
«Lo sa come ci si fa strada qui? Brillando per genio o per capacità di corruzione. Bisogna penetrare in questa massa di uomini come una palla da cannone o insinuarvisi come la peste. L’onestà non serve a niente. Ci si piega al potere del genio, lo si odia, si cerca di calunniarlo perché prende senza condividere; ma ci si piega se persiste. In poche parole, lo si adora quando non si è potuto seppellirlo nel fango. La corruzione domina, il talento è raro. La corruzione è quindi l’arma della mediocrità che abbonda, e ovunque ne sentirà la punta acuminata.»
Honoré de Balzac
“Papà Goriot”
(1834)
Si fa presto a parlare di “questione morale”. Con buona pace di Enrico Berlinguer, la corruzione non costituisce una anomalia strutturale in seno alle istituzioni democratiche, con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi. O, quanto meno, così non è più…
Se un tempo ormai remoto erano i ‘partiti’ a condizionare le cosiddette “realtà produttive”, nell’autofinanziamento delle proprie correnti interne e nel consolidamento delle rispettive cosche elettorali, oggi è il mondo degli affari e dell’imprenditoria ad usare la ‘politica’ come un tram per aggirare leggi e vincoli normativi, in nome di un turbo-capitalismo restituito alla sua naturale vocazione predatoria. La denuncia berlingueriana presupponeva, a suo modo, l’esistenza di un “primato della politica”, per quanto distorto e corrotto nella degenerazione dei partiti intesi come sistema di potere e di controllo, incistato sulle camarille clientelari di potentati locali per la gestione del consenso su scala nazionale, con forme organizzate di finanziamento illecito.
Attualmente, il ‘referente politico’ appare più che altro come uno spudorato scroccone che si mette a disposizione, in posizione del tutto subalterna, lucrando prebende e favori da spendere a proprio uso e consumo esclusivo. Sottratto alla dimensione squallidamente parassitaria dei suoi protagonisti, a livello politico (e partitico), il vantaggio è minimo se non inesistente. Tant’è che oggi il fenomeno criminogeno ha una struttura sistemica assolutamente radicata nei poteri stessi dello Stato, inteso come tutore organizzato di interessi particolarissimi per consolidati intrecci criminali.
Dinanzi all’affondamento della Laguna, travolta dalla marea montante degli scandali; di fronte all’immensa greppia costruita attorno all’Expo milanese, alle rapine finanziarie che hanno coinvolto non da ultimi i vertici della Banca Carige, è difficile infatti parlare (solo) di corruzione dei partiti politici, intesi “come macchine di potere e di clientela”, quando il marcio si estende all’intero apparato istituzionale della macchina statale, sedimentata sotto gli strati di melma di una corruzione endemica, che si alimenta di funzionari pubblici, magistrati contabili, imprenditori, procacciatori d’affari e intermediatori, imprenditori, banchieri che perseguono un unico fine: arricchirsi. E farlo a spese pubbliche, usando le proprie cariche come leva di potere finalizzata al profitto personale (a tal punto da mettere in conto persino le spese per la carta igenica!).
Tutto è funzionale alla crapula: istituzionalizzata, depenalizzata, tollerata.. nella prosecuzione degli ‘affari’ con altri mezzi (illeciti), sull’onda lunga della cleptocrazia berlusconiana. Tanto da rasentare la norma, mentre l’eccezione è proprio l’aspetto (im)propriamente ‘morale’, che risulta comunque flessibile, asimmetrico, relativizzato a seconda dell’uso strumentale che se ne fa, nella furia iconoclasta e massimamente effimera del fustigatore di turno, tra i fumi di ritorno della peggior demagogia populista.
Per gusto estremo del paradosso, e tendendo ben presenti le doverose distinzioni, Si potrebbe quasi dire che la corruzione sia il metro di misura delle civiltà complesse…
Il livello di malversazioni, dei pubblici ladrocini e corruttele diffuse, nella sua strutturazione fisiologia in un sistema di corruzione collaudato, quanto persistente nella sua immanenza quasi metafisica fusa con l’apparato amministrativo, la realtà italiana ha forse pochi uguali nell’ambito delle democrazia europee, tanto da costituire il paradigma del nostro declino, ma presenta sconcertanti analogie con la tarda Respublica romana…
Insita nella realtà politica del mondo antico, la corruzione è strutturale all’economia di rapina che ne contraddistingue l’amministrazione statale e gli ambiti ‘produttivi’, caratterizzati dal saccheggio indiscriminato e lo sfruttamento selvaggio della manodopera, insieme all’incapacità di distinguere il patrimonio privato dall’appropriazione indebita dei beni comuni.
