
Nella notte più buia della repubblica, capita che un bivacco parlamentare di voraci macchiette in svendita, per compiacere l’Utilizzatore finale, sforni una delle più devastanti leggi della storia repubblicana e che, nel sollazzo di ogni buonsenso, trasformi il processo penale in un “tana libera tutti”, rapportato al censo di chi meglio gli avvocati può pagare.
Dai manipoli agli Scilipoti, dall’impunità allo Stato d’eccezione, sembra di trovarsi nella situazione demenziale di chi ascolta l’orchestrina del Titanic aggrappato alla balaustra di poppa, mentre la nave affonda
Dopo un ventennio di cure ad personam e massicce iniezioni di rincoglionimento mediatico, finalmente l’Italia è diventata una solida Pornocrazia, fondata sul meretricio e sulla devoluzione…delle coscienze!
Il principio cogente della Nazione rifondata risiede nel ‘fottere’ ad oltranza: vero momento di identificazione collettiva di chi, essendo incapace di dare, non può far altro che vendersi, nell’illusione di avere e nella certezza di ‘prenderlo’.
È la prostituzione infatti la condizione ideale di un paese accondiscendente attorno alla miserie umane del Pornonano, proiettate ben oltre gli squallidi siparietti postribolari del bunga-bunga per il sollazzo del satrapo in calore:
Prostituzione mentale di una plebe che tutto accetta con supina indifferenza, nel servaggio compiaciuto della questua generalizzata, e intanto “sugge” (senza champagne) accovacciata ai piedi del suo Sultano ridanciano…
Prostituzione organica di un parlamento appecoronato di marchettari a contratto, di gaglioffi gorgoglioni che umiliano la ragione e la logica, in evidente assenza di dignità, perennemente in saldo e disponibili ad ogni ribasso. Senza vergogna perché totalmente privi di decenza, sono le truppe d’assalto in livrea al servizio dell’Imperatore.

È una simpatica Italietta, intimidita e vigliacca, frustrata nella sua irrilevanza internazionale, prostrata nella sua decadenza economica, abbrutita nella sua desolante insipienza culturale, e per questo continuamente in cerca di rassicurazioni. Fedele alla tradizione, non poteva che scegliere il peggio, ritrovando il suo omino della provvidenza nella variante ingrifata e miniaturizzata di una barzelletta ambulante, conforme allo spirito dei tempi, a immagine e somiglianza dei suoi devoti.
Tuttavia, come insegna il Belli nei suoi sonetti, bisognerebbe diffidare di chi sghignazza in continuazione; chi ride sempre, in fondo, non fa altro che “mostrare i denti”…
Le risate del Papa
Er Papa ride? Male, amico! E’ segno
Ch’a momenti er zu popolo ha da piagne!
Le risatine de sto bon patrigno
Pe noi fijastri so’ sempre compagne.
Ste facciacce che porteno er triregno
S’assomijeno tutte ale castagne:
belle de fora, eppoi, peddìo de legno,
muffe de dentro e piene de magagne.
Er Papa ghigna?
Ce so guai per aria:
tanto più ch’er zù ride de sti tempi
nun me pare una cosa necessaria.
Fiji mii cari, state bene attenti.
Sovrani in allegria so brutti esempi.
Chi ride cosa fa? Mostra li denti.
[G.G.Belli – 17/11/1833]
D’altronde, il Papi nazionale è il grimaldello da scasso che ha fatto saltare i tombini dalle fogne della storia: liberata da ogni inibizione o pudore residuo, una certa Italia può finalmente tirare fuori dalla naftalina la vecchia camicia nera del nonno per marcire marciando.
D’altra parte, il berlusconismo è sempre più psicologia collettiva ed identità condivisa, strutturato in movimento di massa destinato a sopravvivere alle declinanti fortune del suo logorato demiurgo. Per quanto pervasivo e forte economicamente, il potere berlusconiano infatti non potrebbe resistere tanto a lungo senza una vasta identificazione popolare, basata su di un radicato consenso, coniugata alla capacità di sollecitare l’immaginario del suo potenziale elettorato con l’afflusso costante di suggestioni condivise.
«La naturale sete di comando dei capi viene assecondata dal naturale bisogno della folla di venir guidata, nonché dalla sua indifferenza. Nelle masse vi è proprio un profondo impulso a venerare chi sta in alto. Nel loro primitivo idealismo, esse hanno bisogno di divinità terrestri, alle quali si attaccano di affetto tanto più cieco, quanto più aspramente la durezza della vita le afferra. Sovente questo bisogno di adorare è l’unico rocher de bronze che sopravviva alla metamorfosi delle loro convinzioni.»
