Mi candido. Non mi candido. Mi candido. C’entro o non C’entro. This is the question! Mi si nota di più se faccio una lista unica o una coalizione di sigle? Attiro di più l’attenzione se faccio un’intesa programmatica o un patto elettorale?
Con le ricadute benefiche di un fallout nucleare, non si vorrà mica disperdere la straordinaria esperienza del Governo Monti?!? Lungi dall’essere ‘tecnico’, il direttorio tecnocratico si dimostra per quello che è sempre stato: un governo politico, sfuggito al controllo del suo improvvido creatore dal laboratorio del Colle. A tal proposito, è curioso notare come i tagli della cosiddetta spending review e del fiscal compact (il libretto di guida del biodroide eterodiretto prevede solo istruzioni in tedesco e inglese) si siano concentrati quasi esclusivamente sullo smantellamento dell’Istruzione e della Sanità pubblica, con una precisa scelta di indirizzo ‘ideologico’ da parte di un esecutivo che ha fatto della propedeutica della punizione tramite il dolore una prassi di governo. La cura va infatti proseguita, anche dopo la morte del paziente, fino al completo espianto degli organi ancora funzionanti (dunque vendibili) e la totale dissezione dei tessuti non ancora necrotizzati, per un saggio avanzato di chirurgia monetarista, previo accanimento terapeutico. Lo vogliono i mercati finanziari, ovvero la banda di speculatori criminali che per un anno ha scommesso sul default continentale, dopo aver provocato la più grave recessione economica degli ultimi 80 anni. Lo vogliono le vecchie cariatidi reazionarie del PPE (partito popolare europeo), che annovera tra le sue fila neo-nazisti come l’ungherese Viktor Orban (è vicepresidente!), tanto non gli par vero di aver trovato la matrice ‘sobria’ di Berlusconi, opportunamente depurata da bugs in P2-mode e dai virus Troia. Lo vogliono gli “americani”; premesso che la maggioranza dei cittadini statunitensi non sappia nemmeno chi sia Monti, gli “americani” votano in USA e non in Italia! Lo vuole ovviamente il Vaticano: uno stato estero organizzato come teocrazia assoluta dove non esistono elezioni, ma non si perde occasione per metter bocca sulle tornate elettorali altrui. Mario Monti, per il quale la democrazia deve essere qualcosa di totalmente estraneo, tanto gli risulta incomprensibile, ha tralasciato l’aspetto più importante di una sua eventuale nomina come prossimo Presidente del Consiglio: deve essere eletto ed i voti li deve ottenere dagli italiani. Attualmente le opzioni sono due. Mario Monti, il Mosè del risanamento italiano, in concomitanza con il Natale ha annunciato urbi et orbe la sua fatidica ‘Agenda’ (25 paginette scopiazzate con la complicità del prof. Ichino), manco fossero le Tavole della Legge!
Il prof. Monti è un altro che sembra sbarcato da Marte: ci presenta il suo programmino elettorale alla vigilia di Natale, con la lista delle buone intenzioni, dimenticandosi di essere stato il premier fino a nemmeno 24h prima! Evidentemente, si crede indispensabile. Tutti lo vogliono e nessuno ce lo manda…
1) Lui non si candida direttamente, ma lascia i compitini da fare a casa per i partiti che volessero dimostrare la loro devozione al maestro e vincere il riconoscimento di bravi scolaretti, degni di far parte della sua monarchia personale al governo dell’Italia. Ovviamente, il professore pretende di stilare in anticipo le liste elettorali e scegliere le candidature blindate per i suoi fedelissimi, decidendo alleanze e riscrivendo i programmi. Guarda con preferenza ai dumbies neo-democristiani del PD, non foss’altro perché vengono dati vincenti dai sondaggi, riservandosi il ruolo decisionale e delegando alla base del partito-bestemmia l’onere di votarlo. Si era già visto qualcosa del genere, durante le offensive del generale Cadorna sul fronte dell’Isonzo.
