Archivio per 25 APRILE

NAZI-LIBERATI

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 24 aprile 2022 by Sendivogius

25 Aprile 2022. A cento anni dalla mussoliniana marcia su Roma, possiamo dire con cognizione di causa che non c’è proprio alcuna Liberazione da festeggiare, dal momento che il fascismo gode di ottima salute e lotta contro di noi, più longevo che mai nella mimesi delle sue infinite varianti mutogene, per congenita capacità di adattamento e riproduzione su brodo di cultura.
Altrimenti non dovremmo assistere tutti gli anni allo stesso schifoso teatrino revanchista, messo in piedi ad ogni ricorrenza dagli eredi di Salò, pienamente legittimati ed inseriti da sempre nelle stanze e stanzette dei bottoni, da dove poter condizionare il corso della repubblichetta eterodiretta e dettarne l’agenda. Non sono mai stati “sdoganati”; non ne hanno bisogno, semplicemente perché non se ne sono mai andati.
Ogni tanto, quando il merdone è troppo grosso per essere nascosto, costituendo in realtà più una fonte di imbarazzo che di sdegno, e senza che mai alle parole seguano i fatti, si sente pigolare qualche lamento dalle parti del partito bestemmia: quell’oscuro oggetto governistico subalterno a chiunque lo porti al potere, che infatti coi fascisti di ogni ordine e grado, raggrumati in quel cartello elettorale che si fa eufemisticamente chiamare “centrodestra”, ci si trova benissimo, scambiandosi poltrone e governandoci insieme senza ombra di turbamento. Rientra nel copione della recita condivisa. Giusto per fare un po’ di scena e tenere la parte, giacché nulla deve disturbare la splendida ammucchiata, a cui partecipare per “spirito di servizio” e per ovvio “senso di responsabilità”: la magica trovata semantica che rende possibile ogni porcata, senza che mai disagio alcuno cali ad offuscare la magnifica narrazione imbastita su mandato politico da nostri media, ormai espressione del peggior giornalismo giallo, in piena distopia orwelliana.
Ma ormai il fu “partitone”, completata la mutazione transgenica, in piena svolta atlantista su evoluzione guerrafondaia dopo l’americanizzazione coatta, è tutto preso nel definire la propria servile subordinazione coloniale agli interessi statunitensi, raccomandandosi a Washington per meno di un pugno di lenticchie.
Dunque, dicevamo: cosa festeggiamo in questo ultimo 25 Aprile? Certo non la Liberazione dal nazifascismo. E nemmeno celebriamo la Resistenza! Bisogna stare attenti a definire cosa si intende per “resistenza”, specificando bene quale e che uso se ne intenda fare, in consonanza col ritrovato spirito marziale…
Possiamo prendere lezione dai fascisti per questo, che con intraprendenza ci indicheranno l’interpretazione corretta. Che poi, mutato nomine, si facciano chiamare “patrioti”… “nazionalisti”… “sovranisti”… è sempre quella merda lì!
Si dissuade vivamente dal fare ogni riferimento alla lotta partigiana, ma è assai gradito legare la ricorrenza, in posizione ancillare fino all’annullamento per sovrapposizione, con la ‘resistenza’ ucraina contro i russi, intessendo le lodi e lanciando fiori in onore delle eroiche brigate nere di Azov.

Vietato ogni riferimento al nazifascismo: il pubblico potrebbe non cogliere la differenza e cadere in confusione.

I simpatici partigiani ucraini del ricostituito Battaglione Usignolo

Sarebbe inoltre bene interdire le piazze all’ANPI, l’Associazione Nazionale Putiniani d’Italia, secondo il brillante acronimo coniato durante un rigurgito d’ego da un patetico coglione glassato in crosta di zucchero, dopo le liste di proscrizione e la caccia agli eretici. E sfilare tutti uniti sotto i bandieroni munifici e salvifici della NATO. Questo perché l’ANPI non è abbastanza prona al nuovo corso guerrafondaio. C’è il rischio che ricordino come la Resistenza sia altro da ‘sta roba immonda…
È ovviamente vietato cantare “Bella Ciao”, in quanto faziosa e divisiva, ma in alternativa si può sostituire l’esecrato brano con l’inno ucraino (sic!), più consono alla ricorrenza liberamente reinterpretata. Oppure utilizzare la variante sempre ucraina del noto canto partigiano, musicato sulle note di “Bella Ciao”, ma completamente riscritto e riadattato alla bisogna dalla cantante folk Khristyna Soloviy, portata alla ribalta dalle ineffabili colonne de LaStampa-Repubblica-Corriere, ormai ridotte a carillon della nazi-fiabe ucraine, e che fa bagnare di lacrime il pannolone di qualche turgido coglione a sinistra che ne ignora il testo :

«Il vecchio Dnepr ruggì con rabbia. Nessuno lo so pensava, nessuno se lo aspettava. Quello che poteva essere la vera rabbia del popolo ucraino. I nemici maledetti senza pietà li distruggiamo. Quei nemici maledetti che la nostra terra invadono. Le nostre difese hanno i migliori ragazzi. Solo veri eroi combattono nell’esercito ucraino. E i Javelin ed i Bayractar combattono per l’Ucraina e uccidono i russi. E il nostro potente popolo, la gente dell’Ucraina, ha già unito il mondo contro i russi. E molto presto li sconfiggeremo. Presto li distruggeremo

Carina, vero?!? La Soloviy, alla quale si deve cotanto capolavoro artistico, è un’altra di quelle starlette dell’Est che ama farsi immortalare in pose da diva dei jet set, o a bordo di yacht in atteggiamenti ammiccanti, che più che altro fanno molto catalogo da escort di alto bordo. E che ovviamente non ha mancato di esternare tutta la sua devota ammirazione, per i nazisti dell’OUN (no, non sono le Nazioni Unite!) di Stepan Bandera, il santino nazionale dell’Ucraina ‘democratica’ (LOL!), nell’impossibilità di cogliere la contraddizione oscena. È che proprio non ce la fanno. Sono talmente imbevuti di nazifascismo, quasi a livello genetico, da esserne inconsapevoli, tanto riesce loro naturale.
Ecco, se questo è il nuovo 25 Aprile, tenetevelo!
La Liberazione è lontana, ma proprio oggi più che mai è necessario resistere. 

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REPETITA IUVANT (aut fortasse…)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , on 25 aprile 2021 by Sendivogius

«Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia. L’articolo sul fascismo firmato da Mussolini per l’Enciclopedia Treccani fu scritto o venne fondamentalmente ispirato da Giovanni Gentile, ma rifletteva una nozione tardo-hegeliana dello “stato etico e assoluto” che Mussolini non realizzò mai completamente. Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto. In anni successivi, nei suoi discorsi Mussolini citava sempre il nome di Dio e non disdegnava di farsi chiamare “l’uomo della Provvidenza”. Si può dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire.
[…] Non serve dire che il fascismo conteneva in sé tutti gli elementi dei totalitarismi successivi, per così dire, “in stato quintessenziale”. Al contrario, il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo “fuzzy”. Il fascismo non era una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla Chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario, ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori che si aspettavano una controrivoluzione. Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent’anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a un “duce” di tirare avanti sottobraccio a un “re” cui offerse anche il titolo di “imperatore”. Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l’aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica “sociale”, riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine.
[…] Il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola. A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l`Ur-Fascismo, o il “fascismo eterno”. Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.
La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. […] Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo. Sia i fascisti che i nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali. Tuttavia, sebbene il nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della modernità era solo l’aspetto superficiale di una ideologia basata sul “sangue” e la “terra” (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L’illuminismo, l’età della Ragione vengono visti come l’inizio della depravazione moderna.
[…] Perciò la cultura è sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici…. Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell’accusare la cultura moderna e l’intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.
[…] L’UrFascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L’Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.
L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l’appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo, in cui i vecchi “proletari” stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio.
A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E questa l’origine del `nazionalismo’. Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall’interno: gli ebrei sono di solito l’obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori.
[…] L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L’Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un “elitismo popolare”. Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un “dominatore”. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa.
In questa prospettiva, ciascuno è educato per diventare un eroe. In ogni mitologia l’eroe è un essere eccezionale, ma nell’ideologia Ur-Fascista l’eroismo è la norma. Questo culto dell’eroismo è strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era: “Viva la muerte!” Alla gente normale si dice che la morte è spiacevole ma bisogna affrontarla con dignità; ai credenti si dice che è un modo doloroso per raggiungere una felicità soprannaturale. L’eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L’eroe UrFascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.
Dal momento che sia la guerra permanente sia l’eroismo sono giochi difficili da giocare, l’UrFascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. È questa l’origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all’omosessualità). Dal momento che anche il sesso è un fioco difficile da giocare, l’eroe UrFascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.
L’Ur-Fascismo si basa su un “populismo qualitativo”: In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l’insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l’UrFascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il “popolo” è concepito come una qualità, un’entità monolitica che esprime la “volontà comune”. Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”. A ragione del suo populismo qualitativo.
[…] Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la “voce del popolo”, possiamo sentire l’odore di Ur-Fascismo.

[…] L’Ur-Fascismo parla la “neolingua”. La “neolingua” venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell’Ingsoc, il Socialismo Inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow.
[…] L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme, ogni giorno, in ogni parte del mondo

(Umberto Eco. “Il fascismo eterno”. 1995)

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BELLO CIAO!