Robert Michels
“Democrazia e legge ferrea dell’oligarchia” (1909)

E forse, volendo fornire un vestito culturale per coprire le vergogne del berlusconismo, bisognerebbe ricorrere proprio ai teorici dell’Oligarchia, passando per la teologia politica di Karl Schmitt, in una riscoperta dei classici del pensiero conservatore.
[Si tratta di autori ai quali avevamo già avuto modo di accennare in passato nelle pagine riservate ai commenti. In particolare, vi avevamo fatto riferimento in almeno tre diverse occasioni: (1) – (2) – (3).]
Soprattutto, per spiegare i meccanismi di questa sorta di fascinazione collettiva, alla base della seduzione berlusconiana e della sua potenza ammaliatrice, si potrebbero persino rispolverare gli studi di Gustave Le Bon che nella sua opera più famosa, ‘Psicologia delle folle’ (1895), analizzava i comportamenti delle folle “da un punto di vista psicologico”, cercando di individuarne caratteristiche e orientamenti comuni da catalogare scientificamente. Tramite la classificazione delle folle e la definizione delle tecniche di persuasione più efficaci, Le Bon si propone di fornire i meccanismi di controllo e finanche di disinnesco del potenziale demagogico ed eversivo del quale una massa teleguidata è naturale vettore d’infezione.
Gustave Le Bon disprezza infatti le folle organizzate (eterogenee e non anonime) nella loro suggestionabilità irrazionale e nel “semplicismo” manipolabile delle loro opinioni a fini politici (folle elettorali). Nella sua visione sostanzialmente elitaria, Le Bon diffida profondamente della democrazia in quanto coinvolgimento popolare di massa, e che intimamente aborre, vedendo in essa una regressione distruttiva ed un potenziale pericolo sociale.
Liquidato tra i pensatori reazionari, la sua opera è stata assai apprezzata dai totalitarismi di ogni colore: da Mussolini a Lenin, passando per Hitler. In particolare, Benito Mussolini ne era affascinato ed utilizzava la “Psicologia delle Folle” alla stregua di un manuale pratico per la conquista indolore del consenso, mentre le violenze squadristiche del regime trovavano invece la loro giustificazione intellettuale nella ruminazione di Georges Sorel (‘Riflessioni sulla violenza‘).

La “Psicologia delle folle”, 116 anni ben portati, contiene aspetti curiosi che a tutt’oggi conservano una loro validità più che mai attuale. È illuminante constatare come certi principi, certe disamine culturali, si ripropongano con costanza nel tempo rimanendo sostanzialmente invariate nei loro condizionamenti psicologici. È sconcertante notare come il Pornocrate (che di sicuro non ha mai letto l’opera di Le Bon) ne conosca alla perfezione i meccanismi e gli umori, gestendoli a suo personale profitto con assoluta dimestichezza.
Nel Cap.II (parte I) Gustave Le Bon si propone di analizzare “sentimenti e moralità delle folle”, che sviluppa in punti analitici. Riportiamo alcuni estratti tra i più significativi:
1. – Impulsività, mobilità e irritabilità delle folle.
La folla, alla mercé di tutti gli stimoli esterni, ne riflette le continue variazioni. Dunque é schiava degli impulsi che riceve.
2. – Suggestionabilità e credulità delle folle.
La folla pensa per immagini, e l’immagine evocata ne evoca essa stessa molte altre che non hanno nessun nesso logico con la prima. Si capisce facilmente questo stato pensando alle bizzarre successioni d’idee a cui ci porta qualche volta l’evocazione di un fatto qualsiasi. La ragione ci fa vedere l’incoerenza di simili immagini, ma la folla non la vede; e confonderà con l’avvenimento stesso tutto quello che la sua immaginazione vi aggiunge, deformandolo. Incapace di separare il soggettivo dall’obiettivo, la folla ammette come reali le immagini evocate nel suo spirito, e che, il più delle volte, non hanno nessuna parentela col fatto osservato.
[…] La qualità mentale degli individui di cui si compone la folla non smentisce questo principio. Questa qualità non ha importanza. Dal momento che sono in folla, l’ignorante e il dotto diventano egualmente incapaci di fare osservazioni.
3.° – Esagerazione e semplicismo dei sentimenti delle folle.
La semplicità e l’esagerazione dei sentimenti delle folle le preservano dal dubbio e dall’incertezza. Come le donne, esse vanno subito agli estremi. La supposizione si trasforma senz’altro in evidenza indiscutibile. Un principio di antipatia e di disapprovazione, che nell’individuo isolato rimarrebbe poco accentuato, diventa subito un odio feroce nell’individuo della folla.
