
A chi serve la ‘strutturale’ riforma del lavoro, targata Monti-Fornero?
Certamente non ai ‘giovani’, la categoria più citata ed abusata da una elite siderale di septuagenari nati già vecchi; iperborei ‘tecnici’ lontanissimi anni luce dai problemi e dalle aspettative delle nuove generazioni, praticamente estromesse da ogni prospettiva futura.
Meno che mai tale Riforma migliorerà le condizioni dei forzati a vita del lavoro precario. E di sicuro cambierà ben poco le magre sorti dei disoccupati di lungo corso, estromessi ai margini più infimi del mondo del sub-lavoro.
A parte la fondamentale estensione dei licenziamenti facili a tutte le tipologie da lavoro dipendente, semplificando oltre misura le norme che rendono assai conveniente ed immediati i licenziamenti individuali (una sicurezza in tempi di disoccupazione cronica), svincolando i datori da ogni responsabilità sociale ed i lavoratori da ogni forma di tutela residua, non si avvertono miglioramenti di rilievo. Ovviamente, rimane esclusa la possibilità di ricorso ai licenziamenti discriminatori.
Come in una notte oscura in cui tutte le vacche sono nere, è evidente che nessun padrone si rivolgerà mai alle sue maestranze dicendo: ti licenzio perché sei negro… perché odio i terroni… perché ti sei iscritto al sindacato… perché sei rimasta incinta… È chiaro che i motivi ufficiali del licenziamento saranno sempre di natura rigorosamente “economica”. Perché non tutti sono coglioni come chi firma e vota simili leggi.
Per contro, vengono estese le tutele “a tutti i lavoratori”… ad eccezione di coloro che non raggiungeranno il tetto delle 52 settimane lavorative, ovvero la fascia più debole ed esposta dell’universo ultra-flex (ma senza security) delle occupazioni para-subordinate.
L’importo dei nuovi sussidi sarà inferiore a quelli attuali, per una minor durata di tempo, e vincolato all’accettazione obbligatoria di qualsiasi tipologia occupazionale provvisoria, a prescindere dal precedente background professionale, sul modello americano.
In sintesi, se si esclude la cancellazione parziale dello scandaloso “contratto di associato in partecipazione”, terrore delle commesse, ed una ipotetica verifica sulle partite IVA individuali, rimane praticamente intonsa l’intera pletora di contratti atipici, con tutte le relative forme di sfruttamento legalizzato, che umiliano e schiacciano l’occupazione giovanile. In fondo si tratta soltanto di 45 diverse tipologie contrattuali, le quali rimarranno quasi totalmente escluse dall’estensione dei nuovi ‘ammortizzatori sociali’, ossia la “paccata di miliardi” tutta da trovare. Però vuoi mettere la noia di un “posto fisso”, con l’ebbrezza di quasi 50 posizioni diverse, altamente flessibili… e senza protezioni!
In compenso ai famosi gggiovani laureati in cerca di impiego, dovrebbe essere garantita una retribuzione minima per gli stage. Il meglio che si può concedere ai famosi ‘cervelli in fuga’… Il condizionale tuttavia è d’obbligo. Infatti, tra le varie iniziative dei professoroni, si prevedeva anche un rimborso per i praticanti negli studi legali, costretti a lavorare schiavizzati a gratis per i milionari Principi del Foro… Naturalmente, al di là delle buone intenzioni, non se ne è fatto poi nulla.
Soprattutto ci sono i nuovi “contratti di apprendistato”, ulteriormente estesi negli anni. E l’inflessibile ministra Fornero si guarda bene dal rivelare che i sedicenti “apprendisti”, a parità di ore lavorate e di mansioni, percepiscono uno stipendio inferiore rispetto ai loro colleghi stabilizzati.
Non per niente, ci troviamo dinanzi al genio incompreso di menti superiori…
Intelligenza Artificiale Governativa
di Piergiorgio Odifreddi
(19/03/2012)
«Maurizio Crozza ha fin da subito individuato, nelle sue imitazioni, la caratteristica principale del presidente del Consiglio: di essere un automa, in grado di simulare alcuni aspetti meccanici del pensiero, ma non i sentimenti di empatia e simpatia tipici degli umani: meno che mai, ovviamente, di provarli.
La sua ministra del Lavoro e delle Politiche Antisociali non è da meno, anche se la sua release al femminile conteneva agli inizi un bug, subito corretto, che le ha causato, alla sua prima simulazione pubblica, la perdita di liquido oculare (per rimanere all’imitazione di Crozza).
