Cialtronismo e Stupidità sono due forze complementari ed equivalenti, che non dovrebbero mai amalgamarsi tra di loro… Quando l’attivismo del cialtrone incontra la magia del cretino in uno stritolante abbraccio, è ormai troppo tardi: nulla può davvero arrestare la potenza scatenata in una reazione a catena, col catastrofico susseguirsi di effetti incontrollati. I campi interattivi del Metafenomeno sono potenzialmente illimitati. Nessun traguardo gli è impossibile, né esiste ostacolo abbastanza arduo da non poter essere superato. Perché ciò che sembra precluso al cialtrone, di solito riesce al cretino e viceversa. Se l’attrazione tra i due è irresistibile, le conseguenze sono spesso fatali. Non esistono anticorpi abbastanza potenti, per contrastare l’azione virale dell’ibrido scaturito da così infausta unione. Al massimo, si può cercare di arginarne i danni collaterali di un simile prodotto di sintesi. Per definirne l’azione e delinearne i limiti, non bastano le “Leggi fondamentali della Stupidità” del prof. Cipolla né le rassegnate constatazioni di Fruttero e Lucentini, sulla prevalenza del fenomeno in tutte le sue forme. Solitamente, se tutto va male, sul piano organizzativo il cialtrone, ancorché cretino, protende all’applicazione empirica del “Principio di Peter”, con una particolare predilezione per l’incompetenza creativa: quando crederete che raggiunti certi livelli non si possa andare oltre, il cretino (ancorché cialtrone) vi stupirà! Nei casi peggiori, nutre velleità politiche, giacché ritiene (a torto) di non essere rappresentato degnamente. Perciò, potete star certi che prima o poi ve lo ritroverete candidato ad una qualche elezione. In genere predilige i “movimenti”, convinto com’è che siano cosa diversa dai “partiti”, dai quali si è allontanato per deficit di raccomandazioni o surplus di minchioneria.
Nella sventurata ipotesi venga eletto (e quasi sempre accade), avrete il tipico esponente di idiota in politica, a dimensione crescente come le cazzate che esibisce senza pudore in cerca di consensi. Ovviamente, l’idiota in politica (cretino e ancor più cialtrone) è complementare al palcoscenico pubblico da cui è inseparabile. Per sopravvivere, e perpetuare la specie, ha bisogno di un gregge compiacente di citrulli (che poi sono cretini minori) da fecondare con le sue non-idee, che siano disposti a seguirne le gesta con entusiasmo e tributargli il loro compiacimento. Che poi sia un voto elettorale, o un indice di gradimento auditel, poco importa: si tratta della prosecuzione dello show con altri mezzi. In fondo, le folle elettorali sono la materia inerte dalla quale ogni cialtrone in carriera trae la propria linfa vitale. Per (s)fortuna, in Italia non mancano le une né gli altri; si compensano, nella loro mediocrità costantemente al ribasso…
«Qualità precipua del cialtrone è la mediocrità. Egli ne ha fatto una regola di vita. Anzi, la regola. Il cialtrone non spicca in nulla, neppure nella cialtroneria; al massimo può arrivare a essere un mediocre cialtrone, essendogli l’eccellenza, foss’anche in negativo, preclusa per definizione. […] Di perfezione, quindi, nemmeno a parlarne, essendo la dimensione dell’apprendimento, con la sottesa tensione al miglioramento, fondamentalmente estranea alla natura di questo tipo umano. Il cialtrone è quel che è, formato una volta e per sempre, ontologicamente determinato, immutabile come le montagne eppure proteiforme nella sua insipienza. […] Il cialtrone trova il suo presupposto esistenziale nella fondamentale superficialità del 90 per cento delle comunicazioni interpersonali. […] Animale sociale per antonomasia, il cialtrone sa che per essere apprezzato dall’umano consesso è più utile sembrare qualcosa che esserlo veramente e che, ai fini del risultato, apparire è equivalente a essere…. Chi domina i segni, domina il mondo, ergo: sembro, quindi sono.»
