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The Fine Art of Propaganda

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , on 14 marzo 2023 by Sendivogius

«La propaganda si basa sui simboli per raggiungere il suo fine: la manipolazione degli atteggiamenti collettivi.
Sono così grandi le resistenze psicologiche alla guerra nelle nazioni moderne, che ogni guerra deve apparire come una guerra di difesa contro un aggressore minaccioso e omicida. Non ci deve essere ambiguità su chi il pubblico debba odiare. La colpa e l’innocenza devono essere stabilite geograficamente. E tutte le colpe devono essere dall’altra parte della frontiera.
Una regola utile per suscitare odio è, se all’inizio non si adirano, usare un’atrocità. È stata impiegata con successo invariabile in ogni conflitto conosciuto dall’uomo. A differenza del pacifista, che sostiene che tutte le guerre sono brutali, la storia delle atrocità implica che la guerra è brutale solo se praticata dal nemico

Harold Dwight Lasswell
“Tecniche di Propaganda nella Prima Guerra Mondiale” (1927)

  La Propaganda, e massimamente la propaganda di guerra, è uno strumento di manipolazione psicologica a cui un potere organizzato e strutturato ricorre, per convincere le persone comuni a fare ciò che normalmente non farebbero mai.
Soprattutto, è uno strumento flessibile che si adatta alle circostanze per veicolare i suoi messaggi, adattandoli alla sensibilità del pubblico per meglio permearne la dimensione emotiva.
La Propaganda non interpreta la realtà, la destruttura per creare una narrazione parallela. E lo fa, tramite l’iniezione costante e crescente di stimoli primari, onde divellere le eventuali resistenze critiche, o inibire la confutazione empirica. Genera costrutti emozionali e non si preoccupa di doverli dimostrare: se funzionano si persiste nella riproposizione martellante degli stessi, altrimenti se ne inventano di nuovi. Nel suo complesso, la Propaganda pone in essere una serie di distorsioni cognitive eterodirette, volte a plasmare l’immaginario collettivo attraverso una rappresentazione caricaturale della realtà, senza mai entrare nella sostanza. Se sottoposta a revisione critica, non regge il confronto. Per questo aborre la complessità, pur essendo essa stessa un organismo complesso nella variabilità delle tecniche di condizionamento.
Per la Propaganda, nessuna falsità messa in circolazione sarà mai tanto grande da sembrare assurda, se funzionale allo scopo da raggiungere. Più è grande la bugia, più estesa sarà la rete di falsificazioni collaterali, per un’opera capillare di destrutturazione dell’elemento fattuale, reso irrilevante ai fini dell’efficacia del messaggio. Più ramificata sarà la menzogna e più risulterà convincente in assenza di contestazione. E proprio in questo si misura la sua efficacia: non quanto essa sia credibile, ma quanto pervasiva risulterà essere la sua diffusione, tanto da sembrare ‘vera’. La pubblica credulità è la dimensione del suo essere; l’auto-referenzialità è l’impalcatura sulla quale si regge; il ricorso alla mistificazione sistematica è la misura della sua amoralità.
Non è nemmeno un’invenzione recente. Forme di propaganda, o comunque riconoscibili come tale, sono sempre esistite fin dall’antichità, probabilmente ancor prima della Guerra del Peloponneso narrata nelle pagine magistrali di un Tucidide, rivelandosi spesso impresa retorica di raffinatissimo impatto intellettuale. Ma è essenzialmente con l’avvento dell’Età Contemporanea, che la propaganda assurge alle forme strutturali che le sono consone e con le quali viene di solito identificata, per metodologia e prassi, nelle sue espressioni più sguaiate e volgari, seguendo spesso un’iperbole parossistica volta ad alimentare una sorta di isteria diffusa su eccitazione di massa, per la propagazione del messaggio.

“Le guerre offrono un ambiente ideale per i media: gli istinti più bassi come l’odio e la violenza che sono normalmente repressi possono essere facilmente liberati e stimolati. Pertanto, la sete di sensazioni della stampa si unisce all’obiettivo del governo di mobilitare il fronte interno e influenzare i paesi neutrali. L’impatto della propaganda commerciale è alto poiché le storie di atrocità si vendono bene in tempo di guerra. Giornalisti e intellettuali spesso sostengono le istituzioni ufficiali di propaganda. Quindi la propaganda non funziona solo dall’alto verso il basso, ma viene anche potenziata dal basso verso l’alto.
[…] La propaganda alleata si è concentrata su questo diffondendo e illustrando “storie dell’orrore” di donne violentate e civili brutalmente assassinati che erano adatte a demonizzare i tedeschi. Così, i poster delle atrocità alleate ritraevano i tedeschi come bestie, mostravano scene estreme di violenza così come soldati tedeschi stupidi e maligni che si muovevano attraverso i paesi, saccheggiando, bruciando e uccidendo.
[…] I motivi di molti manifesti e caricature francesi erano assetati di sangue o avevano caratteristiche pornografiche. Le immagini di donne violentate e bambini mutilati sono il risultato di un’ossessione per la violenza e la sessualità diffusa dalla fine del XIX secolo. Tali rappresentazioni delle vittime, tuttavia, derivavano principalmente dalla fantasia dei contemporanei, poiché principalmente gli uomini erano le vittime.”

Steffen Bruendel

Se le sue espressioni ‘moderne’ iniziano a prendere corpo e sostanza secondo il tessuto attuale già durante la Guerra di Crimea (1853-1856), è con la Prima Guerra Mondiale che la propaganda raggiunge il suo apice nell’uso spregiudicato e più truculento della stessa, divenendo vera e propria “scienza” con tanto di tecniche specifiche ed uffici specializzati per la sua inoculazione velenosa, come esemplarmente illustrato dal barone Arthur Ponsonby nella sua opera più famosa, “Menzogne in tempo di guerra” (1928), dove viene riportata un’ampia casistica di falsità che furono messe in circolazione durante la prima guerra mondiale dagli organi di propaganda delle potenze alleate (Russia, Francia, Italia, Gran Bretagna ed USA) contro gli Imperi Centrali. Perché senza bugie e falsificazioni che esacerbino ad arte gli animi, non vi sarebbe alcuna ragione né volontà a proseguire il conflitto, alimentando l’odio.
Per infiammare le masse alla guerra ed al contempo negare ogni responsabilità nella stessa, è necessario “rappresentare il nemico come un pericoloso disturbatore della pace e il più terribile nemico dell’umanità”.

«Se riduci la menzogna a un sistema scientifico, mettila su spessa e pesante; con grande sforzo e finanze sufficienti…. puoi ingannare a lungo intere nazioni e spingerle al massacro per cause verso le quali on hanno il minimo interesse. Lo abbiamo visto a sufficienza durante l’ultima guerra, e lo vedremo nella prossima.
[…] In guerra, il ricorso alla menzogna viene riconosciuto come un’arma estremamente utile. Ed ogni paese la usa per ingannare piuttosto deliberatamente il proprio popolo, per attrarre quanti si professano neutrali, e per ingannare il nemico. Le masse ignoranti ed innocenti di ogni paese non hanno alcuna consapevolezza di come vengano ingannati sul momento. E solo quando sarà tutto finito, qua e là le menzogne verranno scoperte e denunciate. Come è sempre avvenuto in passato, una volta raggiunto l’effetto desiderato, non ci saranno problemi ad indagare sui fatti ed a ristabilire la verità.
[…] Le autorità di ogni paese fanno, e anzi devono, ricorrere a questa pratica per, in primo luogo, giustificarsi dipingendo il nemico come un criminale puro; e in secondo luogo, per infiammare la passione popolare, abbastanza da assicurarsi reclute per la continuazione della guerra.
Non possono permettersi di dire la verità. In alcuni casi, bisogna ammetterlo, nell’immediato non sanno nemmeno quale sia la verità

Arthur Ponsonby
Falsehood in War-Time: Propaganda Lies of the First World War

In prospettiva, la cosiddetta “propaganda delle atrocità” costituisce infatti un ottimo surrogato di sicura efficacia, nell’estetica necrofila dell’orrore, elevato a voyeurismo pornografico di guerra.