Se ogni carica pubblica costituiva infatti un’occasione di illecito arricchimento, era pratica consolidata dei funzionari della repubblica (elettivi) compensare le spese della campagna elettorale, con una congrua cresta a carico dell’erario, che nella fattispecie si esplicava in un ladrocinio istituzionalizzato.
Per porre un freno alle malversazioni ed alle rapine dei funzionari romani ai danni delle popolazioni amministrate, di malavoglia e sotto la spinta dei provinciali derubati, intorno alla metà del II° secolo a.C., la Respublica finì con l’istituire una serie di tribunali permanenti (quaestiones perpetuae), con lo specifico scopo di perseguire i reati di corruzione. E ne esistevano tanti quante erano le fattispecie di reato ascrivibili alle pubbliche funzioni.
Ad esempio, la quaestio de ambitu sanzionava gli illeciti inerenti la gestione della propaganda elettorale: dalla compravendita dei voti al ricorso ai brogli, che erano una pratica comune e universalmente diffusa nelle campagne elettorali.
La quaestio de peculato, come suggerisce il nome stesso, si occupava dei reati di peculato: dall’appropriazione illecita, alla concussione, alle frodi fiscali.
Le numerose Leges de pecuniis repetundis (per la restituzione del maltolto), che istituivano la quaestio repetundae, non si configuravano tanto come un provvedimento dettato dalla volontà di ripristinare la legalità violata e la repressione del crimen repetundarum, ma rientravano nell’ordinaria lotta politica, che a Roma opponeva la fazione degli Optimates a quella dei Populares, e costituivano un mero strumento di pressione per la conquista del potere.
Solitamente, era il mezzo con cui il ceto emergente dei populares cercava di scardinare lo strapotere della vecchia aristocrazia senatoria (optimates) dalla quale provenivano in massima parte i governatori provinciali ed i più importanti funzionari pubblici, avocando a sé la gestione dei procedimenti penali per corruzione, con processi che difficilmente addivenivano ad una sentenza definitiva, ma quasi sempre si concludevano con la fuga del reo in volontario esilio, per sfuggire alla condanna. E conseguente allontanamento (provvisorio) dall’agone politico.
Che poi il giudizio delle corti fosse affidato alla classe degli equites (“cavalieri”): avidi mercanti senza scrupoli, ai quali veniva pure data in appalto la riscossione delle imposte che erano soliti ricaricare illegalmente, trasformando l’esazione in una estorsione, era aspetto assolutamente irrilevante.
Il crimen repetundarum poteva essere “coactum”, ovvero tramite intimidazione e violenza, “conciliatum”, ovvero attuato tramite lusinghe e promesse; “avorsum”, l’appropriazione indebita di fondi destinati all’erario.
E in questo la legge romana non era molto dissimile all’attuale giurisprudenza che distingue la concussione per induzione da quella per costrizione. Se non fosse che l’originale latino era di gran lunga più severo nell’erogazione delle pene, più rapido nelle procedure di giudizio, e persino meglio strutturato dal punto di vista giuridico.
Tra i grandi ‘moralisti’ dell’epoca vale invece la pena di ricordare l’integerrimo Catone che, come advocatus e patronus dei provinciali iberici venuti a Roma (siamo nel 171 a.C.) per denunciare le ruberie del governatore locale, fece di tutto per insabbiare il processo affinché non venissero chiamati a rispondere in giudizio i nobiles ac potentes.
“Fama erat prohibere a patronis nobiles ac potentes compellare”
Tito Livio
(XLIII, 2)
E soprattutto Marco Tullio Cicerone che si costruì una reputazione come implacabile accusatore del governatore siciliano Verre, salvo divenire poi uno dei più fanatici difensori dell’oligarchia senatoria (e delle sue ruberie), dopo esserne entrato a far parte per cooptazione.
Ad ogni modo, il processo per la restituzione della pecunia capta fu il primo procedimento penalmente strutturato contro i fenomeni di pubblica corruzione e le pratiche di concussione. Funzionò? No, altrimenti non staremmo qui a parlare dei medesimi problemi, sotto altra forma per identica sostanza, dopo quasi duemila anni.

P.S. Il Bambino Matteo, il cui recente successo elettorale deve avergli conferito l’inopinata convinzione di essere diventato Augusto imperatore, con l’ennesimo slancio pallonaro che lo contraddistingue ha annunciato indignato:
«Fosse per me i politici corrotti li condannerei per alto tradimento. Chi viene condannato per queste cose non dovrebbe tornare a occuparsi della cosa pubblica, ecco il perchè della mia proposta di ‘Daspo istituzionale’.»
