
Ogni momento storico ha il suo personaggio di riferimento.
Seppellito provvisoriamente il grande statista di Arcore sotto due metri di cerone, in attesa della risurrezione con contorno di Maddalene piangenti e ladroni mai pentiti, tutti i riflettori e le aspettative sono ora rivolte verso il prof. Mario Monti, che avrà il compito più che gravoso di traghettare l’Italia fuori dal guano in cui il Pornocrate l’ha precipitata.
In attesa del lieto evento, si sprecano i fiumi di inchiostro per delineare la caratura del nuovo personaggio del giorno, tra le interpretazioni e le disamine più svariate sulla biografia del prof. Monti. Pertanto, l’etere potrà benissimo fare a meno del nostro più che superfluo contributo.
Sulla figura di super-Mario, in pirotecnica staffetta, si alternano panegirici agiografici e critiche serrate… I commentatori più intelligenti ricordano il suo ruolo organico nel mondo finanziario. Ironizzano sul paradosso di colui che dovrebbe salvare la situazione, applicando le ricette di chi la crisi l’ha creata, forse nella convinzione che abbia la stessa efficacia dei vaccini estrapolati dagli agenti virali alla base della malattia. E ne sottolineano la contraddizione implicita di una candidatura di ‘sistema’. A dire il vero più potenziale che sostanziale…
Si lamenta la prevalenza dei governi di tecnici sulla ‘Politica’ e la presunta “perdita di sovranità democratica”, ma si dimentica che ogni governo per essere tale deve reggersi necessariamente sul consenso di maggioranze parlamentari. Fino a prova contraria, la nostra Costituzione prevede che il “popolo” elegga i parlamenti e NON i governi, i quali ricevono la loro legittimazione dalle Camere. Ne consegue che ogni governo è ‘politico’ e dura fintanto che ha il sostegno in Parlamento, quale unico e vero “rappresentante della volontà popolare” per indiretta intermediazione.
In realtà, questi sarebbero concetti basilari nella complessità dell’architettura costituzionale. Ma nelle reiterate semplificazioni della finzione berlusconiana (la cui nefasta eredità dovremo metabolizzare a lungo) si preferisce lanciare generiche invocazioni alla “Libertà” (concetto vacuo se privato di sostanza), lamentando la “perdita di democrazia” nell’illusione che i due concetti costituiscano un’equazione certa a prescindere. Una simile pretesa risulta quanto mai impropria per una compagine governativa, che ha convertito i timori di un Alexis de Tocqueville sul “dispotismo della maggioranza” in prassi ordinaria. D’altra parte, una democrazia politica mutua le sue maggioranze dal filtraggio delle preferenze collettive, secondo i meccanismi elettorali della rappresentanza indiretta per delega (in bianco). Nella fattispecie, il sistema elettorale italiano è quanto di meno rappresentativo possa esistere in termini di scelta. Le maggioranze elettorali che ne scaturiscono, lungi dall’essere espressione esplicita di una sedicente “volontà popolare”, sono il risultato di un compromesso tra interessi e aspirazioni divergenti, nell’impossibilità di rispettare la scelta originale dell’elettore. La questione era ben chiara fin dagli albori della democrazia, quando il Marchese de Condorcet elaborò il famoso “paradosso” che porta il suo nome e dal quale Kenneth Arrow strutturò il suo Teorema dell’Impossibilità nel 1951.
Ad ogni modo, qualora il prof. Monti fosse il robotico tecnocrate imposto dall’Europa, esautorando la ‘Politica’, bisognerebbe anche rammentare cosa quest’ultima è stata capace di esprimere nel corso dell’ultimo trentennio e tenere a mente di quale pasta siano fatti i politicanti nostrani, professionalizzati nella mortificazione delle competenze.
È altresì curioso che le principali rimostranze provengano da uno schieramento politico, imperniato sull’infallibilità del Führerprinzip, che ha fatto della forzatura costante delle regole, della commistione tra pubblico e privato in un abnorme conflitto di interessi, delle tutele corporative e dell’affarismo dilagante… lo strumento permanente della sua azione cogente.