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , on 19 aprile 2020 by Sendivogius

Ed eccolo puntuale tutti gli anni, come un malanno passeggero di stagione a regolare cadenza ciclica, l’immancabile Ignazio Benito Maria La Russa, il caricaturale Lucifer in versione fascio-sovranista, ad aprire le consuete danze di fuoco contro la celebrazione della Festa di Liberazione dal nazi-fascismo, che giustamente (e per sacrosanto anti-corpo democratico) provoca le convulsioni biliari dei diretti interessati, i nazi-fascisti appunto, che trovano da sempre molto ‘divisivo’ il fatto che per 75 anni (e un’amnistia totale sui crimini di guerra) l’odiata democrazia repubblicana e parlamentare abbia permesso loro di scorrazzare impunemente, e ammorbarci con le loro puzzette nostalgiche, fino a raggiungere le più prestigiose cariche di governo in quella repubblica che si vorrebbe “antifascista” (risate in sottofondo!).

Sono quelli che se sentono cantare un “Bella Ciao” rischiano un attacco di orticaria, su reazione allergica da ascesso democratico.

Benito La Russa è stato il primo ad inaugurare la nefasta stagione dei travestiti in politica, quando improvvidamente fu nominato ministro della guerra e gli fu data la possibilità di giocare con soldatini veri, passando dalla camicia nera alle casacche militari, nell’immarcescibile fascismo della divisa. Ed è curioso notare come a questa macchietta folkloristica da fiera di Predappio, coi suoi contriti camerati implotonati nei manipoli dei Fascisti d’Italia della sora Meloni, sfugga il paradosso che proprio in nome di quell’aborrito anti-fascismo si sia permesso ad un fascista dichiarato come lui di diventare vicepresidente del Senato della Repubblica (non della Camera dei Fasci e delle Corporazioni) a nome di un partito politico apertamente fascista, peraltro in copiosa compagnia tra camerati di merende e giornaletti apologetici (che il Mascellone tira sempre tra i necrofili di genere)…
Ah no, scusate! Non sono loro ad essere fascisti. È la Liberazione che è divisiva.
Da qui, non riuscendone comunque ad estirpare la memoria, l’ultima eccezionale trovata: listiamo i tricolori a lutto… con la squallida paraculata di tirarci dentro i morti del Covid-19 (monumento all’efficienza della Sanità lombarda a marchio leghista). Ma in fondo non è da sempre il 25 Aprile considerato giorno di lutto nazionale per ogni camerata, orfano dell’insaccato appeso a stagionare in Piazzale Loreto?!
Non potendo (ancora) ripristinare le celebrazioni littorie della Marcia su Roma, facciamo dunque del 25 Aprile una doppia edizione del 4 Novembre (Giornata delle Forze Armate), con quelle parate in costume d’epoca che piacciono tanto a quei feticisti dell’uniforme, dal braccino teso con scatto a molla.

E cantiamo tutti insieme la modernissima “Canzone del Piave”, che ha il doppio pregio di essere tutta dedicata alla minaccia incombente di invasori stranieri da annientare, e soprattutto di essere stata (seppur per un breve periodo) l’inno nazionale della Repubblichetta collaborazionista di Salò (altro paradosso di una canzonetta interamente incentrata contro l’invasore germanico), “che da sempre le Forze armate dedicano ai caduti di ogni guerra”, nell’ammiccante esaltazione retorica della guerra come epica eroica:

L’esercito marciava
Per raggiunger la frontiera
Per far contro il nemico una barriera…
E come i fanti combatteron l’onde…
Rosso di sangue del nemico altero,
Il Piave comandò:
Indietro va’, straniero!

La canzoncina è bellina… orecchiabile… contiene riferimenti storici dei quali gli italiani non sanno un cazzo. “Patrioti” de ‘noantri fasci inclusi.
Col suo retrogusto vintage, si canta bene, sulla falsariga di altri immarcescibili successi d’antan, tipo: “Parlami d’amore Mariù” “Voglio vivere così” oppure “Mamma la mia canzone vola”
Ma a ‘sto punto, perché non tirare fuori pure Giovinezza tra i cimeli del grammofono?!?
Che poi diciamocela francamente, nemmeno a noi piace “Bella Ciao”!
Personalmente, chi scrive la trova melensa, remissiva, persino reticente. La scelta di eleggerla a canto ufficiale della Resistenza è stata una decisione postuma, di compromesso, al posto di quello che invece ne era stato il vero inno e che noi infinitamente preferiamo: Fischia il vento

«Quale canzone potevano opporre, con un minimo di parità, a quel travolgente e loro proprio canto rosso? Essi hanno una canzone, e basta. Noi ne abbiamo troppe e nessuna. Quella loro canzone è tremenda. É una vera e propria arma contro i fascisti che noi, dobbiamo ammettere, non abbiamo nella nostra armeria. Fa impazzire i fascisti, mi dicono, a solo sentirla. Se la cantasse un neonato l’ammazzerebbero col cannone.»

Beppe Fenoglio
“Il partigiano Johnny”
Einaudi, 1968

Così, giusto per fare un po’ di chiarezza. Poi vabbé, ci si accontenta…

“Bella ciao (per tutti)”

«Più puntuale di qualunque virus stagionale (absit iniuria virus), riecco i sintomi annuali della SIA, Sindrome da Insofferenza per il 25 Aprile. Li riconosciamo da anni, e sono sempre gli stessi: di solito all’inizio di aprile, quando si diffondono le allergie stagionali, dai banchi della destra cominciano gli anatemi, gli eritemi, le convulsioni, gli attacchi di Dispnea Costituzionale, gli starnuti esplosivi (e stando sempre col braccio teso diventa difficile starnutire nel gomito), nei casi più gravi il delirium tremens che, come tutti i deliri, porta a confondere la realtà con la fantasia e la storia con la propaganda.
Pare che gli affetti da SIA perdano la capacità di distinguere le cose, per esempio le vittime del nazifascismo dai carnefici; i partigiani dai manganellatori; la resistenza dalla dittatura e, più in generale, l’antifascismo dal fascismo. E la loro accusa principale, confusi come sono, è sempre la stessa, negli anni: il 25 aprile è “divisivo”.
In effetti, poche cose come il 25 aprile sono capaci di fare chiarezza e collocare le cose al loro posto: dentro o fuori la Costituzione, dentro o fuori il fascismo, dentro o fuori la libertà.
Quella libertà che – è il magnifico paradosso della libertà – garantisce a chiunque di dire la sua, anche quando dice una castroneria, anche quando attacca proprio la libertà, i suoi presupporti e chi ha lottato per ristabilirla e preservarla, perché la libertà, per sua natura, non è divisiva.
Così ogni anno gli affetti da SIA tornano con la loro sintomatologia illiberale a cianciare contro il 25 aprile, e la sua atmosfera di festa che per loro, associata alla liberazione dal fascismo, diventa particolarmente insostenibile.
Tanto che quest’anno si sono spinti persino oltre, dal momento che mai finora è riuscito loro di annullare o eradicare il 25 aprile – nemmeno negli anni d’oro della destra berlusconiana, nemmeno attraverso le peggiori sottovalutazioni istituzionali. Il prode Ignazio La Russa ci riprova quest’anno, con una proposta quantomeno ingegnosa: ma trasformiamolo, questo 25 aprile così ingombrante di cui non siamo mai riusciti a sbarazzarci. Ideona: facciamone una giornata di ricordo per i caduti di tutte le guerre (tutte tutte? Pure quelle di “conquista” oltremare? Pure quelle di resistenza alla resistenza?), aggiungiamoci i caduti nella guerra al coronavirus (tutti tutti? Pure quelli che magari potevano essere evitati in alcune zone, magari con altre gestioni?) e sostituiamo “Bella ciao” con “La canzone del Piave”.
Peccato che il 25 aprile sia una festa, e segnatamente una festa di rinascita e liberazione. Peccato che il 25 aprile già celebri i caduti, quelli che sono caduti perché ci potesse essere una liberazione da celebrare con una grande, unica festa. Che per comodità chiamiamo 25 aprile, e celebriamo il 25 aprile, cantando magari quella canzone che è universalmente ormai un inno di libertà conquistata, ma che sentiamo vera tutto il resto dell’anno.
No, caro La Russa, non ci convincerai mai a listare a lutto la bandiera, il 25 aprile. E’ il giorno in cui la bandiera si sventola, e sorridendo, persino in un anno luttuoso come questo.
Sai, la Costituzione antifascista e nata dalla Resistenza, malgrado gli sforzi di tanti “camerati”, non sarà mai asintomatica.
Bella ciao a tutti

  Manginobrioches
  (19/04/2020)

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La LIBERAZIONE in pillole

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , on 25 aprile 2019 by Sendivogius

