, se non fosse pure l’attuale Presidente del Senato, a cui la carica imporrebbe un po’ più di contegno o quantomeno di silenzio. Già l’esperienza come Ministro della Guerra avrebbe dovuto richiedere maggior prudenza nella scelta, ma tant’è… la carriera dell’esilarante collezionista di statuine ducesche è più misteriosa del personaggio stesso di per sé prevedibilissimo, più imperscrutabile dell’immacolata concezione; perché solo un miracolo potrebbe spiegare come questo gran pezzo di Salò, buono per tutte le stagioni, abbia potuto assurgere alle massime cariche di quella Repubblica che si vorrebbe ‘democratica e antifascista’, mentre romanamente saluta dall’alto del suo scranno garantito nella distribuzione delle spoglie elettorali. Il camerata Ignazio Benito Maria è così… la Costituzione bisogna spiegargliela, anche se non la capirebbe neanche coi disegnini, Per lui, se non lo trova scritto nella Carta, l’antifascismo non c’è. Non leggendo la parola, gli sfugge l’essenza del testo. O più semplicemente è il modo furbesco per mistificare l’incompatibilità con la carica e col ruolo istituzionale, che a lui piace rivestire e a noi subire, in tutta l’insipienza e lo squallore di questo simulacro mussoliniano. Magari a Benito Maria non riesce di afferrare qualche piccola differenza superficiale…

 

Costituzione della Repubblica italiana

Art.1  L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Progetto di Costituzione della Repubblica Sociale (1944)

Art.10  La sovranità promana da tutta la Nazione.

Art.11  Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica.

Art. 2  La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art.1  La Nazione Italiana è un organismo politico ed economico nel quale compiutamente si realizza la stirpe con i suoi caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici, etici e culturali. Ha vita, volontà, e fini superiori per potenza e durata a quelli degli individui, isolati o raggruppati, che in ogni momento ne fanno parte.

Art.3  Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4  La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

 Art. 89  La cittadinanza italiana si acquista e si perde alle condizioni e nei modi stabiliti dalla legge, sulla base del principio che essa è titolo d’onore da riconoscersi e concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana. In particolare la cittadinanza non può essere acquistata da appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore.

Art. 90  I sudditi di razza non italiana non godono del diritto di servire l’Italia in armi, né, in genere, dei diritti politici: godono dei diritti civili entro i limiti segnati dalla legge, secondo il criterio della loro esclusione da ogni attività, culturale ed economica, che presenti un interesse pubblico, anche se svolgentesi nel campo del diritto privato. In quanto non particolarmente disposto vale per essi, in quanto applicabile, il trattamento riservato agli stranieri.

Art. 93  I diritti civili e politici sono attribuiti a tutti i cittadini. Ogni diritto soggettivo, pubblico e privato, importa il dovere dell’esercizio in conformità del fine nazionale per cui è concesso. A questo titolo lo Stato ne garantisce e tutela l’esercizio.

 Art.8  Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

 Art.6  La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana.

Così, una assaggino tanto per gradire…

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(169) Cazzata o Stronzata?

Posted in Zì Baldone with tags , , , , , , , , on 1 aprile 2023 by Sendivogius

Classifica MARZO 2023″

Ogni tanto qualche azzimato pollo da batteria, autopromosso a maître à penser “liberale” in uno di quei salottini televisivi dove viene pagato a gettone presenza, con aria di sufficienza, ci viene a spiegare tutto impettito come l’antifascismo sia qualcosa di assolutamente superato ed anacronistico. Che non esistendo più il fascismo, non se ne vede proprio la ragione né il senso di professarsi contrari a qualcosa che non c’è; almeno finché qualche esimio esponente di governo, nella nutrita pletora di nostalgici assurti alle massime cariche della Repubblica, non viene a ricordarci come il fascismo medesimo sia vivo e vegeto, godendo di ottima salute, confermando come sia ormai diventato prassi ordinaria di governo. La tattica funziona così: ogni giorno qualcuno di questi ‘fantasmi’, frattanto diventato ministro o sottosegretario, rilascia il suo fumante merdone quotidiano, tanto per vedere l’effetto che fa, alzando l’asticella dello sdoganamento su provocazione ordinaria. E intanto legittima l’indicibile per effetto di saturazione, ostentando la propria stupita perplessità se poi qualcuno ancora si indigna, mentre i loro gazzettieri prezzolati da riporto vanno spiegando in giro come siano intolleranti gli antifascisti, contro il fascismo che non c’è, e come al massimo si tratti di “goliardate”, scherzi, boutade. E infatti non abbiamo mica un governo, ma una compagnia comica di pagliacci nazi-travestiti, che fa burlesque in camicia nera e saluta col braccino teso, salvo offendersi se qualcuno li apostrofa per come meritano, e con sacrosanto motivo li prende per il culo in questa parodia grottesca di regime. Il bello è che fanno tutto da soli, tanto viene loro naturale. E questa è solo l’ouverture
Il fatto è che si avvicina la Festa di Liberazione e come sempre è l’ineffabile Benito La Russa ad aprire le danze, là dalle parti della fossa nera. Come poi un fascista verace di simpatie monarchiche, che colleziona statuine ducesche sia potuto diventare Presidente del Senato (e all’occorenza vice-presidente della Repubblica) la dice lunga sullo stato di salute delle cosiddette “istituzioni”.