Tuttavia, già dimentica dell’austero predecessore, la vulgata comune dei detrattori preferisce il ritratto di un Monti rappresentato come uno strumento (agente rettiliano?) della Finanza internazionale (ebraica?), intesa come un unico blocco di potere (occulto) impegnato a perseguire un articolato disegno di egemonia e controllo globale. Per l’occasione, non manca chi rispolvera l’antico complotto pluto-giudaico-massonico di fascistissima memoria, confezionato sempre in nuove varianti.
Dispiace constatare quanto, dopo la morte delle ideologie, come alternativa abbiano attecchito nell’immaginario di massa le demenziali panzane sul “signoraggio bancario”, saldamente innestate nel substrato d’accatto culturale di un cospirazionismo complottardo, che non va oltre i libracci di Dan Brown, pesca a man bassa dalle fortunate baggianate di Michael Baigent e Richard Leigh, e soprattutto ha eletto a verità di fede la pletora di deliri paranoici condensati nel fantomatico NWO.
La prova inconfutabile risiede nel fatto che Mario Monti sia l’uomo della famigerata Goldman Sachs, il cui board sembrerebbe controllare le principali istituzioni economiche e politiche su scala globale, tramite una serie di figure chiave piazzate tra i diversi schieramenti politici.
Che una delle più grandi banche d’affari del pianeta si serva di personaggi di comprovata esperienza per la gestione dei propri capitali ed investimenti finanziari, affidando a specialisti del settore (advisor) la revisione dei propri bilanci, è un fatto lapalissiano. Solitamente le grandi holding e le multinazionali non affidano la gestione contabile al figlio ragioniere del vicino di casa.
Non dovrebbe essere un concetto troppo difficile da capire, a meno che non si viva nel paese della nipote di Moubarak e delle cene (orge) eleganti.
L’apparente comunanza di interessi e di vedute, con una soluzione di continuità ideale di proposte e interventi di risanamento, non risiedono certo in un “complotto” d’ispirazione mistico-esoterica, ma nell’accettazione pressoché universale di una medesima matrice economica, convertita in ideologia dominante su base politica, che non prevede alternative né eterodossie in nome di un modello capitalistico che da prevalente è diventato dominante. È logico che istituzioni e governi conformino l’azione politica e le proprie linee guida a livello economico, in ossequio ad un unicum considerato imprescindibile. Attualmente, costituisce quel complesso dottrinario nelle teorie macro-economiche, chiamato neo-monetarismo. Ma era già conosciuto agli albori del XX secolo col nome di “capitale finanziario”.
«Il monetarismo, la UE lo ha elevato a dottrina centrale e indiscutibile addirittura per costituzione (costringendo a votare di nuovo chi si era espresso contro, fino a non fare votare per nulla la sua ultima riproposizione, il “Trattato di Lisbona”). I parlamenti sono stati esautorati delle loro prerogative attraverso limitazioni di mandato, o meccanismi di voto alterati sino a escludere opposizioni ostili alla filosofia di fondo. Ogni impegno è volto a impedire che i cittadini possano influire sulle scelte determinanti che li riguardano.
Naturalmente, l’effetto è più sensibile nelle fabbriche, la cellula autoritaria per eccellenza. Guai a ostacolare l’efficientismo dei padroni, salvo una trasmigrazione delle aziende. Si pisci di meno, si mangi di meno, si lavori fino allo sfinimento, dal giorno alla notte. Altrimenti produrremo (senza peraltro vendere) dove la forza-lavoro costa quasi un cazzo, e dove i diritti dei lavoratori confinano con quelli della prima rivoluzione industriale. Sindacati gialli, forti solo di una base di pensionati iscritti a forza per presentare la dichiarazione dei redditi, applaudono entusiasti. Due ipotesi alternative: o non hanno capito nulla, o hanno capito troppo e sono complici. Buona la seconda.
