E se pure La Stampa, avanguardia delle truppe cammellate scatenate a supporto delle magnifiche sorti progressive della NATO e della “civiltà occidentale”, per l’avanzata atlantista nell’occupazione dello spazio post-sovetico in vista della prossima campagna d’Oriente, inizia a muovere qualche timidissimo dubbio (pur con molte riserve e reticenze), dopo tre mesi di guerra asimmetrica per procura, sui guasti irreversibili della comunicazione emozionale, scoprendo finalmente il grande bluff dello Zela di guerra e propaganda, un nano da palestra travestito da oliva del Martini che recita Churchill a soggetto, allora vuol dire che anche nelle stanzette colorate dei bottoni comuncia ad arrivare l’odore dell’imminente tempesta di merda che monta nell’aria e ci attende in Autunno…
E questo nonostante il desiderio ormai evidente che pervade i grandi quotidiani del conformismo unificato, nel voler tornare ad occuparsi delle rassicuranti miserie di casa nostra.
“Zelensky vince la guerra delle emozioni, ma per l’Occidente è un boomerang. Così il leader ucraino ha trasformato un conflitto locale in un confronto allargato tra Nato e Russia.”
«Dove sta la genialità dell’omaggiatissimo Zelensky? Che cosa ci ha stregato tanto da affidargli una delega in bianco: decida lui quale deve essere la pace che lo accontenta? È forse un condottiero impavido? Un politico implacabile? Un democratico senza macchia e senza paura? Niente affatto. Il suo colpo di genio è nell’aver compreso che nel ventunesimo secolo i popoli, e i loro leader a rimorchio, seguono più le passioni che gli interessi.
Insomma: se contassero davvero gli interessi l’Occidente, e soprattutto l’Europa, dovrebbe a tutti i costi cercare, anche in questo caso come ha fatto per venti anni, di avere eccellenti rapporti con Putin. Perché ne derivano evidenti e immediati vantaggi, ad esempio sul piano dei vitali rifornimenti energetici, e soprattutto dell’evitare una nuova guerra fredda senza assicurazioni sufficienti contro irrimediabili sviluppi atomici. Ma ci sono le passioni, fattore non preventivamente valutabile negli schemi e su cui si può agire più efficacemente e facilmente che con i dati economici, militari o delle alleanze. Attenzione a non confondere: le passioni nulla hanno a che fare con l’etica, tanto è vero che vengono eccitate, create, indirizzate. E questo riesce benissimo soprattutto ad arruffapopoli e dittatori.
Passioni: la parola è usurata tanto che resta aperto il problema se il disordine attuale del mondo, di cui la guerra in Ucraina è un capitolo, sia la conseguenza di questo scatenamento emotivo o sia proprio il caos ad aver incendiato le emozioni collettive. Insomma: qual è la gerarchia e l’equilibrio tra lo sfondo politico e la crescita furente delle passioni?
Zelensky ha intelligentemente riflettuto che durante le crisi sembra che il tempo cambi aspetto, la durata non è più percepita come nel normale stato delle cose.
Invece di misurare la permanenza essa misura le variazioni. Operano nuove “cause” che turbano l’equilibrio che esisteva prima. Qualcosa che assomiglia molto alla magia del meccanismo teatrale. E lui, in fondo, non è un attore?
Ha colto il fatto che soprattutto nei Paesi democratici è proprio la debolezza delle ideologie e delle istituzioni a ridar forza alle passioni. Bisogna dunque approfittare, soprattutto nei rapporti con alcuni Paesi da cui dipende la sopravvivenza dell’Ucraina sottoposta all’urto dell’invasore russo, della usura delle dottrine occidentali. Il moltiplicarsi confuso degli obiettivi talora porta all’immobilismo che sarebbe letale per Kiev. Ma talvolta, se ben indirizzato, determina le fughe in avanti. E proprio questo lo ha reso in questi quattro mesi di guerra padrone della situazione.
È accaduto che una guerricciola locale per una ammuffita provincia dell’Ucraina è diventata addirittura un confronto per procura di enorme pericolosità tra la Nato e la Russia. Di più: una guerra mondiale in cui (per ora) ci si batte con furore sui terreni della economia, dell’energia e del cibo coinvolgendo ormai milioni e milioni di uomini.
