Ci sono vari modi per interpretare la gravità della crisi presente, più subita che affrontata, nella persistenza della sua intensità, tanto si è concentrati a scandagliare le profondità dell’abisso da perderne di vista il fondo. E allo stesso modo sfugge come la sua recrudescenza sia sempre caratterizzata da un sostanziale vuoto di idee compensato dalla sovrabbondanza di cretini, meglio se nei posti sbagliati come le imbarazzanti protuberanze di ventri molli. Sono gli utili idioti di sistema, tramite i quali la gestione del “potere” nasconde le proprie vergogne, imbracate con le tinte vivaci di mutandoni colorati, onde non essere colta quanto mai in ‘fallo’. Il dramma, che in Italia assume sempre i contorni della farsa con la sua perenne immanenza tribunizia, risiede nell’imperturbabile serenità dei cialtroni, che quasi sempre trovano la propria dimensione ideale nella “politica” chiacchierata e urlata. In assenza di antitesi, sono la tesi e la sintesi del nuovo che avanza nel nulla che li sovrasta. Sarà per questo che da noi certi problemi sembrano più aggravati che altrove, nell’alternanza di macchiette in cerca di ribalta nei teatrini della politica, mentre si passano la staffetta attraverso il cambio del testimone. In tempi avanzati di personalismi mediatici, le vecchie oligarchie hanno lasciato il passo al tronfio galleggiamento dell’imbonitore, fluttuante in vaporosi proclami mutuati dalle vendite promozionali disperse nell’inconsistenza dell’inutile. L’autistica impermeabilità alle critiche dell’idiota trapiantato in politica lo rende immune alle contraddizioni, per assenza di pensiero in eccesso di presenza. Abbiamo così sostituito la faccia contrita del tecnocrate allo sbaraglio, con il bullismo strafottente del fanfarone alle corde.
In quanto ai ‘risultati’, ognuno può trarre le conclusioni da sé…
«Qualcosa come 60 miliardi sottratti ogni anno all’economia. L’industria ha perso un quarto della sua capacità produttiva. La produzione di autovetture sul territorio nazionale è diminuita del 65 per cento. L’indicatore più scandaloso dello stato dell’economia, quello della disoccupazione, insieme con quelli relativi alla immensa diffusione del lavoro precario, ha raggiunto livelli mai visti. La scuola e l’università sono in condizioni vergognose. Sei milioni di italiani vivono sotto la soglia della povertà assoluta, il che significa che non sono in grado di acquistare nemmeno i beni e i servizi di base necessari per una vita dignitosa. Il rapporto debito pubblico-Pil sta viaggiando verso il 140 per cento, visto che il primo ha superato i 2100 miliardi. Questo fa apparire i ministri che si rallegrano perché nel corso dell’anno saranno di sicuro trovati tre o quattro miliardi per ridurre il debito dei tristi buontemponi. Ultimo tocco per completare il quadro del disastro, l’Italia sarà l’unico Paese al mondo in cui la compagnia di bandiera ha i colori nazionali dipinti sulle ali, ma chi la comanda è un partner straniero. Si possono formulare varie ipotesi circa le origini del disastro. La più nota è quella avanzata da centinaia di economisti europei e americani sin dai primi anni del decennio. È un grave errore, essi insistono, prescrivere al cavallo maggiori dosi della stessa medicina quando è evidente che ad ogni dose il cavallo peggiora. La medicina è quella che si compendia nelle politiche di austerità, richieste da Bruxelles e praticate con particolare ottusità dai governi italiani. Essa richiede che si debba tagliare anzitutto la spesa pubblica: in fondo, a che cosa servono le maestre d’asilo, i pompieri, le infermiere, i ricercatori universitari? In secondo luogo bisogna privatizzare il maggior numero possibile di beni pubblici. Il privato, dicono i medici dell’austerità, è sempre in grado di gestire qualsiasi attività con superiore efficienza: vedi, per dire, i casi Ilva, Alitalia, Telecom. Infine è necessario comprimere all’osso il costo del lavoro, rendendo licenziabile su due piedi qualunque tipo di lavoratore….. Altro che articolo 18. Le politiche di austerità sono un distillato delle teorie economiche neoliberali, una macchina concettuale tecnicamente agguerrita quanto politicamente misera, elaborata dagli anni 80 in poi per dimostrare che la democrazia non è che una funzione dell’economia. La prima deve essere limitata onde assicurare la massima espansione della libertà di mercato (prima di Draghi, lo hanno detto senza batter ciglio Lagarde, Merkel e perfino una grande banca, J. P. Morgan). La mente e la prassi di tutto il personale che ha concorso a governare l’economia italiana negli ultimi anni è dominata sino al midollo da questa sofisticata quanto grossolana ideologia; non c’è quindi da stupirsi che essa abbia condotto il Paese al disastro. […] In Italia, non si è mai sentito un membro dei quattro “governi del disastro” proporre qualcosa di simile ad una tale analisi, con la conseguenza che oltre a praticare ciecamente le politiche neoliberali, i nostri governanti ci credono pure. Facendo di loro il personale politico più incompetente della UE.»