Entrambi i due automi governativi hanno in questi giorni confermato la loro natura meccanica, emettendo a Torino affermazioni sul mercato del lavoro che, se fossero uscite dalla bocca di qualche umano, sarebbero risultate agghiaccianti.
Monti ha spiegato, tanto suadentemente quanto può un robot, che la Fiat è sì “sempre stata governativa”, come diceva Gianni Agnelli. E dunque ha sì sempre ricevuto ingenti sovvenzionamenti statali, all’insegna del motto “i nostri guadagni sono privati, i nostri debiti pubblici”. Ma, ciò nonostante, non ha alcun obbligo di sentirsi in debito con la nazione. Anzi, ha non solo il diritto, ma addirittura il dovere, di andare a cercarsi altrove nuovi polli da spennare, visto che ormai noi di piume non ne abbiamo più.
Quanto alla Fornero, ha pure lei confermato che “a Fiat non può fare ciò vuole”: da intendere, ovviamente, nel senso che il mercato non è affatto “libero”, come i liberisti avevano proclamato fino a ieri, ma costringe i rapaci a comportamenti coatti. Quanto alla riforma del lavoro che sta preparando, la ministra ha concesso che l’accettazione del piano da parte delle parti sociali sarebbe ”un valore aggiunto”, ma non è comunque una necessità.
Persino il presidente della Repubblica, che pure è il primo responsabile della transizione da un governo di subumani a un governo di non-umani, ha dovuto ammettere che “sarebbe grave” se si facesse un accordo contro i lavoratori e i loro rappresentanti. Ma anche lui ha inteso le sue apparentemente ovvie parole non nel senso che il governo dovrebbe presentare un piano accettabile, bensì che i sindacati dovrebbero “far prevalere l’interesse generale su qualunque calcolo particolare”.
Che sia un ex-comunista a considerare “calcolo particolare” le lotte sindacali, e “interesse generale” quello dei mercati, è un segno dell’abisso nel quale siamo caduti, con la scusa della crisi economica. Da Rifondazione Comunista siamo passati alla Fondazione di Asimov, ma è ai romanzi di Philip Dick che dovremo ormai rivolgerci, per trovare descrizioni adeguate di un mondo che noi umani non potevamo immaginare, e meno che mai prevedere.»
A tal proposito, è interessante constatare l’iper-attivismo ritrovato di un Presidente della Repubblica, finalmente destatosi da un lungo sonno; specialmente se paragonato al torpore catatonico del suo imbalsamato predecessore: il silente e men che mai presente Carlo Azeglio Ciampi.

In seguito all’apparente dipartita di B., il presidente Napolitano, dopo anni di assoluto mutismo, sembra finalmente aver ritrovato la favella (e il coraggio), troppo a lungo smarrita durante la stagione felice della finanza creativa, all’ombra del bunga-bunga tra le mutandine delle nipoti di Mubarak. Prima evidentemente non aveva nulla da eccepire.
Seppellito prematuramente l’imbarazzante Pornonano, tutto ciò che ai tempi del berlusconismo dominante sembrava ai limiti dell’abuso di potere oggi è diventato la norma, quasi che la sostanza prescinda dalla persona: esautorazione delle prerogative parlamentari; abuso della decretazione d’urgenza; cancellazione della famigerata “concertazione” (fintanto che ha fatto comodo a Fiat e confindustriali però andava bene); sostanziale approvazione di tutti i provvedimenti speciali in materia di lavoro, giustizia, libertà di stampa, del precedente governo… Il tutto reso possibile grazie alla straordinaria partecipazione dell’ormai irrecuperabile Partito Democratico, che ora garantisce il suo appoggio incondizionato a proposte di legge fino a pochi mesi fa considerate inammissibili. Infatti, senza alcun imbarazzo, il PD siede nella stessa maggioranza governativa insieme a Cicchitto e Gasparri, Verdini e Dell’Utri… ma il campionario è ben fornito. ‘Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei’.
E comunque questa riforma del lavoro è indispensabile. Non parliamo poi del resto del companatico…
Ce lo chiede l’Europa, ovvero Angela Merkel che si guarda bene dall’imporre le stesse misure draconiane ai tedeschi.
