
«Le discussioni sulla struttura e sull’organizzazione dell’economia tedesca ed europea dopo la guerra, compresi gli effetti che la guerra avrà sull’economia mondiale, negli ultimi tempi stanno riempiendo le colonne della stampa tedesca e straniera, in misura crescente.
Tanto gli uomini d’affari che gli analisti stanno dando una particolare attenzione a questi problemi, mentre alcune idee e piani più o meno fantastici hanno causato una notevole confusione.
Anche il grande filosofo Hegel è stato tirato in ballo, come fonte di prova a sostegno di certe opinioni. Abbondano le frasi fatte di tutti i tipi, tra le quali la più abusata è che l’Europa deve diventare uno spazio economico più grande.
Qualunque sia la verità contenuta in questa affermazione, prima di tutto si deve ammettere che questa Grande Europa attualmente non esiste, che questa deve prima essere creata e che all’interno della sua area ci sono ancora molte frizioni.
In queste circostanze, sento il dovere di fare una affermazione chiara e obiettiva che condurrà la discussione fuori dal regno della fantasia e della speculazioni, verso il mondo della realtà e dei fatti.
[…] Mi limiterò dunque ad indicare semplicemente i mezzi che possono essere utilizzati per raggiungere il nostro obiettivo. Principalmente, la nuova economia europea deve crescere in modo organico.
[…] Il nuovo ordine economico in Europa si svilupperà al di fuori delle circostanze esistenti, in special modo finché esisteranno le condizioni naturali per una stretta cooperazione economica tra la Germania e gli altri paesi europei.
[…] La questione del futuro assetto generale dell’Europa deve perciò rispondere a quanto segue: dopo la conclusione vittoriosa della guerra, applicheremo tali metodi nella politica economica, che ci hanno permesso di conseguire i nostri grandi successi economici prima della guerra e soprattutto in tempo di guerra, al contempo escludiamo di consentire ancora una volta l’azione di forze non controllate che hanno coinvolto l’economia tedesca in grandissime difficoltà.
Siamo convinti che i nostri metodi si riveleranno di gran utilità non solo per la grande economia tedesca, ma anche per tutte le economie europee che per loro natura si troveranno ad essere in stretti rapporti commerciali con la Germania.
Per quanto riguarda la questione inerente le basi di una nuova moneta, che è stata recentemente oggetto di un dibattito particolarmente vivace, dovrebbe essere detto quanto segue:
La valuta è sempre secondaria alla politica economica generale. Quando l’economia è malata non ci può essere una moneta stabile. In una sana economia europea, con una divisione razionale del lavoro tra le economie dei paesi europei, la domanda di valuta si risolverà da sé, perché sarà solo un problema tecnico di gestione monetaria. In ciò risiede la ragione per cui il marco tedesco avrà un ruolo dominante. L’enorme incremento della potenza del Grande Stato Tedesco, porterà inevitabilmente nella sua scia la stabilizzazione del marco.
L’area valutaria del marco, che sarà liberata dall’assorbimento del debito esterno non saldato e dalle pratiche del cambio monetario, deve essere incrementata.
Partendo dai metodi di negoziazione bilaterale già applicati ci sarà un ulteriore sviluppo in direzione di uno scambio commerciale multilaterale e dell’aggiustamento delle bilance commerciali dei singoli paesi, così che i singoli paesi possono impegnarsi in relazioni commerciali regolamentate tra di loro, tramite una compensazione tra importazioni ed esportazioni.
Naturalmente non ci saranno problemi ad abolire il controllo dei cambi e di compensazione obbligatoria tutto in una volta. Né costituisce un problema una certa quota di libero scambio in valuta estera contro una unione monetaria europea, ma il prossimo passo sarà quello di sviluppare una ulteriore tecnica di compensazione, in modo tale che i pagamenti possano essere attivati agevolmente tra i paesi collegati tramite il Clearing House.
A maggior ragione che i presupposti per un tale sviluppo esistono già per quasi tutti i paesi, adeguatamente predisposti per l’inclusione in un centro di compensazione (clearing) europeo, che abbia una qualche forma di controllo sugli scambi esteri.