Ma come si fa, senza riuscire a vendere ciò che si è prodotto (per esempio automobili), a tenersi sul mercato? Il fatto è che il capitale finanziario ha finito col sovrapporsi al capitale reale. Hilferding lo aveva previsto, ma anche Marx lo aveva intuito (con la formula D-M-D: si rilegga il primo volume de Il Capitale per vedere cosa significa). La “M”, merce, è comunque uscita di scena. Paesi prosperi come l’Irlanda o la Spagna sono messi in un angolo, declassati da entità futili quali le agenzie di rating. Agenti fasulli e obbrobriosi, che solo una teoria forsennata come il monetarismo, privo di qualsiasi base scientifica (come aveva dimostrato il compianto Federico Caffè in Lezioni di politica economica, Bollati-Boringhieri, 1980), poteva formulare. Ebbene, proprio il monetarismo è la dottrina ufficiale dell’Unione Europea. Non conta quanto un Paese sia vitale e produttivo. Conta, per valutarlo, il suo indebitamento. Verso cosa? Verso un debito complessivo più grande. Tutti sono indebitati. Specialmente l’Africa, il continente più ricco di materie prime e di giacimenti. Guarda caso, sembra il più povero. I suoi abitanti fuggono al nord inseguiti dalla fame. Chi li perseguita? Una povertà naturale? No, il debito. Chi è ricco diventa povero, chi è povero diventa ricco. C’è qualcosa che non va.
Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: è un errore di calcolo. Non ha niente a che vedere con l’economia propriamente intesa, cioè con la ripartizione delle risorse tra gli appartenenti al genere umano, cercando di far sì che esistano beni per tutti. E’ una follia collettiva che va oltre le atrocità del capitalismo, cioè la versione moderna del rapporto tra padroni e schiavi. Siamo alla servitù delle cifre, si produca o no. Siamo servi di un registratore di cassa in mano altrui, che pare manipolato da un folle. Ma folle non è poi tanto. Sceglie quale classe colpire, per farla vittima delle sue bizzarre matematiche. E’ sempre la classe subalterna, quella dei salariati e degli stipendiati. Tutto si tocchi salvo i profitti e le rendite, essenziali ai fini dell’algebra astratta del regno della finzione economica. Dove chi non produce guadagna, chi produce soffre, chi sarebbe ricco è povero, chi è povero lo è per calcoli immateriali e per flussi di ricchezza inesistente fatti apposta per non beneficiarlo.
Il “debito pubblico” è un’astrazione legata a un’ideologia stupidissima, oggi l’unica insegnata nelle università – il “monetarismo”, più la sua variante volgare, la Supply Side Economy, cara a Reagan, alla Thatcher, a Pinochet – e il sistema, vergognoso, vi ha costruito sopra un intero edificio teorico.»
Valerio Evangelisti
“Economia metapolitica”
Carmilla on line – 04/01/04
A proposito di “capitale finanziario”, alla vigilia dell’insediamento del Governo Monti, sarà il caso di ricordare un personaggio come Rudolf Hilferding: economista di estrazione marxista ed esponente di spicco della SPD tedesca, fu Ministro delle Finanze nella Repubblica di Weimar prima dell’avvento del nazismo. Su Hilferding potete leggere un’ottima monografia dello storico Lucio Villari: QUI.
Secondo Hilferding, il capitalismo industriale, fondato sui principi del libero scambio, è destinato ad essere sostituito integralmente dal capitalismo finanziario, in perfetta sinergia con gli organismi statali che ne diventano diretta espressione politica di tipo oligarchico.