Hit Parade del mese:

01. I MUSICANTI DI HITLER

[31 Marzo] «Quelli che i partigiani hanno ucciso a Via Rasella non erano biechi nazisti delle SS, ma una banda musicale di semi-pensionati»
 (Ignazio Benito La Russa, presidente del Senato)

01.bis  A-N-T-I-F-A-S-C-I-S-T-I

[24 Marzo] «Alle Fosse Ardeatine 335 innocenti furono massacrati solo perché italiani.»
 (Giorgia Meloni, presidente del consiglio)

02. LA COSTITUZIONE REPUBBLICHINA

[04 Marzo] «Voi sapete benissimo che la Costituzione l’hanno scritta anche i fascisti, lo sapete benissimo che è stata scritta anche dai fascisti!»
 (Pietro Senaldi, gazzettiere di regime)

03. SOLO UN POCHINO

[07 Marzo] «Mi sento un pochino fascista, non è reato.»
 (Flavio Tosi, il Camerata)

04. LOL!!

[14 Marzo.] «Se ci sono personaggi nell’area della destra italiana che hanno delle nostalgie del Ventennio sono sempre stati messi fuori da Fratelli d’Italia, anche prima che esistesse FdI.»
 (Fabio Rampelli, diversamente fascista)

05. MA COME CAZZO PARLI?!?

[25 Marzo] «Noi non arretreremo rispetto a un auspicio di mettere sotto controllo il fenomeno migratorio. Si rischia un incremento della criminalità non tanto per l’arrivo degli stranieri, ma per gli arrivi incontrollati, che sono il brodo di coltura in cui attecchiscono organizzazioni criminali.
Sicuramente esiste una traiettoria che va tenuta sotto attenzione in questi giorni di grande crisi del controllo dei confini.
Poi c’è anche l’elemento che si percepisce il fattore attrattivo di una opinione pubblica che annovera l’accettazione di questo fenomeno, un’ampia fetta di persone che mostra apertura verso l’accoglienza.»
 (Matteo Piantedosi, Ministro di Polizia)

06. GUERRE IBRIDE E COGLIONI PURI

[14 Marzo] «L’aumento esponenziale è in misura non indifferente, parte di una strategia chiara di guerra ibrida che la divisione Wagner, mercenari al soldo della Russia, sta attuando, utilizzando il suo peso rilevante in alcuni paesi Africani. Il problema è stato evidenziato dagli addetti ai lavori e un’allerta in questo senso era già giunta dai servizi come dal Copasir.»
 (Guido Crosetto, Ministro della Guerra)

07. BOMBE UMANE (I)

[14 Marzo] «La Russia sta creando una bomba migratoria.»
 (Massimiliano Romeo, aruspice leghista)

08. BOMBE UMANE (II)

[14 Marzo.] «Molti migranti arrivano da aree controllate dalla Wagner e non vorrei ci fosse un tentativo di spingere migranti verso l’Italia.»
 (Antonio Tajani, Spalla comica)

09. LIBIA EXPRESS

[10 Marzo] «Noi siamo abituati a un’Italia che si occupa soprattutto di andare a cercare i migranti attraverso tutto il Mediterraneo. Quello che vuole fare questo governo è andare a cercare gli scafisti lungo tutto il globo terracqueo.»
 (Giorgia Meloni, globetrotter)

10. E SE MIO NONNO AVEVA LE RUOTE ERA UNA FERRARI

[10 Marzo] «La cultura? Respirata in famiglia: mia nonna era la sorella di Fausto Papetti.»
 (Francesca Caruso, assessore alla cultura della Lombardia)