I prerequisiti per un soddisfacente funzionamento del sistema di compensazione tra esportazioni ed importazioni risiede nel fatto che la disposizione dovrebbe prevedere tassi di cambio fissi per tutti i pagamenti, che i tassi dovrebbero rimanere stabili per un lungo periodo di tempo, e che gli importi assegnati per la compensazione devono sempre essere pagati immediatamente.
Il pagamento di trasferimenti scoperti, non garantiti dal clearing, pone un problema monetario interno ai singoli paesi. Il timore ovunque prevalente che possano esserci bilanci scoperti, tuttavia, sparirà; la ripresa economica generale, che dove essere messa al primo posto dopo la guerra, causerà un incremento della circolazione monetaria anche in quei paesi che finora hanno aderito ad una politica economica delle banche centrali, basata sul sistema aureo e le operazioni automatiche del gold-standard e, in secondo luogo, col dovuto controllo del governo sulla bilancia dei pagamenti, il problema dei saldi di compensazione scomparirà gradualmente.

Il livello dei prezzi dovrà essere adeguato a quello della Germania. Ma una unione monetaria porterà a un graduale livellamento dello standard di vita, che anche per il futuro non sarà e non dovrà essere la stesso per tutti i paesi collegati al sistema di clearing europeo, poiché i presupposti economici e sociali per esso mancano, e sarebbe assurdo regolare l’economia europea su questa base nel prossimo futuro. In Europa, ogni paese dovrebbe sviluppare e ampliare le proprie forze economiche e ogni paese dovrebbe essere in grado di operare con qualsiasi altro, ma i principi ed i metodi che disciplinano questo commercio devono essere, generalmente parlando, gli stessi.
Questo ha il vantaggio che le misure di controllo economico e di vincolo sotto una valuta ed un sistema di pagamenti in comune possono essere ridotte in larga misura; perché questi controlli e regole dettagliate, proprie di un sistema burocratico che può ostacolare notevolmente le transazioni individuali, non sarà più necessario.
[…] Daremo una particolare importanza al commercio dei nostri prodotti industriali di alta qualità, in cambio di materie prime sui mercati mondiali. Ma qui è necessaria una premessa. Dobbiamo verificare se sussiste un approvvigionamento sufficiente nell’area economica europea di tutti quei beni che rendono quest’area economicamente indipendente da tutte le altre. Quindi dobbiamo garantire la sua libertà economica.
[…] In sintesi:
1. Attraverso la conclusione di accordi economici a lungo termine con i paesi europei, sarà possibile assegnare un posto per il mercato tedesco nella pianificazione della produzione di lungo periodo di questi paesi, che saranno considerati alla stregua di uno sbocco commerciale a salvaguardia delle esportazioni, per le merci tedesche sui mercati europei.
2. Attraverso la creazione di uno stabile sistema di cambio, dovrà essere garantito un sistema uniforme dei pagamenti per il proseguimento degli scambi commerciali tra i singoli paesi. Così facendo, ci collegheremo agli accordi di pagamento esistenti che saranno ampliati per includere un maggiore volume commerciale sulla base di tassi di cambio fissi.
Attraverso uno scambio di esperienze nel campo dell’industria e dell’agricoltura, l’incremento della produzione di generi alimentari e l’accaparramento di materie prime deve essere il nostro scopo, mentre in Europa deve essere portata a termine una divisione economica razionale del lavoro….
3. Tra le nazioni europee deve essere stimolato un forte senso di comunità economica, attraverso la collaborazione in tutte le sfere economiche e politiche (moneta, credito, produzione, commercio, etc.). Il consolidamento economico dei paesi europei dovrebbe migliorare la loro posizione negoziale nelle relazioni con gli altri soggetti economici in una economia globale.
Questa Europa unita non si sottometterà a termini politici ed economici, che siano dettati da un qualsiasi organismo extra-europeo.
Sarà il commercio sulla base dell’uguaglianza economica a determinarne in qualsiasi momento la consapevolezza del suo peso negli affari economici.
[…] Alla Grande Germania deve essere assicurato il massimo della sicurezza economica e per il popolo tedesco il massimo consumo di beni per incrementare il livello di benessere della nazione. L’economia europea deve essere adattata per rispondere a questo obiettivo. Lo sviluppo procederà a tappe differenti per i diversi paesi.»