«La Press House era l’infaticabile geyser che sputava incessantemente falsi rapporti di guerra e notizie fittizie dalle retrovie e dal davanti, le calunnie più vili e brutali degli avversari, le stupefacenti finzioni di atti infami loro attribuiti. Il veleno insidioso ma efficace così diffuso ha ingannato e infettato una schiera di persone ben intenzionate ma non sofisticate… Durante la guerra la menzogna divenne una virtù patriottica. Ci è stato imposto dal governo e dal censore, e per il pericolo di perdere la guerra considerata una necessità; inoltre, mentire era redditizio e spesso pubblicamente onorato. Inutile negare il successo della menzogna, che utilizzò la Stampa come il miglior mezzo di una diffusione estesa e rapida. Gli sforzi maggiori sono stati fatti per bollare ogni parola dei nemici come menzogna e ogni nostra menzogna come verità assoluta


Ovviamente al Nemico, meglio se disumanizzato nella sua irriducibile alterità fuori dal consesso della Civiltà e del Diritto, non può essere riconosciuta alcuna attenuante né giustificazione, perché nulla deve incrinare la narrazione bellica nella sua manichea rappresentazione, altrimenti verrebbero meno le ragioni per poter proseguire il conflitto stesso. Ogni ragione concessa al “nemico” viene vissuta come un intollerabile cedimento del fronte interno. E dunque non è ammissibile, altrimenti si solleverebbero dubbi sull’azione stessa di quei governi che hanno perseguito l’opzione bellica, come se fosse l’unica possibile, sabotando ogni negoziazione per la sospensione del conflitto.

«Un governo che abbia deciso di intraprendere la via terribile e pericolosa della guerra…. non può permettersi di ammettere, e in nessun caso di riconoscere, neanche la minima ragione o diritto al popolo che ha deciso di combattere. I fatti devono essere distorti, le circostanze rilevanti nascoste, e la rappresentazione del nemico a tinte fosche persuaderà la gente che il proprio governo è senza colpe, la propria causa è giusta, e che l’indiscutibile malvagità del nemico è stata dimostrata oltre ogni dubbio. Un momento di riflessione direbbe a qualsiasi persona ragionevole, che un pregiudizio così evidente non può assolutamente rappresentare la verità. Ma nell’immediato la riflessione non è consentita; le bugie vengono diffuse con grande rapidità. La massa irriflessiva le accetta e con la sua eccitazione influenza gli altri. La quantità di sciocchezze che passano sotto il nome di patriottismo in tempo di guerra in tutti i paesi è sufficiente a far arrossire tutte le persone oneste

Per lo stesso motivo, onde non incrinare lo sforzo bellico e la volontà di proseguire la guerra (sia essa per procura o meno),

 «Non si deve mai permettere alle persone di perdersi d’animo; quindi le vittorie devono essere esagerate e le sconfitte, se proprio non possono essere non nascoste, almeno minimizzate, e lo stimolo dell’indignazione, dell’orrore e dell’odio deve essere assiduamente e continuamente pompato nell’animo pubblico mediante la “propaganda”.
[…] Qualsiasi tentativo di dubitare o negare anche la storia più fantastica deve essere condannato immediatamente come antipatriottico, se non traditore. Ciò consente campo libero per la rapida diffusione delle menzogne. Se fossero usate solo per ingannare il nemico nel gioco della guerra, non varrebbe la pena di preoccuparsene. Ma, poiché lo scopo della maggior parte di esse è quello di alimentare l’indignazione e indurre il fiore della giovinezza del paese a essere pronto al sacrificio supremo, diventa una cosa seria. Parlarne, dunque, può essere utile, anche se la guerra è terminata, a svelare l’inganno, l’ipocrisia e l’imbroglio da cui tutte le guerre traggono linfa vitale, e a rivelare gli espedienti esasperati e volgari che da tempo sono adoperati, per impedire che la povera gente ignorante sia consapevole del vero significato della guerra

Lord Ponsonby scriveva circa un secolo fa, ma le sue considerazioni possono essere benissimo valevoli per il presente, in tutta la loro sconcertante ancorché desolante attualità, nella reiterazione dei medesimi meccanismi di manipolazione e disinformazione, insieme alla compiacenza e soprattutto alla complicità interessata di un intero sistema mediatico, allineato a precise dinamiche di potere delle quali è parte integrante.
Riprendendo le tesi espresse da Arthur Ponsonby, in tempi assai più recenti (2001), Anne Morelli, storica e ricercatrice italo-belga, ne ha sintetizzato le osservazioni per ricavarne “dieci principi elementari”, analizzando e mettendo in luce i principi ricorrenti, alla base delle tecniche essenziali della propaganda di guerra.

1. Non vogliamo la guerra
(stiamo solo difendendo noi stessi!)

Arthur Ponsonby aveva già notato che gli statisti di tutti i paesi, prima di dichiarare la guerra o nel momento stesso di tale dichiarazione, assicuravano sempre solennemente in via preliminare che non volevano la guerra.
La guerra non è mai desiderata, raramente è vista come positiva dalla popolazione. Con l’avvento delle nostre democrazie, il consenso della popolazione diventa essenziale, quindi non bisogna volere la guerra ed essere pacifisti nel cuore. A differenza del Medioevo, quando l’opinione della popolazione aveva poca importanza e la questione sociale non era sostanziale.
[…] Se tutti i capi di stato e di governo sono animati da un simile desiderio di pace, ci si può naturalmente chiedere innocentemente perché, a volte (e anche spesso), le guerre scoppiano tutte uguali? Ma il secondo principio risponde a questa domanda.

2. La parte avversa è l’unica responsabile della guerra

Questo secondo principio deriva dal fatto che ogni parte sostiene di essere stata costretta a dichiarare guerra per evitare che l’altra distrugga i nostri valori, metta in pericolo le nostre libertà o addirittura ci distrugga completamente. È dunque l’aporia di una guerra per porre fine alle guerre. Ci porta quasi alla mitica frase di George Orwell: “La guerra è pace”.
Così, gli Stati Uniti sono stati “costretti” ad andare in guerra contro l’Iraq, il che non ha lasciato loro altra scelta. Stiamo quindi solo “reagendo”, difendendoci dalle provocazioni del nemico che è interamente responsabile della guerra che verrà.
Così, Daladier nel suo “appello alla nazione” – ignorando le responsabilità francesi nella situazione creata dal Trattato di Versailles – assicurava il 3 settembre 1939: la Germania aveva già rifiutato di rispondere a tutti gli uomini di cuore le cui voci si erano alzate negli ultimi tempi in favore della pace mondiale. Siamo in guerra perché ci è stata imposta.
Ribbentrop giustificò la guerra contro la Polonia in questi termini: “Il Führer non vuole la guerra. Lo farà solo a malincuore. Ma la decisione per la guerra o la pace non dipende da lui. Dipende dalla Polonia. Su alcune questioni di interesse vitale per il Reich, la Polonia deve cedere e soddisfare richieste alle quali non possiamo rinunciare. Se si rifiuta di farlo, la responsabilità di un conflitto ricadrà su di lei, non sulla Germania”.
Durante la guerra del Golfo, Le Soir del 9 gennaio 1991 affermava anche: “La pace che tutti vogliono più di ogni altra cosa non può essere costruita su semplici concessioni a un atto di pirateria. (…) La palla è essenzialmente, va detto, nel campo dell’Iraq. 
Lo stesso vale per la guerra in Iraq. Prima dell’inizio della guerra, Le Parisien ha pubblicato un titolo il 12 settembre 2002: “Come Saddam si prepara alla guerra”.

“Ci si dichiara costretti a fare la guerra a causa dell’avversario che non ha rispettato i trattati, o ha aggredito un paese. È il nemico che deve portare l’intera responsabilità del conflitto.”

