«Queste elezioni dicono con chiarezza che con il Renzi 2 non si vince. Devo tornare a fare il Renzi 1. Una cosa è certa: le primarie sono in crisi. Dipendesse da me, la loro stagione sarebbe finita. Serve un modello di partito diverso, all’americana: più Obama, meno Mastella o Pajetta. Quando mi riferisco a Obama, pensa un partito organizzato in maniera nuova. Con un esperto di “big-data” che lavori al fianco di giovani iscritti e militanti. Giovani che sappiano farsi portatori dei valori sui diritti anche moderni: smart-city, talento, sostenibilità, lotta alla fame e diritti sociali, certo. […] Questo è un paese moderato, vince chi occupa il centro. Con personalità. Perché se invece degli originali corrono le copie, allora non funziona. In Liguria la Paita non ha perso perché il candidato di Civati le ha tolto dei voti che probabilmente non sarebbero andati comunque a lei. Ha perso perché nell’ultima settimana il 5 per cento degli elettori di centro si è spostato verso Toti. […] Al governo abbiamo fatto cose tecnicamente straordinarie: lavoro, giustizia, legge elettorale, divorzio breve, diritti civili. Anche l’immagine all’esterno è molto migliorata. Non siamo più i malati di Europa e durante l’ultimo G7 gli elogi pubblici di Obama alle nostre riforme sono stati quasi imbarazzanti. E basterebbe dare uno sguardo alle pratiche che abbiamo ereditato per capire che non è affatto vero che Letta era più competente di me, come ha scritto qualcuno. […] Da oggi le riforme sono più vicine, non più lontane. Adesso dovrò aumentare i giri, non diminuirli. Devo tornare a fare il Renzi pure lì. E farlo davvero. Infischiandomene delle reazioni per aprire una discussione dentro il mio partito. Al governo non c’è mai stata un’infornata di persone in gamba come a questo giro. Penso alle nomine che abbiamo fatto: De Scalzi all’Eni, Starace all’Enel e Moretti a Finmeccanica. La vera accusa che mi si dovrebbe rivolgere non è di avere messo i miei al governo, ma di non averli messi nel partito.»
Matteo Renzi (15/05/2015)
Per la serie: vieni avanti cretino, che a noi già viene da ridere! Deve bruciare davvero tanto la mazzata elettorale che ha schiantato le magnifiche sorti progressive di questo arrogante sbruffone da strapazzo, rotolato dalla provincia con furore, proprio grazie alla farsa di quelle “primarie” che ha usato fintanto gli sono tornate utili, ed ora che ha occupato la poltrona intende eliminare. Elmetto in testa, lancia (spezzata) in resta e avanti a tutta destra, il Matteo furioso parte alla carica che non ha ancora finito di spalmarsi la vaselina, in una di quelle rodomontate, con cui i bulletti feriti nell’orgoglio di solito vanno a schiantarsi definitivamente sotto una gragnola di ceffoni. È il ritorno del ducetto da tre soldi, più che mai pesto nella sua ira funesta senza più cantori, lungo la parabola tutta in discesa dell’alquanto ammaccato Rottamatore avviato alla demolizione precoce, nella sceneggiata smargiassa del cialtrone che si crede Telemaco ed al massimo può scimmiottare Mr Bean, per di più parodiato in versione iper-stronza. Oramai sembra una macchietta comica: un Pinotto senza il suo Gianni, che fa la faccia feroce e mostra i denti, come un cane bastonato che abbaia alla luna, ringhiando sul suo piccolo trono di spade spuntate, con l’enorme sederone a prova di rimozione saldamente incastonato tra i braccioli del suo regale seggiolone, mentre grida “Io sono il re!”.
È l’omuncolo nell’alto castello, che gioca al piccolo dittatorello nel suo regno fatato di bubbole seriali, ridotto com’è ad un cinghialotto allo spiedo per rosolatura a fuoco lento. E in attesa della giusta cottura, al Porchetta in orbace, mentre si nasconde dietro l’ombra di un O’Banana avviato al tramonto, proprio non gli riesce di condire le sue smargiassate senza offendere qualcuno: se la prende con nullità assolute come Clemente Mastella e come tutti i vigliacchi insulta i morti, maramaldeggiando gratuitamente contro un Giancarlo Pajetta che se fosse ancora in vita lo prenderebbe a calci in culo da Roma fino all’Arno, insieme a tutta la corte di chierichetti democristiani con cui ha infeudato il sempre più osceno partito bestemmia. Partito che si vorrebbe ancor più liquido, come una scarica di diarrea in un attacco incontrollato di dissenteria, che finirà col prosciugare questo ributtante comitato d’affari ad uso personale, tra spruzzi di smart-city e big-data e tutte le altre puttanate assortite, che infarciscono la scheda di programmazione di questo prodotto già fallito da laboratorio confindustriale.
Essere o non essere…
E pensa alle nomine fatte, l’inzeppata di straordinari talenti dai Filippo Taddei, ai Gutgeld, ai Gozi, ai Luca Lotti… e tutta l’infiorata degli amichetti della parrochietta che costituiscono l’orripilante cricca di potere del “Giglio Magico” fiorentino. Almeno fino a quando continueranno a girare le rotelle del giocattolo meccanico, che muove la giostra del renzismo e che gira sempre più vorticosa su se stessa, pur rimanendo sempre ferma nello stesso posto. Ci sono cadute epocali e terribili, altre che si consumano in fretta col fragore di un peto. A conti fatti, non ne resta altro che l’olezzo destinato (e per fortuna!) ad evaporare in fretta, con tutta l’inconsistenza gassosa dei palloni gonfiati. Al Bambino Matteo prescriviamo una bella camomilla, onde sbollire in fretta gli ardenti spiriti della sconfitta, e a letto senza cena!
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