Due paroline semplici, semplici, sul 25 Aprile… Di quelle intelligibili a chiunque, in tempi di semplificazione estrema e pensierini minimalisti…
Il 25 Aprile si festeggia (poi ognuno sceglie modalità e luoghi) la Liberazione dal nazi-fascismo, con la fine della seconda guerra mondiale. Fine.
Sai quella roba tipo campi di concentramento, dittatura, soppressione delle libertà civili, sterminio degli ebrei e di ogni minoranza possibile, esaltazione della violenza, odio razziale e massacri di massa?!?
Poi ci sarà sempre ‘qualcuno’ che ti dirà che sono tutte calunnie messe in giro ad arte dai vincitori, perché il fascismo (e pure il nazismo) ha fatto tante cose buone… E non ne dubitiamo! Anche Jack lo squartatore avrà aiutato qualche vecchietta ad attraversare la strada; una carezza ad un bambino l’avrà pure data almeno una volta in vita sua.
E pazienza se poi la sua sana misoginia, in linea con lo spirito dei tempi, contro il degrado morale e spirituale della nazione, sia incorsa in qualche “eccesso”… L’ideologia di fondo che ne ispirava le azioni non era poi così cattiva.
Ora, dicevamo: il 25 Aprile si celebra la Liberazione dal nazi-fascismo. Lo fanno in tutta Europa, e generalmente nel mondo più o meno libero, senza troppi clamori né polemiche. Ma solo da noi in Italia, che pure il fascismo lo abbiamo inventato (e qualche prudente pudore dovremmo averlo), sistematicamente e strumentalmente, ogni anno la Festa di Liberazione diventa oggetto di polemiche più o meno “revisionistiche” (e quasi sempre nostalgiche del regime che fu).
E allora ripetiamo insieme: il 25 Aprile si celebra la Liberazione dal nazi-fascismo. Non è la festa della “sinistra”, o degli odiati “comunisti”… Questi sono solo alibi di comodo, tanto servono a rassicurare il cosiddetto “centrodestra” nostrano che il 25 Aprile non lo ama di certo e non l’ha festeggiato mai. E quindi spende il suo tempo a denigrare ed irridere chi invece lo fa, berciando con quei nazifascisti verso i quali da sempre è compiacente, se non collaterale. “No, perché i partigiani…” invece le truppe della Wehrmacht e delle Waffen SS, con le brigate nere al seguito, dispensavano coccole e bacini.

La Destra propriamente detta, ‘fascista’ lo è stata sempre e senza reticenze. A quel mondo non strizza l’occhio, ci si riconosce proprio. Ma adesso non divaghiamo..!
Detto in breve, se non ti piace la festa della Liberazione dal nazi-fascismo, evidentemente è perché ti piacciono i nazifascisti.
Che sarà pure una definizione semplicistica e riduttiva, ma la sostanza è quella. Sic et simpliciter!
Perché a forza di citare Voltaire a cazzo e soprattutto negare la persistenza sotterranea del fascismo, quindi ripetere quanto fosse obsoleto l’antifascismo, sdoganando il primo e condannando il secondo, i nazifascisti coi loro fiancheggiatori ce li ritroviamo dritti al governo, in salute come non mai, senza che nessuno se ne faccia scandalo. In fondo, al netto della fuffa giustificazionista che pure va di gran moda, il processo era già in maturazione da tempo, con le sue manifestazioni liquidate ad espressioni goliardiche. Oggi si usa dire così, forse perché gli aspiranti ducetti (che non mancano) amano travestirsi da pagliacci.
Perché dunque al sedicente “centrodestra” italiano la Festa della Liberazione non piace?
Semplice: perché la maggior parte dei suoi esponenti appartiene o proviene da quella stessa galassia fascista, che poi è da sempre il bacino elettorale preferito di riferimento. E soprattutto perché la Resistenza, e di conseguenza la Lotta di Liberazione dal nazifascismo, ricorda ad una larga zona grigia del paese “l’ignavia, la vigliaccheria, e la complicità dei molti che col regime scesero a patti, ottennero favori, e nel momento del maggior bisogno rimasero alla finestra in attesa di accordarsi col vincitore” (e ci si perdoni l’autocitazionismo: repetita iuvant), contro il coraggio di quei pochi che decisero di non restare a guardare, imboscati nel loro pavido attendismo di comodo.
Ci sono molti modi di essere “anti-fascista” (e in una democrazia l’antifascismo dovrebbe essere introiettato come elemento naturale del suo esistere). Ma tra fascismo e antifascismo, al netto delle retoriche, o si sceglie l’uno o l’altro. Tertium non datur.
Semplice, no?!

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R-ESISTERE

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 aprile 2013 by Sendivogius

Konachan.com - clouds dark forest green

Per una atroce ironia del caso, capita di dover celebrare le ricorrenze del 25 Aprile, in concomitanza con la prossima formazione di quello che si preannuncia, qualora dovesse davvero prendere vita, come il più orripilante esecutivo mai defecato prima dagli sfinteri parlamentari del peggior trasformismo consociativo.
E, dinanzi ad un simile orrore, ci sarebbe quasi da chiedere se la Festa della Liberazione abbia ancora un senso, così vergognosamente tradita nell’essenza stessa della sua identità storica e nel suo valore morale, da un ‘gabinetto’ (o latrina?) che probabilmente verrà ricordato come la più grottesca e oscena ammucchiata mai vista in tutta la storia della Repubblica.
Poco importa se la costituzione del più democristiano dei governi (a 20 anni dalla scomparsa della DC), sancisca nei fatti l’atto di morte dell’insulso partito bestemmia: aborto politico, nato già morto e mai tumulato in una estenuante veglia funebre. Il fetore di questa carogna in decomposizione avanzata ha raggiunto ormai livelli insopportabili.
Giustizia e Libertà Servirà molto di più di uno scatto d’orgoglio collettivo per risalire dal fondo di una simile infamia…
E, paradossalmente, proprio i valori della Resistenza possono fornire quel modello ideale e quell’esempio di coraggio (quando tutto sembrava perduto) per ritrovare la dignità calpestata nel nome di una nuova Liberazione.
C’è chi, giustamente, dalle pagine di Libertà e Giustizia, ha gridato al tradimento, sfiorando però il necrologio…

25 aprile tradito

«25 aprile 2013: difficile festeggiare, oggi che sentiamo, dentro di noi, la consapevolezza di averla tradita quella giornata del nostro riscatto. Comunque andranno a finire le cose, chiunque saranno i ministri di questo governo, rimane il fatto che una parte, quella che credevamo essere anche la nostra o almeno lo era di tanti italiani, oggi è al governo con italiani avvezzi a irridere la Liberazione (volevano addirittura abolirla come festa di tutti gli italiani o cambiarle il nome), a sostenere che Mussolini e il fascismo non furono poi così male, a stravolgere la nostra Costituzione inseguendo una Repubblica presidenziale che non è la nostra. Scompariranno dal sacro testo le firme di De Nicola, Terracini e De Gasperi, sostituite da quelle di chissà chi, magari di Gaetano Quagliarello e Silvio Berlusconi.
Questa è la posta in gioco.
Questo vuole il Pdl vincitore non delle elezioni, ma del dopo elezioni, e verso questo risultato siamo incamminati, dopo l’orrenda prova che ha dato il Parlamento di non essere in grado di eleggere un Capo dello Stato. A dir la verità si è deciso molto in fretta che nessun altri sarebbe stato eletto se non Giorgio Napolitano.
Oggi è amaro ripensare a tutto questo, a una politica e a dei partiti incapaci di governare e di lavorare con dignità e onore per il bene degli italiani.
Oggi è dunque difficile festeggiare: ci sentiamo tutti un po’ complici del tradimento, anche chi si è opposto in questi anni; anche noi che non abbiamo saputo evitare il ritorno di Berlusconi.
Ripenso a Ennio Flaiano e a quello che scrisse alla figlia appena nata il 25 luglio del ’43: “Un giorno tu ti sorprenderai quando ti racconteranno quello che si è sofferto in ventun anni di miseria morale. Non vorrai crederci e forse ci rimproverai dicendo: perché non l’avete cacciato prima?… non sappiamo quel che l’avvenire ci riserva. Ma una cosa è certa: che Dio s’è svegliato. Il piffero di Manet suona per te e per noi la dolce canzoncina della Libertà. Suonala in eterno, Piffero!”.
E mi viene da piangere.»

 Sandra Bonsanti
(Libertà e Giustizia – 24/03/13)

25aprile

….Ma a noi le lacrime piacciono assai poco e ancor meno la commiserazione rassegnata che deprime l’azione e prosciuga le forze, in nome di una “normalizzazione” che è sottomissione di coloro che, oltre allo spirito combattivo, rischiano di smarrire anche il proprio orgoglio.
A noi, amanti delle cause perse, piacciono le battaglie soprattutto se sembrano impari, giacché la sconfitta è certa solo per chi rinuncia alla difesa dei propri ideali.

13 ASSASSINS

Di fronte ad una disgrazia non è sufficiente rimanere calmi. Quando sopraggiunge la sventura, il samurai deve rallegrarsene e andare avanti con coraggio. Un’attitudine simile differisce radicalmente dalla rassegnazione.

