Di Padre in Figlio

 In uno di quei fondamentali editoriali che certo non faranno la storia del giornalismo, Mattia Feltri, figlio del più famoso Littorio, si è sentito in dovere di annunciare al popolo la sua entusiastica adesione al pacco referendario targato Lega-Radicali; almeno prima che l’ispirato articolo scomparisse dalle prime pagine dell’HuffingtonPost, dove pure faceva bella vista di sé.
Non meravigliatevi invece del connubio radical-leghista: sono due populismi speculari e complementari; anche se su scala ridotta nel caso degli orfanelli pannelliani, sempre buoni per tutte le copule possibili.
Ovviamente noi non entreremo nel merito delle scelte personali, ancorché pubbliche, del figliol prodigo. E poco importa se l’auspicata “riforma” della Giustizia (in funzione anti-magistratura), previo referendum, ricalca in tutto e per tutto il famigerato Piano di Rinascita della loggia eversiva Propaganda 2. Ognuno si accompagna a chi meglio lo rappresenta.
Più che altro, ci diverte molto come il puntuto Mattia Feltri, per motivare il suo sostegno incondizionato alla nobile iniziativa, non trovi niente di meglio che prendere di petto estensivamente la magistratura in blocco, presumibilmente “politicizzata”, naturalmente di sinistra (Feltri non lo dice, ma lo lascia intendere e poco ci manca che non parli di “toghe rosse”), portatrice castale di un’abnorme indipendenza (è un problema!), dove “la politica, specialmente a sinistra, continua a reputarsi un potere minore e si comporta da tale”.
Dalle parti della destra di potere e di sottogoverno prevale infatti il distaccato aplomb istituzionale del civil servant al di sopra di ogni interesse di parte.
Ovviamente, il Feltri figlio non coglie assolutamente la contraddizione di quanto va scrivendo, quando invoca una magistratura finalmente indipendente, come secondo lui avviene “in qualsiasi paese democratico occidentale dove, in forme più o meno attenuate, le procure sottostanno alla vigilanza della politica”.
E lo fa, mentre rivendica il primato della politica, e dunque dei partiti, da cui se ne evince implicitamente che la magistratura debba esserne eterodiretta e controllata. Ma lui la chiama “indipendenza”.
Politica ovviamente depurata da ogni contaminazione di sinistra ispirazione, dove prevarrebbe (secondo l’incontrovertibile opinione del liberalissimo Feltri):

“l’abitudine sovietica di cancellare il dissidente, di escluderlo dal panorama, di togliergli il diritto di cittadinanza (pensate alla meraviglia di Luca Paladini dei Sentinelli, che non ha voluto nei suoi canali social il video in sostegno alla legge Zan di Alessandra Mussolini, perché non si accetta solidarietà dai fascisti; dunque se dici qualcosa contro la legge Zan sei fascista, ma se sei fascista non puoi dire qualcosa a favore della legge Zan, e mi sembra un approccio di perfezione fascista).”

Evidentemente, Feltri (Mattia), perché buon sangue non mente, deve aver scambiato l’annacquata melassa democristiana che si fa chiamare “centrosinistra”, per il Consiglio Supremo dei Soviet, ed il mite Letta per una sorta di reincarnazione di Lenin, vista l’inquietante somiglianza fisica!
Ma il pezzo migliore del suo sgangheratissimo editoriale, Feltri Mattia (o era Littorio?) lo riserva contro Luca Paladini, leader informale dei “Sentinelli” di Milano. E non si capisce cosa c’entri, a parte la gratuità astiosa dell’attacco.
Paladini è infatti reo di non aver ospitato il contributo di Alessandra Mussolini sul suo sito, non conformandosi alla solidarietà pelosa degli stessi fascisti, dai ranghi dei quali provengono quelli che i froci li brucerebbero nei forni.
Spiace ricordare a Mattia Feltri, che sul proprio canale social uno è liberissimo di ospitare i contributi di chi più gli aggrada. Questo perché i giornali non sono cassette delle lettere dove ognuno imbuca quello che gli pare; figuriamoci dunque un blog privato.
Feltri figlio questo dovrebbe saperlo bene, visto che a suo tempo censurò senza mezze misure l’intervento di Laura Boldrini (amatissima da quella destra liberale alla quale Feltri strizza l’occhio), che si era permessa di criticare il disgustoso sessismo del Feltri padre, scambiando la testata editoriale che dirige come una sua proprietà personale da gestire come più gli pare. Ma guai a chiamarla censura!
Feltri Mattia di papà non parla; meno che mai si vuole pronunciare “sulle accuse di sessismo e altre fantasie”. Tanto meno permette di farlo ad altri sul ‘suo’ giornale:

in trentadue anni che faccio questo mestiere ho visto quotidianamente e più volte al giorno direttori buttare via articoli per mille motivi, di opportunità, di linea politica, di convenienza, di gusto, talvolta le scelte sono illustrate, altre liquidate alzando un sopracciglio, ed è la normalità eterna della stampa.”

Evidentemente, gli sfugge [QUI] ciò che normale invece non è… Però Luca Paladini doveva pubblicare l’irrinunciabile contributo della orgogliosamente fascista Alessandra Mussolini, perché in caso contrario il fascista è lui, nella perfezione dell’approccio che lo contraddistingue come tale.
Va da sé che il problema sono i “Sentinelli”, se l’Italia qualche problemino con l’omofobia ce l’ha: la causa non è il fascismo eterno degli italiani, ma degli antifascisti che vi si oppongono. Come per la magistratura, la riforma non si fa perché la sinistra non vuole. E non se ne può discutere. O meglio, non si può contestare il Feltri pensiero, che ha il dono dell’infallibilità e l’allergia alla critica, chiuso ad ogni obiezione, come ogni sincero democratico sa e pratica, mentre si contorce in arzigogolati sofismi, nel tentativo di riciclarsi da destra come direttore-padrone di un finto giornalino progressista, promuovendo temi cari a certo concentrato reazionario di ispirazione più o meno “fascista”. L’approccio perfetto.

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