Piombo Fuso su Gaza

 

“L’inaccettabile equazione”

 

01 Paragonare Israele al Nazismo è un atto assurdo e non tollerabile.

Non è soltanto un ossimoro scaturito da grande confusione ideologica, si tratta invece di un’infame provocazione che va respinta con forza!

Israele è un faro di libertà, che con la sua luce di civiltà illumina l’oscuro medioriente. Suo malgrado, è anche una nazione in guerra e come tale va sostenuta.

 

§   Combattendo per la vittoria, il soldato osserverà le regole della guerra cavalleresca, le crudeltà e le distruzioni insensate sono indegne di lui.

§   Il nemico che si è arreso, anche se ribelle o spia, non deve essere ucciso. Sarà debitamente punito dai tribunali.

§   I prigionieri di guerra non devono essere maltrattati o offesi. I loro oggetti personali non devono essere toccati.

§   Sono proibite le pallottole esplosive.

§   Le istituzioni della Croce Rossa sono sacrosante. I nemici feriti devono essere trattati umanamente. Il personale medico non può essere ostacolato nel compimento dell’attività medica.

§   La popolazione civile è sacrosanta. Al soldato non è permessa la rapina e la distruzione ingiustificata. Devono essere particolarmente rispettate le zone di valore storico o le costruzioni adibite ad uso religioso, artistico, scientifico, o di carità. La consegna di materiali o servizi forniti dalla popolazione può essere richiesta solo dietro ordine dei superiori e solo dietro compenso.

 

Quanto riportato è parte del ‘decalogo’, stampigliato sul libretto di paga, al quale si doveva attenere il buon soldato tedesco durante la II° Guerra Mondiale. A dimostrazione di quanta ipocrita discrepanza, quale solco incolmabile, ci possa essere tra ciò che ufficialmente si sostiene e quello che, di fatto, si mette in pratica.

Decisamente, Tsahal non è la Wehrmacht.

Per coloro che si ostinano a raffrontare la rivolta del Ghetto di Varsavia con l’Intifada palestinese, sforzandosi di cercare pretestuose analogie, in una assurda sovrapposizione di vittima e carnefice, citiamo un articolo esplicativo che finalmente fa chiarezza sulla questione. Si tratta di un editoriale, a firma di Norman G. Finkelstein, pubblicato sulla testata israeliana Ha’aretz nel lontano 2002:

Per reprimere la resistenza palestinese, un ufficiale israeliano di alto rango ha sollecitato l’esercito ‘ad analizzare e a far proprie le lezioni su come l’esercito tedesco combatté nel Ghetto di Varsavia’. A giudicare dal recente massacro dell’esercito di Israele nella Cisgiordania – ha colpito le ambulanze e i medici palestinesi, ha ucciso dei bambini palestinesi “per sport” (scritto da Chris Hedges, New York Times, ex capo della redazione al Cairo), ha rastrellato, ammanettato e incappucciato tutti gli uomini palestinesi dai 14 ai 45 anni, cui sono stati stampati i numeri di riconoscimento sulle braccia, ha torturato indiscriminatamente, ha negato l’acqua, l’elettricità, il cibo e l’assistenza medica ai civili palestinesi, ha usato dei palestinesi come scudi umani e ha abbattuto le loro case con gli abitanti ancora all’interno – sembra che l’esercito di Israele abbia seguito i suggerimenti di quell’ufficiale. Ma se gli israeliani non vogliono essere accusati di essere come i nazisti, devono semplicemente smettere di comportarsi da nazisti.

Norman G. Finkelstein, “Prima la carota, poi il bastone: dietro la strage in Palestina”

(Titolo orginale: First the Carrot, Then the Stick: behind the carnage in Palestine)

 

Pertanto non si può comparare Israele, un moderno Stato di diritto, con chi bombarda scuole, ospedali, luoghi di culto, e centri di raccolta profughi.

Non si può identificare Israele con chi non rispetta le tregue (da lui stesso concesse), cannoneggiando i convogli di viveri.

Non si può paragonare Israele con chi mitraglia ambulanze e soccorritori; con chi spara su giornalisti e gente in fuga.

Non si può accostare Israele con chi effettua rastrellamenti di massa sulla popolazione civile, ne saccheggia le abitazioni, distruggendo case e beni.

Non si può equiparare Israele con chi fa ammassare gli sfollati in edifici che poi, per errore, vengono sistematicamente martellati dall’artiglieria.

Ieri il bombardamento delle città con Schegge Incendiarie e Bombe H. Oggi con Cluster bombs, Fosforo Bianco e le DIME. Come allora, l’utilizzo degli ultimi ritrovati della più micidiale tecnologia bellica pone, a pieno titolo, lo Stato israeliano nel novero delle ‘Grandi Democrazie’.

