L’Europa non esiste

Se esistesse una reale visione europea, con una effettiva unità di intenti e di prospettive condivise, sarebbe evidente che ad essere sotto attacco non è l’euro o il cosiddetto “fondo salva-stati” ma lo stesso concetto di Unione Europea, intesa come soggetto politico unitario che possa influire con efficacia sulle dinamiche economiche globali.
Dietro l’alibi della nuova recessione (creata proprio dalla finanza liquida) si nasconde in realtà una guerra non dichiarata del capitale finanziario, prevalentemente anglosassone, contro le politiche fiscali delle democrazie (ancora) sovrane, nella negazione del concetto stesso di Società e nella destrutturazione del capitale imprenditoriale, funzionale alla de-responsabilizzazione tramite deregolamentazione. Da questo punto di vista, le famigerate agenzie di rating, attraverso il condizionamento interessato del downgrading, sono i B-52 impegnati nei bombardamenti a tappeto, prima dell’assalto in massa degli speculatori finanziari, onde disinnescare ogni possibile contromisura.
 Le agenzie di rating, emanazione diretta e braccio armato dei grandi fondi d’investimento statunitense e relative banche d’affari, con un mostruoso groviglio di interessi, non sono affatto organismi imparziali, ma agiscono con un preciso intento politico. Soprattutto, hanno una sola finalità: fare quattrini (tanti e subito!), incrementando i dividendi delle principali holding che sponsorizzano ed usano il rating come grimaldello nei mercati azionari della finanza globale.
Il loro tempismo è emblematico: il presidente francese parla di istituire una penale in caso di valutazioni errate? A Bruxelles si discute di introdurre una tassazione (minima) delle transazioni finanziarie, con una blanda rivisitazione della Tobin-tax? La BCE preme per l’istituzione di un fondo che dia garanzia e solidità alla sottoscrizione dei debiti sovrani? Le tre agenzie di rating americane, con in testa la famigerata Standard & Poor’s, intervengono a tempo di record stilando le loro inappellabili (e soprattutto non richieste) pagelline di merito, per sabotare sul nascere ogni possibile iniziativa di intervento e correzione.
Si tratta di un tavolo da gioco, dove il cartaio usa mazzi truccati, ogni giocatore segna le carte, e il banco bara spudoratamente.
Gli investitori del grande capitale finanziario prediligono la massima stabilità, con interlocutori certi, referenti unici, nessun vincolo, flessibilità estrema delle Istituzioni pubbliche allo strapotere economico, con massima libertà di movimento (e disimpegno).
Attualmente i Paesi europei, e quel simulacro di “Unione” che li rappresenta, non offrono queste garanzie. E non le possono offrire, senza stravolgere la natura stessa del patto sociale che lega i cittadini ai propri amministratori e rappresentanti.
Di conseguenza i cosiddetti “speculatori”, e la finanza che dietro loro si muove attraverso le agenzie di rating, hanno scelto una linea di continuità continuando ad appoggiare il colosso statunitense dai piedi sempre più d’argilla, che risponde però ai requisiti fondamentali del capitale finanziario nella sua vocazione imperiale.
Intendiamoci, gli speculatori d’oltreoceano non puntano al tracollo dell’Europa, ma ad un suo ridimensionamento in posizione subalterna di contrafforte dell’egemonia USA. La ricapitalizzazione dei fondi sovrani europei, il drenaggio di risorse ed investimenti finanziari per il sostegno del debito pubblico dei Paesi dell’Unione, viene percepito come un’inutile sottrazione di risorse che potrebbero invece essere impiegate per colmare la spaventosa voragine del disavanzo degli Stati Uniti: soggetto politico ed economico che meglio della debole Unione può imporsi sullo scacchiere internazionale e gestire la globalizzazione, contrapponendosi alle ambizioni del gigante bicefalo dell’Estremo Oriente (India e Cina).
In questa prospettiva, le agenzie di rating, insieme agli hedge-fund ed alle business bank che ne muovono i fili dietro le quinte (JPMorgan Chase; Goldman Sachs; Morgan Stanley e l’onnipotente Blackstone Group..) guardano all’Europa come ad un mercato periferico, saldamente inserito nell’orbita dell’Impero e opportunamente depotenziata da ogni velleità decisionale:
 Abbastanza ricca per poter acquistare merci (ed armamenti) in eccedenza sulla piazza statunitense.
 Sufficientemente debole da non rappresentare un valido concorrente.
Coerentemente, un euro troppo forte costituisce un problema, giacché la stabilità monetaria renderebbe tale valuta assai più appetibile e solida rispetto al dollaro nelle transazioni commerciali e negli scambi internazionali, a partire dalle quotazioni delle materie prime come nel caso del petrolio.
Ma un euro troppo debole e svalutato, favorirebbe l’esportazione e la vendita di prodotti europei, inibendo però il consumo interno e danneggiando le importazioni statunitensi in Europa.
Perciò, la parità dell’euro col dollaro non è opinabile. E meno che mai lo è una sua eccessiva svalutazione. Un’oscillazione stabile intorno ad 1,20 euro per un dollaro sarebbe ottimale. E vedrete che i mercati speculativi faranno in modo che le quotazioni se ne discostino di poco.
In tal senso, la prospettiva ideale per il capitale finanziario è un’Europa ininfluente politicamente ed economicamente frazionata in macroaree continentali che in qualche modo ricordino le gilde mercantili del medioevo, con una Gran Bretagna ridotta a satellite USA.

