«Girano strane voci a proposito di Fini. Non so se abbiano fondamento, se si tratti di invenzioni oppure, peggio, di trappole per trarci in inganno. Se mi limito a riferirle è perché alcune persone di cui ho accertato identità e professione si sono rivolte a me assicurandomi la veridicità di quanto raccontato e, in alcuni casi, dicendosi addirittura pronte a testimoniare di fronte alle autorità competenti. Toccherà quindi ad altri accertare i fatti.»
(27/12/2010)
È il giornalismo secondo Maurizio Belpietro: la hyena ridens dell’editoria padronale a bastonatura permanente. E nello storto della sua scucchia finge di non sapere che con i “si dice” …“sembrerebbe che”… si può accusare chiunque di qualunque cosa, e propagare così le più inverosimile panzane senza il minimo riscontro.

Con le feste natalizie, Belpietro ci regala quindi una lectio magistralis sulla sua concezione di libera informazione e su come vada svolta un’inchiesta giornalistica: se non hai prove per distruggere il nemico del tuo padrone, allora inventale. Una roba che non si vedeva dai tempi di Vyshinsky! E in questo il mitico “Ghigno” è davvero il più staliniano dei pennivendoli in servizio alla corte del Kim-il-Sung di Arcore…
Non sapendo come attaccare l’odiatissimo Gianfranco Fini (reo di lesa maestà), con un colpo solo lo accusa dapprima di essere un ‘puttaniere’ (manco fosse il presidente del consiglio!) e poi di organizzarsi falsi attentati da solo… evidentemente Belpietro sui finti agguati, con la partecipazione specializzata del suo capo-scorta, pretende il riconoscimento del copyright.
Lui rivendica il diritto di cronaca, liberamente reinterpratato… In pratica, pubblica in prima pagina i deliri di qualsiasi mitomane o millantatore si presenti in redazione:
«..ho detto che c’era una persona che girava in alcune redazioni che raccontava questi fatti: se sia vero o no, ciò tocca a qualcun altro accertarlo. Se Fini si ritiene diffamato o calunniato faccia una denuncia»
Naturalmente, in nome della sacra “tutela delle fonti”, Belpietro si guarda bene dal fornire indizi o le credenziali dei suoi anonimi informatori. E, non essendo Sherlock Holmes, non è certo tenuto a fare riscontri oggettivi o verificare l’attendibilità di quanto vada scrivendo:
«Ammettiamo che sia tutto falso, l’attentato e pure le sedute con le escort. Il presidente della Camera dovrebbe essermi grato per averlo avvisato di un paio di mestatori e calunniatori che vanno in giro per l’Italia a spargere veleni sul suo conto.»
Pare però che l’ingrato Fini non abbia gradito la “diffamazione aggravata a mezzo stampa”, preferendo denunciare il premuroso Belpietro invece di mostrargli la sua riconoscenza e ignorando una circostanza fondamentale: la coprofagia non è un reato, ma una perversione.

E del resto, nella poliedricità del personaggio, autentico contorzionista della pornografia giornalistica, non è poi così semplice definire una collocazione certa…
“Al mondo ci sono i cretini, gli imbecilli, gli stupidi e i matti.
(…) Chiunque a ben vedere partecipa di una di queste categorie. Ciascuno di noi ogni tanto è cretino, imbecille, stupido o matto. Diciamo che la persona normale è quella che mescola in misura ragionevole tutte queste componenti, questi tipi ideali.
Il cretino non parla neppure, sbava, è spastico. Si pianta il gelato sulla fronte, per mancanza di coordinamento. Entra nella porta girevole per il verso opposto.
Essere imbecille è più complesso. È un comportamento sociale. L’imbecille è quello che parla sempre fuori dal bicchiere.
(…) Lui vuole parlare di quello che c’è nel bicchiere, ma com’è come non è, parla fuori. È quello che fa le gaffe, che domanda come sta la sua bella signora al tizio che è stato appena abbandonato dalla moglie.
(…) L’imbecille è molto richiesto, specie nelle occasioni mondane. Mette tutti in imbarazzo, ma poi offre occasioni di commento. Nella sua forma positiva diventa diplomatico. Parla fuori del bicchiere quando le gaffe le fanno gli altri, fa deviare i discorsi.
(…) L’imbecille non dice che il gatto abbaia, parla del gatto quando gli altri parlano del cane. Sbaglia le regole di conversazione e quando sbaglia bene è sublime. Credo che sia una razza in via d’estinzione, è un portatore di virtù eminentemente borghesi.
(…) L’imbecille è Giocchino Murat che passa in rassegna i suoi ufficiali e ne vede uno, decoratissimo, della Martinica. ‘Vous etes nègre?’ gli domanda. E quello: ‘Oui mon general!’ E Murat: ‘Bravò, bravò, continuez!’
Lo stupido non sbaglia nel comportamento. Sbaglia nel ragionamento. È quello che dice che tutti i cani sono animali domestici e tutti abbaiano, ma anche i gatti sono animali domestici e quindi abbaiano.
(…) Lo stupido può anche dire una cosa giusta ma per ragioni sbagliate.
(…) Lo stupido è insidiosissimo. L’imbecille lo riconosci subito (per non parlare del cretino), mentre lo stupido ragiona quasi come te, salvo uno scarto infinitesimale. È un maestro di paralogismi.
Il Matto lo riconosci subito. È uno stupido che non conosce i trucchi. Lo stupido la sua tesi cerca di dimostrarla, ha una logica sbilenca ma ce l’ha. Il matto invece non si preoccupa di avere una logica. Procede per cortocircuiti. Tutto per lui dimostra tutto. Il matto ha un’idea fissa, e tutto quel che trova gli va bene per confermarla. Il matto lo riconosci dalla libertà che si prende nei confronti del dovere di prova, dalla disponibilità a trovare illuminanzioni.”
Umberto Eco
Il pendolo di Foucault
Bompiani, 1988.

In Italia, capita spesso di assistere ad una sintesi perfetta, condensata nella figura zelante del pennivendolo a libro paga.
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This entry was posted on 28 dicembre 2010 at 19:57 and is filed under Stupor Mundi with tags Gianfranco Fini, Giornalismo, Il Pendolo di Foucault, Libero, Liberthalia, Maurizio Belpietro, Pennivendoli, Umberto Eco. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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30 dicembre 2010 a 09:25
bè, quella è una categoria a parte che riassume benissimo caratteristiche di cretini, imbecilli, stupidi e matti, senza per questo essere “normale”. Non è una cosa “normale” strisciare come vermi (senza offesa ai vermi) senza dignità. Come diceva Battiato, questo “mi spinge solo ad essere migliore, con più volontà”. Alla facciaccia (se si può definire tale) loro.
30 dicembre 2010 a 20:47
Tra gli animaletti da compagnia che pascolano nel giardino del padrone, spiccano per similarità di ruoli ma per assoluta diversità di mansioni: il servo e il cortigiano. In posizione intermedia vi è il campiere… Che vi appartengano anche i tre moschettieri del Re (Sallusti-Feltri-Belpietro)?