Archivio per Cultura

(171) Cazzata o Stronzata?

Posted in Zì Baldone with tags , , , , , , on 2 giugno 2023 by Sendivogius

Classifica MAGGIO 2023″

Tra tutte le minacce possibili che si possano implicitamente attribuire al corso meloniano della Destra nostrana, che di ‘nuovo’ non ha assolutamente nulla, se non la nettatura anti-odore dell’antica fossa biologica missina da cui proviene, di sicuro non ci sarà mai l’imposizione di una sua “supremazia culturale”, come invece molti accorati pensatori vorrebbero far credere. Si tratta infatti di una suggestione destinata ad alimentare più le velleità cialtronesche di un gruppo di mitomani, piuttosto che a diventare realtà concreta, nella rimasticatura di concetti ruminati male e digeriti peggio, saccheggiati alla rinfusa da letture strampalate.
L’evidenza dovrebbe togliere ogni dubbio, a meno di non credere sul serio che i rigurgiti del revanchismo reazionario della brodaglia nera possano davvero costituire il modello di riferimento, in grado di imprimere e mutare la “narrazione”, in un paese di analfabeti funzionali dall’ignoranza abissale e la memoria di un pesce rosso. La destra italiota nelle sue diramazioni ‘culturali’ è essenzialmente un’escrescenza premoderna, che non ha mai superato il trauma del 1789 in polemica anti-illuminista. Quando non schiettamente di ispirazione fascista (il massimo che abbia saputo produrre a livello pratico), che nell’immaginario collettivo del destronzo medio diventa folklore nostalgico per nazi-travestiti e collezionisti di cimeli necrofili, il meglio che le riesce di citare è la trimurti dio-patria-famiglia nel suo sanfedismo d’accatto, mentre vagheggia una mitologica età dell’oro, col ritorno ad un supposto ordine naturale gerarchicamente dato, nell’alleanza tra il Trono e l’Altare.
Non avendo una sua vera Cultura propriamente definita, vive di prestiti ed innesti culturali, che riassembla come un mostro di Frankenstein riuscito male. Come un Herbert West qualunque, rianima cadaveri in forma oscena, salvo disinteressarsene per inseguire nuove chimere che possano dimostrare ciò che non è: un credibile mediatore culturale, in grado di imprimere il suo passaggio nella Storia. Non avendo formule efficaci, si affida a pozioni magiche e moti d’imperio.
 Come si conviene in ogni patologico complesso di inferiorità, è ossessionata dalla presunta “egemonia culturale” della Sinistra. Ovviamente non ha mai letto Antonio Gramsci, altrimenti avrebbe pudore e vergogna nel nominarlo invano. E confonde l’idea di “egemonia” con la presunzione di dominio, basato sull’imposizione piuttosto che sul prestigio; diversamente non occuperebbe manu militari ogni spazio comunicativo, pensando che basti quello per stabilire un “primato”, che poi è solo pedagogia autoritaria, di sicuro più congeniale alla psiche del destronzo ed alla sua atavica fame di potere, nella bulimia di comando sotto altre forme. E pensano che ciò sia sufficiente per imporre un cambiamento culturale.
Dell’Egemonia gramsciana, i più ‘colti’ al massimo ne hanno sentito parlare durante la lettura di qualche dispensa in stile Bignami, estrapolata dalle opere di Alain de Benoist e del suo rovesciamento paradigmatico, tramite lo stravolgimento del pensiero originale del povero Gramsci. Con molta più probabilità, i vecchi notabili del MSI (e cognati affratellati sotto il campanile del più bieco familismo amorale) si ispirano direttamente a Pino Rauti ed ai suoi ordinovisti, il cui massimo contributo tangibile furono i bombaroli di Ordine Nero e gli stragisti dei NAR. Da lì una certa devozione sacrale verso i vecchi camerati armati, in un distorto culto eroico dei guerrieri senza sonno della mistica evoliana. Ma loro scomoderanno direttamente Nietzsche, nella rilettura deformante della sorella Lisbeth. Perché (fidatevi!) oltre non vanno. Adesso pare che abbiano scoperto filosofi come Hans Georg Gadamer, arruolato a forza nelle nuove leve del pensiero della Nazione sotto conserva, nello sdoganamento del “Pregiudizio” come strumento di conoscenza ermeneutica pre-data nell’esaltazione entusiastica dello stesso. Peccato solo che Gadamer parli di pre-comprensioni alla base dell’elaborazione analitica dei processi cognitivi, su appartenenza culturale per inferenza simbolica, dal momento che nessun individuo è una tabula rasa isolata dal resto del mondo ed impermeabile al contesto sociale di riferimento. Ovviamente il destronzo come sua abitudine non ha capito nulla. Ai sedicenti “conservatori” infatti serviva qualcosa che giustificasse i propri pregiudizi (e fobie), molto più materiali su grettezza mentale, ed hanno utilizzato Gadamer per coprire l’oscenità delle loro vergogne, onde aggiornare con qualcosa di più presentabile il pantheon dei santini cari a certa “Tradizione”: Julius Evola, Corneliu Zelea Codreanu, Robert Brasillach, Leon Degrelle, Drieu La Rochelle, Adriano Romualdi… e chiunque può farsi un’idea sull’humus di provenienza dei ‘maestri’, leggendone le biografie. Giusto a proposito di condivisione della memoria! E questi sarebbero gli autori ai quali fanno riferimento quelli acculturati.
Poi nei risvolti pratici, la “cultura” di questi figuri si riduce più che altro ad espressione culinaria, in bilico tra le parodie da caserma di MasterChef e la “Prova del cuoco”; il loro modello di riferimento è la sagra strapaesana da provincia profonda, con tutti gli annessi e connessi. Perché oltre proprio non vanno. Quando ci provano, è persino peggio nell’ineffabile esito comico (o tragico?).
Per avere visione completa del livello culturale della destra di greppia e di affari, basta leggerne i pensierini imbarazzanti per rimuovere ogni dubbio e comprendere la profondità del pozzo nero…

Hit Parade del mese:

01. NON SAPERE UN CAZZO E STRAPARLARE

[19 Mag.] «Nel 1960 o poco prima ci fu l’alluvione del Vajont, poco lontano dall’Emilia-Romagna , morirono quasi 1000 persone e non c’era l’allarme climatico. Quando la natura decide di fare quelle cose lì, non è questione di allarme climatico, è questione che accade, è sempre accaduto, e purtroppo accadrà sempre indipendentemente dall’allarme climatico.»
(Alessandro Sallusti, Mitomane)

02. IL CICCHETTO

[22 Mag.] «I have a drink!»
(Totò Cuffaro, l’Ubriaco)

03. IL GIORNO DELLO SCIACALLO

[12 Mag.] «Due poveri carabinieri in galera per una spinta a Stefano Cucchi. Sua sorella ne sfrutta la morte.»
(Carlo Giovanardi, si può dire “uomo di merda”?!)