 In questa prospettiva, per azzardo, l’Europa centrale, con a capo una Germania asfissiata dalla sua stessa intransigenza rigorista, rischia di trasformarsi in una nuova Lega Anseatica: egemone a livello regionale ma dalle prospettive comunque limitate in ambito internazionale.
L’Europa mediterranea, per gioco-forza, si vedrebbe invece costretta a costituire una sorta di alleanza con le varie cenerentole d’Europa, proiettando investimenti ed estendendo le sue politiche commerciali verso i paesi del Nord-Africa e la Turchia, con una difficile diarchia tra Italia e Francia a contendersi la leadership di un nuovo blocco che paradossalmente ricalcherebbe grossomodo i confini dell’antico impero romano.

Ma questa è solo un’ipotesi fantapolitica.
Sostanzialmente, i mercati internazionali non si fidano dell’Europa né la ritengono un soggetto politico all’altezza delle sfide. E la disastrosa conduzione della crisi economica da parte della UE, insieme all’irrilevanza nelle grandi decisioni internazionali, difficilmente potrebbero dar torto ai detrattori di un futuro ruolo dell’Unione che nei fatti non decolla.
E questo dall’altra parte dell’Atlantico lo hanno capito fin troppo bene… da almeno trenta anni!
In proposito, è curioso leggere un semi-sconosciuto apologo del giornalista e politico Pierre Salinger, ex addetto stampa del presidente J.F.Kennedy, che fu pubblicato nell’Ottobre del 1982 su Panorama Mese: all’epoca una delle migliori riviste italiane, prima di diventare una propaggine delle varie Agenzie Stefani di Arcore.
Confezionato come un immaginario memorandum consegnato a Mr President, l’apologo di Salinger ha un titolo evocativo: “L’Europa non esiste”