Andrea Ballarini “Fenomenologia del cialtrone” Laterza, 2013
La razza è antichissima e coriacea, nella varietà delle sue infinite tipologie. Omogeneamente distribuita su scala globale, sarebbe impossibile tracciarne una genealogia, ancorché inutile tanto capillare è la diffusione. E in quanto specie dominante, attraversa incontrastata le epoche, succedendo a se stessa. Sulla medesima falsariga fenomenologica, a suo tempo (era il 1961), Umberto Eco ne tracciò un ritratto ad personam, ignorando o forse avendo intuito fin troppo bene quanto universali fossero le caratteristiche illustrate, con ampio anticipo sui futuri trionfi del modello caratteriale…
«L’uomo circuito dai mass media è in fondo, fra tutti i suoi simili, il più rispettato: non gli si chiede mai di diventare che ciò che egli è già. In altre parole gli vengono provocati desideri studiati sulla falsariga delle sue tendenze. Tuttavia, poiché uno dei compensi narcotici a cui ha diritto è l’evasione nel sogno, gli vengono presentati di solito degli ideali tra lui e i quali si possa stabilire una tensione. Per togliergli ogni responsabilità si provvede però a far sì che questi ideali siano di fatto irraggiungibili, in modo che la tensione si risolva in una proiezione e non in una serie di operazioni effettive volte a modificare lo stato delle cose. […] L’ideale del consumatore di mass-media è un superuomo che egli non pretenderà mai di diventare, ma che si diletta a impersonare fantasticamente, come si indossa per alcuni minuti davanti a uno specchio un abito altrui, senza neppur pensare di possederlo un giorno. […] Il caso più vistoso di riduzione del superman all’every-man lo abbiamo in Italia nella figura di Mike Bongiorno e nella storia della sua fortuna. Idolatrato da milioni di persone, quest’uomo deve il suo successo al fatto che in ogni atto e in ogni parola del personaggio cui dà vita davanti alle telecamere traspare una mediocrità assoluta unita (questa è l’unica virtù che egli possiede in grado eccedente) ad un fascino immediato e spontaneo spiegabile col fatto che in lui non si avverte nessuna costruzione o finzione scenica: sembra quasi che egli si venda per quello che è e che quello che è sia tale da non porre in stato di inferiorità nessuno spettatore, neppure il più sprovveduto. Lo spettatore vede glorificato e insignito ufficialmente di autorità nazionale il ritratto dei propri limiti. […]Mike Bongiorno non è particolarmente bello, atletico, coraggioso, intelligente. Rappresenta, biologicamente parlando, un grado modesto di adattamento all’ambiente. L’amore isterico tributatogli dalle teen-agers va attribuito in parte al complesso materno che egli è capace di risvegliare in una giovinetta, in parte alla prospettiva che egli lascia intravedere di un amante ideale, sottomesso e fragile, dolce e cortese. Mike Bongiorno non si vergogna di essere ignorante e non prova il bisogno di istruirsi. Entra a contatto con le più vertiginose zone dello scibile e ne esce vergine e intatto, confortando le altrui naturali tendenze all’apatia e alla pigrizia mentale. Pone gran cura nel non impressionare lo spettatore, non solo mostrandosi all’oscuro dei fatti, ma altresì decisamente intenzionato a non apprendere nulla. In compenso Mike Bongiorno dimostra sincera e primitiva ammirazione per colui che sa. Di costui pone tuttavia in luce le qualità di applicazione manuale, la memoria, la metodologia ovvia ed elementare: si diventa colti leggendo molti libri e ritenendo quello che dicono. Non lo sfiora minimamente il sospetto di una funzione critica e creativa della cultura. Di essa ha un criterio meramente quantitativo. In tal senso (occorrendo, per essere colto, aver letto per molti anni molti libri) è naturale che l’uomo non predestinato rinunci a ogni tentativo. Mike Bongiorno professa una stima e una fiducia illimitata verso l’esperto; un professore è un dotto; rappresenta la cultura autorizzata. È il tecnico del ramo. Gli si demanda la questione, per competenza. L’ammirazione per la cultura tuttavia sopraggiunge quando, in base alla cultura, si viene a guadagnar denaro. Allora si scopre che la cultura serve a qualcosa.»