04. LA MERDA CHE AVANZA

[11 Mag.] «Il problema del caro affitti è grave ma tocca le città governate dal centrosinistra.»
(Giuseppe Valditara, Ministro alla Mistificazione)

05. LA MODESTIA AL POTERE

[15 Mag.] «Vi prometto che quando avremo finito il nostro lavoro, voi sarete di nuovo fieri di essere italiani.»
(Giorgia Meloni, The Reaper)

06. LO ZERBINO DI CASA

[04 Mag.] «Ma Giorgia Meloni doveva farsi riprendere dentro a una salumeria? In mezzo ai prosciutti? È il presidente del Consiglio, basta con questo pauperismo. Giorgia ha una comunicazione che funziona molto bene: questa trovata ha spaccato.»
(Andrea Giambruno, il First Lady)

07. LA MAFIA DEI BOTTEGARI

[30 Mag.] «Far pagare le tasse ai commercianti è un pizzo di Stato»
(Giorgia Meloni, la Capobastone)

08.RAZZE, ETNIE, CEPPI… E CIPPE! (I)

[15 Mag.] «L’Italia ha la consapevolezza di appartenere a un ceppo.»
(Francesco Lollobrigida, Cognato d’Italia)

09. RAZZE, ETNIE, CEPPI… E CIPPE! (II)

[21 Mag.] «Dobbiamo investire su quella cultura, su quella tradizione, su quel “ceppo” al quale apparteniamo come italiani.»
(Francesco Lollobrigida, Er Cippa)

10. NELL’INFIMO

[21 Mag.] «Nel mio piccolo mi sono autoimposto di leggere un libro al mese. È un fatto di disciplina.»
(Gennaro Sangiuliano, il Disciplinato)

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The Fine Art of Propaganda

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , on 14 marzo 2023 by Sendivogius

«La propaganda si basa sui simboli per raggiungere il suo fine: la manipolazione degli atteggiamenti collettivi.
Sono così grandi le resistenze psicologiche alla guerra nelle nazioni moderne, che ogni guerra deve apparire come una guerra di difesa contro un aggressore minaccioso e omicida. Non ci deve essere ambiguità su chi il pubblico debba odiare. La colpa e l’innocenza devono essere stabilite geograficamente. E tutte le colpe devono essere dall’altra parte della frontiera.
Una regola utile per suscitare odio è, se all’inizio non si adirano, usare un’atrocità. È stata impiegata con successo invariabile in ogni conflitto conosciuto dall’uomo. A differenza del pacifista, che sostiene che tutte le guerre sono brutali, la storia delle atrocità implica che la guerra è brutale solo se praticata dal nemico

Harold Dwight Lasswell
“Tecniche di Propaganda nella Prima Guerra Mondiale” (1927)

  La Propaganda, e massimamente la propaganda di guerra, è uno strumento di manipolazione psicologica a cui un potere organizzato e strutturato ricorre, per convincere le persone comuni a fare ciò che normalmente non farebbero mai.
Soprattutto, è uno strumento flessibile che si adatta alle circostanze per veicolare i suoi messaggi, adattandoli alla sensibilità del pubblico per meglio permearne la dimensione emotiva.
La Propaganda non interpreta la realtà, la destruttura per creare una narrazione parallela. E lo fa, tramite l’iniezione costante e crescente di stimoli primari, onde divellere le eventuali resistenze critiche, o inibire la confutazione empirica. Genera costrutti emozionali e non si preoccupa di doverli dimostrare: se funzionano si persiste nella riproposizione martellante degli stessi, altrimenti se ne inventano di nuovi. Nel suo complesso, la Propaganda pone in essere una serie di distorsioni cognitive eterodirette, volte a plasmare l’immaginario collettivo attraverso una rappresentazione caricaturale della realtà, senza mai entrare nella sostanza. Se sottoposta a revisione critica, non regge il confronto. Per questo aborre la complessità, pur essendo essa stessa un organismo complesso nella variabilità delle tecniche di condizionamento.
Per la Propaganda, nessuna falsità messa in circolazione sarà mai tanto grande da sembrare assurda, se funzionale allo scopo da raggiungere. Più è grande la bugia, più estesa sarà la rete di falsificazioni collaterali, per un’opera capillare di destrutturazione dell’elemento fattuale, reso irrilevante ai fini dell’efficacia del messaggio. Più ramificata sarà la menzogna e più risulterà convincente in assenza di contestazione. E proprio in questo si misura la sua efficacia: non quanto essa sia credibile, ma quanto pervasiva risulterà essere la sua diffusione, tanto da sembrare ‘vera’. La pubblica credulità è la dimensione del suo essere; l’auto-referenzialità è l’impalcatura sulla quale si regge; il ricorso alla mistificazione sistematica è la misura della sua amoralità.
Non è nemmeno un’invenzione recente. Forme di propaganda, o comunque riconoscibili come tale, sono sempre esistite fin dall’antichità, probabilmente ancor prima della Guerra del Peloponneso narrata nelle pagine magistrali di un Tucidide, rivelandosi spesso impresa retorica di raffinatissimo impatto intellettuale. Ma è essenzialmente con l’avvento dell’Età Contemporanea, che la propaganda assurge alle forme strutturali che le sono consone e con le quali viene di solito identificata, per metodologia e prassi, nelle sue espressioni più sguaiate e volgari, seguendo spesso un’iperbole parossistica volta ad alimentare una sorta di isteria diffusa su eccitazione di massa, per la propagazione del messaggio.

“Le guerre offrono un ambiente ideale per i media: gli istinti più bassi come l’odio e la violenza che sono normalmente repressi possono essere facilmente liberati e stimolati. Pertanto, la sete di sensazioni della stampa si unisce all’obiettivo del governo di mobilitare il fronte interno e influenzare i paesi neutrali. L’impatto della propaganda commerciale è alto poiché le storie di atrocità si vendono bene in tempo di guerra. Giornalisti e intellettuali spesso sostengono le istituzioni ufficiali di propaganda. Quindi la propaganda non funziona solo dall’alto verso il basso, ma viene anche potenziata dal basso verso l’alto.
[…] La propaganda alleata si è concentrata su questo diffondendo e illustrando “storie dell’orrore” di donne violentate e civili brutalmente assassinati che erano adatte a demonizzare i tedeschi. Così, i poster delle atrocità alleate ritraevano i tedeschi come bestie, mostravano scene estreme di violenza così come soldati tedeschi stupidi e maligni che si muovevano attraverso i paesi, saccheggiando, bruciando e uccidendo.
[…] I motivi di molti manifesti e caricature francesi erano assetati di sangue o avevano caratteristiche pornografiche. Le immagini di donne violentate e bambini mutilati sono il risultato di un’ossessione per la violenza e la sessualità diffusa dalla fine del XIX secolo. Tali rappresentazioni delle vittime, tuttavia, derivavano principalmente dalla fantasia dei contemporanei, poiché principalmente gli uomini erano le vittime.”

