CINISMOCRAZIA
«Un grande statista, che è stato anche un grande presidente di questa assemblea, un riferimento per tante donne e uomini della mia terra, compreso mio padre, Amintore Fanfani, ha detto una piccola grande verità, “le bugie in politica non servono”»
Maria Elena Boschi
(21/07/2014)
Le bugie non servono, ma all’occorrenza aiutano. Più che mai in assenza di fatti.
A maggior ragione, in politica (le menzogne e non certo i fatti!) costituiscono la norma; a dispetto della massima di quel Fanfani che fece della bugia politica un uso senza scrupoli quanto sistematico, specialmente se funzionale alla conservazione del proprio potere. E se questi sono i miti fondativi del nuovo partito democratico (cristiano), c’è di che stare allegri!
Nella sua lunga carriera, Amintore Fanfani si distingue per attivismo e le ambizioni smisurate. Amici ed avversari lo chiamano “il Motorino”, ma è una macchina perennemente accesa che nei fatti gira più a vuoto che altro.
Durante la dittatura mussoliniana, si distingue per il suo mostruoso anti-fascismo, partecipando con entusiasmo ai seminari di “mistica fascista” e scrivendo ispirati articoli su riviste coraggiosamente schierate contro il regime quali “Dottrina fascista” e “Difesa della razza”. Si dirà che anche figure intellettuali del calibro di Giorgio Bocca fecero lo stesso, ma con una differenza sostanziale: Bocca nel 1938 era uno studente 18enne; Fanfani aveva 30 anni belli e compiuti, con una laurea in tasca ed una cattedra all’università. Essendo nato prima del fascismo, e avendo 16 anni prima del suo avvento, si presuppone avesse avuto anche il tempo di maturare una propria coscienza critica, che non gli impedirà di aderire con entusiasmo al regime, che si rivela un ottimo strumento di carriera.
A scanso di equivoci, nel 1944, Bocca va in montagna a combattere con la Resistenza, mentre Fanfani scappa in Svizzera. E nel ’46 è già pronto per entrare a far parte dell’Assemblea costituente.
Nel 1954 si presenta come l’erede designato di Alcide De Gasperi; toscano di Arezzo, è una sorta di “rottamatore” ante-litteram: all’interno della Democrazia Cristiana, si accredita come ‘riformista’; ha fama di modernizzatore e non perde occasione per attaccare la vecchia guardia democristiana, che ha fatto il suo tempo e che deve mettersi in disparte per lasciare spazio ai ‘giovani’ come lui (le schiere di quarantenni che scalciano nel ventre democristiano), rivendicando il proprio spazio nel partito e nel governo. Tra un incarico e l’altro, ci rimarrà ininterrottamente per quasi mezzo secolo di attività, inaugurando un nuovo corso delle relazioni politiche, che autori come Sergio Turone, con un fulminante neo-logismo, chiameranno: “cinismocrazia”.
Su posizioni blandamente progressiste, con un’economia sociale implicitamente ispirata al vecchio corporativismo fascista, ed aperture trasformistiche a “sinistra”, Amintore Fanfani più che uno ‘statista’ è stato un dinosauro democristiano, destinato a lasciare la sua impronta fossile nella politica italiana. Di lui si ricorda l’utilizzo spregiudicato del “Caso Montesi” per silurare i propri avversari all’interno della Democrazia Cristiana e conquistare la supremazia nel partito; la cementificazione selvaggia del territorio italiano, nel più grande scempio urbanistico che la storia patria ricordi; la morte in carcere di Gaspare Pisciotta dopo un caffé corretto alla stricnina; i governi lampo, impallinati dai “franchi tiratori” e destinati ad esaurirsi in pochi mesi; l’uso clientelare dell’industria di Stato,
utilizzata come un immenso ufficio collocamento; fino alla sua crociata personale contro l’introduzione del divorzio in Italia. Dalla sua corrente di partito, “Iniziativa democratica”, figliò il gruppo dei “Dorotei” destinato a diventare la corrente egemonica della DC e che ne rappresentò la componente più retriva, reazionaria e affaristica del partito cattolico.
Nato come giovane ‘rottamatore’, Fanfani diventa eterno e segna un record personale nel 1987 diventando il più anziano presidente del consiglio nella storia repubblicana, alla tenera età di ottant’anni!
Proprio Giorgio Bocca, in uno dei suoi cammei più riusciti, ne traccia un ritratto spietato che poi è anche un immagine dell’animus democristiano che asfissia il Paese:
«La fortuna di Fanfani è che egli si presenta alla ribalta democristiana, sicuro di sé, entusiasta, proprio mentre i vecchi dirigenti si sentono impari a compiti sempre più pesanti.