“Personale politico” che per giunta sembra alimentarsi di un nuovo cesarismo democratico, con le suggestioni di piccoli Augusto(li), abituati ad immaginare se stessi come indispensabili prima ancora che eterni. Ora che il renzismo dilagante si avvia a diventare una religione, nel culto populistico del Capo e della sua infallibilità, si può compensare la totale assenza di prospettive e finanche di strategia (che non sia la provocazione strafottente e l’incanto delle promesse alla televendita politica), con un acronimo tanto fortunato quanto intrinsecamente falso: T.I.N.A (There is not alternative). Che poi era il nomignolo affibbiato a Margareth Thatcher ed alle sue politiche liberiste, elevate a pensiero unico e all’origine dell’Austerità che sta strangolando l’Europa dopo la grande sbornia finanziaria. La ricetta in cottura è sostanzialmente la stessa di venti anni fa: tagli lineari alla spesa e abbassamento delle tasse (per i più ricchi), in cambio di meno servizi alla cittadinanza per prestazioni minori e più care; aumento delle imposte indirette e revisione dell’imposizione fiscale progressiva. Si aggiungano inoltre le grandi dismissioni del patrimonio pubblico, svenduto in blocco ad SGR immobiliari; privatizzazione selvaggia delle partecipate statali; totale deregolamentazione del mercato del lavoro, nella contrazione dei salari ed elisione delle tutele e garanzie sindacali; smantellamento dei servizi sociali, appaltati in conto pubblico a gruppi privati. È il “grasso che cola” agli occhi del sempre più imbolsito Telemaco.
“Come si sa, funzione propria del genio è fornire idee ai cretini vent`anni dopo” (Louis Aragon)
I provvedimenti in questione si possono condensare in un’unica parola: “riforme”. E in sostanza attingono ad un armamentario mercatista di ispirazione neo-classica, applicato al monetarismo e con una spruzzata di supply siders. Si tratta di una serie di teorie macroeconomiche che da sempre costituiscono il tratto distintivo delle destre neo-liberiste, stagionate per due decadi ed oltre nel bidone di un eterno riflusso, fresche come una merda affumicata in un fossa biologica, con la differenza che oggi sono diventate patrimonio condiviso della cosiddetta “sinistra” riformista, che evidentemente ha smarrito ragione e missione del suo essere. L’apparente mancanza di alternative, suffragata dalla presenza di personaggi improponibili, o impresentabili, in un agone politico che condensa l’offerta nella riproposizione di scarti fallimentari, rottami ideologici, e inquietanti mandrie di esaltati deficienti al seguito di uno vecchio barbuto e sputazzante, trova nella loro intrinseca indisponibilità la ragion d’essere e l’apparente successo dell’attuale parentesi renzista. Il processo logico in questione, ancorché fallace, si chiama “Diallele” ed è comunemente conosciuto come “circolo vizioso”. Che poi all’atto pratico l’azione del Bambino Matteo non vada oltre l’annuncite declamatoria con cui magnifica se stesso, è un altro discorso… Così come, in sintesi, il pensiero di questa sorta di figlio putativo del Pornocrate di Arcore non pare andare oltre due concetti basilari: “80 euro” e “41%”; il tutto aggravato dall’uso di un lessico da prima elementare, fermo ai “gufi” ed alle canzoncine parrocchiali degli scout con un campionario da fine anni ‘80. Evidentemente, è convinto che il 41% dei suffragi (della metà del corpo votante) conseguito alle elezioni europee sia un risultato immutabile e cristallizzato nei tempi a venire. In quanto al palleggio continuo degli “80 euri”, spendibili e rinnovabili ad libitum in pacchetto discount, siamo ormai ben oltre lo stucchevole; spacchettati in multipli di dieci, ricorda la campagna pubblicitaria dei “dieci euro” di Claudio Amendola… E se questo è il miglior numero del governo!
There is not alternative. È la trappola della TINA fiorentina. Non c’erano “alternative” al Governo Berlusconi. E abbiamo avuto Mario Monti. Non c’erano “alternative” al Governo Monti (e poi Letta). E abbiamo avuto Renzi. In realtà, alternative esistono sempre. E guai se così non fosse! Altrimenti avremmo dovuto accettare il geocentrismo (perché ogni altra opzione non era contemplabile) e fermarci al Medioevo che tutto quel che c’era da sapere era già contemplato nelle Sacre Scritture e ogni cosa era chiara, ascritta nell’eternità del tempo presente, confidando ieri nella Divina Provvidenza ed oggi nei miracoli profani dei nuovi Unti del Signore. Forse sarebbe ora di cercarle o nella mancanze crearle le ‘alternative’, e con esse le opportunità, invece di accontentarci di ciò che ogni volta passa il convento (e l’oratorio), con la benedizione del Colle.
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