Steffen Bruendel

Se le sue espressioni ‘moderne’ iniziano a prendere corpo e sostanza secondo il tessuto attuale già durante la Guerra di Crimea (1853-1856), è con la Prima Guerra Mondiale che la propaganda raggiunge il suo apice nell’uso spregiudicato e più truculento della stessa, divenendo vera e propria “scienza” con tanto di tecniche specifiche ed uffici specializzati per la sua inoculazione velenosa, come esemplarmente illustrato dal barone Arthur Ponsonby nella sua opera più famosa, “Menzogne in tempo di guerra” (1928), dove viene riportata un’ampia casistica di falsità che furono messe in circolazione durante la prima guerra mondiale dagli organi di propaganda delle potenze alleate (Russia, Francia, Italia, Gran Bretagna ed USA) contro gli Imperi Centrali. Perché senza bugie e falsificazioni che esacerbino ad arte gli animi, non vi sarebbe alcuna ragione né volontà a proseguire il conflitto, alimentando l’odio.
Per infiammare le masse alla guerra ed al contempo negare ogni responsabilità nella stessa, è necessario “rappresentare il nemico come un pericoloso disturbatore della pace e il più terribile nemico dell’umanità”.

«Se riduci la menzogna a un sistema scientifico, mettila su spessa e pesante; con grande sforzo e finanze sufficienti…. puoi ingannare a lungo intere nazioni e spingerle al massacro per cause verso le quali on hanno il minimo interesse. Lo abbiamo visto a sufficienza durante l’ultima guerra, e lo vedremo nella prossima.
[…] In guerra, il ricorso alla menzogna viene riconosciuto come un’arma estremamente utile. Ed ogni paese la usa per ingannare piuttosto deliberatamente il proprio popolo, per attrarre quanti si professano neutrali, e per ingannare il nemico. Le masse ignoranti ed innocenti di ogni paese non hanno alcuna consapevolezza di come vengano ingannati sul momento. E solo quando sarà tutto finito, qua e là le menzogne verranno scoperte e denunciate. Come è sempre avvenuto in passato, una volta raggiunto l’effetto desiderato, non ci saranno problemi ad indagare sui fatti ed a ristabilire la verità.
[…] Le autorità di ogni paese fanno, e anzi devono, ricorrere a questa pratica per, in primo luogo, giustificarsi dipingendo il nemico come un criminale puro; e in secondo luogo, per infiammare la passione popolare, abbastanza da assicurarsi reclute per la continuazione della guerra.
Non possono permettersi di dire la verità. In alcuni casi, bisogna ammetterlo, nell’immediato non sanno nemmeno quale sia la verità

Arthur Ponsonby
Falsehood in War-Time: Propaganda Lies of the First World War

In prospettiva, la cosiddetta “propaganda delle atrocità” costituisce infatti un ottimo surrogato di sicura efficacia, nell’estetica necrofila dell’orrore, elevato a voyeurismo pornografico di guerra.

«La Press House era l’infaticabile geyser che sputava incessantemente falsi rapporti di guerra e notizie fittizie dalle retrovie e dal davanti, le calunnie più vili e brutali degli avversari, le stupefacenti finzioni di atti infami loro attribuiti. Il veleno insidioso ma efficace così diffuso ha ingannato e infettato una schiera di persone ben intenzionate ma non sofisticate… Durante la guerra la menzogna divenne una virtù patriottica. Ci è stato imposto dal governo e dal censore, e per il pericolo di perdere la guerra considerata una necessità; inoltre, mentire era redditizio e spesso pubblicamente onorato. Inutile negare il successo della menzogna, che utilizzò la Stampa come il miglior mezzo di una diffusione estesa e rapida. Gli sforzi maggiori sono stati fatti per bollare ogni parola dei nemici come menzogna e ogni nostra menzogna come verità assoluta


Ovviamente al Nemico, meglio se disumanizzato nella sua irriducibile alterità fuori dal consesso della Civiltà e del Diritto, non può essere riconosciuta alcuna attenuante né giustificazione, perché nulla deve incrinare la narrazione bellica nella sua manichea rappresentazione, altrimenti verrebbero meno le ragioni per poter proseguire il conflitto stesso. Ogni ragione concessa al “nemico” viene vissuta come un intollerabile cedimento del fronte interno. E dunque non è ammissibile, altrimenti si solleverebbero dubbi sull’azione stessa di quei governi che hanno perseguito l’opzione bellica, come se fosse l’unica possibile, sabotando ogni negoziazione per la sospensione del conflitto.

«Un governo che abbia deciso di intraprendere la via terribile e pericolosa della guerra…. non può permettersi di ammettere, e in nessun caso di riconoscere, neanche la minima ragione o diritto al popolo che ha deciso di combattere. I fatti devono essere distorti, le circostanze rilevanti nascoste, e la rappresentazione del nemico a tinte fosche persuaderà la gente che il proprio governo è senza colpe, la propria causa è giusta, e che l’indiscutibile malvagità del nemico è stata dimostrata oltre ogni dubbio. Un momento di riflessione direbbe a qualsiasi persona ragionevole, che un pregiudizio così evidente non può assolutamente rappresentare la verità. Ma nell’immediato la riflessione non è consentita; le bugie vengono diffuse con grande rapidità. La massa irriflessiva le accetta e con la sua eccitazione influenza gli altri. La quantità di sciocchezze che passano sotto il nome di patriottismo in tempo di guerra in tutti i paesi è sufficiente a far arrossire tutte le persone oneste

Per lo stesso motivo, onde non incrinare lo sforzo bellico e la volontà di proseguire la guerra (sia essa per procura o meno),

 «Non si deve mai permettere alle persone di perdersi d’animo; quindi le vittorie devono essere esagerate e le sconfitte, se proprio non possono essere non nascoste, almeno minimizzate, e lo stimolo dell’indignazione, dell’orrore e dell’odio deve essere assiduamente e continuamente pompato nell’animo pubblico mediante la “propaganda”.
[…] Qualsiasi tentativo di dubitare o negare anche la storia più fantastica deve essere condannato immediatamente come antipatriottico, se non traditore. Ciò consente campo libero per la rapida diffusione delle menzogne. Se fossero usate solo per ingannare il nemico nel gioco della guerra, non varrebbe la pena di preoccuparsene. Ma, poiché lo scopo della maggior parte di esse è quello di alimentare l’indignazione e indurre il fiore della giovinezza del paese a essere pronto al sacrificio supremo, diventa una cosa seria. Parlarne, dunque, può essere utile, anche se la guerra è terminata, a svelare l’inganno, l’ipocrisia e l’imbroglio da cui tutte le guerre traggono linfa vitale, e a rivelare gli espedienti esasperati e volgari che da tempo sono adoperati, per impedire che la povera gente ignorante sia consapevole del vero significato della guerra