3. Il leader del campo avversario ha il volto del diavolo (o “il brutto”)

“Non si può odiare un gruppo umano nel suo insieme, anche se viene presentato come un nemico. È quindi più efficace concentrare questo odio del nemico sul leader avversario. Il nemico avrà così un volto e questo volto sarà ovviamente odioso”.
“Il vincitore si presenterà sempre (vedi Bush o Blair recentemente) come un pacifista che ama la conciliazione ma è spinto alla guerra dal campo avverso. Questo campo avverso è naturalmente guidato da un pazzo, un mostro (Milosevic, Bin Laden, Saddam Hussein, …) che ci sfida e dal quale l’umanità deve essere liberata”.
La prima operazione di una campagna di demonizzazione è dunque quella di ridurre un paese a un solo uomo. Agire come se nessuno vivesse in Iraq, come se solo Saddam Hussein, la sua “temibile” Guardia Repubblicana e le sue “terribili” armi di distruzione di massa vivessero lì.
Personalizzare il conflitto in questo modo è molto tipico di una certa concezione della storia, che sarebbe fatta da “eroi”, opera di grandi personaggi.
[…] Così, l’avversario è qualificato da tutti i mali possibili. Dal suo aspetto fisico alle sue abitudini sessuali…. Questo tipo di demonizzazione non è usato solo per la propaganda di guerra (come tutti gli altri principi).
Per esempio, Pierre Bourdieu ha riferito che negli Stati Uniti, alcuni professori universitari, stufi della popolarità di Michel Foucault nei loro college, hanno scritto una serie di libri sulla vita intima dell’autore. Così, Michel Foucault, l’”omosessuale masochista e pazzo” aveva pratiche “innaturali”, “scandalose” e “inaccettabili”. In questo modo, non c’è bisogno di discutere il pensiero dell’autore o i discorsi di un politico, ma di confutarlo sui giudizi morali sulle cosiddette pratiche dell’individuo.

“Il nemico deve avere un volto e questo volto sarà quello del capo avversario chiaramente ributtante. La guerra sarà dunque contro il volto di Saddam, di Milosević, di Ahmadinejad, di Gheddafi … Occorre dimostrare che questo personaggio è immondo, un folle, un barbaro, un criminale, un macellaio, un perturbatore della pace, un nemico dell’umanità, da lui deriva tutto il male possibile.”

4. Stiamo difendendo una nobile causa, non interessi particolari
(la nostra causa è nobile e disinteressata)

Gli obiettivi economici e geopolitici della guerra devono essere mascherati da valori ideali, moralmente giusti e legittimi.
[…] Infatti, nelle nostre società moderne, a differenza di Luigi XIV, una guerra può essere condotta solo con un certo consenso della popolazione. Gramsci aveva già mostrato come l’egemonia culturale e il consenso siano indispensabili per il potere. Questo consenso sarà facilmente acquisito se la popolazione crede che la sua libertà, la sua vita, il suo onore dipendano da questa guerra.
Gli obiettivi della prima guerra mondiale, per esempio, possono essere riassunti in tre punti:

per schiacciare il militarismo
per difendere le piccole nazioni
per preparare il mondo alla democrazia.

Questi obiettivi molto onorevoli sono stati poi copiati quasi alla lettera alla vigilia di ogni conflitto, anche se hanno poco o niente a che fare con i suoi obiettivi reali.
“Dobbiamo convincere l’opinione pubblica che noi – a differenza dei nostri nemici – facciamo la guerra per motivi infinitamente onorevoli”.
“Nel caso della guerra della NATO contro la Jugoslavia, troviamo la stessa discrepanza tra gli obiettivi ufficiali e non dichiarati del conflitto. Ufficialmente, la NATO è intervenuta per preservare il carattere multietnico del Kosovo, per impedire il maltrattamento delle minoranze, per imporre la democrazia e per mettere fine al dittatore. È difendere la sacra causa dei diritti umani. Alla fine della guerra, non solo si vede che nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto, che siamo lontani da una società multietnica e che la violenza contro le minoranze – questa volta serbi e rom – è un fatto quotidiano, ma anche che gli obiettivi economici e geopolitici della guerra, che non erano mai stati menzionati, sono stati raggiunti”.
Questo principio implica il suo corollario, il nemico è un mostro assetato di sangue che rappresenta la società della barbarie.
Il nemico provoca consapevolmente atrocità, e se noi commettiamo errori è involontariamente
Le storie di atrocità del nemico sono una parte essenziale della propaganda di guerra. Questo non vuol dire, naturalmente, che le atrocità non avvengano durante le guerre. Al contrario, omicidio, rapina a mano armata, incendio doloso, saccheggio e stupro sembrano essere piuttosto – purtroppo – ricorrenti nella storia delle guerre. Ma far credere che solo il nemico commette tali atrocità, e che il nostro esercito è amato dalla popolazione, è un esercito “umanitario”.
Ma la propaganda di guerra raramente si ferma lì, non accontentandosi degli stupri e dei saccheggi esistenti, è più spesso necessario creare atrocità “inumane” per incarnare nel nemico l’alter-ego di Hitler (Hitlerosevic, …). Possiamo quindi affiancare diversi passaggi di guerre diverse senza trovare grandi differenze.
[…] Il quinto principio della propaganda di guerra è che solo il nemico commette atrocità, la nostra parte può solo commettere “errori”.
Durante la guerra contro la Jugoslavia, la propaganda della NATO ha reso popolare il termine “danni collaterali” e ha presentato come tali i bombardamenti sulle popolazioni civili e sugli ospedali, che, secondo le fonti, hanno causato tra 1.200 e 5.000 vittime. Il bombardamento dell’ambasciata cinese, di un convoglio di rifugiati albanesi, o di un treno che passa su un ponte è stato quindi un “errore”. Il nemico non sbaglia, ma commette consapevolmente il male.
Per concludere con una citazione di Jean-Claude Guillebaud: “Eravamo diventati, noi giornalisti, senza volerlo, una specie di mercanti dell’orrore e i nostri articoli dovevano commuovere, raramente spiegare.”

6. Il nemico usa armi non autorizzate

Questo principio è il corollario del precedente. “Non solo non commettiamo atrocità, ma facciamo la guerra in modo cavalleresco, rispettando – come se fosse un gioco, certamente duro ma virile! – le regole”.
Così, durante la prima guerra mondiale, la controversia infuriò sull’uso del gas asfissiante. Ogni parte ha accusato l’altra di aver iniziato ad usarli. Anche se entrambe le parti avevano usato il gas ed entrambe lo avevano studiato, era un riflesso simbolico della guerra “inumana”. È quindi opportuno dare la colpa al nemico. È in un certo senso l’arma “disonesta”, l’arma degli ingannatori.

7. Noi subiamo poche perdite, quelle del nemico sono enormi

Con rare eccezioni, gli esseri umani preferiscono generalmente unirsi alle cause vittoriose. In guerra, il sostegno pubblico dipende quindi dal risultato apparente del conflitto. Se i risultati non sono buoni, la propaganda dovrà nascondere le nostre perdite ed esagerare quelle del nemico”.
Già durante la prima guerra mondiale, dopo un mese dall’inizio delle operazioni, le perdite ammontavano a 313.000 morti. Ma lo stato maggiore francese non ammise mai la perdita di un cavallo e non pubblicò la lista dei nomi dei morti.
Ne è un esempio la recente guerra in Iraq, dove è stata vietata la pubblicazione di foto delle bare dei soldati americani sulla stampa. Le perdite del nemico, d’altra parte, sono enormi, il loro esercito non resiste. “Da entrambe le parti questa informazione ha sollevato il morale delle truppe e ha persuaso l’opinione pubblica dell’utilità del conflitto.