Hagakure (I, 116)

Al contempo, sarà bene ricordare come siamo potuti arrivare a tanto…
Questa che riportiamo è una delle analisi migliori sulla quale meditare per non dimenticare le cause ed i responsabili:

Hellblazer - Pandemonium “Cronistoria di un disastro

«Benché i colpi di scena, veri o apparenti, incalzino, vorrei ricapitolare che cosa (mi pare) è successo.
Vinte nettamente le primarie, Bersani ha fatto una campagna attendista. Era convinto che il successo fosse già nel sacco. Ci teneva come all’occasione culminante della sua vicenda militante, e si proponeva di usare la vittoria per rinnovare fortemente la composizione del Pd e per cimentarsi con un governo che rompesse col feticcio dell’austerità.
Dopo la delusione elettorale, ha investito sulla propria debolezza per stanare la demagogia grillista: ottenerne una collaborazione, o svelarne il nullismo.
Bersani aveva un punto fermo: nessun accordo di governo con il Pdl. Attorno a lui si moltiplicavano i dissensi, malcelati e via via più trasparenti. Avrebbe potuto rinunciare alla candidatura al governo: ci si può chiedere se ci fossero altri accreditati e risoluti altrettanto a non trattare del governo con Berlusconi.
PBersaniLa resistenza di Bersani (tenace oltre ogni previsione, e non spiegabile con una disperata ambizione personale) aveva una sola prospettiva: che Napolitano lo mandasse alle Camere. Lì, se non un calcolo politico, il dolore sentitissimo di tanta parte, e trasversale, dei nuovi eletti per l’eventualità di tornarsene a casa, avrebbe potuto dargli una striminzita e caduca fiducia, di cui però avrebbe potuto approfittare per prendere tre o quattro iniziative radicali, a cominciare dalla legge elettorale. Se fosse stato sfiduciato, avrebbe potuto guidare un governo provvisorio per l’elezione al Quirinale e la successiva campagna elettorale anticipata. Napolitano non ne ha voluto sapere: aveva le sue ragioni, ma sia lui che i numerosi esponenti del Pd che mordevano il freno e davano segni di impazienza crescente nei confronti di Bersani e della “perdita di tempo”, rivendicavano di fatto (guardandosi dal dirlo, nella maggior parte dei casi) un accordo di governo con il Pdl.
Bersani ha tenuto duro a oltranza, posponendo la questione del governo alla rielezione al Quirinale, così da ammorbidire l’esclusione del Pdl grazie alla distinzione fra governo e Presidenza della Repubblica, quest’ultima costituzionalmente orientata alla più vasta condivisione.
Ha qui fatto due o tre errori fatali: ha creduto che quella distinzione fosse chiara; ha ritenuto che fosse convincente per la base e l’elettorato di sinistra; si è illuso che il notabilato del Pd lo seguisse. Soprattutto, non ha formulato pubblicamente il nome o i nomi dei candidati che il Pd avrebbe proposto a tutte le altre forze politiche.
Così, mentre un nome degno come quello di Marini passava per scelto da Berlusconi, Grillo candidava Rodotà, persona esemplare per uno schieramento di sinistra dei diritti civili e dei movimenti. I 5Stelle erano fino a quel punto piuttosto nell’angolo, essendo evidente come il loro compiaciuto infantilismo settario (oltre che l’insipienza dei loro portavoce) facesse dissipare un’inverosimile opportunità di riforme e regalasse al centrodestra una forza di ricatto insperata. Del disastro della notte e del giorno di Marini (che non lo meritava) inutile ripetere: Bersani ne è uscito, dopo 50 giorni di resistenza catoniana, come un inciucista finalmente smascherato. (Ve li ricordate, dal primo giorno, i titoli “da sinistra” sull’inciucio avvenuto?).
Avrebbe potuto il Pd aderire alla candidatura di Rodotà, come tanti hanno auspicato? Forse: sarebbe stata una capitolazione nei confronti dei 5Stelle, che in Rodotà avevano visto soprattutto una ghiotta occasione per imbarazzare il Pd, ma cedere a una pretesa strumentale e arrogante può non essere un errore. Lo considererei più nettamente tale se Rodotà avesse risposto all’offerta della candidatura dichiarando che l’avrebbe accettata solo nel caso che fosse di tutta Stefano Rodotàla sinistra: Scalfari ha fatto un’osservazione simile. I 5Stelle hanno sventolato il nome di Rodotà come una loro stretta bandiera, e al tempo stesso l’hanno proclamato come il candidato di tutti gli italiani contro quelli del Palazzo. Gli italiani avevano moltissimi altri candidati degni, per fortuna, e le stesse consultazioni varie lo mostravano (com’è noto, Emma Bonino era la preferita: è diventato un tic, gli italiani ce l’hanno, i politici non ci fanno più caso). La postuma pubblicazione di voti e preferenze delle cosiddette (pessimamente) quirinarie, hanno aggiunto un tocco di ridicolo al tono grillista. Bene: quando si sbaglia, specialmente se in buonissima fede, è buona norma di lasciar perdere, pena la valanga.
La candidatura brusca di Prodi – meritevolissima – è stata la toppa peggiore del buco. E ha mostrato come il Pd non abbia, come si dice, “due anime”, ma forse nemmeno una, e invece una quantità di cordate e bande, tenute assieme da altro che le divergenze politiche. Le convinzioni politiche sono la cosa più importante in un partito che aspira, come si dice, a cambiare il mondo, tranne un’altra: l’amicizia fra i suoi membri e i suoi militanti.
Per questo la scissione è forse un pericolo, ma non una cosa seria: la frantumazione sì. Sarebbe bene che ne tenesse conto chiunque si proponga davvero di “rifondare” (verbo inquietante) il Pd, e sia tentato da escursioni minoritarie. Eravamo al punto in cui il Pd, in stato del tutto confusionario, era a rimorchio della demagogia a 5Stelle da una parte – e di sue piazze scandalizzate e scandalose – della furbizia di Berlusconi dall’altra. L’elezione di Napolitano (una pazzia, in un mondo normale: un uomo molto vecchio che si era finalmente preparato uno scampolo di esistenza privata) è stata un escamotage provvidenziale: il suo effetto, quel governo delle “larghe intese” che si voleva escludere a priori, è il boccone più indigesto. È, amara ironia, il rovescio della distinzione cui Bersani aveva confidato la sua ostinazione, fra governo mai col Pdl e Quirinale condiviso: Quirinale confermato, e governo condiviso, a capo chino.
I 5Stelle? Le mosse furbe hanno gambe corte. I portavoce hanno spiegato che i voti in Friuli-Venezia Giulia sono quelli normali nelle regioni. Però il capo aveva annunciato che sarebbe stata la prima regione in loro mani. Credo che le persone che li avevano votati e hanno sentito sprecato il loro voto siano molte. Il bilancio provvisorio, con 5Stelle e Pd in caduta, e il Pdl in ascesa, è un capolavoro.
Propaganda anti-semita nella Germania pre-nazista e Propaganda 5 Stelle oggiVorrei aggiungere una cosa. Ci sono molti aspetti della situazione attuale che ricordano, ben più del precedente di Mani Pulite, quello remoto del primo dopoguerra, quasi cent’anni fa. Non c’era, nello scontro frontale fra sovversivi diciannovisti ed eversori fascisti una distinzione così netta di sinistra e destra. Le file del fascismo movimento erano piene di ex-socialisti, interventisti rivoluzionari, sindacalisti soreliani, massimalisti di ogni genere. Non era così chiaro, e a distanza di tanti anni fu penoso per tanti chiedersi da che parte erano stati, e perché, e come fosse stato possibile. A suo modo, e con una gran dose di autoindulgenza, Grillo evoca questa ambiguità quando ripete che il suo movimento è l’argine italiano all’Alba dorata greca o al lepenismo e alle altre insorgenze neonaziste in Europa. Il programma dei 5Stelle contiene molti obiettivi buoni per una sinistra della conversione ecologica, e anzi da quest’ultima pensati e proposti da lungo tempo.
La differenza sta altrove, nel Vaffanculo, nei Morti che camminano, nel Tutti a casa. La differenza fra il federalismo verde e aperto di Alex Langer e il razzista federalismo leghista passava dalle imprecazioni di Bossi e dei suoi. I buoni programmi smettono di essere minoritari e vincono quando vengono distorti e incattiviti dalla demagogia. “La gente” non ha infinite ragioni alla sua ribellione contro i privilegi e l’impudenza dei potenti? Certo. Ma che i parlamentari escano da Montecitorio da una porta secondaria – se è andata così – è un episodio di violenza e di viltà vergognose. A proposito del 25 aprile.»

 Adriano Sofri
 (La Repubblica – 25/04/13)

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PERSISTENZE

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , on 25 aprile 2012 by Sendivogius

«Il fascismo si radica nel sottosuolo italiano, esprime i vizi profondi, le debolezze latenti, le miserie del nostro popolo, del nostro intero popolo.
Non bisogna credere che Mussolini abbia trionfato solo per forza bruta. Se egli ha trionfato è anche perché ha saputo toccare sapientemente certi tasti, ai quali la psicologia media degli italiani era straordinariamente sensibile. In una certa misura il fascismo è stato l’autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto della unanimità, che fugge l’eresia, che sogna il trionfo del facile, della fiducia, dell’entusiasmo. Lottare contro il fascismo non significa dunque lottare solo contro una reazione di classe feroce e cieca, ma anche contro una certa mentalità, una sensibilità, contro delle tradizioni che sono patrimonio, purtroppo inconsapevole, di larghe correnti popolari»

  Carlo Rosselli
Socialismo liberale
Parigi, 1930.