«La caratteristica del Capitalismo “moderno” è data da quei processi di concentrazione che, da un lato, si manifestano nel “superamento della libera concorrenza”, mediante la formazione di cartelli e trust, e, dall’altro, in un rapporto sempre più stretto fra capitale bancario e capitale industriale. In forza di tale rapporto, il capitale assume […] la forma di capitale finanziario, che rappresenta la sua più alta e più astratta forma fenomenica. Lo schema mistico che vela in genere i rapporti capitalistici raggiunge qui il massimo della impenetrabilità»
Rudolf Hilferding
“Il capitale finanziario”
Feltrinelli, 1976
Hilferding collega la nascita del capitalismo finanziario alla vocazione imperialistica dello Stato-Nazione e la funzione del nazionalismo nella legittimazione ideologica dell’imperialismo predatorio. La sua opera principale è per l’appunto “Das Finanzkapital” (Il capitale finanziario) del 1909. Oggi è un saggio praticamente misconosciuto, ma ai tempi della sua pubblicazione riscosse un notevole interesse. Le dinamiche del nazionalismo imperialista catturarono l’attenzione di Lenin che, pur non perdendo occasione di denigrare Hilferding, lo cita in continuazione nel suo “L’Imperialismo” (1916), dopo aver saccheggiato a man bassa l’opera omonima di J.A.Hobson del quale ci eravamo già occupati QUI).
Il pensiero di Rudolf Hilferding, che non è esente da cantonate clamorose, contiene comunque presupposti più che attuali evidenziando il ruolo delle banche nella determinazione del capitale finaziario…
«Una parte sempre crescente del capitale dell’industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a disporne solo attraverso le banche, le quali, nei loro riguardi, rappresentano i proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d’altronde fissare nell’industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi quindi vieppiù in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal modo, effettivamente trasformato in capitale industriale.
[…] Il capitale azionario viene svalutato, il che significa che gli utili vengono suddivisi su un capitale più ristretto. Nel caso poi che non vi sia alcun utile, viene raccolto nuovo capitale il quale, insieme a quello già posseduto e svalutato, riesce di nuovo a produrre un utile sufficiente. Va notato, a questo proposito che questo riassestamento e questa riorganizzazione hanno per le banche una duplice importanza: in primo luogo perché rappresentano affari vantaggiosi e, in secondo luogo, perché offrono loro l’occasione di assoggettare quelle società che si siano rivolte a loro per aiuti.»
È un modello speculare alla ciclicità delle crisi economiche e permette l’acquisizione di insperati margini di profitto, con specifiche conseguenze in ambito sociale:
«Il capitale finanziario è la risposta del modo di produzione capitalistico alla non mobilità del capitale reale (la concentrazione del capitale)
[…] Un conto è la concentrazione (riproduzione su scala allargata: accumulazione), un conto è la centralizzazione (semplice cambiamento nella distribuzione dei capitali già esistenti). La centralizzazione aumenta il processo di accumulazione, allarga la composizione tecnica del capitale e fa diminuire la domanda relativa di lavoro.»
Non esiste alcun complotto del Grande Capitale, trasmutato nei tentacoli della Finanza universale teleguidata da intelligenze aliene, ma un’idea… una precisa linea di pensiero… tradotta in modello universale, ma relativamente recente che prospera nell’ignoranza di plebi che concionano di “signoraggi” e “cospirazioni globali”.
Se ci perdonate l’ennesima citazione rubata:
«Bisognerebbe riscoprire Rudolf Hilferding, da cui Lenin attinse a piene mani, pur coprendolo di insulti per le prese di posizione contingenti dell’economista. Cosa sosteneva Hilferding, ne “Il capitale monopolistico”? Che il capitale astratto avrebbe progressivamente preso le redini dell’economia produttiva, fino ad assumerne il pieno controllo. Non con un atto di forza, bensì per reciproca complicità. I profitti reinvestiti nel settore finanziario, a scapito degli investimenti nella produzione di merci. Il monopolista e il banchiere che finiscono per essere una persona sola. Anzi, una non-persona: Monsieur Le Capital l’aveva chiamata Marx (e così l’avrebbe chiamata uno studioso lucidissimo, Marco Melotti, scomparso di recente).
Hilferding è stato tra i pochi, seri, continuatori di Marx, al di là di scelte politiche oggettivamente discutibili, e di soluzioni controverse (secondo lui, nazionalizzando le banche, un governo socialista avrebbe automaticamente assunto il controllo delle grandi imprese). Ciò che resta valido, nel suo ragionamento, è la denuncia della tendenza del capitalismo a farsi progressivamente più evanescente, a fondarsi su un sistema simbolico sempre più distante da ciò che crea ricchezza, e cioè il lavoro.