Lord Ponsonby scriveva circa un secolo fa, ma le sue considerazioni possono essere benissimo valevoli per il presente, in tutta la loro sconcertante ancorché desolante attualità, nella reiterazione dei medesimi meccanismi di manipolazione e disinformazione, insieme alla compiacenza e soprattutto alla complicità interessata di un intero sistema mediatico, allineato a precise dinamiche di potere delle quali è parte integrante.
Riprendendo le tesi espresse da Arthur Ponsonby, in tempi assai più recenti (2001), Anne Morelli, storica e ricercatrice italo-belga, ne ha sintetizzato le osservazioni per ricavarne “dieci principi elementari”, analizzando e mettendo in luce i principi ricorrenti, alla base delle tecniche essenziali della propaganda di guerra.

1. Non vogliamo la guerra
(stiamo solo difendendo noi stessi!)

Arthur Ponsonby aveva già notato che gli statisti di tutti i paesi, prima di dichiarare la guerra o nel momento stesso di tale dichiarazione, assicuravano sempre solennemente in via preliminare che non volevano la guerra.
La guerra non è mai desiderata, raramente è vista come positiva dalla popolazione. Con l’avvento delle nostre democrazie, il consenso della popolazione diventa essenziale, quindi non bisogna volere la guerra ed essere pacifisti nel cuore. A differenza del Medioevo, quando l’opinione della popolazione aveva poca importanza e la questione sociale non era sostanziale.
[…] Se tutti i capi di stato e di governo sono animati da un simile desiderio di pace, ci si può naturalmente chiedere innocentemente perché, a volte (e anche spesso), le guerre scoppiano tutte uguali? Ma il secondo principio risponde a questa domanda.

2. La parte avversa è l’unica responsabile della guerra

Questo secondo principio deriva dal fatto che ogni parte sostiene di essere stata costretta a dichiarare guerra per evitare che l’altra distrugga i nostri valori, metta in pericolo le nostre libertà o addirittura ci distrugga completamente. È dunque l’aporia di una guerra per porre fine alle guerre. Ci porta quasi alla mitica frase di George Orwell: “La guerra è pace”.
Così, gli Stati Uniti sono stati “costretti” ad andare in guerra contro l’Iraq, il che non ha lasciato loro altra scelta. Stiamo quindi solo “reagendo”, difendendoci dalle provocazioni del nemico che è interamente responsabile della guerra che verrà.
Così, Daladier nel suo “appello alla nazione” – ignorando le responsabilità francesi nella situazione creata dal Trattato di Versailles – assicurava il 3 settembre 1939: la Germania aveva già rifiutato di rispondere a tutti gli uomini di cuore le cui voci si erano alzate negli ultimi tempi in favore della pace mondiale. Siamo in guerra perché ci è stata imposta.
Ribbentrop giustificò la guerra contro la Polonia in questi termini: “Il Führer non vuole la guerra. Lo farà solo a malincuore. Ma la decisione per la guerra o la pace non dipende da lui. Dipende dalla Polonia. Su alcune questioni di interesse vitale per il Reich, la Polonia deve cedere e soddisfare richieste alle quali non possiamo rinunciare. Se si rifiuta di farlo, la responsabilità di un conflitto ricadrà su di lei, non sulla Germania”.
Durante la guerra del Golfo, Le Soir del 9 gennaio 1991 affermava anche: “La pace che tutti vogliono più di ogni altra cosa non può essere costruita su semplici concessioni a un atto di pirateria. (…) La palla è essenzialmente, va detto, nel campo dell’Iraq. 
Lo stesso vale per la guerra in Iraq. Prima dell’inizio della guerra, Le Parisien ha pubblicato un titolo il 12 settembre 2002: “Come Saddam si prepara alla guerra”.

“Ci si dichiara costretti a fare la guerra a causa dell’avversario che non ha rispettato i trattati, o ha aggredito un paese. È il nemico che deve portare l’intera responsabilità del conflitto.”

3. Il leader del campo avversario ha il volto del diavolo (o “il brutto”)

“Non si può odiare un gruppo umano nel suo insieme, anche se viene presentato come un nemico. È quindi più efficace concentrare questo odio del nemico sul leader avversario. Il nemico avrà così un volto e questo volto sarà ovviamente odioso”.
“Il vincitore si presenterà sempre (vedi Bush o Blair recentemente) come un pacifista che ama la conciliazione ma è spinto alla guerra dal campo avverso. Questo campo avverso è naturalmente guidato da un pazzo, un mostro (Milosevic, Bin Laden, Saddam Hussein, …) che ci sfida e dal quale l’umanità deve essere liberata”.
La prima operazione di una campagna di demonizzazione è dunque quella di ridurre un paese a un solo uomo. Agire come se nessuno vivesse in Iraq, come se solo Saddam Hussein, la sua “temibile” Guardia Repubblicana e le sue “terribili” armi di distruzione di massa vivessero lì.
Personalizzare il conflitto in questo modo è molto tipico di una certa concezione della storia, che sarebbe fatta da “eroi”, opera di grandi personaggi.
[…] Così, l’avversario è qualificato da tutti i mali possibili. Dal suo aspetto fisico alle sue abitudini sessuali…. Questo tipo di demonizzazione non è usato solo per la propaganda di guerra (come tutti gli altri principi).
Per esempio, Pierre Bourdieu ha riferito che negli Stati Uniti, alcuni professori universitari, stufi della popolarità di Michel Foucault nei loro college, hanno scritto una serie di libri sulla vita intima dell’autore. Così, Michel Foucault, l’”omosessuale masochista e pazzo” aveva pratiche “innaturali”, “scandalose” e “inaccettabili”. In questo modo, non c’è bisogno di discutere il pensiero dell’autore o i discorsi di un politico, ma di confutarlo sui giudizi morali sulle cosiddette pratiche dell’individuo.

“Il nemico deve avere un volto e questo volto sarà quello del capo avversario chiaramente ributtante. La guerra sarà dunque contro il volto di Saddam, di Milosević, di Ahmadinejad, di Gheddafi … Occorre dimostrare che questo personaggio è immondo, un folle, un barbaro, un criminale, un macellaio, un perturbatore della pace, un nemico dell’umanità, da lui deriva tutto il male possibile.”