«Uno dei maggiori miti del periodo del secondo dopoguerra è che esista un’entità indipendente che si chiama Europa. Con certezza si può dire che vi è soltanto una massa di territorio che per secoli è stata chiamata Europa. Ma l’Europa di cui lei ed i precedenti presidenti degli Stati Uniti hanno discorso non esiste. Infatti, per esistere, dovrebbe possedere una unità economica, politica e militare. Mentre una analisi seria di questi tre requisiti dimostra che il primo a malapena sussiste e gli altri non ci sono affatto. L’Europa è in effetti null’altro che un gruppo di nazioni sovrane, ciascuna con i propri obiettivi e con proprie ambizioni nazionali. Tali ambizioni e obiettivi sono il più delle volte contraddittori e radicati da secoli di conflitti sanguinosi. Tre almeno di queste nazioni hanno la pretesa di avere qualche ruolo nella direzione del mondo, la Francia, la Germania, la Gran Bretagna.
Esse l’hanno avuto un tempo, ma oggi il loro influsso individuale sulla politica globale è limitato alla loro dimensione, spogliata dagli imperi coloniali. Vi è diffidenza verso la Germania in Francia; diffidenza verso la Gran Bretagna in Francia; diffidenza verso la Francia in Gran Bretagna. Pur non essendovi una Europa, esistono tuttavia alcuni europei […] Ed essi amerebbero vedere la fondazione di un’Europa coerente. Hanno avuto qualche successo limitato. Il più recente è stato quello dell’instaurazione di un parlamento europeo eletto a suffragio universale. Pur non possedendo alcun potere reale, si tratta di un terreno d’incontro per quel piccolo gruppo di persone che credono davvero possibile la creazione dell’Europa. Ma essi vanno costantemente ad urtare contro il muro compatto della sovranità nazionale. Difatti ben poche sono le nazioni europee disposte a cedere parte delle loro prerogative nazionali ad una entità pi vasta; cosa che sarebbe necessaria alla creazione dell’Europa. E durante questo periodo di crisi economica (che va di pari passo con la peggiore disoccupazione dalla fine della seconda guerra mondiale) il continente europeo è percorso dalla crescente tendenza verso il protezionismo ed il nazionalismo, due gravi barriere che intralciano la creazione dell’Europa.
[…] Oggi non sembra esagerato affermare che tutto ciò che resta è una unione doganale, spesso messa in discussione dalle dispute tra i membri […] Per non parlare poi del fallimento dei paesi europei nel coordinare le loro politiche economiche, cosa che darebbe le migliori probabilità di emergere dall’attuale crisi globale. Ogni paese va per la propria strada, dalla Gran Bretagna monetarista, alla Francia socialista, all’austera Germania. Per cui, se vi è stato un sia pur piccolo progresso nell’unione economica, oggi è minacciato come non era mai avvenuto nella formazione del mercato comune.
Diciamo le cose come stanno, l’unità politica europea semplicemente non esiste. E siccome non esiste, l’Europa come entità non ha influenza comunitaria nella politica mondiale. Da tempo è svanito il sogno di un’Europa che diventasse la terza superpotenza, situabile tra Stati Uniti e Russia, più legata agli USA grazie al comune terreno di libertà e democrazia, ma conservando una propria indipendenza su temi e interessi di speciale importanza per chi vive sul continente europeo. Le nazioni europee non sono state capaci di mettere insieme alcuna significativa ed efficace azione politica propria

È vecchio di 30 anni, ma sembra scritto oggi.

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3 Risposte a “L’Europa non esiste”

  1. Carmela Piano Says:

    Sono un po’ imbarazzata nel dichiararmi, come sempre, ammirata per le geniali intuizioni e le documentatissime tesi espresse nel blog. E’ in atto una guerra sferrata dal capitale finanziario contro quello imprenditoriale, dall’economia orientale contro quella occidentale.
    L’Europa ora cerca di migliorare la propria competitività cercando di abbattere i costi sociali, e il governo Monti s’impegna a ridurre gli esclusi in lacere masse umane asservite. Osservando Monti, gli altri stati sperimentano l’attuabilità del percorso desiderato ma temuto da tutti loro. Di fatto i livelli imposti dal governo al nostro paese, non sono nemmeno di sopravvivenza, e l’offesa alle intelligenze è inaccettabile. Monti, per salvare interessi globali, ha fatto scelte che di fatto annientano, in Italia, ogni prospettiva non solo di sviluppo, ma addirittura di sopravvivenza, con inaccettabili rinunce per la quasi totalità degli Italiani. Dobbiamo sforzarci di individuare le vie d’uscita. Grazie di cuore all’impegno progressivo del blog!

  2. sei sempre un grande!!!
    Ancora mi chiedo come facciano queste cosiddette agenzie di rating ad avere credibilità, ad essere tanto temute ed assecondate, a fare tanto scalpore mediatico nelle loro decisioni. Ma sbattersene?? (Vabbè, il mio ragionamento è semplicistico e quasi utopico, è solo che qui sono proprio quei tizi a cantarsele e suonarsele: fanno danni, si auto-declassano, si curano… e guadagnano.)

  3. Si può fare a meno del “rating”, con la valutazione certificata dei titoli finanziari?
    Probabilmente, NO.
    Si può fare a meno delle Agenzie di rating?
    Assolutamente, SI.

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