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NAZI-LIBERATI

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 24 aprile 2022 by Sendivogius

25 Aprile 2022. A cento anni dalla mussoliniana marcia su Roma, possiamo dire con cognizione di causa che non c’è proprio alcuna Liberazione da festeggiare, dal momento che il fascismo gode di ottima salute e lotta contro di noi, più longevo che mai nella mimesi delle sue infinite varianti mutogene, per congenita capacità di adattamento e riproduzione su brodo di cultura.
Altrimenti non dovremmo assistere tutti gli anni allo stesso schifoso teatrino revanchista, messo in piedi ad ogni ricorrenza dagli eredi di Salò, pienamente legittimati ed inseriti da sempre nelle stanze e stanzette dei bottoni, da dove poter condizionare il corso della repubblichetta eterodiretta e dettarne l’agenda. Non sono mai stati “sdoganati”; non ne hanno bisogno, semplicemente perché non se ne sono mai andati.
Ogni tanto, quando il merdone è troppo grosso per essere nascosto, costituendo in realtà più una fonte di imbarazzo che di sdegno, e senza che mai alle parole seguano i fatti, si sente pigolare qualche lamento dalle parti del partito bestemmia: quell’oscuro oggetto governistico subalterno a chiunque lo porti al potere, che infatti coi fascisti di ogni ordine e grado, raggrumati in quel cartello elettorale che si fa eufemisticamente chiamare “centrodestra”, ci si trova benissimo, scambiandosi poltrone e governandoci insieme senza ombra di turbamento. Rientra nel copione della recita condivisa. Giusto per fare un po’ di scena e tenere la parte, giacché nulla deve disturbare la splendida ammucchiata, a cui partecipare per “spirito di servizio” e per ovvio “senso di responsabilità”: la magica trovata semantica che rende possibile ogni porcata, senza che mai disagio alcuno cali ad offuscare la magnifica narrazione imbastita su mandato politico da nostri media, ormai espressione del peggior giornalismo giallo, in piena distopia orwelliana.
Ma ormai il fu “partitone”, completata la mutazione transgenica, in piena svolta atlantista su evoluzione guerrafondaia dopo l’americanizzazione coatta, è tutto preso nel definire la propria servile subordinazione coloniale agli interessi statunitensi, raccomandandosi a Washington per meno di un pugno di lenticchie.
Dunque, dicevamo: cosa festeggiamo in questo ultimo 25 Aprile? Certo non la Liberazione dal nazifascismo. E nemmeno celebriamo la Resistenza! Bisogna stare attenti a definire cosa si intende per “resistenza”, specificando bene quale e che uso se ne intenda fare, in consonanza col ritrovato spirito marziale…
Possiamo prendere lezione dai fascisti per questo, che con intraprendenza ci indicheranno l’interpretazione corretta. Che poi, mutato nomine, si facciano chiamare “patrioti”… “nazionalisti”… “sovranisti”… è sempre quella merda lì!
Si dissuade vivamente dal fare ogni riferimento alla lotta partigiana, ma è assai gradito legare la ricorrenza, in posizione ancillare fino all’annullamento per sovrapposizione, con la ‘resistenza’ ucraina contro i russi, intessendo le lodi e lanciando fiori in onore delle eroiche brigate nere di Azov.

Vietato ogni riferimento al nazifascismo: il pubblico potrebbe non cogliere la differenza e cadere in confusione.

I simpatici partigiani ucraini del ricostituito Battaglione Usignolo

Sarebbe inoltre bene interdire le piazze all’ANPI, l’Associazione Nazionale Putiniani d’Italia, secondo il brillante acronimo coniato durante un rigurgito d’ego da un patetico coglione glassato in crosta di zucchero, dopo le liste di proscrizione e la caccia agli eretici. E sfilare tutti uniti sotto i bandieroni munifici e salvifici della NATO. Questo perché l’ANPI non è abbastanza prona al nuovo corso guerrafondaio. C’è il rischio che ricordino come la Resistenza sia altro da ‘sta roba immonda…
È ovviamente vietato cantare “Bella Ciao”, in quanto faziosa e divisiva, ma in alternativa si può sostituire l’esecrato brano con l’inno ucraino (sic!), più consono alla ricorrenza liberamente reinterpretata. Oppure utilizzare la variante sempre ucraina del noto canto partigiano, musicato sulle note di “Bella Ciao”, ma completamente riscritto e riadattato alla bisogna dalla cantante folk Khristyna Soloviy, portata alla ribalta dalle ineffabili colonne de LaStampa-Repubblica-Corriere, ormai ridotte a carillon della nazi-fiabe ucraine, e che fa bagnare di lacrime il pannolone di qualche turgido coglione a sinistra che ne ignora il testo :