Walther Funk
“La riorganizzazione economica dell’Europa”
(25 Luglio 1940)
Per la cronaca, il previdente Walther Funk è stato editorialista ed analista finanziario, governatore della Banca Centrale tedesca (all’epoca si chiamava Reichsbank), plenipotenziario per la pianificazione economica (Wirtschaftsbeauftragter), ministro dell’Economia… e fervente nazista.
Il cosiddetto “Piano Funk” rientrava nell’ambito delle analisi previsionali di pianificazione economica, che costituivano parte organica dell’azione di governo dei funzionari delegati agli Affari economici, in un sistema sostanzialmente accentrato come il Reich nazionalsocialista. E non contiene niente di così eclatante: un po’ di keynesismo militare (mutuato da Hjalmar Schacht), molto bilateralismo commerciale su trattati separati e impostato sul primato delle esportazioni, a fronte di un’autosufficienza autarchica all’interno del sistema economico tedesco; ingenti trasferimenti di valuta pregiata a saldo della compensazione sugli scambi commerciali; superamento del gold-standard.
Il suo “Piano” è curioso, perché è il primo documento organico di politica ‘economica’ a parlare apertamente di “area economica europea” e mercato condiviso a livello continentale, introduzione di una moneta unica (che abbia a modello il marco) e tassi di cambio fissi (per favorire le esportazioni
tedesche). Il Piano Funk è altresì interessante, perché la nuova area commerciale e valutaria è funzionale a garantire il saldo in attivo della bilancia commerciale della Germania, favorendone le esportazioni su scala continentale. Serve inoltre ad assicurare il primato dell’economia tedesca, che diventa il sistema drenante delle risorse europee, tramite la stipula e l’osservanza ferrea di trattati inderogabili, in virtù della nota flessibilità che contraddistingue i connazionali di Hegel.
C’è anche un abbozzo embrionale alla ben nota retorica dei “compiti a casa”, da svolgere con diligenza se si vuole sperare di ottenere qualche briciola in Commissione:
“Il consolidamento economico dei paesi europei dovrebbe migliorare la loro posizione negoziale nelle relazioni con gli altri soggetti economici in una economia globale.”
E si può notare come la politica egemonica di Berlino, depurata delle sue componenti razziali e militariste, non sia poi troppo diversa dagli obiettivi economici, coi quali sostanzialmente viene esplicata sullo scacchiere europeo, sempre più ridotto ad una macroarea valutaria a penetrazione commerciale tedesca, con ben poche contropartite per i suoi partner subordinati all’espiazione del Debito.

Leggendo il Piano Funk, c’è da chiedersi se ci fosse qualcosa di inconcepibilmente ‘giusto’ nel nazionalsocialismo, oppure troppi elementi profondamente sbagliati nella struttura dell’attuale “Unione Europea”, così come è stata finora concepita.
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18 ottobre 2014 a 14:07
L’ha ribloggato su Mauro Poggie ha commentato:
Il Piano Funk, ovvero: la prefigurazione, 75 anni fa, di una distopia che accade oggi.
19 ottobre 2014 a 15:19
– Venite in aiuto a me Muse dell’Elicona che i poeti son soliti scomodare per delle autentiche sciocchezze. –
Il debito pubblico italiano c’è e rimane… anzi aumenta di anno in anno… come aumentano i paesi cicala.
– Pier Carlo Padoan, ha avuto l’onestà intellettuale – che certo non gli manca – per ammettere che il punto debole della manovra (legge di stabilità) è l’assenza pressoché totale di risorse aggiuntive destinate al rilancio degli investimenti pubblici –
Qui di Keynesiano non c’è nulla altro che New Deal.
19 ottobre 2014 a 16:16
Peccato si dimentichi troppo spesso che il “debito pubblico” costituisce una componente endemica dei bilanci, giacché nessuno Stato opera a saldo zero. Nel caso italiano poi si tratta di un debito pregresso, sostanzialmente ereditato. E le “cicale” nella definizione di tale deficit in realtà c’entrano meno di quanto si creda e conviene far credere… Un’occhiatina QUI.