8. Artisti e intellettuali sostengono la nostra causa

Nella prima guerra mondiale, con poche eccezioni, gli intellettuali hanno sostenuto in modo schiacciante la propria parte. Ogni belligerante poteva in gran parte contare sull’appoggio di pittori, poeti e musicisti che sostenevano la causa del loro paese con iniziative nel loro campo.
[In Kosovo] I caricaturisti furono messi al lavoro per giustificare la guerra e ritrarre il “macellaio” e le sue atrocità, mentre altri artisti lavoravano, macchina fotografica alla mano, per produrre documenti edificanti sui rifugiati, sempre accuratamente presi dalle file albanesi, e scelti per assomigliare il più possibile al pubblico a cui si rivolgevano, come questo bel bambino biondo dallo sguardo nostalgico, che doveva evocare le vittime albanesi. Possiamo quindi vedere i “manifesti” svilupparsi ovunque. […] Questi “collettivi” di intellettuali, artisti e uomini di spicco cominciarono così a legittimare l’azione del potere politico in carica.

9. La nostra causa è sacra

Questo criterio può essere preso in due sensi, sia letteralmente che in senso generale. In senso letterale, la guerra è quindi una crociata, quindi la volontà è divina. Non si può sfuggire alla volontà di Dio, ma solo realizzarla. Questo discorso ha riacquistato grande importanza dall’arrivo al potere di George Bush Jr. e con lui tutta una serie di ultraconservatori fondamentalisti. Così la guerra in Iraq è stata vista come una crociata contro l’”Asse del Male”, una lotta del “bene” contro il “male”. Era nostro dovere “dare” la democrazia all’Iraq, essendo la democrazia un dono della volontà divina. Così fare la guerra è realizzare la volontà divina. Le scelte politiche assumono un carattere biblico che cancella ogni realtà sociale ed economica. I riferimenti a Dio sono sempre stati numerosi (In God We Trust, God Save the Queen, Gott mit Uns, …) e servono a legittimare senza appello le azioni del sovrano.

10. Chi mette in dubbio la nostra propaganda è un traditore

Quest’ultimo principio è il corollario di tutti i precedenti: chiunque metta in discussione uno qualsiasi dei principi di cui sopra è necessariamente un collaboratore del nemico. Così, la visione dei media è limitata ai due campi sopra menzionati. Il campo del bene, della volontà divina, e il campo del male, dei dittatori. Così, si è “per o contro” il male.
[…] Sta quindi diventando impossibile sollevare un’opinione dissidente senza essere linciati dai media. Il pluralismo d’opinione non esiste più, è ridotto a niente, ogni opposizione al governo è messa a tacere e screditata da argomenti fasulli. Questo stesso argomento è stato applicato di nuovo durante la guerra in Iraq, anche se l’opinione internazionale era più divisa, quindi era meno sentito. Ma essere contro la guerra è essere per Saddam Hussein… Lo stesso schema è stato applicato in un contesto completamente diverso, che era il referendum sulla costituzione europea: “essere contro la costituzione è essere contro l’Europa!

Ora, applicate i Dieci Principi alla situazione attuale… Non vi sarà affatto difficile notare come questi aderiscano alla perfezione all’attuale guerra in Ucraina, per un copione già visto, assolutamente replicabile e sovrapponibile nella sua inquietante complementarità. E quanto nefasta sia questa grottesca coazione a ripetere.

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PENSIERINI

Posted in Muro del Pianto, Stupor Mundi with tags , , , , , , on 11 marzo 2023 by Sendivogius

«Il libro non è un semplice oggetto; è un mondo, una dimensione etica, morale e spirituale, uno strumento di crescita culturale. Ciascuno di noi, attraverso la lettura, migliora se stesso, perché è la proiezione della nostra personalità

Parola di Gennaro Sangiuliano (o più probabilmente del suo ghost-writer): il raffinato giornalaio partenopeo, attualmente facente feci di ministro nel MinCulPop del gabinetto meloniano, dove è stato paracadutato per imperscrutabili meriti culturali. All’occorrenza, è uno che si fa i complimenti da solo, sul suo immancabile profilo twitter. È l’alfiere del nazional-sovranismo fascio-ripulito, il Gramsci nero (gli piacerebbe!) che finora si è distinto per le sue dirompenti esegesi sul Dante fondatore del pensiero di destra in Italia, e per l’indifferibile necessità di produrre fiction di destra, onde invertire la presunta egemonia culturale della sinistra nella Nazione redenta; ovvero la stessa repubblichetta a-sociale, monopolizzata dal pensiero bolscevico, che però produce e pone simili macchiette ai suoi vertici istituzionali.
Sarà per questo che l’Italia è il paese (o meglio, “nazione”, in ossequio al nuovo corso patriottico) col più alto numero di analfabeti funzionali in Europa… sicché anche noi possiamo vantare un qualche primato nazionale… e in cui il 56% della nazione legge non più di un libro all’anno, ma che in compenso ‘vanta’ una delle classi dirigenti più ciarliere e ignoranti del pianeta, che legge pochissimo o niente, che però ama scrivere e magari farsi pubblicare libri firmati a proprio nome, meglio se editati da terzi, con risultati spesso grotteschi.
L’insipienza abissale di una massa incolta è davvero la proiezione collettiva della personalità di un popolo, ne riflette le scelte e di converso i padroni che si sceglie su riflesso della stessa.
Non è mai cambiato nulla. Solo non ci si vergogna più.

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Letture del tempo presente (XV)

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , on 17 dicembre 2022 by Sendivogius

Continua inarrestabile l’avanzata dello Schifo perenne, che non conosce targhe alterne né riposo: un’immane, incontenibile, colata di merda che scroscia fuori a fiotti dal pozzo nero in cui è sprofondato questo paesucolo da barzelletta sconcia, che come tutte le nullità si crede “potenza”.

Finalmente, l’Italietta in velluto bruno è tornata ad indossare la camicetta nera con griffe taroccata; ben felice di essere la canticchiante e danzante merda del mondo, nell’operetta di regime alla recita sovranista, per un governicchio osceno che coltiva e coccola la peggior feccia di ogni ordine e grado.

 

La Pandemia è finita

«La neolingua dell’Anno Primo dell’Era meloniana ha prodotto un’altra perla: “mini-isolamento”, un lemma svelto, rapido, libero da lacci e lacciuoli per (non) dire che fanno uscire di casa la gente positiva al Covid (la malattia che ha fatto 6,6 milioni di morti nel mondo e 182 mila in Italia) dopo 5 giorni dalla diagnosi, o la va o la spacca; diagnosi che spesso è autodiagnosi, motivo per cui i positivi sono in realtà molti di più di quanto dica il bollettino già quotidiano ora settimanale, e di questi le Asl non conoscono certo i nomi, quindi si poteva uscire anche prima senza alcun isolamento, standard o mini che fosse; ma c’è una bella differenza se è il governo a dare il via libera agli irresponsabili, di fatto decretando la fine della pandemia.

L’ispirazione è chiaramente produttivista e consumistica: l’inchino al sacro Pil natalizio (con 10 milioni di influenzati semplici a casa, ci mettiamo pure a sofisticare sui tamponi), come pure sotto Draghi e ai tempi del bipartisan “Milano riparte” e del renziano “Riapriamo tutto perché così avrebbero voluto i morti di Bergamo”. Mentre negli Usa, preso atto che il virus ha ripreso a circolare a livelli critici e gli ospedali sono pieni di contagiati da Sars-CoV2 e da virus influenzale e sinciziale, si torna a “raccomandare fortemente” l’uso di mascherine al chiuso indipendentemente dalle vaccinazioni ricevute (com’è logico: le mascherine proteggono dall’infezione, i vaccini no), qui il governo di destra dice che l’emergenza è finita e che non è mai stata tale. L’emendamento del mini-isolamento, inopinatamente, è dentro il decreto rave: mentre si sancisce la pericolosità di chi balla nei capannoni, si decreta l’innocuità di un virus che causa polmoniti bilaterali. Del resto, Meloni in piena pandemia chiamava insieme a Salvini alle adunate di piazza, il 2 giugno 2020, a sputacchiare droplets libertari alla faccia di Conte che ci chiudeva in casa (imitato da tutti i Paesi europei del cosiddetto mondo libero).

