The Peacemaker (IV)

Anche i bimbiminkia della “Generazione Erasmus” crescono. E, una volta diventati ‘grandi’, scambiano i privilegi di censo e di casta per titoli di merito, validi per ottenere cadreghe di “prestigiosi” istituti di studio impegnati in attività di lobbying più o meno sfacciate, ed occupare le poltroncine profumatamente remunerate di qualche consiglio di amministrazione, in cui vengono improvvidamente fatti imboccare su cooptazione, per benemerenze politiche su appartenenza di partito, nell’accumulo compulsivo di cariche e stipendi.
Di solito piace loro vincere facile.
Generalmente specializzati in conferenze (chi sa, fa; chi non sa, insegna), se non possono scegliersi l’interlocutore, semplicemente ne chiedono l’allontanamento. E di solito ne ottengono la rimozione, nell’ansia di conformismo compiacente che contraggistingue ogni regime. Il registro comunicativo che prediligono è il monologo autoreferenziale, mentre pontificano dall’alto della loro torre d’avorio, spargendo perle di saggezza condensate in tweet ad uso del volgo ignorante ed ingrato di cotanta sapienza. La loro dimensione ideale è un’aula muta ed adorante, raccolta in religioso silenzio, dove troneggiare in solitaria. Sono gli emuli moderni di quei predicatori medioevali che sermoneggiavano dai pulpiti ecclesiali, minacciando le fiamme della dannazione eterna per i reprobi. E poi correvano ad anticipare il castigo divino, innalzando pire per gli eretici, una volta aperta la caccia alle streghe ed avviati i processi inquisitori.
Disprezzano il dissenso, al quale non sono abituati, in quanto cuccioli di razza padrona. Ma amano definirsi “democratici” per antonomasia, fintanto che possono utilizzare una bilancia truccata che dia loro sempre ragione.
Sono in missione per conto di Dio. E la guerra in Ucraina li ha fatti assurgere a vestali preposte alla diffusione del Verbo, su mandato del Ministero della Verità.
 Talento del tutto in-naturale, che rappresenta magnificamente la categoria, è Nathalie Tocci (chi?!?): la nuova bimba prodigio dell’Asilo Cretinetti, figlia di papà (Walter); giornalaia de La Stampa, le piace credersi “ricercatrice”, dopo che una dura gavetta tra master ed università private l’ha condotta a diventare a soli 29 anni “direttrice della ricerca per la politica estera” all’Istituto Affari internazionali (in virtù della sua indiscussa esperienza di neo-laureata) e poi, assai più concretamente, “consigliera” dell’onorevola Federica Mogherini, nella sua dimenticatissima carriera agli Esteri. Un tempo si sarebbe detto “portaborse”; oggi, in tempi estremi di anglicismi, si usa dire special adviser. E tanto è bastato per spalancare le porte di una mezza dozzina di CdA, dove l’eccellentissima professorina può esplicare le sue (in)dubbie competenze.
Arruolata d’ufficio nelle sturmtruppen trincerate nei salotti televisivi in qualità di esperta,  la “politologa”, in palese difficoltà dialettica, è una convinta che per comprendere un qualsiasi fenomeno sociale, sia necessario viverlo per esperienza diretta su approccio indotto. Per esempio, per essere titolati a parlare di crisi ucraina risulta fondamentale avere come minimo un paio di amici ucraini, magari uno pure russo per par condicio (ovviamente anti-putin, sennò non vale), ed aver soggiornato almeno una notte all’Hotel Radisson di Kiev con pensione completa a rimborso in nota spese. Altrimenti non si può mica capire la situazione. E meno che mai si è titolati a parlarne. Magari vi spiegherà anche come nel Battaglione Azov, cenacolo filosofico dove notoriamente si organizzano sessioni di lettura incentrate su Kant, non vi siano nazisti. Sorvoliamo sul classismo intrinseco da gauche al caviale, molto ‘chic’ e per niente ‘radical’, con tutta l’inadeguatezza culturale di una supponente saccentella, abituata a vivere di luce riflessa mentre si rimira l’ombelico elevato a dimensione internazionale. Perché l’impressione (certamente errata… o anche no) che se ne ricava è questa. E immaginiamo piuttosto che quando l’Eccelsa si occupava durante gli anni universitari del conflitto turco-cipriota (gli interessati ringraziano sentitamente per la risoluzione) soggiornasse stabilmente sull’isola, favellando fluentemente in turco e greco, premunendosi di avere amici ambo le parti coi quali alternare kebab e moussaka, e solo dopo discettare di politica; con uno sguardo concentrato  all’anno 2002, quando era quindicenne.
Ovviamente certi problemi o distinguo non si pongono, quando gli eventuali interlocutori sono totalmente allineati nella profusione di fedeltà atlantista in lode della NATO ed in assenza assoluta di contraddittorio. Sarà per questo che l’esigente Direttora pare non abbia nulla da eccepire sulle straordinarie capacità diplomatiche e linguistiche, che hanno determinato la nomina di un Giggino agli Esteri: il gongolino d’oro che dopo aver dichiarato guerra ai congiuntivi italiani vorrebbe ora spezzare le reni alla Russia.
Va da sé che fintanto ci si uniforma al pensiero unico dell’editorialista twittologa, sedicente ricercatrice, qualsiasi citrullo va bene per recitar messa, purché le dia ragione.
Il problema sono le voci fuori dal coro. Lì vale la regola della censura e dell’argumentum ad hominem per convenzione ad escludendum, pur di sottrarsi al confronto, in fuga dai fatti quando impegnativi da confutare, per non disturbare le (proprie) opinioni. È l’intellettuale organico, nell’Italietta dei soldatini atlantici ai tempi del Draghi che ci conduce e ci aumenta la luce. “Democratici”!

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