«Il vecchio Dnepr ruggì con rabbia. Nessuno lo so pensava, nessuno se lo aspettava. Quello che poteva essere la vera rabbia del popolo ucraino. I nemici maledetti senza pietà li distruggiamo. Quei nemici maledetti che la nostra terra invadono. Le nostre difese hanno i migliori ragazzi. Solo veri eroi combattono nell’esercito ucraino. E i Javelin ed i Bayractar combattono per l’Ucraina e uccidono i russi. E il nostro potente popolo, la gente dell’Ucraina, ha già unito il mondo contro i russi. E molto presto li sconfiggeremo. Presto li distruggeremo

Carina, vero?!? La Soloviy, alla quale si deve cotanto capolavoro artistico, è un’altra di quelle starlette dell’Est che ama farsi immortalare in pose da diva dei jet set, o a bordo di yacht in atteggiamenti ammiccanti, che più che altro fanno molto catalogo da escort di alto bordo. E che ovviamente non ha mancato di esternare tutta la sua devota ammirazione, per i nazisti dell’OUN (no, non sono le Nazioni Unite!) di Stepan Bandera, il santino nazionale dell’Ucraina ‘democratica’ (LOL!), nell’impossibilità di cogliere la contraddizione oscena. È che proprio non ce la fanno. Sono talmente imbevuti di nazifascismo, quasi a livello genetico, da esserne inconsapevoli, tanto riesce loro naturale.
Ecco, se questo è il nuovo 25 Aprile, tenetevelo!
La Liberazione è lontana, ma proprio oggi più che mai è necessario resistere. 

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REPETITA IUVANT (aut fortasse…)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , on 25 aprile 2021 by Sendivogius

«Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia. L’articolo sul fascismo firmato da Mussolini per l’Enciclopedia Treccani fu scritto o venne fondamentalmente ispirato da Giovanni Gentile, ma rifletteva una nozione tardo-hegeliana dello “stato etico e assoluto” che Mussolini non realizzò mai completamente. Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto. In anni successivi, nei suoi discorsi Mussolini citava sempre il nome di Dio e non disdegnava di farsi chiamare “l’uomo della Provvidenza”. Si può dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire.
[…] Non serve dire che il fascismo conteneva in sé tutti gli elementi dei totalitarismi successivi, per così dire, “in stato quintessenziale”. Al contrario, il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo “fuzzy”. Il fascismo non era una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla Chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario, ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori che si aspettavano una controrivoluzione. Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent’anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a un “duce” di tirare avanti sottobraccio a un “re” cui offerse anche il titolo di “imperatore”. Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l’aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica “sociale”, riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine.
[…] Il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola. A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l`Ur-Fascismo, o il “fascismo eterno”. Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.
La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. […] Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo. Sia i fascisti che i nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali. Tuttavia, sebbene il nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della modernità era solo l’aspetto superficiale di una ideologia basata sul “sangue” e la “terra” (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L’illuminismo, l’età della Ragione vengono visti come l’inizio della depravazione moderna.
[…] Perciò la cultura è sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici…. Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell’accusare la cultura moderna e l’intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.
[…] L’UrFascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L’Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.
L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l’appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo, in cui i vecchi “proletari” stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio.
A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E questa l’origine del `nazionalismo’. Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall’interno: gli ebrei sono di solito l’obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori.
[…] L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L’Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un “elitismo popolare”. Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un “dominatore”. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa.
In questa prospettiva, ciascuno è educato per diventare un eroe. In ogni mitologia l’eroe è un essere eccezionale, ma nell’ideologia Ur-Fascista l’eroismo è la norma. Questo culto dell’eroismo è strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era: “Viva la muerte!” Alla gente normale si dice che la morte è spiacevole ma bisogna affrontarla con dignità; ai credenti si dice che è un modo doloroso per raggiungere una felicità soprannaturale. L’eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L’eroe UrFascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.
Dal momento che sia la guerra permanente sia l’eroismo sono giochi difficili da giocare, l’UrFascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. È questa l’origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all’omosessualità). Dal momento che anche il sesso è un fioco difficile da giocare, l’eroe UrFascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.
L’Ur-Fascismo si basa su un “populismo qualitativo”: In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l’insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l’UrFascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il “popolo” è concepito come una qualità, un’entità monolitica che esprime la “volontà comune”. Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”. A ragione del suo populismo qualitativo.
[…] Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la “voce del popolo”, possiamo sentire l’odore di Ur-Fascismo.