4. Stiamo difendendo una nobile causa, non interessi particolari
(la nostra causa è nobile e disinteressata)

Gli obiettivi economici e geopolitici della guerra devono essere mascherati da valori ideali, moralmente giusti e legittimi.
[…] Infatti, nelle nostre società moderne, a differenza di Luigi XIV, una guerra può essere condotta solo con un certo consenso della popolazione. Gramsci aveva già mostrato come l’egemonia culturale e il consenso siano indispensabili per il potere. Questo consenso sarà facilmente acquisito se la popolazione crede che la sua libertà, la sua vita, il suo onore dipendano da questa guerra.
Gli obiettivi della prima guerra mondiale, per esempio, possono essere riassunti in tre punti:

per schiacciare il militarismo
per difendere le piccole nazioni
per preparare il mondo alla democrazia.

Questi obiettivi molto onorevoli sono stati poi copiati quasi alla lettera alla vigilia di ogni conflitto, anche se hanno poco o niente a che fare con i suoi obiettivi reali.
“Dobbiamo convincere l’opinione pubblica che noi – a differenza dei nostri nemici – facciamo la guerra per motivi infinitamente onorevoli”.
“Nel caso della guerra della NATO contro la Jugoslavia, troviamo la stessa discrepanza tra gli obiettivi ufficiali e non dichiarati del conflitto. Ufficialmente, la NATO è intervenuta per preservare il carattere multietnico del Kosovo, per impedire il maltrattamento delle minoranze, per imporre la democrazia e per mettere fine al dittatore. È difendere la sacra causa dei diritti umani. Alla fine della guerra, non solo si vede che nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto, che siamo lontani da una società multietnica e che la violenza contro le minoranze – questa volta serbi e rom – è un fatto quotidiano, ma anche che gli obiettivi economici e geopolitici della guerra, che non erano mai stati menzionati, sono stati raggiunti”.
Questo principio implica il suo corollario, il nemico è un mostro assetato di sangue che rappresenta la società della barbarie.
Il nemico provoca consapevolmente atrocità, e se noi commettiamo errori è involontariamente
Le storie di atrocità del nemico sono una parte essenziale della propaganda di guerra. Questo non vuol dire, naturalmente, che le atrocità non avvengano durante le guerre. Al contrario, omicidio, rapina a mano armata, incendio doloso, saccheggio e stupro sembrano essere piuttosto – purtroppo – ricorrenti nella storia delle guerre. Ma far credere che solo il nemico commette tali atrocità, e che il nostro esercito è amato dalla popolazione, è un esercito “umanitario”.
Ma la propaganda di guerra raramente si ferma lì, non accontentandosi degli stupri e dei saccheggi esistenti, è più spesso necessario creare atrocità “inumane” per incarnare nel nemico l’alter-ego di Hitler (Hitlerosevic, …). Possiamo quindi affiancare diversi passaggi di guerre diverse senza trovare grandi differenze.
[…] Il quinto principio della propaganda di guerra è che solo il nemico commette atrocità, la nostra parte può solo commettere “errori”.
Durante la guerra contro la Jugoslavia, la propaganda della NATO ha reso popolare il termine “danni collaterali” e ha presentato come tali i bombardamenti sulle popolazioni civili e sugli ospedali, che, secondo le fonti, hanno causato tra 1.200 e 5.000 vittime. Il bombardamento dell’ambasciata cinese, di un convoglio di rifugiati albanesi, o di un treno che passa su un ponte è stato quindi un “errore”. Il nemico non sbaglia, ma commette consapevolmente il male.
Per concludere con una citazione di Jean-Claude Guillebaud: “Eravamo diventati, noi giornalisti, senza volerlo, una specie di mercanti dell’orrore e i nostri articoli dovevano commuovere, raramente spiegare.”

6. Il nemico usa armi non autorizzate

Questo principio è il corollario del precedente. “Non solo non commettiamo atrocità, ma facciamo la guerra in modo cavalleresco, rispettando – come se fosse un gioco, certamente duro ma virile! – le regole”.
Così, durante la prima guerra mondiale, la controversia infuriò sull’uso del gas asfissiante. Ogni parte ha accusato l’altra di aver iniziato ad usarli. Anche se entrambe le parti avevano usato il gas ed entrambe lo avevano studiato, era un riflesso simbolico della guerra “inumana”. È quindi opportuno dare la colpa al nemico. È in un certo senso l’arma “disonesta”, l’arma degli ingannatori.

7. Noi subiamo poche perdite, quelle del nemico sono enormi

Con rare eccezioni, gli esseri umani preferiscono generalmente unirsi alle cause vittoriose. In guerra, il sostegno pubblico dipende quindi dal risultato apparente del conflitto. Se i risultati non sono buoni, la propaganda dovrà nascondere le nostre perdite ed esagerare quelle del nemico”.
Già durante la prima guerra mondiale, dopo un mese dall’inizio delle operazioni, le perdite ammontavano a 313.000 morti. Ma lo stato maggiore francese non ammise mai la perdita di un cavallo e non pubblicò la lista dei nomi dei morti.
Ne è un esempio la recente guerra in Iraq, dove è stata vietata la pubblicazione di foto delle bare dei soldati americani sulla stampa. Le perdite del nemico, d’altra parte, sono enormi, il loro esercito non resiste. “Da entrambe le parti questa informazione ha sollevato il morale delle truppe e ha persuaso l’opinione pubblica dell’utilità del conflitto.

8. Artisti e intellettuali sostengono la nostra causa

Nella prima guerra mondiale, con poche eccezioni, gli intellettuali hanno sostenuto in modo schiacciante la propria parte. Ogni belligerante poteva in gran parte contare sull’appoggio di pittori, poeti e musicisti che sostenevano la causa del loro paese con iniziative nel loro campo.
[In Kosovo] I caricaturisti furono messi al lavoro per giustificare la guerra e ritrarre il “macellaio” e le sue atrocità, mentre altri artisti lavoravano, macchina fotografica alla mano, per produrre documenti edificanti sui rifugiati, sempre accuratamente presi dalle file albanesi, e scelti per assomigliare il più possibile al pubblico a cui si rivolgevano, come questo bel bambino biondo dallo sguardo nostalgico, che doveva evocare le vittime albanesi. Possiamo quindi vedere i “manifesti” svilupparsi ovunque. […] Questi “collettivi” di intellettuali, artisti e uomini di spicco cominciarono così a legittimare l’azione del potere politico in carica.

9. La nostra causa è sacra

Questo criterio può essere preso in due sensi, sia letteralmente che in senso generale. In senso letterale, la guerra è quindi una crociata, quindi la volontà è divina. Non si può sfuggire alla volontà di Dio, ma solo realizzarla. Questo discorso ha riacquistato grande importanza dall’arrivo al potere di George Bush Jr. e con lui tutta una serie di ultraconservatori fondamentalisti. Così la guerra in Iraq è stata vista come una crociata contro l’”Asse del Male”, una lotta del “bene” contro il “male”. Era nostro dovere “dare” la democrazia all’Iraq, essendo la democrazia un dono della volontà divina. Così fare la guerra è realizzare la volontà divina. Le scelte politiche assumono un carattere biblico che cancella ogni realtà sociale ed economica. I riferimenti a Dio sono sempre stati numerosi (In God We Trust, God Save the Queen, Gott mit Uns, …) e servono a legittimare senza appello le azioni del sovrano.