Ce lo chiedono i mercati (finanziari) e certo mica puoi permetterti di scontentare le loro pretese. I “Mercati”… ovvero le banche d’affari in overdose da derivati… ovvero Goldman Sachs ed i vari emuli di Morgan il pirata… ovvero gli speculatori dei grandi fondi di investimento (hedge funds)… tutti insieme appassionatamente sotto l’ombrello munifico della Banca Mondiale, del Fondo Monetario Internazionale, e della Banca Centrale Europea (la troika). Tutte così arcigne nei confronti del “debito sovrano”, inflessibili nei confronti degli anelli deboli dell’UE (si tratta di popoli da castigare in funzione rieducativa), ma così incredibilmente generose nell’erogare miliardi di euro con interessi irrisori a tutto vantaggio degli istituti del credito privato, all’origine della più devastante crisi economica degli ultimi 80 anni. Perché c’è debito e debito…
In pratica è come se, dopo essersi affidati incautamente ad una banda di strozzini per risolvere i propri problemi economici, magistratura e polizia imponessero al taglieggiato di ripagare con tanto di interessi centuplicati i proprie estorsori, con un’ulteriore aggravante: gli strozzini non si accontentano di ricevere indietro la somma maggiorata, ma pretendono di imporre anche COME procurarsela.
E si spaccia per “tecnica” una ricetta che in realtà è tutta politica, nella sua pretesa di validità universale, e che così straordinari risultati sta comportando in Grecia, ma anche al Portogallo: l’alunno modello della troika condotto per mano al collasso sociale….
L’OBIETTIVO INDICIBILE
di Carlo Clericetti
(20 marzo 2012)
«Tra le misure imposte alla Grecia c’è stata anche la riduzione del 30% del salari minimi, oltre ai vari tagli a indennità e mensilità aggiuntive dei dipendenti pubblici. Per la Spagna non c’è stato bisogno di imposizioni così plateali: la riforma del lavoro approvata dal nuovo governo conservatore di Mariano Rajoy (tanto lodata dal nostro presidente del Consiglio) prevede tra l’altro che, dopo due trimestri di riduzione dei ricavi, le aziende possano decidere unilateralmente di ridurre le retribuzioni. Per i dipendenti c’è una finta scelta: o accettano, o se ne vanno ottenendo un modesto indennizzo monetario.
Vogliamo fare qualche ipotesi su come si comporteranno, in un paese dove la disoccupazione supera il 20%?
Se in Italia fosse rimasto Berlusconi, la cui credibilità era sottozero, anche a noi sarebbe stato imposto un diktat in proposito. Ora che c’è Monti, di cui la signora Merkel si fida, si può lasciare a lui il compito – che però resta lo stesso – in modo da salvaguardare almeno l’apparenza del mantenimento di una sovranità ormai di fatto evaporata.
[…] Quando un paese perde competitività (ed è il caso dell’Italia e di tutti gli altri paesi colpiti dalla “cura”), se non può svalutare la moneta – e nessuno dei paesi euro può prendere questa decisione – deve procedere a una “svalutazione interna”, cioè deve fare in modo che prezzi e salari si riducano fino a quando la sua economia non torna competitiva. A quel punto, sostiene questa teoria, il paese aumenta le esportazioni, la bilancia commerciale ritorna in equilibrio, l’economia riparte e tutti tornano felici.
Ma, appunto, di una teoria si tratta, e molti economisti di primo piano sostengono che è completamente sbagliata. Perché nel frattempo il paese in questione entra in recessione, le aziende chiudono, la disoccupazione aumenta, cadono i redditi e il Pil, i conti pubblici peggiorano nonostante i tagli: si alimenta, cioè, una spirale perversa. Lo abbiamo visto in Grecia, lo stiamo vedendo in Portogallo, in Spagna, in Italia. Molto probabilmente tra poco la Francia si unirà al gruppo. Ma finché non se ne convincono i tedeschi, che in questa fase di fatto comandano in Europa, la linea non cambierà.
E veniamo alla nostra “riforma”. Al di là degli escamotage che saranno inventati dai sindacati per salvare la faccia, l’articolo 18 sarà reso completamente inefficace. Dal momento che è ormai scontato che il licenziamento potrà essere motivato da ragioni “economiche o organizzative”, nessun imprenditore sarà così sprovveduto da attuare licenziamenti discriminatori o persino disciplinari: un problema organizzativo – con la necessità di ristrutturazione che hanno tutte le aziende in questa fase – si trova molto facilmente. E allora, con i licenziamenti praticamente liberi, succederà una di queste due cose, o meglio tutt’e due. In parte verrà posta la scelta tra riduzioni di salario o un certo numero di licenziamenti; in parte ci si libererà di una parte di lavoratori più anziani per sostituirli, a minor costo, con giovani che nel migliore dei casi entreranno con il contratto di apprendistato, tre anni – estendibili a cinque – a salario ridotto e con la possibilità di esser mandati via. Ci saranno un po’ di ammortizzatori sociali, ma con una durata inferiore agli attuali e con meno gente che avrà la possibilità di passare – alla loro scadenza – alla pensione, visto che l’età è stata aumentata. Un meccanismo poco appropriato, ma che finora aveva sostituito, anche se non per tutti i lavoratori, le carenze delle protezioni dalla disoccupazione.»