2) In alternativa, il Professorino mette insieme una sua federazione di liste collegate e unite sotto il proprio nome e la sua agenda, pescando a man bassa in quella che Mario Monti evidentemente scambia per “società civile”: banchieri, banchieri, e ancora banchieri, finanzieri e gestori di fondi speculativi, i soliti imprenditori coi capelli tinti, i nipotini nostrani dei Chicago Boys, gli alfieri dell’ultraliberismo monetarista e qualche “austriaco”, mezza Università Bocconi e la Curia pontificia al gran completo, con la partecipazione straordinaria di Comunione e Lottizzazione. A questi va aggiunto un nutrito pattuglione di papiminkia in fuga dai bordelli del Pornonano, insieme ai transughi democristiani delle più diverse parrocchie. Mai s’era visto un simile crogiolo di lobby finanziarie e gruppi di pressione, elite timocratiche e poteri oligarchici, confluire in un unico contenitore: il Partito dei Padroni. Questa è gente che non si candida per ‘governare’ ma per ‘comandare’: si reputano modernizzatori venuti a rieducare la nazione, con la benedizione della Croce (da caricare sulle spalle altrui). Il tutto dovrà avvenire, sotto la supervisione dell’immarcescibile Pierferdinando Casini: tenero virgulto in parlamento dal 1983, venuto a moralizzare la politica con la sua carica riformatrice di moderato serio e responsabile, per un progetto dalla dirompente attualità: la ricostituzione della Democrazia Cristiana. Parliamo dello stesso Casini: difensore del Papa-Re e buono per tutte le stagioni; lindo come un rotolo di carta igienica usata, è fondamentale come un due di coppe con briscola a bastoni e utile quanto una bustina di sale nel deserto del Nevada. E tutti insieme sembrano usciti da una satira di Giuseppe Giusti:
«I nostri Padroni hanno per uso Di sceglier sempre tra i servi umilissimi Quanto di porco, d’infimo e d’ottuso Pullula negli Stati felicissimi: E poi tremano in corpo e fanno muso Quando, giunti alle strette, i Serenissimi Sentono al brontolar della bufera Che la ciurma è d’impaccio alla galera. Ciurma sdrajata in vil prosopopea, Che il suo beato non far nulla ostenta Gabba il salario e vanta la livrea, Sempre sfamata e sempre malcontenta. Dicasterica peste arciplebea, Che ci rode, ci guasta, ci tormenta E ci dà della polvere negli occhi, Grazie a’ governi degli scarabocchi. […] Un gran proverbio, Caro al Potere, Dice che l’essere Sta nell’avere. Credi l’oracolo Non mai smentito; Se pur desideri Morir vestito. Vent’anni dopo, un Frate Professore, Gran Sciupateste d’Università, Da vero Cicerone Inquisitore, Encomiava la docilità E la prudenza di un certo dottore Fatto di pianta in quel vivajo là, Dottore in legge, ma di baldacchino, Che si chiamava appunto Gingillino. In gravità dell’aurea concione Messer Fabbricalasino si roga Capo Arruffacervelli; e un zibaldone Di Cancellieri e di Bidelli in toga Gli fa ghirlanda intorno al seggiolone, E di quell’Ateneo la sinagoga, Che in lucco nero, a rigor di vocabolo, Parea di piattoloni un conciliabolo. […] Gingillino andato in gloria Se n’uscìa gonfio di boria Dal chiarissimo concilio Colla zucca in visibilio. Sulla porta un capannello D’onestissimi svagati, Un po’ lesti di cervello E perciò scomunicati, Con un piglio scolaresco Salutandolo in bernesco, Gli si mosser dietro dietro Canticchiando in questo metro: Tibi quoque, tibi quoque È concessa facoltà Di potere in jure utroque Gingillar l’umanità. […] Nel mare magno della Capitale, Ove si cala e s’agita e ribolle Ogni fiumana e del bene e del male; Ove flaccidi vizî e virtù frolle Perdono il colpo nel cor semivivo Di gente doppia come le cipolle; Ove in pochi magnanimi sta vivo, A vitupero d’una razza sfatta, Il buon volere e il genio primitivo; E dietro a questi l’infinita tratta Del bastardume, che di sé fa conio, E sempre più si mescola e s’imbratta; […] Vivo sepolcro a un popolo di morti, Invano, invano dalle sante mura Spiri virtù negli animi scontorti. Quando per dubbio d’un’infreddatura L’etica folla a notte si rintana, Le vie nettando della sua lordura; Quando il patrizio, a stimolar la vana Cascaggine dell’ozio e della noja, Si tuffa nella schiuma oltramontana; E ne’ teatri gioventù squarquoja E vecchiume rifritto, ostenta a prova False carni, oro falso e falsa gioja […] Io credo nella Zecca onnipotente E nel figliuolo suo detto Zecchino, Nella Cambiale, nel Conto corrente, Credo nel Motuproprio e nel Rescritto, E nella Dinastia che mi tien ritto. Credo nel Dazio e nell’Imposizione, Credo nella Gabella e nel Catasto; Nella docilità del mio groppone, Nella greppia e nel basto: E con tanto di core attacco il voto Sempre al santo del giorno che riscuoto. Spero così d’andarmene là là, O su su fino all’ultimo scalino, Di strappare un cencin di nobiltà, Di ficcarmi al Casino, E di morire in Depositeria Colla croce all’occhiello, e così sia.»
Giuseppe Giusti “Gingillino”(1845)
Speriamo che il nuovo Gingillino non superi il tagliando della revisione e venga rottamato quanto prima, coi suoi degni compari e pupazzi.
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