10. Chi mette in dubbio la nostra propaganda è un traditore

Quest’ultimo principio è il corollario di tutti i precedenti: chiunque metta in discussione uno qualsiasi dei principi di cui sopra è necessariamente un collaboratore del nemico. Così, la visione dei media è limitata ai due campi sopra menzionati. Il campo del bene, della volontà divina, e il campo del male, dei dittatori. Così, si è “per o contro” il male.
[…] Sta quindi diventando impossibile sollevare un’opinione dissidente senza essere linciati dai media. Il pluralismo d’opinione non esiste più, è ridotto a niente, ogni opposizione al governo è messa a tacere e screditata da argomenti fasulli. Questo stesso argomento è stato applicato di nuovo durante la guerra in Iraq, anche se l’opinione internazionale era più divisa, quindi era meno sentito. Ma essere contro la guerra è essere per Saddam Hussein… Lo stesso schema è stato applicato in un contesto completamente diverso, che era il referendum sulla costituzione europea: “essere contro la costituzione è essere contro l’Europa!

Ora, applicate i Dieci Principi alla situazione attuale… Non vi sarà affatto difficile notare come questi aderiscano alla perfezione all’attuale guerra in Ucraina, per un copione già visto, assolutamente replicabile e sovrapponibile nella sua inquietante complementarità. E quanto nefasta sia questa grottesca coazione a ripetere.

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The Second Round

Posted in Kulturkampf with tags , , , on 19 settembre 2022 by Sendivogius

Perdonate la reiterata assenza, nel silenzio di queste pagine.
Come moltissimi di voi, non sto seguendo la squallida farsa elettorale per le elezioni più inutili di sempre.
Continuo a coltivare la presunzione che ci sia di meglio a cui dedicarsi per nutrire la mente…
È che in realtà mi vergogno per loro tanto da evitare di parlarne, visto che le Lor Signorie sono immuni al sentimento.

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FERIAE AUGUSTI

Posted in Kulturkampf with tags , , , , on 14 agosto 2022 by Sendivogius

Mes dames et messieurs, come potrete facilmente intuire, nei prossimi giorni metterò a profitto le Ferie Augustali e sarò amenamente impegnato in altro piacendo… Ma ci leggeremo comunque presto…
Buoni Nemoralia a tutti voi.

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Letture del tempo presente (XII)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , on 12 giugno 2022 by Sendivogius

«Mi auguro solo che gli attuali problemi di John gli siano di monito per i tempi a venire, che la smetta di preoccuparsi tanto per le questioni degli altri, che desista dallo sterile tentativo di sostenere il bene del vicinato, oltre alla pace ed alla felicità del mondo intero, ricorrendo al bastone. Che se ne resti tranquillamente a casa, dedicandosi alla ristrutturazione della propria dimora; che coltivi la sua ricca tenuta come più gli aggrada; che amministri con parsimonia le entrate, se lo ritiene opportuno, e riconduca all’ordine i propri figli se ci riesce. Che riporti l’antica prosperità a nuovo splendore ed infine si goda a lungo, sulle terre di famiglia, un’onorevole e spensierata vecchiaia

Washington Irving
“John Bull” – The Sketch Book (1819)

L’allusione è all’Inghilterra, personificata dal vecchio John Bull, ma la metafora potrebbe valere benissimo per l’oggi, applicata per nemesi al suo ancor più arrogante alter ego: lo Zio Sam. I diretti interessati potrebbero imparare molto dalla lettura dei classici della loro letteratura nazionale, se solo li sfogliassero ogni tanto, invece di rimuoverli dalle biblioteche e cancellarli dai programmi di studio, in quanto non abbastanza “inclusivi”. Perfino il fresco Joe potrebbe trarne qualche suggerimento più che utile…

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Slava Ukraïni!

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , on 28 Maggio 2022 by Sendivogius

«Tutto il nostro nazionalismo è nulla, un castello sulla sabbia, se non è fondato sull’appartenenza di sangue, il fondamento della Razza. Il nazionalismo tradizionale tende a dichiarare che la Nazione è un fenomeno linguistico, culturale o territoriale-economico. Certamente non rifiutiamo l’importanza dei fattori spirituali, culturali e linguistici, così come il patriottismo territoriale. Ma, nella nostra profonda convinzione, tutto questo deriva solo dalla nostra Razza, dalla nostra natura Razziale. Se la spiritualità, la cultura e la lingua ucraine sono uniche, è solo perché la nostra natura razziale è unica. Se l’Ucraina è un paradiso terrestre, è solo perché la nostra Razza lo ha trasformato in esso.
Di conseguenza, l’azione del nostro Corpo Nazionale deve iniziare con la Pulizia Razziale della Nazione. E poi un sano Spirito Nazionale sarà rianimato in un sano corpo razziale, e con esso cultura, lingua e tutto il resto. Oltre alla questione della purezza, dovremmo anche prestare attenzione alla questione della consapevolezza della razza. Gli ucraini fanno parte (e uno dei più grandi e di altissima qualità) della razza bianca europea.  La missione storica della nostra Nazione in questo secolo cruciale è quella di guidare i Popoli Bianchi del mondo nell’ultima crociata per la loro esistenza. Campagna contro il subumanesimo semitico guidata dai semiti.
Sostituiamo lo slogan “Ucraina indipendente” con lo slogan “Grande Ucraina”. Gli ucraini sono una nazione con una lunga storia imperiale. Durante la sua esistenza, gli ucraini avevano almeno due superpotenze: la Grande Scizia e la Rus’ di Kiev. Il compito dell’attuale generazione è quello di creare un Terzo Impero – la Grande Ucraina. E questa domanda, stranamente, non è tanto politica quanto biologica.
[…] Così, il nazionalismo sociale solleva sullo scudo tutti gli antichi valori ariani ed ucraini dimenticati nella società moderna. Solo la loro rinascita e attuazione da parte di un gruppo di combattenti fanatici può portare alla vittoria finale della civiltà europea nella lotta mondiale.
Noi ci basiamo su questo, e non possiamo farlo in nessun altro modo! Gloria all’Ucraina!»