Il fascismo mussoliniano, in tutta la sua specifica complessità, costituisce un’unicità storica non ripetibile; a meno che non si reputi attuale il suo armamentario scenico di gagliardetti, labari e camicie nere. Tuttavia, nella eterogeneità poliedrica del fenomeno, il fascismo è destinato a rimanere immanente nella società, fermentando nelle sue pieghe più profonde, tanto da riproporsi in forme sempre nuove, riadattandosi in funzione del tempo presente. E, nella propria pervasività, costituisce una presenza persistente, paradossalmente deprivata della sua componente più specifica (il corporativismo sociale), ma intatto nella sua essenza.
La Memoria, nella conservazione del ricordo, è il suo peggior nemico.
La pusillanimità delle anime belle e l’indifferenza dei semplici il suo miglior alleato.
Annegata nella stucchevole retorica istituzionale di formalismi celebrativi sempre più svuotati di significato, la ricorrenza del 25 Aprile rischia di sprofondare nella melassa che straborda come non mai dalle stanze del Quirinale consacrate alla nuova Concordia Ordinum, nella rimozione di ogni forma di conflitto. In un clima cloroformizzato, è il trionfo della pax napolitana dove tutto sfuma, ammuffendo in un tempo immobile, sospeso in un limbo immemore per esistenze che vegetano prive di scopo…  Un non-luogo in naftalina dove responsabilità e ricordo vengono diluite nelle ipocrisie rituali della grande conciliazione nazionale ritrovata. E poco importa se l’oblio è il prezzo da pagare.
Lontano dalle stanze del potere, dai palchi delle celebrazioni ufficiali, oggi più che mai serve una nuova resistenza, ferma nell’intransigente vigilanza antifascista. Senza ammiccamenti né indulgenze.
Resistenza contro lo strapotere dei nuovi tecnoburocrati del capitale finanziario; contro i privilegi delle camarille corporative; contro le rinvigorite oligarchie timocratiche e la divinizzazione dei mercati.
Resistenza ad oltranza, senza compromessi né spazio per ipocrisie.

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MATERIALE RESISTENTE

Posted in Kulturkampf, Roma mon amour with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 aprile 2009 by Sendivogius

 

C’era una volta il 25 Aprile…

 

vauro-25-aprile-2009Annegata nei fiumi della retorica istituzionale, irrisa dagli eredi della RSI al governo e platealmente snobbata dal ducetto di Arcore, quella del 25 Aprile 2009 sarà una strana Festa della Liberazione dove non si parlerà di ‘Resistenza’ e, soprattutto, non si pronuncerà mai la parola ANTIFASCISMO. Sarà la celebrazione dei “vincitori e dei vinti”, “delle ragioni condivise”, “della libertà”: un’orgia bipartisan nell’alcova del negazionismo revisionista, in nome della ritrovata “concordia nazionale”. In pratica, si consumerà una non-festa svuotata di senso e di ideali, manipolata per esigenze di ritorno elettorale, con l’ennesima passerella abruzzese del premier in cerca di consensi. L’ascesa al Colle di Re Silvio val bene l’adesione ad almeno un 25 Aprile, dopo 14 anni di assenza. 

E siccome nessuna ‘ascesa’ è irresistibile, in questa ricorrenza celebreremo quegli eroi sconosciuti che al fascismo si opposero prima che questo diventasse regime. Uomini liberi che combatterono (e morirono), in totale solitudine, tra l’ostilità istituzionale di coloro che dell’antifascismo fecero una professione rituale, piuttosto che una militanza attiva.

Pertanto, tracciare una breve storia dello spontaneismo militante e dei movimenti che si opposero al fascismo al suo nascere è un lavoro complesso che, speriamo, non deluderà quei lettori eventualmente interessati ad una sintesi d’insieme.

 

Le prime organizzazioni antifasciste

Dopo la grande mobilitazione popolare del 1919-1920 e l’inconcludente sbornia collettiva del cosiddetto Biennio Rosso, si scatena la reazione di agrari e industriali coagulati attorno al nascente movimento fascista, che agisce in maniera capillare dai piccoli centri alle grandi città. Con l’intensificarsi dello squadrismo, nel primo semestre del 1921 si registrano 726 distruzioni operate dalle squadre fasciste: 17 giornali e tipografie, 59 case del popolo, 119 camere del lavoro, 107 cooperative, 83 leghe contadine, 8 società di mutuo soccorso, 141 sezioni socialiste, 100 circoli di cultura, 10 biblioteche, 28 centri sindacali, 53 circoli operai ricreativi, una università popolare. A questo si aggiungono intimidazioni, pestaggi e uccisioni, ai danni di sindacalisti, militanti di sinistra ed esponenti socialisti, nella sostanziale indifferenza del governo liberale e delle forze di polizia che, di fatto, tollerano lo squadrismo, quando non lo agevolano apertamente. Il Partito Socialista ed il Partito Repubblicano considerano il fascismo un fenomeno transitorio, come un’influenza di passaggio. Perciò scelgono una politica attendistica basata sulla resistenza passiva, confidando nell’intervento governativo e nel ripristino dell’ordine pubblico. E infatti la Regia Guardia e Reali Carabinieri intervengono eccome: nei quindici mesi conosciuti come “biennio rosso”, uccidono circa 150 operai e ne feriscono quasi 500 in modo grave. Forniscono armi e sostegno logistico ai fascisti, intervengono in loro aiuto quando questi sono messi in difficoltà dalla reazione popolare.

Per difendersi dalle violenze fasciste, nascono (soprattutto nel Centro-Nord) comitati di autodifesa su base spontanea, insieme alle prime “formazioni di difesa proletaria” legate alle posizioni politiche di partito, ma scarsamente efficaci in quanto prive di coordinamento e di appoggi concreti, nonostante molti degli appartenenti fossero reduci di guerra. I rapporti di forza cambiano notevolmente con l’entrata in scena degli “Arditi del Popolo”: uomini di comprovata esperienza militare, versati nell’uso delle armi e nelle tattiche di guerra. Si trattava spesso di ex militari pluridecorati e di ufficiali competenti, provenienti dai reparti d’assalto e da corpi scelti come gli Arditi: temprati dall’esperienza sul campo negli spietati fronti della “Grande Guerra” e specialisti in missioni impossibili.

Benché l’antifascismo – inteso sia come teorizzazione politica che come risposta militare – nasca quasi contemporaneamente alla comparsa dello squadrismo, le prime forme di resistenza al fascismo sono sicuramente meno note di quelle legate alle esperienze della guerra civile spagnola e della Resistenza. Nel secondo dopoguerra, l’antifascismo sconfitto degli Arditi del popolo è stato relegato ai margini della storiografia, benché dietro esso vi fossero le stesse ragioni fondanti della Resistenza. Tra le ragioni di questa parziale rimozione, vi possono essere quella delle origini e della natura della prima associazione antifascista (permeata da miti arditistico-dannunziani, successivamente fatti propri dal fascismo e, al contempo, attestata su posizioni genericamente rivoluzionarie) e quella della difficile autocritica degli attori di allora (dalle istituzioni alle forze politiche e sociali) le quali non compresero appieno la portata del fenomeno fascista e che, tranne qualche eccezione, ostacolarono la diffusione dell’antifascismo del 1921-22. Un antifascismo forse (e comunque solo per taluni aspetti) distante, per contenuti e forme, da quello istituzionalizzatosi nell’Italia repubblicana; ma pur sempre un antifascismo nel quale l’esperienza resistenziale e il movimento democratico sorto da essa trovano la loro origine.

[Fonte: romacivica.net/anpiroma. Il testo integrale lo avreste potute leggere qui. Coerentemente con il nuovo corso politico, al momento il sito risulta oscurato, pare, per intervento dello stesso Comune di Roma. Confidiamo in un rapido ripristino.]

 

ARDITI DEL POPOLO (1921-1922)

arditi-del-popolo “Essi furono il primo movimento antifascista, organizzato militarmente, che la nostra storia abbia conosciuto in quanto combatté duce e compari prima ancora che questi stessi prendessero il potere. Gli Arditi del Popolo, ovunque si sentisse puzza di imminenti aggressioni squadristiche, si piantavano lì arrabbiati e soli, dannatamente soli, pronti a spezzare il sopruso.

 [Gli Arditi del Popolo di A. Liparoto]

Gli Arditi del Popolo nascono tra il 27 Giugno e il 2 Luglio 1921 all’interno della sezione romana dell’Associazione Nazionale Arditi Italiani, in contrapposizione con la sede milanese schierata apertamente col fascismo. Il nuovo direttorio romano è guidato da Argo Secondari, anarchico, e da altri sottufficiali di idee libertarie, provenienti dalla sinistra interventista. Al fianco di Secondari si schierarono altri ex-arditi di diversa matrice politica: dannunziani, repubblicani, anarchici individualisti, motivati da un medesimo obiettivo: Fino a quando i fascisti continueranno a bruciare le case del popolo, case sacre ai lavoratori, fino a quando i fascisti assassineranno i fratelli operai, fino a quando continueranno la guerra fratricida gli Arditi d’Italia non potranno con loro aver nulla di comune. Un solco profondo di sangue e di macerie fumanti divide fascisti e Arditi.