[…] Per Fanfani il movimento cattolico, la cultura cattolica sono orti da coltivare, ma ciò che interessa veramente, per non dire unicamente, è il partito: questo incredibile strumento di potere che da un giorno all’altro ti innalza ai vertici dello stato, ti dà poteri economici decisionali anche se fino a ieri hai scritto libri di nessun valore, anche se sei un economista di cui nelle università dei paesi avanzati riderebbero.
[…] Con Fanfani e i suoi coetanei la disputa sui convincimenti e sui principi è solo un pretesto: tutti sono disponibili per tutto purché assicuri il potere. Il dono del potere facile e il suo uso fin dalla più tenera età creano in questa generazione una presunzione e un mestiere che la fanno diversa ed estranea al resto del paese.
Questa gente arrivata facilmente al potere, riverita, corteggiata, si convince di possedere veramente delle qualità superiori di talento politico. E l’Italia laica stupita, umiliata, dovrà ascoltare per anni le banalità di Fanfani, le elucubrazioni di Aldo Moro, le malinconie di Antonio Segni, le divagazioni avventuristiche di Giovanni Gronchi, i festosi deliri populistici di Giorgio La Pira, ripresi dai mass-media come espressioni di un pensiero politico rispettabile. Nel contempo però questa classe politica di estrazione casuale, che ha vinto, nel ’44 o ’45, il terno a lotto di iscriversi a un partito che la Chiesa, la paura del comunismo, la situazione internazionale, hanno gonfiato di voti, diventa con il passare degli anni una classe di politici professionali che conoscono tutti i meccanismi del potere e che a un certo punto, gestendolo quasi in esclusiva, sono gli unici che sanno come funziona. Donde quella mescolanza di mediocrità culturale e capacità manovriera, di mediocre cultura e di scaltrezza che definiscono questa classe politica. Gente di scarse o nulle letture, che abita in case modeste e di cattivo gusto, che non ha la minima dimestichezza con letterati, artisti, che conosce poco o niente del mondo industriale; ma è imbattibile a manovrare nei corridoi di un congresso, ad organizzare la clientela, a tenere buono il clero protettore.»Giorgio Bocca
“Storia della Repubblica italiana”
Rizzoli, 1982
24 luglio 2014 a 14:54
Immaginavo che la citazione della nostra ministra preferita ti avrebbe dato qualche spunto interessante… spero almeno non venga surclassata da altre perle del genere e riesca ad entrare di diritto nella rubrica “cazzata o stronzata” perché se lo meriterebbe!
Comunque, è davvero impressionante. Sono sempre stata convinta che la scelta delle citazioni, l’utilizzo di certe metafore e parole piuttosto che altre siano tutti elementi rivelatori della forma mentis e del sostrato culturale di una persona (è un discorso che avevamo affrontato, mi pare, anche se in circostanze diverse): a questo punto mi chiedo se la nostra Maria Boschi – Goretti, ultimamente sotto ai riflettori come non mai, fosse consapevole dei parallelismi e ricorsi storici creati (e quindi dell’andazzo preso dalla politica italiana ultimamente) o se davvero blaterava con leggiadra e autentica ignoranza. Entrambi i casi sarebbero sconfortanti.
Appena avrò finito la scorpacciata di romanzi ottocenteschi credo che darò un’occhiata a “Storia della Repubblica italiana” di Bocca… sia mai che si scoprano altri paralleli interessanti.
24 luglio 2014 a 17:59
La nostra bionda Madonna del Consiglio non è stupida né ignorante. Anch’io credo che la scelta delle parole, e quindi di certi riferimenti, non sia mai casuale né involontaria. Dunque sottende, se non un’ideologia, un richiamo ed una forma mentis ben precisa, quanto facilmente riconoscibile. E dunque anche un preciso indirizzo politico…
In fondo, il mondo da cui provengono è quello: parrocchia; oratorio; scout… sono luoghi quasi obbligati e di naturale aggregazione, soprattutto per chi è nato e cresciuto nelle realtà di provincia, che politicamente potevano poi tradursi nell’adesione alla FUCI, o alla mobilitazione cattolica su temi più o meno ‘etici’. I più furbi, i più smagati, si mettevano poi sotto la protezione di questo o quel notabile locale, che li inseriva in qualche “fondazione” di area. E per democristiani di provenienza toscana i modelli sono sostanzialmente due: Giorgio La Pira (con la sua demagogia populista) e per l’appunto Amintore Fanfani.
P.S. Ultimamente, C.-o-S. sta diventando ‘impegnativa’ per l’assoluta sovrapproduzione di dichiarazioni. Ed io che temevo che nulla al mondo avrebbe potuto eguagliare la corte del papi ai tempi felici del berlusconismo..!