Andrij Biletskij
“Il Nazionalismo Sociale ucraino”
(16/10/2011)

Non è esattamente un’esegesi della “Critica della Ragion Pura” di Kant, ma forse con un po’ di limature…
In attesa che una qualche ‘prestigiosa’ casa editrice decida di immortalarne le riflessioni politiche ad imperitura memoria e tramandarle ai posteri, il comandante Biletsky, nazionalista sociale, resta uno di quei prodi che fanno palpitare il cuore dei nostri pennivendoli d’assalto in conto atlantico. E che infatti lo hanno subito eletto ad eroe della resistenza (quella con la R maiuscola) ucraina, iscritto d’ufficio nel pantheon dei “nuovi partigiani”, rilanciandone deferentemente le “testimonianze” (le informative sull’uso di armi chimiche sono le sue) dalla città di Mariupol, trasformata in proprio feudo personale con poteri quasi assoluti, tra culti pagani e cerimonie naziste.
Soprattutto è uno di quei personaggi da torture-porn, che rischiano di provocare le polluzioni incontrollate di un Massimo Gramellini (non nuovo a certi inturgidimenti), in aggiunta ai fiumi di bava fumante coi quali la nostra stampa liberale e indipendente è solita lubrificare i propri idoli, in ossequio al padrone di turno ed in piena estasi da mistica fascista, dinanzi alle gesta autopromozionali degli ukronazi che tanto piacciono a certo “Occidente” libero e democratico.
In qualsiasi altro paese mediamente civilizzato, Andriy Biletsky sarebbe stato solo uno dei tanti neo-nazisti, più o meno anonimi, che affollano le peggiori cloache del “suprematismo bianco”, mentre condividono in rete i deliri razzisti, che di solito ispirano il nazi-killer psicopatico di turno, in un miscuglio di paccottiglia nazistoide: dalle epifanie mitopoietiche della terra e del sangue, alle apocalissi razziali della Grande Sostituzione, fino ai misticismi esoterici dell’occultismo nazista legato ai miti del Sole Nero… la Runa del Lupo… i Werwolf… le divisioni delle Waffen SS… e tutta quella merda nostalgica lì.
Almeno finché non diventano fonte di ispirazione, per più ambiziosi progetti…

«Una popolazione genetica chiusa ha il diritto di sbarazzarsi di altre mescolanze sul suo territorio, deportando i suoi portatori nel territorio storico della loro residenza. L’Associazione ha il diritto di migliorare la propria salute attraverso l’introduzione di leggi razziali, eugenetiche e ambientali

Organizzazione dei Patrioti dell’Ucraina
(17/09/2006)

Va da sé, come sia del tutto superfluo chiedersi in quale altro luogo un simile figuro sarebbe potuto diventare ‘maggiore’ della milizia territoriale ed essere integrato col suo esercito privato nella “Guardia Nazionale”, entrando nei ranghi dell’esercito regolare; essere armato, rifornito, e stipendiato direttamente dal Ministero della Difesa; venire promosso quindi a tenente colonnello della Polizia di Stato (nonostante sia un ex detenuto pluripregiudicato); quindi elevato ad “Eroe della Nazione”, blandito dai governi e coccolato da certi media…

 «Il nazionalismo sociale ucraino considera la comunità nazionale ucraina come comunità di sangue e di razza. Studi antropologici sul campo del professor Dyachenko hanno dimostrato che gli ucraini conservano tutte le caratteristiche principali della popolazione Cro-Magnon dell’Ucraina, cioè esistono come un tipo razziale immutabile per almeno 40 mila anni. La razza è tutto per la costruzione della nazione

Andrij Biletskij
“Lingua e Razza”
(15/12/2011)

Siamo tutti ucraini!? Anche no, grazie!

«Contro la Razza Bianca c’è una guerra ben pianificata a livello fisico, spirituale, culturale, di civiltà. L‘Ucraina è stata l’avanguardia della civiltà bianca nel corso della sua storia. Ora è il momento di adempiere al suo scopo principale: diventare non uno scudo, ma la spada dell’Europa Bianca, salvare l’Uomo Bianco dall’estinzione, creare nuovi Ideali, diventare un nuovo Sole che illuminerà le Nazioni Europee.
L’armonia del mondo può essere creata solo da una civiltà superiore. La nazione ucraina è in grado di ripristinare lo sviluppo della civiltà bianca. Quest’ultimo sarà possibile solo a condizione dello sviluppo globale e massimo dell’Uomo ucraino.
[…] Il nazionalismo sociale ucraino non è solo l’ultima speranza della razza bianca e della nazione ucraina per l’esistenza, ma anche l’unica speranza per la salvezza dell'”uomo” come portatore dello Spirito Divino.
Il dominio della nazione ucraina è proposto non come l’idea di tirannia sugli altri popoli, ma come l’idea di una nazione bianca leader, che stabilirà il ritmo di sviluppo della cultura e dell’economia per tutte le altre nazioni. La Grande Ucraina non si vede come un tiranno del mondo, ma come un arbitro internazionale, leader, leader della Razza Bianca

Andrij Biletskij
“Il Nazionalismo Sociale ucraino”
(16/10/2011)

Al netto delle grandi ambizioni di restaurazione razziale, come invece una formazione paramilitare di nostalgici neo-nazisti capeggiati dal Brenton Tarrant delle terre nere sia entrata a far parte dei miti del più infimo churnalism d’asporto, e massimamente dei nostri assaltatori in livrea che combattono accampati nei salottini girevoli dei tank-show, è cosa fin troppo facile da intuire…

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MEDIACRAZIA (II)

Posted in Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 aprile 2022 by Sendivogius