[…] Nelle folle, l’imbecille, l’ignorante e l’invidioso sono liberati dal sentimento della loro nullità e impotenza, che é sostituita dalla nozione di una forza brutale, passeggera, ma immensa.
[…] Non essendo la folla impressionata che da sentimenti eccessivi, l’oratore che vuole sedurla deve abusare delle affermazioni violente. Esagerare, affermare, ripetere, e non mai tentare di nulla dimostrare con un ragionamento, sono i procedimenti di argomentazione familiari agli oratori di riunioni popolari.
4.° – Intolleranza, autoritarismo e conservatorismo delle folle.
Le folle, non conoscendo che i sentimenti semplici ed estremi, accettano e rifiutano in blocco le opinioni, le idee, le credenze che vengono suggerite loro, e le considerano come verità assolute o come errori non meno assoluti. Quante sono le credenze nate dalla suggestione, invece d’essere state generate dal ragionamento! Tutti sanno quanto siano intolleranti le credenze religiose, e che impero dispotico esercitino sulle anime. La folla, non avendo nessun dubbio su ciò che per lei é verità o errore, e avendo d’altra parte la nozione chiara della propria forza, é autoritaria quanto intollerante. L’individuo può accettare la contraddizione e la discussione, ma la folla non le ammette mai. Nelle riunioni pubbliche, la più piccola contraddizione da parte di un oratore é accolta con urli di collera e violenti invettive, seguite ben presto da vie di fatto e dall’espulsione se l’oratore insiste un poco. Se non fossero presenti gli agenti dell’autorità, il contraddittore sarebbe spesso linciato. L’autoritarismo e l’intolleranza sono caratteristiche di tutti i generi di folle, ma vi si trovano in gradi diversi, e qui ancora riappare l’importanza fondamentale della razza, dominatrice dei sentimenti e dei pensieri umani. L’autoritarismo e l’intolleranza sono più forti nelle folle latine.
[…] L’autoritarismo e l’intolleranza sono per le folle sentimenti molto chiari, che esse sostengono tanto facilmente quanto facilmente li praticano. Le folle rispettano la forza e sono mediocremente impressionate dalla bontà, che é facilmente considerata come una forma di debolezza. Le loro simpatie non sono mai state per i padroni miti, bensì per i tiranni, che le hanno dominate con energia. Ad essi vengono innalzate le statue più imponenti. Se esse volentieri calpestano il despota detronizzato, si é perché avendo questi perduto la sua forza, rientra nella categoria dei deboli che si disprezzano e non si temono. Il tipo dell’eroe caro alle folle avrà sempre la struttura di un Cesare. Il suo pennacchio le seduce, la sua autorità si impone e la sua sciabola fa loro paura. Sempre pronta a sollevarsi contro un’autorità debole, la folla si curva servilmente dinanzi a un’autorità forte.
[…] (Le folle) hanno istinti conservatori irriducibili e, come tutti i primitivi, un rispetto feticista per le tradizioni, un orrore incosciente per le novità capaci di modificare le loro condizioni reali di vita.

Sono considerazioni dalle quali possono scaturire spunti interessanti…
a) La reiterazione della menzogna politica col ricorso all’iperbole, fatta per stupire più che per convincere, studiata per solleticare l’immaginazione piuttosto che la ragione, sovrapponendosi al ragionamento logico nella sua totale sostituzione, quasi in funzione mitopoietica.
b) Il bisogno di mostrarsi “cattivi”, insieme alle esibizioni muscolari, per assicurarsi il favore di certo elettorato (soprattutto quello in camicia verde), particolarmente sensibile alle seduzioni dell’uomo forte, capace di galvanizzarne gli istinti più beceri e retrivi, nel disprezzo del “debole” (sia esso povero, diverso, immigrato).
c) La predisposizione naturale delle “folle latine” verso il cesarismo e la loro intrinseca natura reazionaria.

Né Gustave Le Bon perde occasione per ribadire l’impermeabilità delle folle al ragionamento razionale, che quanto più è complesso tanto più sfugge alla loro comprensione logica.