 

LE MODALITA’ DELLA GUERRA

 

I palestinesi devono essere colpiti, e provare molto dolore. Dobbiamo infliggergli delle perdite, delle vittime, così che paghino un prezzo pesante.”

(Ariel Sharon, ex primo ministro, durante una conferenza stampa del 5 marzo 2002)

 

La saggezza e la comprovata ponderatezza delle parole di Sharon sono una eloquente risposta a chi sostiene che l’Operazione Piombo Fuso in corso su Gaza sia addirittura una “spedizione punitiva”, piuttosto che ‘un raffinato intervento militare dalla chirurgica precisione’, ponderato nella misura dell’attacco e dai collateral damages contenuti.

m109

Alla circoscrizione millimetrica degli obiettivi ed alla loro distruzione controllata, in contesti urbani densamente popolati, si addice certamente l’impiego degli obici pesanti d’artiglieria campale semovente: i devastanti, quanto imprecisi, M 109.

Inoltre, come si può dubitare dell’esattezza balistica dei missili sparati dalle cannoniere e dalle motosiluranti che incrociano al largo delle coste di Gaza.

 abram-merkava

I carri Merkava, la versione economica del possente M1 A1 Abram, sono funzionali all’accesso ed agli spostamenti in città.

Ottimi quando si tratta di spianare a cannonate intere palazzine.

 apache

Per centrare ambulanze e auto in corsa lungo le tortuose vie cittadine, invece ci vuole qualcosa di più versatile e flessibile: per esempio, gli elicotteri d’attacco Apache.

predator1 Per i gusti più raffinati la ditta offre i sofisticati Predator: droni armati di tutto punto, a guida satellitare.

 f-18-hornet

Mentre alle operazioni su vasta scala provvedono gli F 18 Hornet con bombardamenti rapidi e continui.

 

Sono tutte dotazioni militari che costano svariati milioni di dollari, dagli altissimi consumi energetici, che popolano gli arsenali di Tsahal su gentile concessione dello USArmy.

Questo per ribadire che le ‘Guerre di Israele’ sono possibili unicamente grazie alle forniture, ai finanziamenti, alla copertura dei costi, e all’appoggio politico incondizionato della superpotenza statunitense. In condizioni contrarie, qualsiasi altro Stato sarebbe al tracollo finanziario ed economico. Non lo scriviamo per anti-americanismo o peggio, ma per rassicurare le cassandre che paventano la “scomparsa di Israele” ed il suo presunto “isolamento mondiale”.

La vulgata corrente vuole che la misurata azione di autodifesa messa in atto dal governo di Tel Aviv sia l’inevitabile risposta al continuo lancio degli artigianali razzi Qassam contro il territorio israeliano da parte di Hamas: l’organizzazione, naturaliter ‘terrorista’, rea di non aver rinnovato la ‘tregua d’armi’ e di non voler riconoscere lo Stato di Israele. Da sottolineare le incredibili concessioni, la pace, e la prosperità di cui godono invece i territori della Cisgiordania. Senza per questo tacere di tutte quelle garanzie formali ed i riconoscimenti ottenuti da Al Fatah e dall’OLP, da quando Israele ha deciso che loro ‘terroristi’ non lo sono più. Il nemico si modella a seconda delle circostanze e le necessità politiche del momento; è l’applicazione pratica della Teologia politica di Carl Schmitt:

“Il nemico non è il concorrente o l’avversario in discussione, ma è l’altro in senso esistenziale con il quale è possibile il caso estremo di un conflitto, che non può essere risolto da un sistema di norme prestabilito […] nella sua irriducibile alterità.”

(Francesco Fusillo)

 

Il manuale di intervento è semplice e risponde ad una procedura standard:

 

1.     Stabilito un perimetro di intervento, si cintura la zona di operazione sterilizzando ogni possibile infiltrazione nemica.

Quando però il settore strategico coincide con l’intera striscia di Gaza, in tutta la sua estensione territoriale, di fatto si impedisce l’allontanamento di tutta la popolazione non combattente che si ritrova imprigionata, suo malgrado, nel teatro operativo e senza alcuna reale via di fuga.

2.     Onde limitare le perdite tra la popolazione civile ed isolare i miliziani ostili (leggi: ‘Terroristi di Hamas’), si intima agli abitanti di abbandonare le proprie case e di evacuare i quartieri oggetto delle operazioni di guerra.