[Dichiarazione di Argo Secondari all’assemblea degli Arditi del Popolo del 27 giugno 1921, riportata da “Umanità Nova” del 29 giugno 1921]

L’Associazione Nazionale Arditi d’Italia (A.N.A.I.), era stata costituita il 1° Gennaio 1919 da Mario Carli, un ex capitano degli Arditi, orientato su posizioni di sinistra e vicino ai futuristi di Marinetti: nel 1918 Carli aveva fondato il periodico Roma Futurista. L’A.N.A.I, creata da Carli, si proponeva come punto di riferimento per quei 40.000 ex Arditi che, da osannata truppa di elite durante il conflitto, erano diventati degli spiantati di difficile ricollocazione in tempo di pace. Uniti dal comune disprezzo dei reduci per gli “imboscati”, disgustati dal pacifismo socialista, molti ex arditi sono sensibili alle lusinghe del fascismo emergente. Nonostante l’assalto del 15 Aprile 1919 alla sede del quotidiano socialista L’Avanti! il connubio tra arditi è fascismo non è né scontanto né unanime. A tal proposito Carli, facendosi interprete dei malumori all’interno del movimento, si dissociava apertamente con un indignato articolo dal titolo inequivocabile: Arditi non gendarmi!  

Nel settembre del 1919 gli Arditi aderiscono in massa all’Impresa di Fiume. E nel 1920 anche Carli raggiunge Gabriele D’Annunzio, che intanto ha proclamato la Reggenza del Carnaro alla quale aderirono non pochi socialrivoluzionari. A Fiume, Guido Carli rappresenta la parte filobolscevica e, da esterno, appoggerà il nuovo movimento creato a Roma da Secondari, prima di convertirsi anche lui al fascismo.

Si trattava di una importantissima svolta nella storia degli arditi. Su forte impulso di Secondari si decideva infatti di virare la sezione romana in senso antifascista. L’imperativo categorico era proteggere le associazioni proletarie dagli attacchi degli squadristi.

 [Gli Arditi del Popolo di A. Liparoto]

argo-secondari-e-arditiArgo Secondari è un ex tenente delle “fiamme nere” (Arditi provenienti dalla fanteria), decorato con la medaglia d’argento al valor militare.

Nel 1919 ha cercato di promuovere una insurrezione anarchica  a Roma, con elementi repubblicani, nota come “Complotto di Pietralata”, insieme al ten. Ferrari ed al sergente maggiore Pierdominici.

Il 6 Luglio 1921, Secondari partecipa con i suoi Arditi del Popolo, circa 2000 reduci, alla manifestazione organizzata all’Orto Botanico di Roma dal “Comitato romano di difesa proletaria” contro lo squadrismo fascista.

 “La nuova associazione veniva inizialmente ben accolta dai cosiddetti partiti sovversivi (Partito socialista, Partito repubblicano, Partito comunista, Unione anarchica), oltre che dai sindacati di classe (Cgl e Usi), tanto che numerosi proletari e militanti antifascisti aderirono alla neonata formazione, nella speranza e con la determinazione di difendere le strutture del movimento operaio dalle sistematiche aggressioni compiute, con metodi paramilitari, dallo squadrismo fascista (…) Secondo un rapporto dello stesso prefetto di Roma, agli Arditi del Popolo si andavano iscrivendo numerosi simpatizzanti appartenenti ai vari partiti rivoluzionari, nonché lavoratori postelegrafonici facenti capo al comunista Cesare De Fabiani e molti fornaciai anarchici del quartiere di Porta Trionfale, dove abitava anche Errico Malatesta.”

[Marco Rossi. “Una storia romana: gli Arditi del Popolo”]

malatesta-con-gli-arditi_del_popoloConsiderando le sole sezioni la cui esistenza è certa, gli Arditi del Popolo contano, nell’estate del 1921, 144 sezioni con 20 mila aderenti circa: Lazio (12 sezioni, 3.340 associati), Toscana (18 sezioni, 3.056 iscritti), Umbria (16 sezioni, 2000 aderenti), Marche (12 strutture organizzate, circa 1000 iscritti), Lombardia (17 sezioni, più di 2.100 Arditi del popolo), nel Veneto e Friuli (15 nuclei, circa 2.200 militanti), Emilia Romagna (18 sezioni, 1.400 associati), Liguria (1080 associati, 4 battaglioni nella sola Genova), Piemonte (8 raggruppamenti, circa 1.300 aderenti), Trentino (1 sezione con 200 associati), Sicilia (7 sezioni, circa 600 aderenti), Campania (536 aderenti), Puglia (6 sezioni, circa 500 aderenti), Abruzzo e Calabria (1 sezione, circa 200 aderenti), Sardegna (2 sezioni, 150 iscritti). Insieme a simpatizzanti e sostenitori esterni, non iscritti, è possibile che l’organizzazione raggiungesse però le 50.000 unità.

Agli Arditi del Popolo aderiscono pure ferrovieri e operai delle ferrovie, metalmeccanici, braccianti agricoli e contadini, metalmeccanici, operai edili, operai dei cantieri navali, portuali e marittimi. “Ma vi sono anche, in misura minore e soprattutto tra i gruppi dirigenti, impiegati, pubblicisti, studenti, artigiani e qualche libero professionista”. Agli occhi dei ceti operai e dei lavoratori infatti gli Arditi del Popolo appaiono come l’unica organizzazione in grado di tutelarli con successo contro le violenze fasciste. E il movimento di Secondari si estende a macchia d’olio nelle varie città italiane, diventando un’organizzazione strutturata a livello nazionale nella quale confluiscono le precedenti formazioni di difesa proletaria, ripartite su base locale e politica:

§   Abbasso la legge: anarchici (Carrara) 

§   Gruppi Arditi Rossi, o semplicemente Arditi Rossi: socialisti, poi comunisti (Venezia Giulia) di Vittorio Ambrosini, capitano degli Arditi, vicino all’ambiente futurista, personaggio singolare che attraverserà lo scenario combattentistico di entrambi i conflitti mondiali, fonda con Giuseppe Bottai, Mario Carli, ed altri la “Associazione fra gli Arditi d’Italia” e segue Argo Secondari nella scissione che da vita agli Arditi del Popolo, dai quali Giuseppe Bottai prende le distanze.

§   Gruppi rivoluzionari di azione: anarchici e socialisti (Torino e centri industriali dintorni)

§   Guardie Rosse: socialisti, poi comunisti (Empoli, Torino, Alessandria e centri industriali dei dintorni) ad Empoli è importante il meccanismo di provocazione (poi ripetuto innumerevoli volte) messo in atto da organi istituzionali d’accordo con i fascisti; una forte formazione di Guardie Rosse agisce anche ad Imola in collaborazione con le formazioni antifasciste anarchiche

§   Squadre di azione antifascista: anarchici e comunisti (Livorno) 

§   Centurie proletarie: comunisti e socialisti (Torino)

§   Figli di nessuno: anarchici (Genova, Vercelli, Novara)

§   Lupi Rossi: socialisti (Genova)

Nel “Fronte unito nazionale degli Arditi del Popolo” militavano in comune sinergia:

§   Legione Arditi Proletari Filippo Corridoni (Legione Proletaria Filippo Corridoni): repubblicani, socialisti rivoluzionari, sindacalisti rivoluzionari (Parma)

§   Arditi Ferrovieri: fronte unito riconducibile al battaglione Arditi del Popolo (Milano e dintorni)

§   Centurie proletarie: fronte unito riconducibile a battaglione/i Arditi del Popolo (basso Friuli)

§   Ciclisti Rossi: socialisti, comunisti, anarchici fronte unito riconducibile a battaglione/i Arditi del Popolo (Cremona e provincia, Venezia Giulia)

§   Corpo di Difesa Operaia: fronte unito riconducibile a battaglione/i Arditi del Popolo (Torino e centri industriali dintorni)

§   Guardie Rosse Volanti: fronte unito riconducibile a battaglione/i Arditi del Popolo: comunisti e socialisti (Crema e dintorni)

§   Squadre Comuniste d’Azione: comunisti (Italia nord-occidentale)

§   Squadre Difesa Proletaria: anarchici e comunisti (Fermo)

§   Squadre Azione Repubblicana: repubblicani (Romagna, Marche; zone di intensa attività furono anche il Lazio, e specificatamente Roma: forte fu la presenza di tale organizzazione dopo la scissione avvenuta nella capitale fra gli Arditi ed avendo la città stessa una forte tradizione insurrezionale. Anche la zona di Bari, dove agiva Giuseppe Di Vittorio, in quanto pur essendo generalmente riportate le formazioni di difesa proletaria come Arditi del Popolo, nella realtà l’insieme dei combattenti antifascisti in quell’area era più complessa)

bandiera-arditi1 “Sotto il profilo tecnico-militare, gli Arditi del popolo sono una struttura militare agile, poichè devono essere capaci di convergere in poco tempo laddove si presuma possa avvenire un aggressione fascista. L’organizzazzione antifascista esercitava il suo controllo anche sotto forma di vera e propria milizia di quartiere, pattugliando il territorio e identificando gli elementi fascisti. Gli arditi del popolo erano strutturati in Battaglioni, a loro volta suddivisi in compagnie (altrimenti dette Centurie) e in squadre. Ogni squadra era composta da 10 elementi più il caposquadra, più battaglioni formavano una compagnia. L’addestramento dei partecipanti avveniva nelle campagne alle porte della città, oppure in montagna. Dal punto di vista organizzativo la struttura del movimento non è eccessivamente accentrata. Al primo congresso dell’associazione vengono nominati dei Direttorii dei Comitati Regionali (i quali esistevano solo sulla carta), ai quali sarà dato un ampio margine di autonomia. Nella pratica ogni sezione decide autonomamente il proprio lavoro. In alcune città, come Livorno ad esempio, accade che le varie compagnie di Arditi si raggruppino a seconda dell’orientamento politico.