Sicché nella prima tornata di spacconate di neo-ministri (umiliazione e merito, fiction sulla Fallaci, mini-naja, Ponte sullo Stretto, lidi liberi ai privati) rientra pure quella, poi ritirata per manifesta insensatezza, del ministro della Sanità Schillaci: togliere l’obbligo di mascherine in ospedali e Rsa per i visitatori e si suppone pure per il personale sanitario. Testimonianza personale: richiesta di inutilissimo Green Pass all’entrata di un ospedale romano, io – diligentemente mascherata con Ffp2 – mi sono trovata a riprendere medici e infermieri che la portavano sotto al naso o non la portavano affatto, costretta a spiegare, io a loro, per quale motivo ciò non impediva ovvero favoriva la trasmissione del virus contro il quale “i nostri angeli” si battono da tre anni, stante il fatto che il visitatore è costretto a esibire il Green Pass mentre i medici no-vax sono stati reintegrati. Ma qual era la ratio di togliere le mascherine negli ospedali, tra pazienti anziani e fragili, se non quella di tenere il punto sul fatto che il Covid non è una malattia grave e le misure prese finora sono state liberticide? Ce ne viene in mente un’altra, che escludiamo in quanto più cinica ancorché più logica: pagare meno pensioni facendo fuori i superstiti, scampati a tutte le ondate e alle irresponsabilità della politica. E sì che ci si erano messi di buzzo buono ad accopparli. Ricordate quando Gallera, assessore di Fontana, mandava i positivi dagli ospedali nelle Rsa? Ricordate quando i virologi televisivi sostenevano che le mascherine non servivano alla popolazione, bensì solo al personale medico, e che accaparrarsele era segno di massimo egoismo e ignoranza delle leggi del mercato (i prezzi salivano, gli ospedali non potevano comprarne, i medici si contagiavano: la colpa era dei cittadini, non di chi per decenni ha tolto risorse alla Sanità pubblica per darle ai privati)? Poi c’è stato il liberatore liberale Draghi, col suo “rischio ragionato” (scommessa persa: il “raffreddore” Omicron ha fatto 50 mila morti), ma Egli era incontestabile, anche quando istruiva le masse circa la garanzia data dal Green Pass di trovarsi tra “non contagiosi” e Figliuolo somministrava a raffica negli Open Day il Sacro Vaccino AstraZeneca, poi ritirato.

Così, mentre l’Oms dice che i morti crescono del 10% a settimana, si reimmettono malati in società per “tornare alla normalità” (che poi è la catena produci-consuma-crepa), come se occuparsi di un virus che fa 100 morti al giorno fosse una fissa da ipocondriaci. Il governo vuole imporre l’egemonia sanitaria dopo quella culturale: viva il darwinismo sociale e biologico, crepino i lavativi del Rdc e i fragili; bisogna vellicare le imprese e il vitalismo dei “big spender”, grati a chi finalmente ci restituisce la libertà (anche quella di contagiare il nostro prossimo, chi se ne frega se assiste un genitore anziano o ha un figlio immunodepresso)

Daniela Ranieri
(17/12/22)

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LA GENTE BRUTTA

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , on 16 dicembre 2022 by Sendivogius

Nel suo compiuto rango di colonia atlantica all’estrema periferia dell’Impero, preso atto degli stratosferici livelli di corruzione oramai sudamericani dell’Italietta ladra e supina, è difficile farsi meraviglia della miseria innanzitutto morale di questa repubblichetta bananiera, che si crogiola narcisisticamente nel suo sfascio sovrano.
E ci si chiede quanto estrema sia la pulsione suicidaria di quel contenitore vuoto, ma aperto a tutte le più ridicole suggestioni d’importazione (non avendo niente che la definisca di suo), che impropriamente si fa chiamare “sinistra” e più che altro percola nella poltiglia in decomposizione di un centro-sinistrato, massimamente monopolizzato dal terremotato partito bestemmia e dai suoi ancor più imbarazzanti satelliti alla deriva nel vuoto dello spazio cosmico, nello schifo generale che ne definisce il non-essere.

Nel suo stato di catatonica impotenza che ne anticipa la destinazione finale, dall’aurea mediocritas delle origini al cupio dissolvi di un desiderio di morte da psicanalisi freudiana applicata alla (sotto) politica, per un trionfo della più falsa ipocrisia, sconcerta il collasso terminale tra sacchi di monnezza e bustoni ricolmi di banconote a portar via pronto cash, come un narco-corriere messicano.

E’ l’indegna conclusione della parabola progressista deflagrata nel più avido e becero accumulo capitalistico, su compulsione bulimica dell’accattone in vendita ed il parassita a scrocco e rimorchio degli sceicchi. Da camerieri del potere a turisti in cerca di “regali”, per la questua itinerante. Il deserto del Sahara e le sabbie dell’Arabia, quale meta terminale di un suicidio a trapasso lento e doloroso, con un’agonia infinita, nelle mille morti che ne segnano la dipartita indecorosa e senza onore, per uno sputtanamento (questo sì!) senza frontiere nella sua estensione globalizzata.

Mancano le parole e ancor di più la pietà, per gentucola che fu niente, non divenne mai razza padrona, e si riciclò predona alla corte di Alì Baba. Che fine miserabile!

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(162) Cazzata o Stronzata?

Posted in Zì Baldone with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 27 agosto 2022 by Sendivogius

Classifica AGOSTO 2022”

  Ma noi la “democrazia” ce la meritiamo veramente?! Perché a giudicare dall’uso che se ne fa, sembra che la cosa non ci riguardi proprio.
Nel merito, questa è forse la campagna elettorale più insulsa, noiosa e demenziale di sempre. Del tutto priva di contenuti, sembra più che altro un rituale stanco che si trascina senza convinzione. Di conseguenza, è minimalista: a misura di #hashtag per pensierini elementari, condensati in slogan minimi nell’essenzialità del Nulla che contraddistingue l’Inutile, per un trionfo dell’analfabetismo di ritorno. Ormai siamo alle dicotomie bello/brutto, buono/cattivo, per un pubblico di potenziali deficienti.
Anche Twitter è superato… Troppo complesso… e la “complessità” non va bene, quando la parola d’ordine è credere, obbedire… troppi caratteri a disposizione per non dire alcunché. Adesso va di moda la comunicazione “smart” nel vuoto pneumatico di idee e di programmi, che tanto verrebbero cambiati più in fretta di una paio di mutande usate a seconda delle convenienze.
Più che altro si assiste ad una galleria degli orrori, in un revival del 1994 con le stesse facce ghignanti invecchiate di 30 anni ad una televendita di pentole usate, col tridente di punta dato per vincente: una salma animata, conservata in formaldeide e ripassata alla bitumatura; il greve capitone che è ritornato all’ingozzo a comando per sagre, mentre si atteggia in pose ducesche da Mussolini in salamoia (funziona sempre!), e soprattutto la grande novità del momento (in politica ininterrottamente da 30 anni)…

In pratica parliamo di una copia romanesca di Marine Le Pen cucinata all’amatriciana, col solito contorno di famelici nostalgici in camicia nera, ma con un tocco di classe in più a sottolineare lo schifo senza confini: la candidata premier più favorita dai sondaggi (quella convinta che l’obesità fa devianza con la droga), donna, cristiana e madre, che pubblica il video di uno stupro per racimolare qualche voto in più tra i pornomani della tolleranza zero, sciacallando sulle tragedie altrui. E se alla gentile signora in nero lo si fa notare, si stizzisce pure: “è bieca propaganda”. E se la vittima dello stupro si riconosce facilmente nel video, l’Isabelita Peron della Garbatella che ne ha reso la visione virale “per esprimere solidarietà alla vittima” (così dice), rettifica che non ha alcuna ragione di scusarsi. Evidentemente fa molto “patriottico”.