Come è successo? Si badi contro la volontà stessa di molti di coloro, come gli europei, che non avrebbero mai accettato alcuni mesi fa di compiere un percorso così duro e pericoloso se avessero seguito le orme della prudenza e dell’interesse. Che spingevano semmai sulla via del ridurre lo scontro alla dimensione locale, gettando acqua sulla sanguinaria provocazione putiniana.
La colpa, o il merito, è di Zelensky che imponendo la sua immagine e il suo talento di comunicatore ossessivo, martellante, onnipresente ha creato una guerra, non soltanto di cannoni e mosse diplomatiche, ma di emozioni. Il suo grimaldello è stata la colpevolizzazione sistematica e seduttiva dell’Occidente.
L’unico modo per evitare che le potenze democratiche, badando ai loro interessi immediati, si limitassero all’elemosina, come nel 2014, di qualche minuscola, innocua sanzione contro la Russia, era di brandire la disgrazia ucraina per vedersi attribuire il titolo di vittima numero uno. Costringendoci a un atto pratico di costrizione ovvero fare la guerra con lui e se necessario per lui.
Fino in fondo. Ci ha intimato fin dal primo giorno, indifferente al mutare della situazione militare, alle ritirate e avanzate, alle stragi e ai modesti tentativi diplomatici: se la Ucraina verrà spazzata via e non uscirà vittoriosa da questa guerra la colpa sarà degli europei e degli Stati Uniti, troppo fragili, vigliacchi e ottusi da non capire che il vero boccone che Putin vuole inghiottire non è Kiev ma il vecchio continente e forse il mondo. Che, dopo aver calpestato sotto i piedi mezza Ucraina, si prepara a calpestarne
l’altra metà dell’Europa. Una idea che non ha connessioni con la realtà. Non perché Putin possa aver rimorsi o titubanze di fronte all’abuso della forza. Ma perché, sapendo benissimo di essere una personalità dispotica e crudele, è anche un realista. Quindi conosce i limiti pratici alla sua aspirazione di giustiziere, di esecutore delle sentenze della Storia. Eppure nessuno, in questo parossismo delle emozioni innescato dall’abile mefistofele ucraino, osa dirlo. Temendo di esser travolto dalla riprovazione universale.
Zelensky ha distribuito le parti di un remake. Scegliendo di riproporre un copione che l’Europa purtroppo conosce bene e di cui ha un ricordo orribile, la Seconda guerra mondiale. L’Ucraina aggredita, martoriata, sbriciolata è dunque Londra indomita sotto le bombe tedesche nel 1940.
Zelensky ostinato, deciso a non arrendersi mai alla brutalità totalitaria, si è preso la parte di Churchill. A Putin naturalmente tocca la maschera del nuovo Hitler. A Biden ha riservato il costume di Roosevelt che pazientemente, giorno dopo giorno, convince i distratti americani che per loro è vitale distruggere il tiranno. E intanto arma gli ucraini con una replica della celebre legge affitti e prestiti con cui venne tenuta in piedi la Gran Bretagna. E dal 1941 l’Unione sovietica di Stalin.
Operazione perfetta. La volontà di evitare l’ennesima infamia dell’Occidente capitolardo è diventata una verità unica e giusta, immutabile nel divenire della crisi e della guerra quanto la legge della caduta dei gravi. Intellettuali e politici, militanti della guerra giusta ed economisti dalla sanzione facile e indolore, si sono messi al servizio di Zelensky.
Il meccanismo delle passioni innescato dall’attore-presidente è in se stesso infernale.
Più aumenta il livello del nostro aiuto più crescono le sue ambizioni, più la guerra si prolunga più si allargano i contorni di una vittoria per lui accettabile.
L’applauso come accade agli attori lo spinge all’assolutismo del mattatore. Intanto l’Occidente, lavando preventivamente le sue colpe, non si accorge che la guerra diventa mondiale ed è via via più isolato. Quattro miliardi di persone e metà della produzione globale hanno infatti rifiutato di schierarsi con noi.