L’adesione sostanzialmente libera, non vincolata dalle fedeltà di partito e dai rigori ideologici, insieme alla presenza di una forte componente anarchica, insospettisce le segreterie di partito che guardano con diffidenza al movimento, come ad uno sgradito concorrente. Nonostante gli esordi positivi, supportati dall’adesione di molti militanti, gli apparati di segreteria decidono quindi di isolare gli Arditi del Popolo, marcandone nettamente le distanze. Il primo a dissociarsi è il Partito Repubblicano, già dalla fine del Luglio 1921, anche se la sua struttura giovanile continuò a parteciparvi attivamente.

Il 2 agosto 1921, viene firmato il “Patto di Pacificazione” tra PSI, CGL e Fasci di Combattimento, subito disatteso da quest’ultimi. Col “Patto”, il governo Bonomi disarticola ogni possibile resistenza al fascismo, spezzando le prospettive di un fronte unitario. L’Italia liberale ha fatto la sua scelta di campo con le irreversibili conseguenze. Coerenze del ‘moderatismo’. Peggio di tutti fanno però i comunisti del neonato PCd’I che, oltre ad interdire ogni collaborazione, imbastiscono una campagna di stampa calunniosa: gli Arditi vengono definiti avventurieri e nittiani, considerati pericolosi perché non controllabili dal partito e “insufficientemente rivoluzionari”.

È deplorevole che in alcune province i comunisti si confondano ancora con i cosiddetti Arditi del Popolo. Ciò non deve continuare. È un errore politico e tecnico da cui deriveranno conseguenze morali e materiali deleterie!

[Comunicato direttivo del 7 Agosto 1921]

Nonostante la lucidità analitica di Antonio Gramsci che guarda che non estremo favore alle formazioni di autodifesa, il settarismo di Amedeo Bordiga non ammette alcuna deviazione eterodossa. Ma già dal 10 luglio del ’21, in merito ai gruppi di resistenza spontanea, il Comitato esecutivo aveva disposto perentoriamente: Poiché intanto sorgono in diversi centri italiani iniziative di tal genere da parte di elementi non dipendenti dal Partito comunista, si avvertono tutti i compagni di restare in attesa di disposizioni… I comunisti non possono né devono partecipare ad iniziative di tal natura provenienti da altri partiti o comunque sorte al di fuori del loro partito… La parola d’ordine del Partito comunista ai suoi aderenti e ai suoi seguaci è questa: formazione delle squadre comuniste, dirette dal Partito comunista…

Simili direttive contribuirono non poco a confondere i militanti di partito che pure continuarono, almeno in parte, a sostenere le formazioni spontanee contrapponendosi all’inerzia dei propri dirigenti.

Con l’eccezione del Lazio, del Veneto e della Federazione giovanile, per quanto riguarda i repubblicani, e del Parmense e di Bari, per sindacalisti rivoluzionari e legionari fiumani, le forze politiche della “sinistra interventista” si orientano quasi subito anch’esse verso soluzioni di autodifesa che escludono la confluenza o la collaborazione con gli Arditi del popolo. Anche queste formazioni preferiscono organizzare l’autodifesa a livello partitico, teorizzando, nella maggioranza dei casi, la perfetta equidistanza tra “antinazionali” (anarchici, socialisti e comunisti) e “reazionari” (fascisti, nazionalisti e liberal-conservatori). L’unica componente proletaria che sostiene apertamente l’arditismo popolare è quella libertaria. Un’area composita e numericamente consistente al cui interno vi sono anime tra loro assai diverse. In ogni caso, sia l’Unione sindacale italiana che l’Unione anarchica italiana sono, per tutto il biennio 1921-22, sostanzialmente favorevoli alla struttura paramilitare di autodifesa popolare. Dopo l’allineamento di Gramsci e de ‘L’Ordine nuovo’ alle direttive del partito, il quotidiano anarchico ‘Umanità Nova’ rimane infatti l’unica voce proletaria a perorare la causa degli Arditi del popolo.

[Fonte: romacivica.net/anpiroma]

A sostegno degli Arditi del Popolo, rimangono perciò l’Unione anarchica italiana così come il resto del movimento libertario, la sinistra repubblicana, l’Unione sindacale italiana e lo SFI, il sindacato dei ferrovieri, nonché un elevato numero di proletari senza partito e sovversivi di ogni tendenza in disaccordo con i propri dirigenti. Eppure gli Arditi del Popolo combattono, resistono e vincono: a Sarzana, a Viterbo, a Parma che nell’agosto 1922 respinge l’assalto degli squadristi comandati da Italo Balbo. Proprio il futuro quadrumviro annoterà amaramente: “Parma è rimasta impermeabile al fascismo”.

E forse gli Arditi del Popolo avrebbero davvero potuto fermare il fascismo, combattendolo attivamente sul suo stesso terreno, prevenendone le mosse, e disarticolandone la macchina militare. Almeno questa è la tesi di storici come Tom Behan e Renzo del Carria.

 

LA RESISTENZA ROMANA

DEGLI ARDITI POPOLARI

Nonostante tale indebolimento del fronte antifascista e la repressione statale sempre più pesante nei confronti degli Arditi del Popolo, a Roma e nel Lazio (in particolare a Citavecchia e a Genoano) l’organizzazione fondata da Secondari registrò il maggiore radicamento e l’adesione più forti, tanto che per ben tre volte il fascismo dovette fare i conti con l’antifascismo popolare romano.

bandiera-arditi-di-civitavecchiaLa prima fu nel novembre del ’21, in occasione del 3° Congresso nazionale dei Fasci. Già alla fine del giugno precedente, gli Arditi del Popolo avevano costituito un primo battaglione di circa 400 aderenti, suddiviso in tre compagnie denominate Temeraria, Dannata e Folgore. In breve tempo furono costituiti 5 battaglioni nei quartieri Trionfale, Porta Pia – Salario, Testaccio – S.Saba – S.Paolo, Esquilino – S.Lorenzo, Trastevere, oltre a distaccamenti nei rioni di Ponte Milvio, Ponte, Parione e Borgo, collegati tra loro mediante squadre di ciclisti. Così quando il fascismo decise di compiere una prova di forza proprio nella Capitale, convocandovi il suo Congresso, dovette mobilitare circa 33 mila squadristi armati, anche provenienti in gran parte dalla Toscana e dall’Emilia Romagna, nonostante l’appoggio del governo Bonomi che non esitò a far intervenire le forze dell’ordine, dotate anche di autoblindo, ogni qualvolta i fascisti e le squadre nazionaliste dei ‘Sempre pronti’ si trovarono in difficoltà.

Il 7 novembre, con l’arrivo e le prime aggressioni fasciste, tra le quali l’assassinio del ferroviere Guglielmo Farsetti, veniva proclamato lo sciopero generale dalle due Camere del Lavoro, quella della Cgl e quella dell’Usi, mentre scattava la mobilitazione degli Arditi del Popolo, giunti anche dalla regione e da Terni, che resero inaccessibili i quartieri popolari. Per quattro giorni, dal 9 al 13 novembre, si susseguirono gli scontri in tutta la città. Per decine di volte gli Arditi del Popolo, assieme alle squadre comuniste e ai gruppi anarchici, respinsero sulle barricate gli attacchi fascisti diretti a S.Lorenzo, Trastevere, Trionfale, Testaccio, impedendo la distruzione delle sedi e dei giornali proletari. A S.Lorenzo la partecipazione popolare vedeva coinvolti sia i ragazzi impegnati a disselciare le strade per recuperare materiale da tirare dalle terrazze e dai tetti, che le donne del quartiere. A Valle Aurelia, zona dove vi erano le fornaci per la cottura dei laterizi, i fascisti ebbero la peggio negli scontri con i fornaciai in rivolta.

Alla fine, dopo la ritirata degli squadristi da Roma protetti dalle forze dell’ordine, si contarono almeno 7 morti e 120 feriti. I fascisti, avendo contato solo un caduto tra le loro file (anche se qualche fonte riferisce di 4 o 5) cercarono di cantare vittoria, vantando i sei assassini compiuti ai danni di persone isolate e disarmate, ma in realtà avevano subito una sconfitta politico-militare senza precedenti, definita da più parti come una vera Caporetto, tanto che lo stesso Mussolini ritenne che una strategia basata solo sulla violenza non fosse più vincente.