Naturalmente, secondo la vulgata ufficiale, tutte le preoccupazioni sono per i “giovani” che i vari ministri del Governo Monti, tanto per non smentirsi, prendono per il culo un giorno sì e l’altro pure.
Bisogna dire che una parte consistente della categoria anagrafica in questione sembra però gradire il particolare ‘servizio’…
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22 marzo 2012 a 11:44
Ho sempre pensato che molte aggregazioni ai partiti rispondessero a pulsioni caratteriali più che ideologiche. Con tutto il rispetto per il ruolo istituzionale, mi pare evidente che il presidente Napolitano sia un determinato quanto inconsapevole uomo di destra. Egli è naturalmente liberissimo di agire secondo la sua natura, ma obbligato ad acquisire la consapevolezza d’essere venuto meno ai suoi doveri di rappresentanza degli emarginati e della sua terra meridionale.
E’ lui, infatti, il manovratore che ha portato al governo un’oligarchia di extraterrestri vecchissimi, garanti di interessi dominanti contro la quasi totalità dei cittadini e il nostro stesso paese.
22 marzo 2012 a 11:57
Dopo il governo della volgarità populista, ecco quello dell’astuzia conservatrice. Cambia lo stile, è indubbio, ma non cambiano le finalità. Persone garbate e distinte ribadiscono che la crisi la devono pagare coloro che non l’hanno mai provocata: gli operai, i lavoratori dipendenti, gli studenti, il commercio al minuto, i precari, l’impresa artigiana, persino gli immigrati. Come contentino, blitz ridicoli – ma amplificati a livello mediatico – su centri di vacanze di lusso, da cui, dopo l’infinito iter del contenzioso tributario, si tireranno su quattro soldi.
Ciò per poter dire che si è colpita («dolorosamente») ogni classe. Con l’autorevole avallo del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Il quale, impossibilitato a starsene zitto almeno un giorno, afferma che al risanamento del paese devono contribuire abbienti e non abbienti.
Capolavoro di ipocrisia, da parte di qualcuno che vi è versato. Non fu tra i fondatori dei reticolati entro i quali ammassare i migranti? Eccolo sponsor di un governo imposto quasi a forza, tanto cortese quanto implacabile. Diretto da un ultraliberista che dice di avere apprezzato le «riforme» di Marchionne e della Gelmini.
«Bravo, bene, bis!», urla il Pd, mentre, il cappello in mano, invoca l’elemosina di qualche vaga concessione sociale, nonché privatizzazioni a manetta, acqua compresa (chi se ne frega, ormai, dei risultati di un referendum?). Intanto l’Italia subisce impassibile la creazione di una quarta classe sui treni – in periodo umbertino e fascista erano tre, dopo divennero due – e il sacrificio di beni di pubblica utilità, mentre, in perfetta contraddizione con l’etica esibita dell’austerità, si confermano progetti costosissimi e inutilissimi. Dal Mose di Venezia al TAV in Val di Susa.
Chiamata a pagare tutto quanto è comunque la classe operaia (chi dice che non esiste più, sostituita dal supposto «proletariato cognitivo», dovrebbe spiegarmi chi raccoglie la frutta a Cerignola o Rosarno, o cos’abbia di «cognitivo» l’operatore di un call-center). È ad essa che il governo gentile riserva la sorpresa più generosa. L’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Imponeva che, nelle grandi imprese, i licenziamenti dovessero essere motivati da «giusta causa». In futuro, a quanto pare, la causa potrà anche essere ingiusta. Senza che ciò abbia alcun effetto né sulla crisi, né sull’economia in generale. In passato scrissi che, trascorso Berlusconi, la vera destra sarebbe arrivata. Ebbene, eccola qua. Pimpante e garbata come l’antica aristocrazia.
di Valerio Evangelisti
(da “Micromega” – 1/2012)