L’elemento predominante nella costruzione delle opinioni risiede nell’associazione di “immagini”. Se si considera che all’epoca in cui Le Bon scriveva la TV non esisteva, si può capire quale sia l’impatto del medium televisivo su una platea sostanzialmente amorfa che si attiva unicamente per etorodirezione…
– I ragionamenti delle folle –
«Si può dire in modo assoluto che le folle non sono influenzabili con ragionamenti. Ma gli argomenti che esse impiegano e quelli che agiscono su di esse appariscono, dal punto di vista logico, di un ordine talmente inferiore che solo per via di analogia si può qualificarli come ragionamenti. I ragionamenti inferiori delle folle sono, come i ragionamenti elevati, basati su associazioni: ma le idee associate delle folle non hanno tra di loro che legami apparenti di rassomiglianza e di successione. […] Gli oratori che sanno maneggiare le folle, presentano sempre loro associazioni di questo genere che sole possono influenzarle. Una serie di ragionamenti stringati, sarebbe totalmente incomprensibile alle folle, e perciò é permesso dire che esse non ragionano o fanno ragionamenti falsi, e non sono influenzabili con un ragionamento. La leggerezza di certi discorsi che hanno esercitato un’influenza enorme sugli uditori, talvolta stupisce alla lettura; ma si dimentica che essi furono fatti per trascinare delle collettività, e non per essere letti da filosofi. L’oratore, in intima comunione con la folla, sa evocare le immagini che la seducono. Se egli riesce, il suo scopo é stato raggiunto; e un volume di arringhe non vale le poche frasi che sono riuscite a sedurre gli animi che bisognava convincere. Inutile aggiungere che l’importanza delle folle a ragionare giustamente le priva di ogni spirito critico, vale a dire dell’attitudine di discernere la verità dall’errore, e a formulare un giudizio preciso. I giudizi che esse accettano non sono che quelli imposti e mai quelli discussi. Sotto questo punto di vista, numerosi sono gli individui che non si elevano sopra le folle. La facilità con la quale certe opinioni diventano generali deriva specialmente dalla impossibilità della gran parte degli uomini di formarsi un’opinione particolare basata sui propri ragionamenti.
[…] Le folle sono un po’ come un dormiente, in cui la ragione é momentaneamente annullata, e vede sorgere nel suo spirito delle immagini d’una intensità estrema, ma che si dissipano subito appena vengono a contatto con la riflessione. Le folle, essendo incapaci di riflettere e di ragionare, non conoscono l’inverosimile; ora, le cose più inverosimili sono generalmente quelle che colpiscono di più. Per questo le folle sono impressionate maggiormente da ciò che c’é di meraviglioso e di leggendario negli avvenimenti. Il meraviglioso e il leggendario sono in realtà i veri sostegni delle civiltà. Nella storia l’apparenza ha sempre avuto più importanza della realtà. L’irreale predomina sul reale.
[…] Le folle, non potendo pensare che per immagini, non si lasciano impressionare che dalle immagini. Soltanto queste ultime le spaventano o le entusiasmano e regolano i loro atti.»
“Psicologia della folla”
CAP.III – Parte I
(Idee, ragionamenti, e immaginazione delle folle)

Per questo gran parte degli italiani crede che il Pornocrate abbia costruito il suo impero economico, investendo la liquidazione paterna. E se sono disposti ad accettare che Ruby sia la nipote di Mubarak… Se sono disposti a credere che gli Scilipoti, i Razzi e munnizza varia siano un gruppo di “responsabili”… Se sono convinti che l’ultima schifezza appena sfornata da un parlamento di dipendenti Publitalia e di avvocati (la legge ammazza-processi), inerente la prescrizione breve, sia una norma fondamentale a tutela di tutti i cittadini e che ora i processi saranno più rapidi….
Allora l’Italietta delle folle plaudenti non può che vedersi confermata nel suo intrinseco ruolo di paese di merda.
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14 aprile 2011 a 03:51
Ciao Sendivogius, non avevo mai sentito parlare di Gustave Le Bon e tanto meno della sua “Psicologia delle folle”, ma ero giunto ad una conclusione – che mi par di capire – simile alla sua: “ogni individuo, preso singolarmente, ha una sua intelligenza, ma mettendo insieme un gruppo di individui, essa scompare, lasciando il posto all’ignoranza”.
Non ho mai amato la folla, anzi, proprio per la sua palese ignoranza, l’ho sempre temuta e tenuta a distanza.