La seconda volta che Roma antifascista si rivoltò contro le camicie nere fu nel maggio del ’22, in coincidenza con la solenne traslazione della salma dell’eroe di guerra Enrico Toti al cimitero del Verano. Ripetutamente attaccati e fatti segno di sparatorie da parte delle Squadre comuniste e degli Arditi del Popolo asserragliati a S.Lorenzo, i fascisti furono costretti a rifugiarsi all’interno del Mausoleo di Augusto, finché furono tratti in salvo dalle autoblindo della polizia. Il bilancio della giornata del 24 maggio fu di 3 morti, una cinquantina di feriti e quasi 200 operai arrestati che furono liberati dopo 36 ore a seguito dello sciopero generale immediatamente proclamato dal Comitato di difesa proletaria.

Nel contesto nazionale, dopo i risultati fallimentari dello sciopero generale “legalitario” contro le violenze fasciste iniziato il 1° agosto ’22, gli Arditi del Popolo come tutto l’antifascismo, risultavano ormai in grave difficoltà a fronteggiare una situazione caratterizzata da una sempre più stretta alleanza tra i fascisti e gli apparati repressivi e militari dello Stato che fornivano sistematicamente armi, mezzi ed ogni protezione possibile alle squadre di Mussolini. In tale, scoraggiante, quadro soltanto in alcune zone la resistenza proletaria riusciva a fermare l’ondata reazionaria, come avvenuto a Civitavecchia, Bari e Parma: città dove gli Arditi del Popolo erano ancora forti, organizzati e radicati nel rispettivi contesti sociali. Tra l’estate e l’autunno del ‘22, anche a Roma il numero e l’attività degli Arditi del Popolo risultavano ridotti e facenti capo soprattutto al battaglione di Trastevere; le assemblee erano ospitate presso la sezione socialista di via Santini nel quartiere, mentre gli aderenti erano ormai perlopiù anarchici e repubblicani, oltre a qualche socialista e comunista dissidente e la Lega Fornaciai, notoriamente vicina agli anarchici.

(…) La Marcia su Roma e la formazione del primo governo Mussolini rappresentarono quindi anche l’epilogo per il primo antifascismo armato, almeno come fenomeno di massa, ma anche in tale circostanza dimostrò una sua persistente vitalità; nonostante che, a permettere e in alcuni casi anche a proteggere, la farsesca conquista di Roma da parte di 25-30 mila camicie nere fosse intervenuto l’esercito con 28.400 soldati che presidiarono la Capitale non certo con l’ordine fermare il fascismo. Come accaduto l’anno precedente, gli antifascisti si asserragliarono nei quartieri proletari, reagendo ai tentativi fascisti di penetrarvi e compiere rappresaglie.

(…) Uno scontro avvenne il 29 ottobre nei pressi di Borgo Pio, dove 15 camion di fascisti, dopo aver superato lo sbarramento di Castel Sant’Angelo, furono accolti e respinti dalla popolazione con lanci di tegole e rivoltellate. I carabinieri, intervenuti dopo che i fascisti si erano ritirati, eseguirono vari arresti tra gli operai scesi in strada. Scontri a fuoco anche a S.Lorenzo, tra gli antifascisti appostati dietro le barricate e alle finestre delle case contro due diverse colonne fasciste, provenienti una da Tivoli e una dal centro della città. Di fronte alla decisa resistenza armata popolare, interveniva la forza pubblica, anche con due autoblindo, mentre gli squadristi ricevevano l’ordine di ritirarsi. Altri scontri si accesero pure in via Trionfale, sulla Prenestina e sulla Nomentana, con morti fra entrambi gli schieramenti.

Diverse le cifre delle vittime nei giorni della Marcia su Roma: 22, secondo Il Popolo d’Italia; 17 in città e due nelle campagne per il Questore; 13 nel rapporto del generale Pugliese, comandante dei reparti dell’esercito: in ogni caso, molti di più di quelli registrati nei precedenti conflitti.

 (…) Iniziava quindi un ventennio di reazione, durante cui fu soppressa anche l’organizzazione degli Arditi del Popolo, ma non la volontà di tanti di loro che -dalla Spagna alla lotta partigiana- avrebbero continuato a combattere il fascismo. Così come testimonia, tra le tante, la vita dell’anarchico Aldo Eluisi conclusasi tragicamente alle Fosse Ardeatine il 24 marzo 1944: già combattente nei Reparti d’assalto era stato Ardito del Popolo a Roma ed aveva preso parte alla resistenza nelle brigate di Giustizia e Libertà guidate proprio dal repubblicano Vincenzo Baldazzi, già amico personale di Malatesta e dirigente nazionale degli Arditi del Popolo. Nel 1926 lo stesso “Cencio” Baldazzi aveva fornito la pistola che fu trovata in possesso di Gino Lucetti, anarchico ed ex-volontario dei Reparti d’assalto, in occasione del fallito attentato a Mussolini dell’11 settembre nella capitale. Quasi a suggerire che, nella ricerca storica sugli Arditi del Popolo, tutte le strade portano a Roma…

[UNA STORIA ROMANA: GLI ARDITI DEL POPOLO intervento di Marco Rossi presentato alla “Due giorni contro i Fascismi”, tenutasi a Roma il 4 e 5 maggio 2007]

 

ULTIME FIAMME

argo-secondari Il 22 ottobre 1922, Argo Secondari (Roma 1895 – Rieti 1942) venne aggredito da una squadraccia fascista, mentre camminava solo e disarmato. Il pestaggio gli procura una grave commozione cerebrale che lo invaliderà in modo permanente. Il fratello Epaminonda, medico cardiologo negli USA, tentò invano di farlo espatriare al fine di assicurargli cure migliori. Il permesso venne sempre negato ed Argo Secondari venne internato nel manicomio di Rieti fino alla sua morte, il 17 maggio del 1942.

antonio-cieri Antonio Cieri, anarchico, ex ufficiale degli arditi assaltatori, eroico protagonista della difesa di Parma, per aver difeso il quartiere di Oltretorrente con un battaglione di 250 arditi e la popolazione tutta dall’assalto di 10.000 squadristi in armi (dal 2 al 5 agosto del ’21), fu perseguito dal governo Bonomi, “per attentato alla integrità dello Stato”. In seguito, si unì alle Brigate internazionali e morì in combattimento nella Guerra di Spagna (Huesca, 07 Aprile 1937).

gino-lucetti Gino Lucetti, ex Ardito Assaltatore, anarchico, nel 1926 attentò alla vita del Duce. Durante la Resistenza il suo nome fu dato ad un reparto partigiano: il battaglione Lucetti, che combattè con valore nell’alta Toscana. Gli arditi del popolo, come anche il battaglione Lucetti sono ricordati anche in alcune canzoni popolari toscane (battaglion Lucetti…anarchici e nulla più…fedeli a Pietro Gori… Siam del popolo gli arditi…)

Ma la scomparsa degli Arditi del Popolo segnerà non la fine ma l’inizio della resistenza, saranno molti gli (ex) Arditi che andranno a combattere in Spagna come Giuseppe di Vittorio, Picelli, De Ambris, Teresa Noce, per citarne alcuni, e che in seguito combatteranno i nazifascisti nelle file della resistenza. Come già detto, quella degli Arditi del popolo resta, comunque, la prima organizzazione antifascista a livello nazionale, che saprà unire la necessità di autodifesa della classe proletaria e le rivendicazioni della classe lavoratrice. E rimane, soprattutto, una delle verità più scomode per quegli antifascisti che si ricordano di esserlo giusto il 25 aprile.

[http://www.ewriters.it/leggi.asp?W=20919%5D

“…E un’Italia diversa, non sporca di astuzie vergognose e codardia

[Gli Arditi del Popolo di A. Liparoto]

 

 

Bibliografia

AA.VV., Dietro le barricate, Parma 1922, testi immagini e documenti della mostra (30 aprile – 30 maggio 1983), edizione a cura del Comune e della Provincia di Parma e dell’Istituto storico della Resistenza per la Provincia di Parma

AA.VV., Pro Memoria. La città, le barricate, il monumento, scritti in occasione della posa el monumento alle barricate del 1922, edizione a cura del Comune di Parma, Parma, 1997

AA.VV, La resistenza sconosciuta, Zero in Condotta, Milano 2005.

Balsamini Luigi, “Gli arditi del popolo. Dalla guerra alla difesa del popolo contro le violenze fasciste, Galzerano Ed. Salerno.

Behan Tom, The Resistible Rise of Benito Mussolini

Cacucci Pino, Oltretorrente, Feltrinelli, Milano, 2003

Cordova Ferdinando, Arditi e legionari dannunziani, Marsilio, Padova 1969;

Del Carria Renzo, Proletari senza rivoluzione, Milano, Savelli, 1975.

Di Lembo Luigi, Guerra di classe e lotta umana, l’anarchismo in Italia dal Biennio Rosso alla guerra di Spagna (191-1939), edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2001

Francescangeli Eros, Arditi del popolo, Odradek, Rom, 2000

Furlotti Gianni, Parma libertaria, edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 2001

Rochat Giorgio, Gli arditi della grande guerra, Milano, Feltrinelli, 1981.

Rossi Marco, “Arditi, non gendarmi! Dall’arditismo di guerra agli Arditi del Popolo, 1917-1922, edizioni Biblioteca Franco Serantini, Pisa, 1997

 

Altre fonti (per una breve storia dell’arditismo):

http://arditodelpopolo.splinder.com/

http://www.ewriters.it/leggi.asp?W=20919

WIKIPEDIA