
«Vi è un punto essenziale in cui il mentitore politico differisce nella pratica da tutti gli altri bugiardi, e che egli dovrebbe avere, insieme ad una memoria corta, come si conviene, adeguandosi di volta in volta alle circostanze che gli si presentano, pronto a dissimulare opinione ad ogni ora, e giurando solennemente su entrambe gli aspetti di una sola contraddizione, in quanto trova sempre persone bendisposte a credergli, tra coloro con i quali è in affari. Nel descrivere i vizi e le virtù del genere umano, sarà opportuno, ai fini del nostro articolo, prendere in esame qualche degno esemplare sul quale basare la nostra descrizione. Mi sono attenuto rigorosamente a questa regola, tanto che al momento la mia attenzione si concentra su di un certo grand’uomo, famoso per questo particolare talento e per la pratica costante del medesimo alla quale deve venti anni di reputazione (…).
La superiore qualità del suo genio consiste in un fondo inesauribile di menzogne politiche che dissemina copiosamente ogniqualvolta apre bocca e che, con generosità senza precedenti, dimentica nella mezz’ora che segue, contraddicendosi. Costui non s’è mai chiesto se un’affermazione fosse vera o falsa ma solo se fosse opportuno affermarla o negarla a seconda della circostanza e del suo interlocutore; se pensate quindi di ragionare sulle sue asserzioni cercando di interpretarle, giacché vi pare vero il contrario, dovrete riflettere a lungo e ne uscirete sconfitti; che gli crediate o no l’unico rimedio è supporre di aver udito suoni inarticolati e privi di significato. Questo vi risparmierà lo sdegno dinanzi ai giuramenti sacri che inserisce all’inizio e alla fine di ogni sua proposizione; anche se, ad onor del vero, penso che non possa essere tacciato di spergiuro quando invoca Dio e Cristo, giacché ritengo che non creda né a l’uno né all’altro, come più volte ha dato pubblica dimostrazione al mondo.
Alcune persone potrebbero pensare che una simile talento non possa più essere di grande utilità al suo padrone, o al suo partito, dopo essere stato praticato così spesso da divenire fin troppo noto. Ebbene, queste persone si sbagliano di grosso. (…) Come l’infimo scrittore ha un pubblico di lettori, così il più grande dei bugiardi ha un pubblico di creduloni; talvolta è sufficiente che la menzogna venga creduta per un’ora per aver adempiuto il suo dovere e quindi essere congedata. Così la Menzogna vola via e la Verità arriva zoppicante: finita la beffa e raggiunto il fine, quando gli uomini arrivano a ricredersi è ormai troppo tardi, come scovare finalmente una buona battuta dopo che si è passati a un altro discorso oppure la compagnia si è congedata, o come trovare una cura infallibile dopo il decesso del paziente»
Jonathan Swift; “L’Arte della menzogna politica“.
The Examiner – 09 Nov. 1710
(Testo originale QUI)
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This entry was posted on 8 giugno 2010 at 18:19 and is filed under A volte ritornano with tags Bugie, Jonathan Swift, L'Arte della Menzogna, Liberthalia, Menzogna politica, The Examiner. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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9 giugno 2010 a 13:33
Ciao, post interessante, come sempre del resto!
Penso, che con lo stesso titolo potresti aprire una rubrica, nella quale aggiungere anche il seguente testo:
“Così un uomo mediocre, grossolano, di eloquenza volgare ma di facile effetto, è un perfetto esemplare dei suoi contemporanei.
Presso un popolo onesto, sarebbe stato tutt’al più il leader di un partito di modesto seguito, un personaggio un po’ ridicolo per le sue maniere, i suoi atteggiamenti, le sue manie di grandezza, offensivo per il buon senso della gente a causa del suo stile enfatico e impudico.
In Italia è diventato il capo del governo.
Ed è difficile trovare un più completo esempio italiano.
Ammiratore della forza, venale, corruttibile e corrotto, cattolico senza credere in Dio, presuntuoso, vanitoso, fintamente bonario, buon padre di famiglia, ma con numerose amanti; si serve di coloro che disprezza, si circonda di disonesti, di bugiardi, di inetti, di profittatori; mimo abile, e tale da fare effetto su un pubblico volgare, ma, come ogni mimo, senza un proprio carattere, si immagina sempre di essere il personaggio che vuole rappresentare.”