Umberto Eco “Fenomenologia di Mike Bongiorno” (1961)
Ne emerge un ritratto antico, di una variante in via d’estinzione, portatrice di virtù eminentemente piccolo borghesi e dai modi affabili, quanto opportunista e calcolatrice. In questa prospettiva simbolica, Mike Bongiorno (in qualità di idealtipo) è portatore sano di tutta una serie di peculiarità sociologiche, che in buona parte si riscontreranno intatte nell’espressione più longeva e di successo del cialtronismo contemporaneo e piacioneria applicata: il berlusconismoed il suo diretto derivato… Ovvero, il renzismo che ne supera e integra con una carica nuova la senilità ormai antiquata della matrice originale. Si tratta di modelli rassicuranti, a dinamismo controllato e durata garantita, all’insegna della continuità. In quanto tali, sono tipici fenomeni “nazional-popolari”, capaci di far sognare comunità sostanzialmente appagate nel loro conformismo, alla rivoluzione del luogocomunismo. Senza troppe stravaganze, seguono una serie di clichè stereotipati, ponendosi come figure di riferimento: dal buon padre di famiglia al nipotino perfetto, idolo dei nonni.
«Oltre ai miti accetta della società le convenzioni. È paterno e condiscendente con gli umili, deferente con le persone socialmente qualificate. Elargendo denaro, è istintivamente portato a pensare, senza esprimerlo chiaramente, più in termini di elemosina che di guadagno. Mostra di credere che, nella dialettica delle classi, l’unico mezzo di ascesa sia rappresentato dalla provvidenza. […] Non accetta l’idea che a una domanda possa esserci più di una risposta. Guarda con sospetto alle varianti.»
In tempo di crisi, il fenomeno tende invece ad assumere contorni biliari; la melassa in cui galleggia si inacidisce fino a diventare rancida. Quando ciò avviene, ai citrulli (che il cialtrone elettorale chiama “popolo”) piace mostrare la faccia cattiva, ricercando nella cafoneria ostentata e nell’ignoranza compiaciuta il tratto distintivo che fa la differenza. Si scelgono per acclamazione un cialtrone dominante (o è il cialtrone che trova loro) che si crede“dio”, ma si accontenta di farsi chiamare “capo” mentre aizza l’armata dei citrulli alla Guerra dei Cretini. Nelle sue flatulenze più effimere, si chiama “populismo”. Nelle declinazioni peggiori e più persistenti, diventa fascismo: immanente e pervasivo nella società italiana, si nutre di ritorni di fiamma ad ogni stress di sistema, che nel Paese di Borgo Citrullo gli imbecilli non mancano mai…
«Il fascismo ha avuto almeno questo merito: di offrire la sintesi, spinta alle ultime conseguenze, delle storiche malattie italiane: retorica, cortigianeria, demagogia, trasformismo. […] Il fascismo è il governo che si merita un’Italia di disoccupati e di parassiti, ancora lontana dalle moderne forme di convivenza democratiche e liberali.»
Piero Gobetti “Rivoluzione liberale” (22/04/1924)
Ed in quello che è un processo di fascinazione collaudato, non manca l’espressione più sofisticata del fenomeno ricorrente, ma nella sua variante acculturata: il cretino cognitivo, che scambia la comparatio con la reductio e non ne capisce la differenza. Come ebbe a dire Daniela Maddalena, che della definizione è l’inventrice:
“Il cretino cognitivo è come dire l’imbecille competente, lo stolido conoscitivo, il fatuo provvisto di informazioni.”
Ma qui si entra in un campo minato… perché nessuno è immune al contagio e dunque siamo tutti dei potenziali cretini, ignari di essere tali. Lo sapeva bene Sciascia che orgoglioso com’era, distribuiva patenti di cretineria senza che il dubbio di aver contratto lui stesso l’infezione lo sfiorasse minimamente…
«È ormai difficile incontrare un cretino che non sia intelligente e un intelligente che non sia cretino. Ma di intelligenza c’è sempre stata penuria; e dunque una certa malinconia, un certo rimpianto, tutte le volte ci assalgono che ci imbattiamo in cretini adulterati, sofisticati. Oh i bei cretini di una volta! Genuini, integrali. Come il pane di casa.»
Leonardo Sciascia “Nero su nero” Einaudi (1979)
Nessuno è al sicuro. E la piena consapevolezza di essere stupidi non ci rende per questo più saggi.
Rispondi