(05/06/14)
Sarà per questo che con quelli già condannati in via definitiva, con sentenza passata in giudicato e interdetti dai pubblici uffici, ci fa le “riforme” (a partire da quella della Giustizia) e ci riscrive insieme pure la Carta costituzionale!
Probabilmente, tra i provvedimenti urgenti sarebbe assai più utile la stesura di un vero ddl anti-corruzione che preveda, tra le molte cose, il ripristino del falso in bilancio, norme più stringenti sulla concussione, insieme ad una legislazione più severa contro il riciclaggio di capitali illeciti, oltre all’allungamento dei tempi di prescrizione per i processi.
Certo è un po’ difficile mettere in agenda simili priorità, specialmente quando ad affiancare l’evanescente guardasigilli Orlando ci sono due nomi che costituiscono una garanzia (per lo statista ai servizi sociali):
Enrico Costa, viceministro alla Giustizia nel Governo Renzi; già relatore per conto del Governo Berlusconi (il pregiudicato interdetto e a processo per sfruttamento della prostituzione minorile) del Lodo Alfano, che bloccava i processi giudiziari nei confronti delle quattro più alte cariche dello Stato. Lodo regolarmente firmato dal Presidente Napolitano e quindi abrogato dalla Corte Costituzionale per manifesta incostituzionalità. Ma all’avvocato Costa si deve anche la stesura del “legittimo impedimento” che prevedeva la sospensione dei processi giudiziari a carico dell’allora Presidente del Consiglio (Silvio Berlusconi) e ministri, fintanto che avessero mantenuto la carica elettiva. Tra le iniziative legislative dell’onorevole Costa vale la pena ricordare anche l’istituzione del “processo breve”, l’introduzione della responsabilità civile dei magistrati, la rivisitazione al ribasso dei tempi di prescrizione della Legge ex-Cirielli, la sottoscrizione della cosiddetta “Legge Bavaglio” contro la libertà di informazione, e la partecipazione a quasi tutte le leggi ad personam che hanno nei fatti paralizzato la giustizia penale in Italia.
Cosimo Ferri, sottosegretario alla Giustizia prima con Letta (nipote) e poi (in nome del cambiamento) riconfermato da Renzi. Il sottosegretario Ferri è il tipico magistrato politicizzato che piace al Papi (e non solo). È il grande regista sotterraneo della guerra interna scatenata dal viceprocuratore Alfredo Robledo contro i magistrati della Procura di Miliano. Mai indagato, il suo nome compare però nelle intercettazioni ambientali sull’inchiesta legata alla vicenda P3 ed alle pressioni esercitate sull’Agcom di Innocenzi [QUI], per bloccare le trasmissioni che parlavano dell’inchiesta sui fondi neri Mediaset.
A chiudere la trattativa in gran bellezza, basti ricordare che Angelino Alfano (quello dell’omonimo Lodo) è vicepremier nel Governo Renzi.

PER ULTERIORI LETTURE:
QUI, dove si parla di Andrea Orlando non ancora ministro, e ancor meno turbato, quando parlava di rivedere l’obbligatorietà dell’azione penale, perché anche all’opposizione il PD rimane un “partito serio e responsabile”.
QUI, dove si parla di mostri giuridici, leggi in deroga e poteri speciali e Grandi Opere e maga-appalti sui viali dorati dell’emergenza perenne.
QUI, dove si accenna al “Consorzio Venezia Nuova” di Giovanni Mazzacurati, ai primi arresti, ad ai sospettabilissimi amici di una disciolta Fondazione…
Matteo stai sereno!
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This entry was posted on 6 giugno 2014 at 02:34 and is filed under Kulturkampf with tags "Papà Goriot", Amministrazione, Andrea Orlando, Angelino Alfano, Antichità, Cleptocrazia, Concussione, Corruzione, Cosimo Ferri, Cultura, Diritto, Enrico Berlinguer, Enrico Costa, Equites, Giustizia, Governo, Governo Renzi, Honoré de Balzac, Istituzioni, Italia, Ladri, Laguna di Venezia, Leges de pecuniis repetundis, Liberthalia, Lodo Alfano, Matteo Renzi, Mose, Optimates, Partiti, PD, PdL, Peculato, Politica, Populares, Quaestio Repetundarum, Quaestiones perpetuae, Questione morale, Repetundae, Respublica Romana, Roma, Silvio Berlusconi, Società, Stato, Storia. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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6 giugno 2014 a 13:27
come mai nelle altre “democrazie europee” i fenomeni di corruzione sono molto più ridotti rispetto all’Italia? Come si regolano negli USA le attività lobbistiche? Sarebbe interessante saperlo in maniera dettagliata e concreta, così almeno possiamo provare a proporre qualche rimedio (a meno ovviamente di aver già scelto per la ghigliottina)
6 giugno 2014 a 14:03
Non credo che all’estero siano poi tanto più onesti di noi, né che esista una sorta (come dire?) di “specificità” italiana, con tanto di pregiudiziale ‘etnica’. L’occasione fa l’uomo ladro.