Non sono mai riuscito ad aggregarmi a nessun gruppo, né religioso (ho amici e conoscenti, di varie confessioni, ebrei, mussulmani, cattolici, avventisti, protestanti, testimoni di Geova, ed ho provato a comprendere la loro fede, ma alla fine ciò che mi si palesava, erano sempre e solo gli egoismi dell’uomo, il suo narcisismo…) né sportivo (ho praticato il biliardo all’italiana, facendo campionati nazionali, gare internazionali, ed ero membro di comitato del club dove ero tesserato, ma alla fine, mi hanno fatto passare anche la voglia di giocare a biliardo…), né di altra natura (ho svolto volontariato in due contesti differenti: sei anni, in una casa famiglia, con utenti tetraparaplegici, mielolesi, affetti da sclerosi e cinque anni presso la Clinica psichiatrica cantonale, con utenti affetti da schizzofrenia, da isteria, depressi, alcolisti, tossicodipendenti. In entrambi i casi, sempre la stessa storia…), proprio perché all’interno di ogni gruppo, prevalgono sempre questi meccanismi, che non riesco ad accettare; in fondo la frase che metto in ogni mio profilo “Sono troppo fuori per quelli dentro e troppo dentro per quelli fuori… il che, mi fa pensare di essere sulla strada giusta…”, sta ad indicare proprio questa mia incapacità di uniformarmi acriticamente.
Ero, sono e sarò, sempre ed unicamente un individuo, nonostante questa scelta, comporti un prezzo – a volte eccessivo – da pagare, in termini di emarginazione, di incomprensione e di solitudine… (leggendo i tuoi post, mi sento meno solo e un po’ meno “anomalo”).
Ciao…
14 aprile 2011 a 16:22
Penso che siamo di fronte a un gruppo di masnadieri che è riuscito a trovare il modo di smantellare una nazione a suo proprio vantaggio e tornaconto, incurante delle ripercussioni sociali, culturali, etiche, strutturali, legali, ecc. che ci sono e ci saranno.
Sono stati abili ad abbindolare le masse? Hanno avuto l’intuizione della psicologia delle folle, anche senza bisogno di studiarla? Può darsi, ma personalmente vedo solo la colonizzazione criminale dello Stato, la legittimazione dell’illegalità, del privilegio, dell’abuso.
Si è lasciato che il piccolo verme (Lega e berlusconismo) mangiasse tutta la mela: si è sottovalutata la loro forza e capacità di penetrazione, quando per impedirlo sarebbero bastate una legge sul conflitto di interessi e una decisione sull’ineleggibilità di un tale che è concessionario dello Stato.
Vero, le folle sono manipolabili, e tutto quel che dice Le Bon… ma di certo la progressiva erosione della capacità di pensiero critico individuale non aiuta ad andare oltre questo scenario, anzi prospetta un futuro sempre più preoccupante.
14 aprile 2011 a 16:41
Il problema secondo me è che alcuni “cittadini”, fedeli adoranti del berluscone, sono perfettamente consapevoli che ruby non è la nipote di mubarak (tanto per fare un esempio), ma giustificano le azioni del monarca per raggiungere il fine di votarlo ancora alle elezioni, lui o un suo seguace (anche perché prima o poi). In poche parole: sono diventati schiavi fedeli senza cervello, che annuiscono solo il capo e che davanti alla merda, se costretti dal capo, la mangiano e dicono che è buona.
14 aprile 2011 a 17:31
@Mario
L’universo delle interazioni sociali è un microcosmo vasto e complesso, che rifluisce nelle infinite forme relazionali alla base della sociologia dei gruppi.
Personalmente tendo a distinguere nettamente tra “gruppo” (che concepisco unicamente come relazioni orizzontali tra ‘pari’) e “folla” in quanto aggregato amorfo in costante stato di sovreccitazione.
Dalle “folle”, con i loro imperativi categorici massificati, con la loro costante involuzione al ribasso e l’inclinazione alle suggestioni demagogiche dell’imagocrazia, sono sostanzialmente immunizzato. Se posso scegliere, me ne tengo alla larga (lo ammetto! Alla lunga mi disgustano); se mi ci trovo in mezzo, il distacco e lo scetticismo mi preservano da ogni coinvolgimento di massa.
Al coinvolgimento nei “gruppi” invece non mi posso sottrarre, e non sempre posso scegliere la compagnia. Nella fattispecie, è una questione di opportunismo pratico: le interazioni non sono mai casuali ma rispondono a meccanismi collaudati, basati su un sistema stereotipato di scambi e aspettative, che variano a seconda delle regole del gruppo di riferimento.
Sostanzialmente costituiscono scenari, nei quali siamo chiamati a recitare un copione già predisposto. L’importante è scegliere la parte e la maschera a noi più congeniale, senza farci imporre e condizionare nella definizione del ruolo da impersonare.
In sociologia, si chiama “Interazionismo simbolico” e nella variante di Goffman ripartisce le azioni individuali su più livelli strutturati in ‘frames’.