Perduto il referente concreto, si avrà un assetto instabile, soggetto a periodiche crisi (qui non è più Hilferding che parla, ma Marx in persona). Fino alle paradossali inversioni cui il capitalismo moderno ci ha abituati. Un’azienda è tanto più sana quanti più lavoratori espelle (sì, ma quanto consumeranno dopo gli espulsi? Quale domanda solleciterà gli investimenti?). Un’economia è tanto più solida quanto più comprime la spesa (meno servizi gratuiti, minore accesso a ciò che spetterebbe di diritto: salute, casa, scuola e altri capisaldi del vivere civile. Privatizzare il privatizzabile). Un paese è tanto più povero quanto più è ricco di risorse naturali.
Su tutto, lo spettro sempiterno di minacce diaboliche e impalpabili: il debito incombente, la stramaledetta inflazione, l’eccesso di moneta sui mercati, ecc. A suo tempo, da Keynes si passò a Milton Friedman, e a lui si ispirarono Ronald Reagan e Margaret Thatcher, più i loro devoti successori. Peccato che Friedman, e con lui gli economisti “supply siders”, mai abbiano messo assieme una dottrina organica dell’economia. Andavano a casaccio. I loro seguaci hanno messo (temporaneamente) in ginocchio il Cile e l’Argentina. Frutto dei loro esperimenti sono anche i polacchi che si offrono di pulirci i parabrezza ai semafori.
Per inciso, la non-dottrina di Friedman oggi è adottata dalla Banca Centrale Europea (l’ha inclusa anche nel progetto di Costituzione e nel patto di Lisbona) e dall’Occidente nel suo assieme. Se come teoria fa acqua, i suoi risvolti politico-sociali sono netti: smontare la classe operaia – o più in generale il proletariato – quale soggetto compatto, portatore di istanze collettive. Scinderla in individui costretti a contrattare individualmente, o a piccoli gruppi, la propria sopravvivenza. Abolire i contratti di lavoro nazionali, in modo da lasciare i soggetti deboli in balia di se stessi. Illuderli con lo specchietto di una falsa autonomia, in modo che l’azienda possa, all’occorrenza, liberarsene come facevano le antiche mongolfiere, quando staccavano e gettavano nel vuoto i sacchetti di sabbia per prendere il volo.
Un precario riesce con difficoltà a essere un soggetto antagonista: teme per il suo posto di lavoro. Idem per un falso “lavoratore autonomo”: difenderà la propria posizione individuale. Idem per un operaio o per un impiegato, circondato da un mare di precari e di disoccupati: nel timore di finire in quelle acque, accetterà ogni sorta di disciplina e di prepotenza. Peggiore di tutte è però la posizione del lavoratore subalterno che ha accettato di convertire in fondi azionari i propri risparmi o la propria pensione. Diventa oggettivamente parte marginale dell’economia astratta. Trepida per i soprassalti dei listini di borsa, che legge con fatica. Diversamente da un azionista vero, non può agire: deve solo subire. Voterà Berlusconi, l’unico che lo può salvare.
Ignora infatti cosa sia la politica dell’open mouth, della “bocca aperta”, teorizzata dai supply siders e adottata da Ronald Reagan. Lanciare sorrisi e messaggi ottimistici, dire bugie per rassicurare. Convincere tutti che la povertà del presente è ricchezza futura. Chiamare a una corsa in cui i cavalli migliori potranno vincere (traggo il paragone da “Martin Eden”, del compagno Jack London). I cavalli in corsa non si parlano tra loro. Alcuni cadono, altri si azzoppano. Uno solo vince, ma la vittoria vera è di chi lo cavalca. Attenzione a quanti vi parlano di ‘merito’: hanno in mente l’ippodromo. Sono i fantini.»