In riferimento al precedente ragionamento, essendo gli abitanti chiusi in un recinto, non possono che scappare in circolo, sballotati da un quadrante all’altro, senza un vero piano di evacuazione. Usando una metafora cattiva, è come tirare mortaretti dentro un pollaio dopo aver bloccato le uscite: le galline possono scansarsi terrorizzate, ma non possono fuggire.

3.     Chi non abbandona il territorio come da avvertimento, perché non vuole o perché non può, è un terrorista o un fiancheggiatore dei terroristi.

Ciò autorizza l’esercito a interventi duri, con scarso riguardo per la popolazione, rastrellamenti, perquisizioni, arresti indiscriminati, uccisioni ingiustificate.

4.     Hamas non indossa divise.

Quindi ogni palestinese, in movimento o radunato in gruppo, è un sospetto terrorista. E ciò intensifica l’arbitrarietà degli interventi, con le possibilità di errore.

5.     Non esistono “zone franche”.

Colpire di tanto in tanto, obiettivi umanitari, tipo le strutture dell’ONU, come monito e avvertimento. Ribadire la propria totale libertà di azione e la non vincolabilità delle disposizioni internazionali.

6.     Colpire i ‘terroristi’ ovunque e comunque.

Quindi la metà e passa degli abitanti di Gaza City che ha votato Hamas in regolari elezioni, nonché tutti coloro che a vario titolo hanno a che fare con esponenti di Hamas: amici, parenti, vicini di casa, simpatizzanti… Distruggere Hamas in blocco. Chi ha a che fare con Hamas va colpito (e ucciso) senza eccezioni, a prescindere dal suo ruolo nel movimento: funzionari pubblici, impiegati e tecnici, che lavorano negli uffici, nei ministeri, negli ambulatori e nelle scuole del movimento, nella radio e nella TV locale… Ma anche netturbini, pompieri, polizia locale, ausiliari del traffico. A Rafah è stata bombardata la sala dove si discuteva una ‘conciliazione amichevole’ per un incidente stradale. A Gaza City, il primo giorno di guerra l’aviazione israeliana ha fatto saltare la caserma principale durante un’esibizione della banda musicale del corpo: 40 morti tra agenti di polizia e loro familiari.

Questa non è una guerra, ma la punizione collettiva di un popolo.

Tuttavia, ciò implica un pericoloso paradosso: a parti rovesciate, ogni cittadino israeliano diventa un obiettivo militare legittimo, in quanto obbligato a due anni di servizio di leva, in quanto “riservista” dell’esercito… In un’allucinante spirale di sterminio, che Israele fomenta con le sue stesse azioni. O davvero si crede che l’ulcerosa questione palestinese possa essere risolta unicamente con operazioni di interdizione e di intimidazione, per non dire esse stesse terroristiche?  

 

I TEMPI DELLA GUERRA

 

Certo è che l’operazione chirurgica, in corso ormai da 20 giorni, era stata in realtà pianificata con largo anticipo, giacché un simile dispiegamento di forze non si improvvisa, e con una attenta programmazione dei tempi di attuazione:

        Le elezioni incombono e Kadima, il partito di governo, dopo l’inconcludente guerra contro Hezbollah in Libano, ha bisogno di mettere nel carniere una qualche vittoria militare, da capitalizzare con un elettorato fortemente deluso dalle scarse prestazioni e dai troppi scandali politici.

        Cominciare l’offensiva durante il periodo natalizio, durante la chiusura dei Parlamenti nazionali e di quello europeo. Ciò permette di guadagnare tempo prezioso, consolidando le posizioni sul terreno diplomatico e disinnescando le eventuali opposizioni (che non ci sono state) in ambito politico.

        A Natale e Capodanno non si parla di conflitti. La scarsa copertura mediatica dell’evento rende più facile la manipolazione della notizia ed il conseguente indirizzamento dell’opinione pubblica (o almeno di ciò che ne resta).

        Approfittare del passaggio di consegne tra G. W. Bush e Barak Obama. Gli USA sono un prezioso alleato e amici tradizionali; i titolari dell’unico diritto (imperiale) che Israele rispetti. Specie alla scadenza del proprio mandato, l’amministrazione Bush non si impegnerà certo in iniziative di rilievo per fermare il conflitto, né eserciterà pressioni atte a limitarne i danni. In compenso, si pone il nuovo presidente, l’abbronzato Obama, a fatto compiuto. Ciò conferisce un notevole margine di autonomia al governo di Tel Aviv, almeno fino all’insediamento di Barack alla Casa Bianca. Questo vuol dire che Tsahal ha tempo fino al 20 Gennaio per intensificare le sue operazioni di guerra, prima di addivenire ad una nuova tregua.

Perché in Medio Oriente nulla avviene che l’America non voglia.

 

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