[…] L’Ur-Fascismo parla la “neolingua”. La “neolingua” venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell’Ingsoc, il Socialismo Inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow.
[…] L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme, ogni giorno, in ogni parte del mondo

(Umberto Eco. “Il fascismo eterno”. 1995)

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BELLO CIAO!

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , on 19 aprile 2020 by Sendivogius

Ed eccolo puntuale tutti gli anni, come un malanno passeggero di stagione a regolare cadenza ciclica, l’immancabile Ignazio Benito Maria La Russa, il caricaturale Lucifer in versione fascio-sovranista, ad aprire le consuete danze di fuoco contro la celebrazione della Festa di Liberazione dal nazi-fascismo, che giustamente (e per sacrosanto anti-corpo democratico) provoca le convulsioni biliari dei diretti interessati, i nazi-fascisti appunto, che trovano da sempre molto ‘divisivo’ il fatto che per 75 anni (e un’amnistia totale sui crimini di guerra) l’odiata democrazia repubblicana e parlamentare abbia permesso loro di scorrazzare impunemente, e ammorbarci con le loro puzzette nostalgiche, fino a raggiungere le più prestigiose cariche di governo in quella repubblica che si vorrebbe “antifascista” (risate in sottofondo!).

Sono quelli che se sentono cantare un “Bella Ciao” rischiano un attacco di orticaria, su reazione allergica da ascesso democratico.

Benito La Russa è stato il primo ad inaugurare la nefasta stagione dei travestiti in politica, quando improvvidamente fu nominato ministro della guerra e gli fu data la possibilità di giocare con soldatini veri, passando dalla camicia nera alle casacche militari, nell’immarcescibile fascismo della divisa. Ed è curioso notare come a questa macchietta folkloristica da fiera di Predappio, coi suoi contriti camerati implotonati nei manipoli dei Fascisti d’Italia della sora Meloni, sfugga il paradosso che proprio in nome di quell’aborrito anti-fascismo si sia permesso ad un fascista dichiarato come lui di diventare vicepresidente del Senato della Repubblica (non della Camera dei Fasci e delle Corporazioni) a nome di un partito politico apertamente fascista, peraltro in copiosa compagnia tra camerati di merende e giornaletti apologetici (che il Mascellone tira sempre tra i necrofili di genere)…
Ah no, scusate! Non sono loro ad essere fascisti. È la Liberazione che è divisiva.
Da qui, non riuscendone comunque ad estirpare la memoria, l’ultima eccezionale trovata: listiamo i tricolori a lutto… con la squallida paraculata di tirarci dentro i morti del Covid-19 (monumento all’efficienza della Sanità lombarda a marchio leghista). Ma in fondo non è da sempre il 25 Aprile considerato giorno di lutto nazionale per ogni camerata, orfano dell’insaccato appeso a stagionare in Piazzale Loreto?!
Non potendo (ancora) ripristinare le celebrazioni littorie della Marcia su Roma, facciamo dunque del 25 Aprile una doppia edizione del 4 Novembre (Giornata delle Forze Armate), con quelle parate in costume d’epoca che piacciono tanto a quei feticisti dell’uniforme, dal braccino teso con scatto a molla.

E cantiamo tutti insieme la modernissima “Canzone del Piave”, che ha il doppio pregio di essere tutta dedicata alla minaccia incombente di invasori stranieri da annientare, e soprattutto di essere stata (seppur per un breve periodo) l’inno nazionale della Repubblichetta collaborazionista di Salò (altro paradosso di una canzonetta interamente incentrata contro l’invasore germanico), “che da sempre le Forze armate dedicano ai caduti di ogni guerra”, nell’ammiccante esaltazione retorica della guerra come epica eroica:

L’esercito marciava
Per raggiunger la frontiera
Per far contro il nemico una barriera…
E come i fanti combatteron l’onde…
Rosso di sangue del nemico altero,
Il Piave comandò:
Indietro va’, straniero!