Ciò detto, per avere un’idea sulla reale entità del debito pubblico italiano, nell’ambito delle politiche di bilancio viene presa in considerazione la differenza tra deficit strutturale e deficit effettivo, tenendo conto delle componenti cicliche nelle variazioni dei saldi… Si tratta di una operazione invero capziosa, perché in presenza di una contrazione economica prolungata (leggi: Recessione) il saldo è sempre negativo (per questo si ci si affida all’avanzo primario precedentemente cumulato e chiamato “tesoretto”), finendo col costituire una bilancia truccata che da sempre ragione ai teorici della austherity.
Quello che in Italia aumenta, non è tanto il Debito (pregresso) ma gli interessi che su questo vengono pagati, in assenza di crescita economica: se la domanda cala, diminuisce l’offerta; se l’economia si contrae, la disoccupazione aumenta ed i salari (col potere di acquisto) diminuiscono; le entrate fiscali dello Stato diminuiscono in proporzione e, a saldi di bilancio invariati, la spesa pubblica aumenta comunque. Nominalmente, peggiora se lo Stato investe di suo per rilanciare investimenti e consumi. Di riflesso, “cresce” il Debito. Ma in realtà si tratta più che altro di un crollo degli introiti, che l’austerità non favorisce ma esaspera.
Da questo punto di vista, il nostro debito attuale in termini di spesa cresce molto meno che in Germania e Francia. Col risultato che la nostra economia è ferma.
Per quanto riguarda il pagamento degli interessi sul debito, allora bisognerebbe altresì distinguere la differenza tra la componente nominale e quella effettiva. E in questo caso la situazione è assai meno drammatica di come le vestali dell’apocalisse da default amano descriverla…
😉 La questione viene affrontata in dettaglio anche da un noto foglio bolscevico [QUI]
Si aggiungano pure le considerazioni del FMI, mutuate nell’analisi del Senato (frettolosamente rottamato) su documentazione di bilancio :
“Non esistono criteri assoluti per definire quando un debito pubblico sia sostenibile o meno. Ad esempio, il Giappone per molti anni ha fronteggiato una grave e prolungata recessione con un rapporto del debito sul PIL superiore al 200 per cento, senza mostrare segnali di insolvibilità. Spesso, pertanto, la sostenibilità del debito è strettamente collegata alla credibilità e alla fiducia che i mercati finanziari hanno nelle istituzioni e nelle scelte di politica fiscale adottate dai governi.”
“Mercati finaziari” che agiscono in modo tutt’altro che disinteressato e che spesso vengono imboccati con operazioni speculative ben mirate…
La c.d. Legge di Stabilità del Governo Renzi (di cui abbiamo in parte trattato QUI), che di espansivo ha poco o nulla, con saldi di bilancio e compensazioni di spesa del tutto aleatori, che Padoan avrà pure avuto l’onestà intellettuale di ammettere, ma che poi ha sottoscritto e varato senza battere ciglio, come giustamente sottolineato, ha poco o nulla di keynesiano e moltissimo di doroteo. Il contributo alla crescita è minimo e tutto da verificare. In quanto agli investimenti, praticamente non ci sono a parte il pateracchio cementifero del prossimo decreto “Sblocca Italia”, molto fanfaniano, che si presta alla violazione di ogni normativa vigente e all’abuso sistematico.
Insomma, siamo in pieno riflusso democristiano e pure della peggiore specie.
19 ottobre 2014 a 21:47
Tu dimentichi, mi sembra impossibile ;), le politiche di Monti e seguenti… che hanno “peggiorato” tutti i dati macroeconomici:
http://it.wikipedia.org/wiki/Dati_macroeconomici_italiani
Lui (Padoan) sperava ed anch’io in un pil dello + 0,3% ma siamo a ancora a zero o poco meno… e conosce bene anche le considerazioni dell’FMI visto che era lì prima… ovvero
“Non esistono criteri assoluti per definire quando un debito pubblico sia sostenibile o meno. Ad esempio, il Giappone per molti anni ha fronteggiato una grave e prolungata recessione con un rapporto del debito sul PIL superiore al 200 per cento, senza mostrare segnali di insolvibilità. Spesso, pertanto, la sostenibilità del debito è strettamente collegata alla credibilità e alla fiducia che i mercati finanziari hanno nelle istituzioni e nelle scelte di politica fiscale adottate dai governi.”