Arriva un bastimento carico di…

È il Trio-Monnezza che piace tanto alla “gente” (e non solo…). Che questa roba qui sia stimata come il primo partito in Italia, costituisce la dimostrazione antropologica del nostro endemico sottosviluppo culturale, quale rappresentazione plastica del fascismo eterno degli italiani.
Insomma, la merda proprio!
Che poi per carità! La fossa biologica è ampia e condivisa… Infatti ci sarebbe pure la coppia dei gemelli diversi, per la serie “Lui è peggio di me”: due ectoplasmi coltivati in vitro nelle redazioni dei giornali e che esistono solo come ologrammi da proiettare nei talk show come illusione ottica. Praticamente parliamo di una personificazione del disturbo narcisistico della personalità, scisso in due entità uguali e contrapposte per eccesso di ego non contenibile in un unico involucro. Dentro il vestito, NIENTE. Ma chiassoso e ciarliero. Indisponente ed insopportabile, in tutta la sua inutile quanto vanesia inconsistenza.
Fanno costume!
In quanto al tenero Enrico ed al suo campo ristretto… scusate! Abbiamo terminato gli antiemetici. Il partito bestemmia è una garanzia consolidata nel tempo: il ribrezzo che continua a suscitare nella stragrande maggioranza del corpo elettorale in piena crisi di rigetto, vanamente alla ricerca di qualcosa di sinistra, è costante ed irriducibile. E infatti continua ad essere giustamente schifato dai suoi potenziali elettori. Il sentimento prevalente è il disgusto; l’effetto è repellente. Però i piddini, nella loro irriducibile perseveranza al peggio, riescono sempre a stupirti… Quando sembra abbiano raggiunto il fondo, cominciano a scavare (la fossa!). Per loro le elezioni sono più un disturbo che altro. Innanzitutto perché le perdono sempre. E poi perché, in un modo o in un altro, si ritrovano sempre a fare da zerbini all’apparato affaristico-militare-industriale, nella stanza dei bottoni con un posto in prima fila.
L’importante è esserci!
Adesso a cadenza ciclica hanno ri-scoperto “l’emergenza democratica” (salvo governarci insieme con l’oscuro oggetto politico dell’emergenza). E soprattutto, non sapendo di che morte morire ammazzati, hanno deciso di impiccarsi alla fantomatica “Agenda Draghi”… Cioè un mediocre arnese bancario eterodiretto dai board della finanza anglosassone, che ha condotto l’Italia sull’orlo del collasso economico su tracollo energetico, dopo aver trascinato il Paese, contro i suoi stessi interessi (e non sarebbe certo la prima volta), in una sciagurata guerra non dichiarata contro la Russia. Più che altro in modalità kamikaze su suicidio assistito e morte lenta, non potendosela proprio permettere la guerra commerciale, per assecondare con zelo servile le rodomontate del volubile padrone americano, sempre pronto a defilarsi scaricando i costi sulle sue colonie d’oltremare; quindi farsi spingere verso il baratro dagli ancor più ringhiosi nani da giardino, sul lato est dei campi minati della NATO e del suo urticante spaventapasseri norvegese prestante voce.
Questo qui, l’Uomo che si fece Agenda, davvero era convinto che inviare armi ad una delle parti in conflitto ed imporre sanzioni economiche all’altra, salvo ritrovarcele ritorte contro come un boomerang, con tutta la sorprendente lungimiranza dei lacchè atlantisti, non fosse interpretato come un “atto ostile” e non comportasse ritorsioni, con conseguenze che il “governo dei migliori” autonominati tali non è minimamente in grado di affrontare, al di là dei proclami trionfalistici e l’adulazione dei media nostrani che, a loro eterna vergogna, continuano a prodursi in un maccartismo paranoico da caccia alle streghe nonostante l’emorragia di lettori. Tra gli invasati e gli agit-prop in conto atlantico, che in questi mesi di guerra si sono spesi più di ogni altro sui giornalini “progressisti” della Famiglia Elkann, insieme ai preti spretati che trombeggiano in ogni pertugio disponibile, come l’ex lottatore continuo che si reinventò  storico liberale, Il nostro preferito resta l’inquietante voyeur, che da sei mesi si masturba davanti ai filmini di guerra della propaganda ucraina, condividendoli in streaming per appassionati di necrofilia bellica.
Notevolissima è stata pure l’imbarazzante mitomane a gettone presenza, che per settimane ha dispensato i suoi pensierini minimi nei tank show, prima di ripiegare nel costosissimo kindergarten per bimbiminkia a pubblico mantenimento in conto ENI.
  Ma il pattuglione di zelanti pretoriani da salotto, massimamente sulle colonne armate di Stampubblica, è talmente ampio che si fecero legione. E tutti idolatrano il Super Mario che ci conduce, elmetto in testa e condizionatore spento per la pace, nel vano tentativo di contenere bollette stratosferiche.
Del resto, le nostre gazzette di regime non sono affatto nuove alle infatuazioni passeggere per il tecnocrate, o il “riformatore” di turno: quest’ultimo può essere tanto un post-fascista ripulito, che ha scoperto l’uso di coltello e forchetta; o un ex sinistrato consacrato alla logica sociopatica dei mercati, dopo aver immolato sull’altare del dio di danari almeno mezzo secolo di conquiste sociali smantellate in conto svendita. Hanno bisogno di eroi da leccare. E se non ne hanno a disposizione, già inscatolati in confezione pronto uso, li inventano. In quanto ai fatti… quelli sono un accessorio del tutto facoltativo, funzionale alle opinioni dei gruppi affaristico-industriali che pagano la mercede alle penne prezzolate.
L’importante è mantenere il pilota automatico.
Spicca nella sua magnifica solitudine, l’assoluta irrilevanza di un premier di coccio tra vasi di ferro… quello dell’Agenda… che pigola qualcosa sul tetto al prezzo di acquisto all’ingrosso del gas, raccomandandosi alla Von der Kulen, a proposito del mercato OTC dei futures di Amsterdam, quello che determina il prezzo delle commodities energetiche, consegnate alla più sfrenata speculazione finanziaria internazionale e senza che le ammuffite cariatidi imbozzolate a Bruxelles abbiano nulla da ridire e meno che mai da intervenire.
Sbertucciato nella totale indifferenza, il mito di Supermario vive di luce riflessa unicamente nelle redazioni delle nuove Agenzie Stefani, che ne incensano le gesta fantastiche in un mondo immaginario di trionfi epocali, dove scorrono fiumi di saliva a coprire i fallimenti di un’esperienza catastrofica. Esattamente come avviene per i servizietti patinati a sfondo bellico dedicati ai due divi di plastica, in quel magico paradiso democratico chiamato “Ucraina” e convertito a set cinematografico della coppia presidenziale: Barbie & Ken versione soldatino, nel Quarto Reich degli ukro-nazi.
È la tragedia dilatata a dramma collettivo di uomini (e donne) ridicoli, consegnati alla farsa nel sottobosco della storia.

Hit Parade del mese:

01. CULO MIO FATTI CAPANNA!

[27 Ago.] «C’è un governo che lavorando in silenzio ha fatto crescere il PIL tre volte di più di quello tedesco, ha creato 739.000 nuovi posti di lavoro ed ha accumulato una riserva di gas tra le più alte d’Europa. È guidato da Mario Draghi.»
 (Sebastiano Messina, il Cantastorie)

02. PERCHÉ UNA CAZZATA TIRA L’ALTRA

[23 Ago.] «Vorrei che il prossimo governo istituisse un liceo del Made in Italy.»
 (Giorgia Meloni, Personal Trainer)

03. MILLE LIRE AL MESE

[07 Ago.] «Noi daremo immediatamente 1500 lire al mese alle casalinghe, così i bambini vengono educati bene: le casalinghe curano i figli, curano la casa e invece lo Stato dà a queste donne un calcio nel sedere. Poi a tutti gli italiani rapinati dallo Stato dal 2000 restituiremo 1200 lire italiche. Non ci credete? Fatemi capo del governo e io il giorno dopo telefono al direttore generale del ministero del Tesoro, faccio stampare questa moneta e vi arriva il giorno dopo a casa. Che cosa volete di più?»
 (Antonio Pappalardo, Babbo Natale)

04. CAZZARI SENZA FRONTIERE

[03 Ago.] «È grazie al grande lavoro che ho svolto nel Ppe, insieme a Tajani e alla sua autorevolezza, che l’Italia ha potuto beneficiare dei fondi del Pnrr, decisivi per far ripartire la nostra economia.»
 (Silvio Berlusconi, il solito mitomane)