In teatro, il pensiero va a Shakespeare:
“Nascondi chi sono, e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni”
(Macbeth: atto III, scena II)
L’importante, dietro la maschera, è non dimenticare mai il vero aspetto del proprio volto e ciò che realmente si è.
@ Midhriel
Ancora una volta, mi trovo a sottoscrivere ogni tua singola parola in perfetta sintonia col tuo pensiero.
Tuttavia, nel mio pessimismo cosmico, non sono ‘preoccupato’…
Come avrai certamente notato, per una sorta di personale “perversione” intellettuale, le mie letture indugiano spesso e volentieri sulla letteratura politica a cavallo tra la fine del XIX sec. e di inizio ‘900.
Come già detto in passato, la sensazione predominante è un urticante déjà vu, nella riproposizione perversa del peggio, in forme riadattate ai tempi, per un eterno ritorno al sempre uguale.
Il presente dell’Italia risiede in un passato sempre attuale e mai superato, nel quale si specchia il futuro. Qui non cambia nulla se non in peggio.
La globalizzazione, l’internazionalizzazione, il superamento dei vecchi Stati-Nazione con la ridefinizione del concetto stesso di “frontiera”, ha tirato fuori il peggio in assoluto dagli italiani: un popolo nato vecchio, in una nazione di vecchi e per vecchi. Non parlo di età o appartenenza anagrafica, mi riferisco alla senescenza decrepita delle idee e delle idealità, delle aspirazioni e delle progettualità. Sinceramente, non vedo grandi prospettive né vasti orizzonti per il futuro, ma solo un cupio dissolvi nell’attesa del trapasso. Speriamo che avvenga in fretta e che l’orgia nichilista sia foriera di una nuova forza creatrice.
@ Dicksick
La coprofilia è una perversione patologica piuttosto grave; quindi ha i suoi convinti estimatori che la praticano con gusto.
Del resto, da gente di merda non ci si potrebbe aspettare nient’altro di diverso: per chi ha fatto della più gretta convenienza personale, una religione familiare, il cannibalismo è l’ultimo atto di una regressione inarrestabile.
Gli italiani (una larga fetta) in questo sono maestri..!
15 aprile 2011 a 10:47
I tuoi articoli sono di un fascino supremo..grazie, intanto.
Anch’io sono sconcertata, indignata e preoccupatissima..e, la soluzione non mi appare ne chiara ne vicina.
La classe politica ha raggiunto un livello massimo di “assenza della vergogna” attraverso la quale è autorizzata a fare ciò che vuole..perchè negli italiani o nelle folle, di contra, c’è un’accettazione, un’assoluzione massima della colpa e della vergogna. Si è come anestetizzati.. c’è stato un crescendo che via via ha reso i molti incapaci di sentire…come chi avendo un altissimo livello di sopportazione del dolore non avverte sintomi di una malattia e ne muore.
Che fare? C’è una soluzione?
Chi “sente” il dolore troverà un farmaco per curarsi o deve tenerselo impazzendone?
Ciao
Vera
15 aprile 2011 a 17:36
Carissima Vera,
Intanto sono io che devo ringraziarti per la considerazione ed i complimenti con i quali hai voluto onorare le mie modeste riflessioni.
In merito alle tue considerazioni, cosa posso aggiungere?!?
La società italiana (a civismo variabile su base regionale), essendo in massima parte una società frazionata a livello locale, fondata sui piccoli centri di provincia piuttosto che su grandi aggregati metropolitani, è una società che ha mantenuto forti le sue origini contadine e rurali, traendone una propria matrice ideologica. Perciò, nel suo profondo, resta una società sostanzialmente chiusa, referenziale nelle sue limitate interazioni claniche e familiari, apparentemente ospitale ma intimamente diffidente nei confronti dei “forestieri”, in quanto estranei alla cerchia consolidata dei rapporti domestici ed agli equilibri interni al ‘villaggio’. E come tutte le società contadine ha mantenuto un’anima conservatrice che per istinto diffida dei mutamenti.
Dunque, parliamo di una società sostanzialmente impreparata alle gigantesche sfide della globalizzazione ed agli sconquassi socio-economici che questa ha comportato. Ancora più impreparata era una pseudo-classe dirigente di mediocri semi-analfabeti e parassiti politici di rara incompetenza, chiusi nel loro teatrino, e fermi alle lotte tra guelfi e ghibellini.
Sbandamento, sconcerto, paura sono stati i sentimenti predominanti. E sulla manipolazione della Paura ha fatto leva una classe politica priva di argomenti e di competenze per garantirsi una sopravvivenza elettorale, senza null’altro da proporre se non la coesione attorno agli interessi assoluti del Capo, a sua volta garante di immobilismo sociale inteso come rassicurazione di immutabilità.