ma non lo dico io… sempre lui che parla,,,
– Pareggio strutturale di bilancio rinviato al 2017
La crescita negativa e l’inflazione vicina allo zero “sono circostanze eccezionali” messe nero su bianco anche dall’Istat oggi, certificano che lo stato di debolezza dell’economia peggiorerà spiega Padoan che ha inoltre sottolineato: “Siamo in una situazione che richiama circostanze eccezionali” quindi è “lecito immaginare un rallentamento del processo di aggiustamento del saldo strutturale, che avverrà in misura positiva ma ridotta rispetto a quanto immaginato nel Def di aprile”. Perchè, ha aggiunto parlando della crescita e dell’inflazione ”Il quadro macroeconomico è molto deteriorato” (n.d.s. ha iniziato a deteriorarsi con il bocconiano) rispetto alle previsioni contenute nel Def dello scorso aprile. “A partire dal 2016 si riprenderà” l’aggiustamento strutturale dello 0,5% “che porterà nel 2017 al pareggio di bilancio”. –
– Debito/Pil 2014 131,6%,peggiora nel 2015 a 133,4%
Il ministro Padoan ha precisato che ” Il debito previsto nella nota di variazione al Def sarà al 131,6% nel 2014 poi salirà al 133,4% nel 2015″. E ha aggiunto che le privatizzazioni quest’anno saranno ”inferiori a quanto previsto (cioè lo 0,7% del Pil) ma recupereremo l’anno prossimo” e questo dipende dal deterioramento del quadro macro. –
Ah a proposito di privitazzazione e svendite varie… l’Italia è diventata terra di conquiste facili… durante le crisi gli affaristi si scatenano…
http://www.liberoquotidiano.it/news/economia/11561969/SVENDITA-ITALIA-Ecco-le-830-aziende.html
Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
20 ottobre 2014 a 02:56
🙂 Carissimo,
Non dimentico affatto le politiche (recessive) del mai maledetto abbastanza Governo Monti, che hanno fatto precipitare l’Italia prima nella stagnazione e poi nella peggiore depressione economica degli ultimi 100 anni.
Per l’eutanasico esecutivo “tecnico” di professori, banchieri, e bocconiani, non renderò mai abbastanza lode all’Uomo del Colle e all’incommentabile Bersani che, col biglietto vincente in tasca alle elezioni, l’ha reso possibile, spianando la strada ai due principali volti del populismo qualunquista: renzismo (la faccia pulita) e grillismo (il lato oscuro).
Alle politiche del Governo Monti abbiamo dedicato un’intera sezione, con riepilogo pubblicazioni, sulla barra laterale.
Certe manovre finanziarie (e mi si perdoni l’autocitazionismo), come la Legge di Stabilità del 2011 (cercare le differenze con quella attuale), ed i suoi letali effetti sul tessuto economico italiano [QUI], andrebbero ricordate ad aeternam memoriam pro damnatione nominis.
Date le proiezioni sul rapporto Debito e PIL, come il ministro Padoan pensa di raggiungere il mitologico “pareggio di bilancio” nel 2017 resta un mistero.
Il saccheggio dei beni pubblici svenduti all’asta non risolverà la situazione e segnerà la nostra fine (a quel punto, privatizzato tutto, che faremo? Venderemo anche i monumenti?), specialmente se il governo si giocherà i ben magri introiti per rilanciare i suoi bonus (tipo gli 80 euro) in campagna elettorale, invece di intensificare gli investimenti.
Ma Padoan è anche quello che prevede 800.000 assunzioni in più a partire dal gennaio 2015.
A suo tempo, Berlusconi aveva fatto di meglio, promettendo un milione di posti di lavoro, rilanciato poi ad un milione e mezzo. Sappiamo come è andata finire…
Mala tempora currunt sed peiora parantur…
Atque peiora premunt!