Elsa Morante
(Qualunque cosa abbiate pensato, il testo, del 1945, si riferisce a Benito Mussolini)
Tratto da: Storia d’Italia di Indro Montanelli – volume 5
Cordiali e civili saluti.
9 giugno 2010 a 16:28
Se il post è interessante, interessantissimo è il tuo intervento che molto contribuisce a porre in ulteriore rilievo una componente (per così dire) antropologica dell’italiano medio, così come è intrinseca nella mediocrità del ‘potere’ e nelle sue involuzioni autoritario-populistiche.
Su simili paradossi vengono del resto elebarate buona parte delle teorie sul potere politico, di diverso orientamento ideologico, che dagli Elististi di primo ‘900 alla Scuola di Francoforte vedono nella democrazia un’opportunità ed un limite, scavando nelle sue contraddizioni.
Visto che siamo in vena di citazioni colte, approfitterò della tua eventuale pazienza allegando un estratto tratto dal n.17 del “Giornale di Storia costituzionale” del 2009. Si tratta di un breve saggio che Claudio Martinelli dedica al pensiero di Gaetano Mosca, basando buona parte delle sue riflessioni (almeno così mi pare) sulla “Teorica dei governi e del governo parlamentare”. E’ questa un’opera del 1884, scritta ben prima dei gabinetti autoritari di Crispi-Di Rudinì-Pelloux e dell’avvento del fascismo, al quale un ultra-conservatore come Mosca rimase comunque ostile.
“La scelta di un deputato non dipende affatto dalla libera manifestazione di una preferenza elettorale da parte del singolo elettore, ma dalla capacità organizzativa con cui una forza politica o un comitato elettorale sono in grado di imporsi sul mercato del voto. E inutile farsi illusioni sulla sovranità politica dell’elettore: la sua libertà di scelta e limitata al ristretto campo di gioco preparato da minoranze organizzate che selezionano le candidature non sulla base di criteri attenti alla maggiore capacità rappresentativa dell’eligendo, bensì in ragione delle garanzie che egli offre riguardo al consolidamento del potere in capo alla minoranza stessa che lo ha proposto. Vi e un celebre brano, apparentemente paradossale, che rende perfettamente il pensiero di Mosca su questo punto: «Chiunque abbia assistito ad un’elezione sa benissimo che non sono gli elettori che eleggono il deputato, ma ordinariamente e il deputato che si fa eleggere dagli elettori: se questa dizione non piacesse, potremmo surrogarla con l’altra che sono i suoi amici che lo fanno eleggere. Ad ogni modo questo e sicure che una candidatura e sempre l’opera di un gruppo di persone riunite per un intento comune, di una minoranza organizzata che, come sempre, fatalmente e necessariamente si impone alle maggioranze disorganizzate.»
Ora, poiché tutta la catena ascendente del sistema e fondata su di un’illusione utopica che non tiene conto del ruolo decisivo di alcune costanti delle classi politiche in tutti i regimi politici, la bontà dell’intera costruzione democratica non può che risultare inficiata e soffrire di irrimediabili difetti. Da una parte, il Governo sara impegnato in una continua ed estenuante opera di mediazione tra le forze parlamentari che lo sorreggono. I componenti del Governo, per rispondere a queste sollecitazioni e mantenersi in carica sono portati a cedere al “favoritismo e all’arbitrio”, a tutto vantaggio dei gruppi sociali più influenti e a scapito di coloro che non possono contare sui necessari appoggi e protezioni. E sottolinea che queste storture non dipendono dal grado di moralità personale di chi occupa una determinata carica, come quella di ministro, bensì dal modo in cui e congegnato il sistema politico. Dall’altra parte, se il Governo, gestendo sapientemente questi equilibri, riesce a dotarsi di una solida stabilità, inevitabilmente riesce a concentrare nelle proprie mani una notevole quantità di potere (definito addirittura come un indeterminato e mostruoso accumulo di poteri), dando vita ad uno sbilanciamento a cui il sistema tenta di porre rimedio con la possibilità per il Parlamento di determinare la fine della vita del Governo, magari con un solo voto di maggioranza: una misura che giudica troppo drastica e arbitraria (tanto da paragonare il voto di sfiducia come freno all’onnipotenza dell’Esecutivo al regicidio contro quella del Sovrano: rimedi peggiori dei mali che intendono combattere).”