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This entry was posted on 14 novembre 2011 at 17:17 and is filed under Business is Business, Kulturkampf with tags Alexis de Tocqueville, Capitalismo, Carmilla on line, Crisi economica, Cultura, Democrazia, Economia, Finanza, Governo, Italia, J.Atkinson, Kenneth Arrow, Liberthalia, Mario Monti, Marxismo, Milton Friedman, Monetarismo, Paradosso di Condorcet, Risanamento, Rudolf Hilferding, Signoraggio, Società, Stato, Supply Side Economy, Supply siders, Teoria dell'Impossibilità, Valerio Evangelisti, Volontà popolare. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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15 novembre 2011 a 13:59
Eppure non e’ bastato il disonore con qui ha lasciato l`incarico,non e’ bastato aver infestato il nostro paese (senza anticorpi).Ancora farfuglia con quella sua voce biascicante,ancora borbotta che tornera’.Del governo monti non se ne fara’niente,troppo tardi!Mentre la crisi impazzava gia’ quattro anni fa’,i suoi cani cercano di infinocchiare gli ottusi che,”vedete? non era colpa di silvio(che schifo chiamarlo per nome),vedete?le borse crollano ancora….”Ma il mio sdegno si
indirizza ancor di piu’verso quel 24 e rotti % che ancora,nonostante tutto lo sostengono.ma chi sono??A questo punto gli elettori italiani prima di dare il loro voto dovrebbero passare il test degli idioti,oppure firmarsi.Eh si,voglio conoscere i
loro nomi,e poi,che vi facciamo eh??
scusami sendivogius,non c`entra molto col tuo post,la Weimarer Republik e anche quella che ha preceduto il nazzismo.Purtroppo.
grazie per lo spazio che dai alla mia rabbia.Lo so,potrei scrivere altrove,ma preferisco farlo qui.Sapere che in italia ancora
belle persone mi rende fiera.Ciao alla prossima
15 novembre 2011 a 14:02
scusa gli errori 😦
15 novembre 2011 a 20:55
Non sono contraria a Monti ma ho qualche perplessità riguardo a un uomo che è ai vertici della finanza. Sia chiaro, nulla a che vedere col fantomatico signoraggio che tutto distrugge e niente propone, semplicemente per quanto mi riguarda, l’alta finanza ha regole poco chiare e gente poco trasparente. Più che altro, a quei livelli, c’è una sorta di mentalità speculativa massonica poco conciliabile con la ragion di stato. Sarà che i vari Passera e Profumo nostrani non ti dispongono certo a pensare bene verso la categoria.
Spero si sia compreso ciò che intendevo purtroppo la finanza non è il mio forte ed ho sempre qualche difficoltà ad esprimermi chiaramente su questo argomento. In ogni caso, se ce ne fosse bisogno, proverò a chiarire ulteriormente.
16 novembre 2011 a 02:58
@ JENNY
🙂 errori assolutamente scusati; complimenti alquanto graditi.
In merito al tuo sfogo… gli italiani sono “idioti”?!? In un certo senso, stando all’origine semantica del termine, sicuramente sì:
La parola deriva infatti dal greco ἴδιος … ovvero la forma sostantivata del verbo ‘idiomai’, che nell’accezione originale significava: “pensare agli affari miei”; “perseguire il mio utile personale”, “appropiarmi di beni altrui”…
Il termine mi sembra quanto mai adatto alle circostanze.
In senso lato, si può invece parlare genericamente di “fascismo” nel quale confluiscono pulsioni inconsce, comportamenti, e caratteristiche peculiari di gran parte dei papiminkia accorsi ad inneggiare questa porno-parodia di duce al cerone.
Carlo Rosselli ebbe a scrivere in proposito:
«Il fascismo si radica nel sottosuolo italiano, esprime i vizi profondi, le debolezze latenti, le miserie del nostro popolo, del nostro intero popolo.