05. RIGASSIFICATORE ESTRATTIVO

[06 Ago.] «Rigassificatori subito! Per estrarre gas naturale nazionale e renderci indipendenti dagli approvvigionamenti dall’estero.
 (Licia Ronzulli, Bolla di gas)

06. LO DIAMO GRATIS!

[07 Ago.] «Notizia di oggi: la Basilicata darà gratis il gas ai Lucani.»
 (Matteo Renzi, il Bomba)

07. MA NON ANDAVA TUTTO BENISSIMO?

[25 Ago.] «Le forze politiche sospendano la campagna elettorale e si dichiarino pronte a supportare il piano del governo, rigassificatore incluso, e un eventuale scostamento di bilancio.»
 (Carlo Calenda, interruttore automatico)

08. DORMI PURE TRANQUILLO

[26 Ago.] «Serve una comunicazione brutale per dare la sveglia agli italiani.»
 (Enrico Letta, Er Catastrofe)

09. DONNA, TU PARTORIRAI CON DOLORE

[25 Ago.] «L’aborto esula dal territorio del diritto, non direi che è un diritto. L’aborto è il lato oscuro della maternità che non è mai entrata nello spazio pubblico»
 (Eugenia Roccella, fratella d’Italia)

10. ANDIAMO A COMANDARE COME UN GATTO IN TANGENZIALE

[02 Ago.] «Siamo solidi, siamo compatti, andiamo a vincere queste elezioni»
 (Carlo Calenda, lo Yogurt)

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GOLIARDATE

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , , on 18 Maggio 2022 by Sendivogius

Assalti in branco di maschi arrapati e ubriaconi da strada, in un tripudio di molestie verbali e fisiche, volgarità gratuite e battute oscene, apprezzamenti pesantemente sessisti; palpeggiamenti di massa, inseguimenti e accerchiamenti in mezzo alla folla di ragazzine minorenni, tampinamenti di donne braccate fin dentro ai luoghi di lavoro, per un’epifania di mani lascive che si insinuano ovunque, tastano, palpano, stringono, afferrano, in un lubrico baccanale esteso secondo le modalità della taharrush in versione ‘soft’.
Più di 150 denunce contro ‘anonimi’ ed oltre 500 segnalazioni per molestie sessuali.
Fosse stato un gruppo di immigrati, meglio se “clandestini”, meglio ancora se “islamici”, ne sarebbe nato un caso nazionale con tanto di interrogazioni parlamentari, ed indignate invettive contro l’invasione barbarica su scontro di civiltà ed ipotetiche culture dello stupro.
Ma trattandosi di italianissimi energumeni in calore, calati su Rimini con le tasche gonfie di quattrini da spendere in bisboccia all’eterno carnevale, meglio se nascosti sotto il cervone calabrese degli Alpini calcato a coprire le turgide teste di cazzo, si tratta di “una vera festa per il territorio”, per la gioia dei bottegari locali che infatti esprimono il loro “vivo ringraziamento per l’atmosfera che l’evento ha regalato al territorio”.
E peccato per quel migliaio di lesbiche, frigide e femministe isteriche (per riportare le definizioni più eleganti), che proprio non hanno apprezzato quell’atmosfera di festa, mentre le mani dei clienti frugavano nelle scollature o si insinuavano alla ricerca degli slip, assolutamente non invitate, con apprezzamenti non richiesti e considerazioni sulla ‘mercanzia’ ancor meno gradite. Ovviamente, si tratta di “gesti bonari”… se uno sconosciuto afferra la chiappa di tua moglie mentre cammina per la strada, o strizza la tetta di tua figlia all’uscita da scuola, chiedendole se gradisce la minchia, che male c’è?!? Vorremmo mica farne un dramma?! Non per niente, sono solo “goliardate” (come sempre!), nella pura espressione di cretinismo post-adolescenziale di rituali anacronistici, a misura di sessualità frustrate.
Suvvià signore, siamo maschi! È implicito che saltare addosso alla femmina di turno da predare (bonariamente, s’intende!), sia una simpatica espressione di genere. Se poi Lei non si diverte, il problema è tutto suo (‘sta stronza!), che non è proprio il caso di estremizzare strumentalmente, confondendo la tipica goliardia che inevitabilmente accompagna questi eventi a gravi molestie.
 Poiché nulla deve disturbare i carnasciali, gli affari, e la virile ostentazione di un’imbarazzante imbecillità primitiva alla Festa di Cuccagna dove tutto è lecito. Anche perché “Noi siamo gli Alpini!”, come se ciò comporti un particolare titolo di merito o un riconoscimento in più, rispetto chi ha fatto il militare a Cuneo, come Totò, diventando per questo uomo di mondo, o si sia congedato dai Bersaglieri.
Qui siamo fermi ancora alla Ricciolina del Monte Grappa (gangbang?). Manco fossero dei reduci di Vittorio Veneto!!
Non per niente, come Giornata Nazionale degli Alpini, il nostro (in)degno parlamento, a compiuto riferimento nostalgico ed ideologico, ha scelto il 26 Gennaio, giorno della Battaglia di Nikolajewka (26/01/43) che permise la ritirata delle forze nazifasciste, con l’annientamento della Divisione Tridentina, durante la nefasta Campagna di Russia.

 Da oggi (06/4/2022), grazie ai nostri parlamentari – gli stessi parlamentari che da settimane condannano a gran voce e con l’elmetto in testa l’invasione dell’Ucraina – ogni 26 gennaio si celebrerà l’eroismo delle forze d’invasione nazifasciste che ottant’anni fa misero l’Ucraina – e con essa un bel pezzo di Urss – a ferro e fuoco.
L’indomani, 27 gennaio, si spremerà la lacrimuccia sulla Shoah. Perfetto.
A colpi di “sdoganamenti” e celebrazioni nazionaliste e militariste si è ormai sfondata ogni barriera.
In questa mossa, tuttavia, c’è un surplus di ipocrisia che lascia attoniti persino noi che ormai ci aspettiamo qualunque cosa.
Sì, perché al mantra di tutto il mainstream «un popolo invaso ha diritto di difendersi» è stata aggiunta senza il minimo pudore la precisazione finora rimasta implicita: «salvo il caso in cui a invadere siamo noi».
E il caso vuole che sia lo stesso popolo.
Se a invadere l’Ucraina è Putin, gli eroi sono gli invasi e si difendono da eroi.
Se a invadere l’Ucraina è l’Italia – per giunta al fianco di Hitler e con l’intento di esportare il nazismo (proprio il nazismo, quello DOP) – gli eroi siamo noi invasori e gli altri osano pure difendersi, ‘sti stronzi.

“Invadere l’Ucraina è brutto?
Dipende: se l’invadiamo noi è eroico.”

Perciò beviamoci sopra, palpiamo qualche tetta e non pensiamoci più, marciando e marcendo nella piazzetta d’armi addobbata a festa di una Italietta smutandata, in piena regressione antropologica prima ancora che culturale.

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MEDIACRAZIA (III)

Posted in Kulturkampf, Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 8 Maggio 2022 by Sendivogius

“La rappresentazione drammaturgica è rituale.
Essa crea un senso di realtà condivisa.”