Ma nelle altre democrazie occidentali esistono due cose che qui da noi sono praticamente sconosciute, o aggirate in ogni modo possibile con mille arzigogoli legali:
1) Certezza del Diritto (e della pena!)
2) Forti misure deterrenti
In poche parole, al di là del biasimo sociale, fuori dall’Italia, se rubi vai in galera. E ci rimani per un bel pezzo. I tempi della Giustizia sono certi e non spalmati sull’assurdità tutta italiana di tre gradi di giudizio, con processo d’appello automatico e obbligatorio. Niente dilazioni, niente prescrizioni, niente impedimenti (il)legittimi e legittimi sospetti, “giusti processi”, concussioni spacchettate, depenalizzazioni, condoni, concordati, perdoni, patteggiamenti, affidamenti in prova si servizi sociale (senza un solo giorno di gabbia), ex-Cirielli, Cirami, Simeone-Saraceni, lodi vari, e il cazzo che se li frega!
Ciò detto, corrotti e corruttori, non fanno i ministri (meno che mai agli Interni o alla Giustizia). Se condannati, nessun partito li porta in Parlamento per sottrarli alla condanna.
La Sinistra (quella vera) non candida e piazza ovunque vecchi cacicchi democristiani (tipo Orsoni), umiliando il proprio elettorato storico, per conquistare il voto “moderato”. Che poi si vedono gli effetti e la contropartita in cambio!
Per l’assegnazione lavori, le gare d’appalto si fanno ed hanno sempre evidenza pubblica.
Le “grandi opere” sono soggette a valutazioni d’impatto da parte di organismi terzi (con parere vincolante) e non godono di una legislazione speciale con decreti in deroga ad hoc da parte della “Presidenza del Consiglio”.
Qui da noi invece è come invitare un branco di faine affamate in un pollaio. Non ci si meravigli poi degli effetti.
6 giugno 2014 a 18:57
” Il comunismo non è mai andato al potere in un paese che non fosse smembrato dalla guerra o dalla corruzione, o da entrambe. ”
http://www.transparency.org/cpi2013/results
Privo di una legge di natura collocata nel cuore l’uomo può fare quello che più gli aggrada.
6 giugno 2014 a 19:04
Vale sempre la pena ricordare le perle di saggezza del Papi della Patria… a termini inversi sarà interessante notare come nelle repubbliche bananiere invece la predilezione dell’elettorato sia riversata di preferenza verso cialtroni e populisti (spesso entrambi): pagliacci travestiti da statisti.
6 giugno 2014 a 19:54
Non so quali siano all’estero le applicazioni della certezza del diritto e le altre misure, temo però che nulla sia più incerto del diritto quando si parla di edilizia, urbanistica e lavori pubblici; come sa ogni professionista del settore, si è passati in pochi decenni da una vacatio legis de facto a una proliferazione di leggi e varianti spesso contraddittorie, rese ancor più contraddittorie ora dal recepimento delle Direttive UE, con Uffici tecnici che non sanno manco quale sia la differenza fra DIA e SCIA, per dire; è ovvio che in questo caos chi è più furbo e “sa” come accelerare i tempi delle pratiche o dei concorsi va avanti;
l’altra ragione è che non c’è più il partito-stato democristiano che tutto (o quasi) tacitava e assorbiva al suo interno; non è che non ci fosse corruzione, è che semplicemente aveva altri nomi più aggraziati: clientelismo, favori, raccomandazioni, etc. Meglio ancora durante il fascismo, quando non c’erano leggi (la prima legge urbanistica, 1942) né quindi certezze del diritto da questionare, ma in compenso i treni arrivavano in orario e per imporre le bonifiche o le battaglie del grano bastava un regio decreto
7 giugno 2014 a 02:43
😉 A proposito di “edilizia”, credo che quando si parli di grandi appalti, su commessa pubblica per opere faraoniche, gli interessati sappiano benissimo quali siano le disposizioni di legge alle quali attenersi. In caso contrario esistono fior di consulenti e di specialisti per districarsi nella giungla normativa in questione.