La canzoncina è bellina… orecchiabile… contiene riferimenti storici dei quali gli italiani non sanno un cazzo. “Patrioti” de ‘noantri fasci inclusi.
Col suo retrogusto vintage, si canta bene, sulla falsariga di altri immarcescibili successi d’antan, tipo: “Parlami d’amore Mariù” “Voglio vivere così” oppure “Mamma la mia canzone vola”
Ma a ‘sto punto, perché non tirare fuori pure Giovinezza tra i cimeli del grammofono?!?
Che poi diciamocela francamente, nemmeno a noi piace “Bella Ciao”!
Personalmente, chi scrive la trova melensa, remissiva, persino reticente. La scelta di eleggerla a canto ufficiale della Resistenza è stata una decisione postuma, di compromesso, al posto di quello che invece ne era stato il vero inno e che noi infinitamente preferiamo: Fischia il vento

«Quale canzone potevano opporre, con un minimo di parità, a quel travolgente e loro proprio canto rosso? Essi hanno una canzone, e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. É una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.»

Beppe Fenoglio
“Il partigiano Johnny”
Einaudi, 1968

Così, giusto per fare un po’ di chiarezza. Poi vabbé, ci si accontenta…

“Bella ciao (per tutti)”

«Più puntuale di qualunque virus stagionale (absit iniuria virus), riecco i sintomi annuali della SIA, Sindrome da Insofferenza per il 25 Aprile. Li riconosciamo da anni, e sono sempre gli stessi: di solito all’inizio di aprile, quando si diffondono le allergie stagionali, dai banchi della destra cominciano gli anatemi, gli eritemi, le convulsioni, gli attacchi di Dispnea Costituzionale, gli starnuti esplosivi (e stando sempre col braccio teso diventa difficile starnutire nel gomito), nei casi più gravi il delirium tremens che, come tutti i deliri, porta a confondere la realtà con la fantasia e la storia con la propaganda.
Pare che gli affetti da SIA perdano la capacità di distinguere le cose, per esempio le vittime del nazifascismo dai carnefici; i partigiani dai manganellatori; la resistenza dalla dittatura e, più in generale, l’antifascismo dal fascismo. E la loro accusa principale, confusi come sono, è sempre la stessa, negli anni: il 25 aprile è “divisivo”.
In effetti, poche cose come il 25 aprile sono capaci di fare chiarezza e collocare le cose al loro posto: dentro o fuori la Costituzione, dentro o fuori il fascismo, dentro o fuori la libertà.
Quella libertà che – è il magnifico paradosso della libertà – garantisce a chiunque di dire la sua, anche quando dice una castroneria, anche quando attacca proprio la libertà, i suoi presupporti e chi ha lottato per ristabilirla e preservarla, perché la libertà, per sua natura, non è divisiva.
Così ogni anno gli affetti da SIA tornano con la loro sintomatologia illiberale a cianciare contro il 25 aprile, e la sua atmosfera di festa che per loro, associata alla liberazione dal fascismo, diventa particolarmente insostenibile.
Tanto che quest’anno si sono spinti persino oltre, dal momento che mai finora è riuscito loro di annullare o eradicare il 25 aprile – nemmeno negli anni d’oro della destra berlusconiana, nemmeno attraverso le peggiori sottovalutazioni istituzionali. Il prode Ignazio La Russa ci riprova quest’anno, con una proposta quantomeno ingegnosa: ma trasformiamolo, questo 25 aprile così ingombrante di cui non siamo mai riusciti a sbarazzarci. Ideona: facciamone una giornata di ricordo per i caduti di tutte le guerre (tutte tutte? Pure quelle di “conquista” oltremare? Pure quelle di resistenza alla resistenza?), aggiungiamoci i caduti nella guerra al coronavirus (tutti tutti? Pure quelli che magari potevano essere evitati in alcune zone, magari con altre gestioni?) e sostituiamo “Bella ciao” con “La canzone del Piave”.
Peccato che il 25 aprile sia una festa, e segnatamente una festa di rinascita e liberazione. Peccato che il 25 aprile già celebri i caduti, quelli che sono caduti perché ci potesse essere una liberazione da celebrare con una grande, unica festa. Che per comodità chiamiamo 25 aprile, e celebriamo il 25 aprile, cantando magari quella canzone che è universalmente ormai un inno di libertà conquistata, ma che sentiamo vera tutto il resto dell’anno.
No, caro La Russa, non ci convincerai mai a listare a lutto la bandiera, il 25 aprile. E’ il giorno in cui la bandiera si sventola, e sorridendo, persino in un anno luttuoso come questo.
Sai, la Costituzione antifascista e nata dalla Resistenza, malgrado gli sforzi di tanti “camerati”, non sarà mai asintomatica.
Bella ciao a tutti

  Manginobrioches
  (19/04/2020)

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