In parallelo con la guerra in Ucraina, sono bastati meno di due mesi di propaganda ininterrotta (ora si chiama “storytelling”), per cancellare ogni credibilità residua di un sistema mediatico rattrappito in servitù volontaria; talmente abituato a sguazzare nei propri escrementi elevati ad oggetto di meraviglia, da rasentare livelli feudali di piaggeria cortigiana, e sputtanarsi irrimediabilmente agli occhi di un pubblico sempre più sconcertato dinanzi al miserabile teatrino di guerra, imbastito da zelanti reclutatori in livrea.
È un rassemblement violentemente ideologico di incarogniti gaglioffi convertiti alla mistica bellica, esteti del pensiero unico, presenzialisti da salotto, e servi sciocchi in cerca di visibilità. Si tratta di un pastone fetido, in cui sembrano convergere meschineria congenita e mediocrità professionale, dove i livori personali (e padronali) vengono ammantati di “indignazione” ad uso delle telecamere; una fossa biologica, nella quale approssimazione e disonestà intellettuale sono travestite da “fermezza”, mentre incompetenza e presunzione vengono esacerbate da una supponenza parolaia ed arrogante. Ci troviamo a vivere e sorbire una grande mistificazione orwelliana, dove si distingue per furore e fervore La Repubblica dei cavalieri GEDI nella galassia degli Elkann, con contorno di truppe cammellate di rinforzo e sturmtruppen da terza linea, tra i quali spiccano alcuni casi più consoni alla psicopatologia clinica che altro, come quel Massimo Gramellini che ha fatto del prof. Alessandro Orsini la sua ossessione personale, con tanto di esegesi dei testi e delle parole del reprobo. Se uno dovesse sottoporre allo stesso trattamento le opere del Gramella nazionale, si potrebbere scrivere una nuova appendice comica sull’inesauribile lista dei libri merdavigliosi dei quali la nostra editoria abbonda. Sono i pretoriani di regime, specializzati nel vituperio generalizzato di ogni voce critica all’invio ad oltranza di armi; la compagnia di disciplina, schierata contro chiunque osi semplicemente richiamare a maggiore prudenza, rispetto alla foga declamatoria dei troppi guerrafondai su procura. Attualmente, i nostri inquisitori di redazione sono uniti nella character assassination del frastornato Giuseppi, maramaldeggiando sul fu avvocato del popolo, politicamente già morto, colpevole di non essere abbastanza allineato al nuovo corso bellico, ma soprattutto non supinamente sdraiato al cospetto del Draghi che ci conduce, e per questo da fustigare legato alla colonna infame.
Strepitoso è pure un Massimo Giannini, che buttati nel cesso anni di solida reputazione giornalistica, lascia sottintendere chissà quali inconfessabili complicità per intesa col Nemico (e non ovvie responsabilità penali, insinuando alti tradimenti), circa gli innominabili scopi della famigerata missione russa ai tempi del Covid, non capacitandosi come il personale medico militare inviato dall’Impero del Male potesse essere coadiuvato da un generale: un “GE-NE-RA-LE!!” scandisce un Giannini furioso, al culmine del suo vibrante sdegno a misura di telecomando, sconvolto da cotanta abnormità.
Perché, il generale Figliuolo che ha gestito l’epidemia pandemica cosa cazzo era?!?

“Gli Oligarchi della tivvù, sbugiardati dal pubblico”
Domenico De Masi
(19/04/2022)

«Man mano che passano i giorni della guerra in Ucraina si moltiplicano i sondaggi trasmessi dalle varie reti televisive per rilevare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo. Il risultato è che cresce la divaricazione tra ciò che quelle reti cercano di accreditare con le proprie trasmissioni e ciò che “la gente” comincia a pensare con la propria testa. Questi media, pubblici o privati che siano, fanno a gara per dimostrare che Putin è pazzo, ma “la gente” comincia a pensare che sarà pure pazzo, ma di sicuro non è scemo. Questi media gareggiano nell’accreditare un’immagine salvifica degli Stati Uniti, ma “la gente” comincia a pensare che l’America sarà pure esportatrice di democrazia, ma i suoi interessi non coincidono con quelli europei. Questi media gareggiano nell’insinuare che in Russia monta un’ondata di dissenso per rovesciare Putin, ma “la gente” comincia a capire che la stragrande maggioranza dei russi concorda pienamente con le strategie belliche dello zar. Questi media gareggiano nel tranquillizzare i consumatori sulla disponibilità di fonti energetiche anche per il prossimo futuro, ma “la gente” è sempre più convinta che il petrolio e il gas raccattato presso altri dittatori comunque non ci affrancherà dalle forniture russe.
Da cosa dipende la sfasatura tra l’informazione fornita dagli anchor men dei media e l’opinione pubblica dei cittadini? A mio avviso dipende dall’abuso di potere esercitato dai primi, sottovalutando la qualità intellettiva dei secondi. Inoltre, gli anchor men soffrono di autoreferenzialità come ogni circolo chiuso in cui poche diecine di privilegiati fanno da guardiani al pensiero unico, mentre i cittadini comunque esprimono una pluralità di vedute garantita dall’essere milioni di teste disparate, appartenenti a classi diverse.
In 24 mesi, tra la realtà incombente della pandemia e della guerra e l’idea che ce ne siamo fatta, si è interposto il filtro distorcente di una ventina di anchor men, oligarchi nostrani dell’informazione che, armati di talk show, hanno imposto il loro punto di vista basandolo sulla propria cultura generica e sull’interesse dei loro padroni. Il metodo manipolatorio è semplice: ogni trasmissione viene articolata in uno o più panel di cosiddetti “esperti” scelti alla rinfusa in un mazzo consueto di giornalisti e politici. Il numero dei partecipanti a ciascun panel deve essere esuberante rispetto al tempo disponibile, in modo che ognuno degli interpellati abbia pochi secondi per esprimere giudizi su questioni cosmiche. Prima che l’interpellato di turno riesca a completare un pensiero, viene interrotto dal conduttore o viene contraddetto da altri partecipanti che sovrappongono il loro dissenso, spesso in tono forsennato, a ciò che si stava dicendo. Essenziale è che, alla fine della messinscena, tutti abbiano parlato senza nulla dire e resti salva solo la tesi che stava a cuore al conduttore, cioè al suo datore di lavoro.
Il sotterfugio sempre più frequentato sta nell’esibire giornalisti in veste di esperti. Quella del giornalista è una rispettabile professione che consiste nella capacità scientifica di raccogliere, vagliare e trasmettere notizie su una vasta gamma di accadimenti. L’esperto, invece, è colui che ha dedicato una vita intera ad approfondire una sola disciplina con qualche necessaria scorribanda nelle discipline confinanti. Ma ora vige il vezzo di promuovere al rango di storico o di geopolitologo o di virologo o di sociologo qualunque giornalista che sia stato impunemente intervistato un paio di volte su questioni di storia o di geopolitica o di virologia o di sociologia.
Tuttavia, quando gli eventi comunicati sono complessi e gravi come quelli attuali, si mette in moto tra “la gente” un meccanismo di autonoma elaborazione delle informazioni per cui l’ignoranza sapiente dell’opinione pubblica travalica la sapienza ignorante degli anchor men. Un aspetto particolarmente grave dell’attuale patologia informativa consiste nell’occultamento sia delle cause che hanno portato alla situazione presente, sia dei disastri cui stimo andando incontro e dei rimedi sbilenchi che gli stiamo opponendo. La carenza congiunta di grano e di fonti energetiche promette a tutto l’Occidente un prossimo futuro di fame per molti e di impoverimento per quasi tutti. Ciò comporta che masse pauperizzate accumuleranno un rancore esplosivo traducibile in sovversione autoritaria o in incremento democratico a seconda del colore delle forze politiche capaci di egemonizzarle e convogliarle. Dio non voglia che, nel frattempo, Le Pen conquisti la presidenza in Francia e Trump la riconquisti in America. A quel punto, Pandemia e guerra in Ucraina ci appariranno disgrazie minori. Ma di questo non si parlerà o ne parleranno i giornalisti, promossi esperti sul campo

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