Gli zelanti alleati di Zelensky fino a ieri hanno coabitato allegramente con l’indifferenza e il silenzio per malvagità abominevoli subite da popolazioni dei Paesi cosiddetti sottosviluppati. La disgrazia di quegli infelici è che non hanno saputo far cuocere insieme gli ingredienti delle nostre emozioni. E infatti con soddisfazione un po’ proterva Zelensky ha festeggiato il sì della Unione alla candidatura ucraina ricordando: noi non siamo un Paese del terzo mondo.»
Domenico Quirico
(25/06/2022)
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28 giugno 2022 a 14:06
Ricordo articoli di Quirico su paesi del Terzo Mondo che trovavo illuminanti, grazie alla sua esperienza sul campo. Un po’ meno illuminanti, anzi per me deludenti, trovo i recenti articoli sulla guerra in Ucraina.
L’articolo del post, per quanto ho capito, attribuisce a Zelensky luciferine abilità di seduzione grazie alle quali i paesi occidentali (leggi: i governi) si sono schierati senza se e senza ma, e contro i loro interessi, affascinati da una narrazione abilissima. Ergo, sempre per quanto mi pare di capire, i governi occidentali sarebbero vittime della sua manipolazione.
Personalmente ritengo Zelensky un guitto etero manovrato; per non far nomi: dagli USA. La sua narrazione ha successo solo perché per gli USA (e – accodati obbedientemente – per i paesi satelliti dell’occidente) essa è funzionale agli obiettivi che si sono dati, ovvero logorare la Russia in una guerra che si vuole trascinare per anni, fino all’ultimo ucraino.
Lo spazio mediatico che viene dato a questo guitto, per capirci, è lo stesso ed è altrettanto strumentale che quello dedicato a suo tempo alla Thunberg e ai “gretini di ogni età” (semicit.).
In entrambi i casi, sono stati stabiliti degli obiettivi e poi sono stati individuati i personaggi idonei a trasmettere l’opportuna narrazione ai popoli. I quali sono, come sempre, le vere vittime della manipolazione, grazie però non al particolare carisma dei personaggi ma all’enorme rilievo mediatico, privo di contraddittorio, che i nostri decisori scientemente gli assicurano.
28 giugno 2022 a 19:39
Premesso che (come sempre) concordo in massima parte con le tue osservazioni, ho scelto l’articolo di Quirico non per la qualità in sé… Sono state pubblicate e circolano analisi di gran lunga migliori ed assai più incisive sul tema, soprattutto tra la pubblicistica non ‘conforme’ alla narrazione bellica… Ma, dicevo, la scelta scaturisce dal fatto che Quirico, dopo l’allineamento iniziale all’orchestra dei picchettatori pro-Nato su uno dei quotidiani più supinamente sdraiato sulle posizioni atlantiste, inizia (molto timidamente) a distaccarsi dalle posizioni rigorosamente ortodosse, ossequiose dei dettami del Credo, lasciando intendere che forse qualche problemino con la strabordante intraprendenza atlantica (strumento di indirizzamento USA e pressione sugli stati clienti) e con lo zelante gauleiter ucraino, le province imperiali europee ce l”hanno eccome, mentre si prepara la terza guerra mondiale in un’Europa trasformata in immenso campo di battaglia.
Ma francamente l’arroganza di uno Zelensky e dei suoi pupari più o meno occulti è diventata insopportabile, nel suo narcisismo compiaciuto, nello sciovinismo esaltato degli ukronazi assurti ad eroi mitologici, nelle mistificazioni di una propaganda stucchevole e demenziale, insieme alla copertura vomitole e deferente dell’intero circo mainstream. Qualcosa comincia a scricchiolare nel bunker della cancelleria, dove se ne stanno trincerati i re fantoccio e la corte nostrana del Migliore di tutti: lo “statista” di carta che vive sulle pagine dei nostri giornali, millantando successi immaginari ed ovviamente “epocali”. Potrei dire che tra un disastro e l’altro, nella pletorica impotenza del governo più miserabile dell’intera storia repubblicana, mancava solo la piaga delle locuste… ma abbiamo pure quelle!