Natale in casa Letta
“Letterina di Natale,
sotto il piatto del papà
sta tranquilla, zitta e buona
finché lui ti troverà.
Quando poi, finito il pranzo,
saran letti i miei auguri,
saran lette le promesse
per il tempo che verrà,
letterina te ne prego
tu per me non arrossire:
per quest’anno le promesse
io ti posso garantire,
perché quel che ho scritto dentro
sarà proprio tutto fatto.”
Ma quant’è carino l’Enrichetto natalizio, sobrio chierichetto di governo, che decanta i suoi meriti di bimbo virtuoso, convinto com’è di aver ben svolto i compitini da bravo scolaretto zelante, mentre inzuppa pensierini nel caldo brodino della propria vanità.
Vuoto come un calzino spaiato in attesa dell’arrivo della Befana, il piccolo Letta rischia di ritrovarsi presto con un pugno di carbone tra le mani…
A noi la pena, ed il ludibrio, di vederlo intonare vuoti pensierini sulle magnifiche sorti progressive del suo governo di inconsistenza allargata, nella declamazione delle buone intenzioni alla fiera delle ovvietà, in un personale monumento all’inutile, mentre celebra il proprio elogio sbrodolandosi in cerimoniosi complimenti a se medesimo.
Tra profusioni di ringraziamenti dispensati a destra e manca, partendo dal nume tutelare consacrato al Quirinale, tra vacui richiami al “senso di responsabilità” ed ai drammi di una “fatica sociale”, opportunamente inabissata nelle palude di un immobilismo compassato nel galleggiamento istituzionale, preoccupa l’atarassia di “una svolta generazionale senza precedenti nella storia repubblicana italiana”. Ovvero, lo spettacolo deprimente, messo in scena dall’avvento di una pletora precocemente invecchiata di mediocri “quarantenni” in grisaglia (e sorvoliamo sul resto della cucciolata!), tali da far rimpiangere perfino le cariatidi fossili delle prima repubblica. È il ritorno escatologico, attraverso la religione del rigore, negli arcani pre-moderni di un epoca immota ed eterna, dove la “stabilità” è stasi comatosa e la “ripresa” assomiglia più che altro al fuoco fatuo di un fenomeno tanatologico.
Nell’ascoltare le prolusioni dell’Enrico di Letta e di governo non si sa bene se si ha a che fare con un austero cretino, inguaribilmente affetto dalla “Sindrome di Pollyanna”, nella rimozione delle cause della crisi e delle catastrofiche “cure” finora impartite, per effetto di scotomizzazione.
Oppure, si tratta di una copia ancor più catatonica del capitano Smith, che sulla plancia del Titanic (l’Inaffondabile) rassicura i ricchi passeggeri di prima classe, già appollaiati sulle scialuppe mezze vuote della salvezza, dopo aver chiuso i passeggeri più miserabili in coperta, bloccando l’accesso ai ponti. Un sacrificio necessario. E senza nemmeno l’orchestrina di consolazione.
Sono le gioie a venire di un altro Sobrio Natale.
This entry was posted on 24 dicembre 2013 at 17:51 and is filed under Muro del Pianto with tags Austerità, Crisi, Discorso di Natale, Enrico Letta, Fatica sociale, Governabilità, Liberthalia, Natale, Palude, Quarantenni, Rigore, Scotomizzazione, Sindrome di Pollyanna, Sobrietà, Società, Stabilità, Svolta generazionale, Titanic. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed. You can leave a response, or trackback from your own site.
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