Io credo che questo popolino intimidito (e assai mediocre), più che una soglia di “sopportazione al dolore”, abbia sviluppato una sorta di capacità gestionale della paura, anestetizzando le coscienze tramite una chiusura progressiva che rasenta una forma di autismo sociale. E come certi inutili cagnetti da salotto: ringhia nell’illusione di sembrare cattivo, salvo cercare la protezione del padrone al minimo accenno di reazione.
Poi certo a questi meccanismi mentali va aggiunto il substrato fascista largamente presente (e congenito) nell’italiano medio; l’arroganza dei bifolchi arricchiti e l’esibizione del soldo (della “roba”) come rivalsa sociale e status fittizio di potere, a fronte del bassissimo livello intellettuale. E quindi la totale assenza di strumenti culturali, l’insofferenza ai ragionamenti complessi della critica, la tendenza a ragionare per stereotipi e archetipi, mutuati dalla consuetudine e dal conformismo, di più facile e immediata applicazione. Da qui l’estraneità sostanziale ed il disprezzo per la Cultura, in quanto non monetarizzabile, di difficile accezione pratica perché collegata al pensiero astratto.
D’altra parte l’italiano medio ha un bisogno viscerale di uniformarsi alla massa nelle idee e nei comportamenti: il suo narcisismo, ricerca l’approvazione e gode del consenso, e teme invece lo scandalo che può suscitare con comportamenti anti-conformisti. Comportamenti non convenzionali, che potrebbero esporlo alla riprovazione del pubblico al quale vuole invece assolutamente piacere.
Da questo punto di vista, esclusi dalle luci artificiali della ribalta, per molti la “folla” è l’unico vero momento condiviso di vita pubblica e di coinvolgimento sociale collettivo, costituendo un alibi di massa per l’esibizione degli istinti peggiori.
Sensazioni come ‘dolore’..‘sopportazione’…‘malessere’ sono prerogative dei singoli, in quanto minoranza consapevole (e impotente) afflitta da troppo senso civico in un “eccesso” di spirito critico. La maggioranza sopravvive benissimo nel suo autismo compiaciuto e nell’assoluzione dei propri vizi elevati a virtù.
17 aprile 2011 a 19:49
“Poi certo a questi meccanismi mentali va aggiunto il substrato fascista largamente presente (e congenito) nell’italiano medio; l’arroganza dei bifolchi arricchiti e l’esibizione del soldo (della “roba”) come rivalsa sociale e status fittizio di potere, a fronte del bassissimo livello intellettuale. E quindi la totale assenza di strumenti culturali, l’insofferenza ai ragionamenti complessi della critica, la tendenza a ragionare per stereotipi e archetipi, mutuati dalla consuetudine e dal conformismo, di più facile e immediata applicazione.”
Purtroppo a questo tuo identikit calzano perfettamente molte mie conoscenze, e alcune amicizie. Nonostante abbia più volte cercato di far comprendere a queste persone quanto illogici e antidemocratici siano i discorsi del ducetto di Arcore, non c’è stato mai niente da fare. Fissi, immobili, congelati nelle loro convinzioni, sembrano non riconoscere altro Verbo se non quello del Gran Capo. Dunque l’appartenenza alla folla di adoranti seguaci è talmente forte che la sua influenza sulle menti dura anche se li si isola? almeno questo è quello che ho sperimentato. E proprio per questo, dopo vari tentativi ho rinunciato a farli rinsavire. Ho fatto male?
ps: dimenticavo, complimenti come sempre un post interessantissimo! 🙂
18 aprile 2011 a 12:18
Be’.. innanzitutto grazie per i complimenti..:)
In merito alle tue domande.. le risposte sono sempre soggettive e le soluzioni aleatorie…
Che posso dire? Personalmente mi attengo scrupolosamente all’aforisma di Mark Twain (o almeno credo sia il suo): “Non partecipare mai al contraddittorio con un idiota; il pubblico potrebbe non capire la differenza“.
D’altra parte, l’impresa è snervante e nel breve periodo sarebbe tutta fatica sprecata. Soprattutto, è inapplicabile su scala di massa.
La maggior parte delle persone ama parlarsi addosso, innamorata del suono della propria voce, nella riconferma delle proprie certezze. E’ per loro un po’ come una sorta di training autogeno.