E in ogni caso buona parte delle violazioni si configurebbero come illeciti amministrativi, piuttosto che penali. Mettere a libro paga amministratori regionali, magistrati contabili, funzionari pubblici, uffici tecnici e generali della GdF, per eludere controlli, falsificare perizie, ottenere agevolazioni e concessioni, farsi cambiare le registrazioni catastali, e tenersi costantemente informati sul corso di eventuali indagini di qualche procuratore, diciamo che va molto oltre una interpretazione elastica delle leggi in materia urbanistica…
Il problema maggiore, secondo me, resta una certa prassi “istituzionale” che si è andata via via affermando in quest’ultimo decennio, sulla scia del decisionismo berlusconiano (molto mussoliniano). Pratica di cui il Mose è stato il precursore nell’eccezione diventata norma. Ovvero: lo spasmodico ricorso alle “ordinanze emergenziali”, per decreto governativo, su assegnazione diretta a giganteschi “Consorzi”, dove non si entra per bando o per concorso, ma per altre entrature…
Nate per velocizzare i lavori e districarsi nei grovigli normativi (a colpi di machete), le Ordinanze del Presidente del Consiglio (il governo di B. è arrivato ad emetterne oltre 600 all’anno, ma l’invenzione è di Bettino Craxi) creano dei mostri giuridici, con cartelli di imprese, che agiscono in deroga alle normative vigenti, sostanzialmente dispensati da ogni controllo, che alla lunga finiscono per diventare dei giganteschi comitati di affari e centri di potere occulto (a cui poi la ‘politica’, auto-esautorata, si raccomanda).
All’assegnazione diretta degli appalti senza alcuna gara, ai controlli sottratti agli uffici tecnici ed affidati agli stessi (non) controllati, all’assenza o messa in mora degli studi sull’impatto ambientale, il Berlusconismo ha aggiunto un tocco in più: la militarizzazione dei siti (vedasi l’emergenza rifiuti in Campania o i cantieri della TAV), con l’apposizione del “Segreto di Stato” per quanti (giornalisti, tecnici indipendenti, associazioni civili, amministratori locali..) avessero voluto chiedere lumi sulla mancata applicazione (per decreto) delle leggi sulla trasparenza, sui requisiti dei contratti, sulla concorrenza, sugli appalti, sulla pubblicazione dei bandi, sulle verifiche archeologiche, sulle varianti, sui termini, sulla selezione delle offerte, sull’adeguamento prezzi, sulla progettazione…
E tutto ciò dinanzi ad un flusso inarrestabile di denaro pubblico, per finanziamento lavori, svincolati da ogni “spending review”, o capitolato di spesa, o stato avanzamento delle opere.
In pratica, è un invito a delinquere. Ovvero è il magico mondo delle imprese senza lacci e lacciuoli della cleptocrazia berlusconiana.
O semplicemente, almeno per me, costituisce il volto ordinario del capitalismo quando viene lasciato libero di agire secondo la propria natura, in base allo spirito animale che ne anima i furori liberisti, senza maschere né limiti.
Se poi si aggiunge che tutta la legislazione anti-corruzione è stata quasi completamente smantellata nel corso dell’ultimo ventennio (superfluo ricordare i nomi e perché), ecco spiegata la presunta “anomalia” italiana che tale non è. A simili condizioni ‘ottimali’, qualsiasi gruppo industriale, a qualsiasi latitudine agirebbe in tal senso.
Tuttavia, i nostri cleptocrati in fondo sono delle mammolette di provincia se paragonati agli squali-tigre delle corporations e della finanza USA, anche se i media ci ammansiscono la favoletta falsa come il sorriso McDonald della “grande democrazia” perfetta e onestissima. Lì stanno avanti anni luce rispetto a noi, con le multinazionali che si nominano direttamente il Presidente e poi gli piazzano come vice il loro amministratore delegato (vedasi il caso della Halliburton), che si lancia in una guerra di saccheggio per farsi assegnare appalti della ricostruzione, forniture militari, e gestione dei pozzi petroliferi.
Attualmente, hanno sostituito il simpatico Giorgio Cespuglio jr con un piazzista d’armi che sponsorizza aeroplanini per conto della Lockheed. E infatti gli hanno dato il premio Nobel per la pace.
Irraggiungibili! Per livelli ineguagliabili.
Ma lì il falso in bilancio c’è; funziona benissimo e garantisce il naturale ricambio tra i piranhas del turbocapitalismo, che ne sono terrorizzati come un tonno dinanzi ad una rete a strascico.
🙂 Perdona la divagazione notturna.