Non bisogna credere che Mussolini abbia trionfato solo per forza bruta. Se egli ha trionfato è anche perchè ha saputo toccare sapientemente certi tasti ai quali la psicologia media degli italiani era straordinariamente sensibile. In una certa misura il fascismo è stato l’autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto della unanimità, che fugge l’eresia, che sogna il trionfo del facile, della fiducia, dell’entusiasmo. Lottare contro il fascismo non significa dunque lottare solo contro una reazione di classe feroce e cieca, ma anche contro una certa mentalità, una sensibilità, contro delle tradizioni che sono patrimonio, purtroppo inconsapevole, di larghe correnti popolari»
Carlo Rosselli
“Socialismo liberale” (1930)
@ ELYSABETTA
Carissima, non hai davvero nulla da dover chiarire giacché sai esprimere benissimo le tue idee.
Idee che condivido in toto. Le tue perplessità sull’eventuale governo Monti, per quanto mi riguarda, non solo sono condivise ma vanno oltre, sgorgando in uno scetticismo di fondo.
In realtà, l’alta Finanza ha regole chiarissime e assai semplici: fare soldi; farli a palate e nel minor tempo possibile. Sono i mezzi che usa per raggiungere il suo fine ultimo e unico ad essere complicati: hedge funds… CDS… CDO… Swap… opzioni su azioni… transazioni OTC… e tutta quella serie di artifici finanziari altamente speculativi che vanno sotto il nome di “prodotti derivati”.
I cosiddetti “speculatori senza volto” in realtà hanno nomi e cognomi notissimi; si muovono tranquillamente alla luce del giorno ed operano per conto dei maggiori istituti finanziari del pianeta, spesso e volentieri di origine anglosassone:
1) fondi di investimento (tra cui ci sono anche i fondi comuni e fondi pensione), spesso gestiti da grandi agenzie di broker (Gruppi assicurarativi e agenzie di cambio)…
L’agenzia più attiva e spregiudicata che si diverte a scommettere sul collasso dei “debiti sovrani” e punta tutto sul default finanziario dell’euro si chiama: Bridgewater.
Ma c’è anche la Blackstone Group, società di investimenti finanziari che (guarda caso) detiene il grosso delle azioni di Standard & Poor’s: agenzia molta attiva nello stilare i ratings, indicando sostanzialmente i prossimi bersagli per l’attacco degli speculatori.
2) Naturalmente ci sono anche le banche e massimamente le banche d’affari: Citigroup… Chase Manhattan Bank… Barclay… e naturalmente c’è l’onnipresente Goldman Sachs…
Ma anche la Deutsche Bank, la BNP Paribas, la quasi totalità delle banche olandesi e lussemburghesi… e pure le italianissime Mediolanum e Unicredit (con la lungimiranza che da sempre contraddistingue il PD, si guarda a Passera e Profumo come ottime candidature politiche).
3) Le stramaledettissime agenzie di ratings e di investment grade.
Tutte insieme, vengono genericamente chiamati “speculatori”, ma operano indisturbati tutti i giorni nelle Borse dell’universo mondo; sono quasi tutti statunitensi e godono di vergognosi privilegi fiscali e tassazioni regressive. Non risulta che O’Banana abbia fatto alcunché per porre un freno alla loro ingordigia, in compenso ha regalato miliardi di dollari alle banche d’affari a rischio fallimento, che hanno subito investito i fondi statali per aumentare i bonus della dirigenza e avviare nuove speculazioni.
I cosiddetti speculatori si muovono per i mercati con la logica delle locuste. Ovunque trovano una crepa si infilano, scommettendo sul crollo: prima la Grecia oggi l’Italia. Se quest’ultima dovesse mettere a posto i suoi conti, gli attacchi verrebbero spostati immediatamente contro Spagna e Francia. Attualmente, si muovono alternando attacchi speculativi ciclici che sfruttano le debolezze dei tre bersagli principali (Spagna-Francia-Italia), ma il vero target è la Germania col collasso dell’euro.
Non c’è un intelligenza particolare né un progetto di lungo periodo. Sostanzialmente si comportano come i virus: intaccano l’organismo e lo consumano fino alla morte. Sono parassiti pronti a trasferirsi su un altro portatore.
Finora sono stati ben protetti e coccolati.