Ma se proprio vuoi persistere, piuttosto efficaci sono le tecniche della maieutica socratica: lascia parlare a ruota libera l’interlocutore, fingi di assecondarlo e poni interrogativi (almeno in apparenza) di ingenua semplicità, calcando però sulle contraddizioni insite nel “ragionamento”, così da rendere lampanti le discrepanze e portando l’improvvisato affabulatore ad incartarsi da solo nell’evidenza della sue incongruenze
Però la cosa richiede concentrazione, pazienza, e fatica: operazione stressante che alla lunga stanca..:)
Ad ogni modo, l’ironia è sempre efficace a patto di saper dosare con arte le impennate sarcastiche.
Una piccola postilla: chi ama i ducetti improvvisati generalmente è indotto a riconoscere un ordine gerarchico (in realtà più formale che sostanziale) e di solito dimostra una certa ‘recettività’ agli atteggiamenti ruvidi, il ricorso a frasi nette e taglienti, i decisionismi d’imperio, con un approccio molto deciso e di tipo, diciamo, “autoritario”… Specialmente se si ha il phisique du role, col ricorso ad un simile comportamento, è incredibile constatare quali risultati di persuasione e di apprezzamento si riescano ad ottenere dinanzi a certe platee. Io stesso ho potuto sperimentare in più occasioni la sconcertante validità del metodo, interpretando il fastidiosissimo (per me) ruolo di “Alphadog”.
Una situazione assai imbarazzante..:)
18 aprile 2011 a 18:47
Purtroppo non ho il fisico! ahahah Se non sarebbe stato interessante provare 😀
Ho già provato diverse volte con la maieutica, ma o sbaglio io che ho poca pazienza e mi stanco subito di ascoltare sciocchezze che anche un bimbo in fasce riconoscerebbe come tali, oppure non c’è proprio speranza!
Mi sa che do ascolto al vecchio Twain! 😉
15 aprile 2011 a 18:12
Allora non c’è speranza…………………?………………………….!
dimmi quale segno di interpunzione è più adatto.
15 aprile 2011 a 18:20
Non mi permetterei mai! Non sono mica una maestrina con la bacchetta..:)
15 aprile 2011 a 18:44
Allora uso il punto ?.. Voglio crederci, è giusto crederci, malgrado le certezze che volgono a sfavore, che esistano possibilità. Non c’è nulla di più paralizzante delle certezze, specie se in negativo, non c’è nulla di più costrittivo della loro prigione. Zavorre alle ali, catene ai passi, blocchi di cemento ai pensieri, nebbie agli occhi, ghiaccio sul cuore…ecco cosa sono spesso le certezze…
16 aprile 2011 a 01:02
La miglior certezza consiste nel non averne affatto.
Nella sana coltivazione del dubbio, risiedono milioni di opzioni possibili. E in ogni possibilità può celarsi un’opportunità.
31 dicembre 2011 a 01:35
Ho piacevolmente letto e fatta mia un’analisi politica degna del miglior Travaglio ( con e senza l’iniziale maiuscola). Un articolo comparso … magicamente, dietro alcuni commenti sul cinema cinese che stavo leggendo. Misteri del web! Un affondo contro le infime “pornocchierie” che appestano la nostra società ad ogni livello, e non mi riferisco solo ai riti bacchici, ma anche alle liturgie parlamentari, molto ma MOLTO più volgari! Del resto,
“Questi lieti satiretti , delle ninfe innamorati,
… alla Ruby e alla Minetti hanno posto cento agguati”, solo che, purtroppo, di … Magnifico in questa situazione non vedo alcunché.
Solo un grande squallore!
31 dicembre 2011 a 13:58
Simili complimenti giungono ancor più graditi, tanto sono inaspettati. Grazie!
Ci sembra d’uopo chiudere in “bellezza”, con citazione d’Autore da L’Asino:
Su ministri, segretari,
su tornate in fitta banda
che nessuno vi domanda
la fedina criminal!
[…]
L’adorato capitale
venga ognor tra queste braccia:
No; d’inchieste la minaccia
più nessun deve temer!
Se divisi siam canaglia
figurarsi in compagnia:
Si prepara l’allegria
di un eterno carneval!
Ogni cosa è in mano nostra:
noi disfar, rubar possiamo:
La consegna sia: mangiamo!
Troppo triste è il digiunar!
Il riscatto del succhione
oggi alfin s’inizierà,
ed il popolo zuccone,
sempre buono, pagherà.
“L’Inno dei Divoratori” (1902)
Giulio Podrecca
5 aprile 2016 a 20:12
il mese e anno di riferimento di quest’ “inno dei divoratori” è possibile averli?
5 aprile 2016 a 23:40
L’anno dovrebbe essere il 1902, stando alle poche fonti disponibili, ma non ci giurerei troppo. Il mese chiedi troppo.