Senza per questo voler necessariamente scomodare Erving Goffman (si parva licet componere magnis), a livello mediatico, la “realtà” è innanzitutto una costruzione codificata tramite il ricorso ad una serie di schemi proiettivi, volti alla riproposizione del medesimo messaggio veicolato secondo la contingenza del momento. In tale prospettiva, si tratta di una proiezione cognitiva di gruppo, consolidata sui bias di conferma.
Nato per contrastare la pandemia e assicurare un uso oculato dei fondi del “recovery plan”, garantendone il trasferimento nelle lungimiranti disponibilità confindustriali, il Governo Draghi, per tacere dell’imbarazzante compagnia di nani da giardino che ne costituisce il contorno ministeriale, sembra aver fallito entrambi gli obiettivi.
Del Covid non si parla più. Cancellata dai palinsesti e cassata per decreto, la pandemia è scomparsa nel generale tana libera tutti. Tutt’al più, l’apocalisse è rimandata al prossimo autunno, quando ritornerà utile per il rinnovo del prossimo stato d’emergenza con relative sospensioni di diritto, visto che morti e contagi corrono invariati, nonostante i green pass rafforzati 2.0 in gold edition e la schizofrenica sequela di divieti draghiani in contraddizione tra loro.
Per quanto riguarda la crescita… attualmente si parla di “economia di guerra”, come se fosse la cosa più naturale del mondo (ma del resto si considera con nochalance pure la prospettiva di un attacco atomico), con ipotesi di contingentamento energetico, razionamento dei beni al consumo, e collasso verticale dell’economia nazionale, per manovre finanziarie da 40 miliardi all’anno e l’entrata a pieno titolo nei paesi emergenti del terzo mondo. Non crediamo sia necessario aggiungere altro.
Esaurita la sua missione con un bilancio a dir poco catastrofico, invece di sparire, Micro-Mario sembra aver trovato la sua nuova ragion d’essere come il Quisling italiota di uno stato fantoccio su vocazione kamikaze, supinamente asservito agli interessi di Padron Sam, per una poltroncina alla NATO in sostituzione del segaligno pupazzo in scadenza, attualmente facente feci. Potrà così mettere un’altra tacca al suo cursus honorum e chiudere in bellezza un curriculum consacrato alla distruzione del proprio paese, anche se è capace di intrattenerlo con frasi epiche…
Ormai si tratta di un prodotto scaduto, che i suoi sponsor cercano disperatamente di rilanciare sul mercato, nonostante il disgusto crescente dei consumatori, cercando di accreditarlo come “grande statista” agli occhi di un pubblico sempre più smaliziato e creando tutte le volte un climax da catastrofe imminente, per rendere più digeribile il merdone.

E nel farlo, ci ripropongono sempre lo stesso copione di scena fino alla nausea, secondo una recita condivisa nella quale non credono più neanche gli attori protagonisti (ed intercambiabili), mentre le nostre elite cercano di piazzare la stessa merce avariata. E, innamorati del podestà forestiero, scelto a propria immagine e somiglianza, ci impongono il sociopatico di turno preso in prestito dalle tecnoburocrazie finanziarie, ogni qualvolta si tratta di sostituire un governo che non piace loro e ribaltare così un risultato sgradito alle urne.
Pertanto, non contate sull’Informazione (che ‘libera’ non è mai stata) dei grandi media; mai come oggi pienamente asserviti a quel complesso militare, industriale e politico, assurto ad entità sovranazionale ed immanente, al quale sono indissolubilmente connessi, funzionando da cassa di risonanza delle elite, nella mistificazione dei fatti su manipolazione delle opinioni. Fedeli al principio secondo cui il culo del padrone è il posto più morbido dove mettere la lingua, i nostri sedicenti “giornalisti” rispondono ad un sistema di prostituzione mediatica del quale sono parte organica. Per trovare qualcosa di lontanamente simile ai livelli di servile adulazione dei nostri repellenti pennivendoli di regime, bisogna scendere fino ai panegirici del Basso Impero romano, anche se i livelli attuali trascendono ogni velleità letteraria, per scadere nel porno amatoriale da salottino di maison de plaisir. Qui più che altro si dedicano agli esercizi di fellatio applicata a nuovi virtuosismi semantici, in mulinelli erotici di turbinanti lingue in calore, con risultati peraltro grotteschi su eccesso di zelo e col rischio di annegare in una fossa di saliva bollente:

«Mario Draghi riparte come un orologio svizzero e il gesto con cui apre il primo Consiglio dei ministri dopo una settimana di morte e resurrezione della politica è pensato per spazzare via le scorie, allontanare le ombre e strappare qualche cauto sorriso. Il premier entra nella grande sala, dà le spalle agli arazzi fiamminghi con le gesta di Alessandro Magno e compie in senso antiorario un intero giro dell’immenso tavolo, porgendo la mano a ogni singolo ministro.
[…] Compiendo un intero giro della “tavola rotonda” di Palazzo Chigi, il premier, che un ministro sottovoce paragonerà a “Re Artù che stringe un nuovo patto con i suoi cavalieri”, suggella un nuovo inizio e mostra plasticamente che i 759 voti per Sergio Mattarella hanno rilegittimato il governo di unità nazionale. Il lungo applauso chiamato da Draghi aprendo la riunione con la squadra all’apparenza ricompattata, dice la gratitudine del premier e di alcuni ministri per lo scampato pericolo e la condivisione per le priorità da affrontare: lotta alla pandemia e ripresa economica e sociale del Paese.
La maggioranza ha rischiato di andare in frantumi e il premier ha vissuto giorni di imbarazzo e sconcerto, ma ora, grazie alla conferma del presidente in scadenza, Draghi assicura di sentirsi più solido di prima. Vista l’importanza delle scadenze in agenda il presidente non sembra più disposto a tollerare rivendicazioni e veti, bandierine di parte, strappi, o ammutinamenti in Consiglio dei ministri. E sprona tutti a consegnare “entro 48 ore” il cronoprogramma di ogni ministero per i progetti del PNRR, così che chi è indietro raddoppi gli sforzi per tornare nei tempi

Monica Guerzoni
“Corriere della Sera”
(01/02/22)

Con un pezzo magistrale che supera le antiche veline del Minculpop per diventare leggenda, dalle pagine del Corriere della Sera, una straordinaria Monica Guerzoni in estasi mistica prova a comunicarci l’imperturbabile aplomb di Mariolino, aspirante presidente della Repubblica, che dopo la sonora trombata siede in riunione col suo consiglio dei ministri, per un’occasione di ordinaria routine elevata ad evento epico. Ed ha un bel da fare l’iper-governativo Corrierone, per dipingere il cipiglio volitivo del decisionista, sul volto cadaverico di un premier azzoppato che si lecca ancora le ferite, rintronato nella sua armatura di latta ammaccata.
Sulle gesta del novello Re Artù, la fanfara di corte si è sdilinquita ancora, versando fiumi di saliva sui drappi purpurei, per strisciare sui tappeti rossi in concomitanza dello “storico” discorso tenuto nel parlamento UE di Strasburgo (03/02/22), in un’aula praticamente vuota, e di cui ovviamente nessuno si è accorto né conserva memoria alcuna.

Il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, all’apertura della sessione plenaria del Parlamento Europeo, Strasburgo, Francia, 03 maggio 2022. ANSA / Filippo Attili / Ufficio stampa Palazzo Chigi +++ ANSA

Laggiù, nel vuoto pneumatico di un cosmico disinteresse, lo statista che tutto il mondo ci invidia (e che fuori dall’Italia nessuno si caga), declinava al nulla ivi convenuto la sua “visione rivoluzionaria”: vaghi cenni sull’universo, conditi dalle solite elucubrazioni di rito e retorica posticcia, per pensierini sfranti in una pozzanghera di ovvietà riscaldate. Che però agli occhi dei media nostrani diventano dichiarazioni epocali, provocando le polluzioni incontrollate dei soliti pennivendoli, in orgasmo su masturbazione coatta.
Ne scippiamo una sintesi, giusto per praticità riassuntiva:

«L’altro ieri Draghi, detto SuperMario da quando ci garantirono che la Merkel gli aveva passato il testimone di Guida dell’Europa, ha tenuto il suo attesissimo discorso a Strasburgo. Attesissimo dalle sedie del Parlamento europeo: un po’ meno dagli eurodeputati, che son rimasti a casa, a parte alcuni italiani reclutati per la bisogna, che si son fatti il selfie con lui. Era già accaduto nel 2006 col discorso di B. al Congresso Usa: anche lì c’erano quattro gatti, ma il capoclaque si premurò almeno di rimpiazzare i vuoti con figuranti, stagisti, segretarie e portaborse. Per Draghi non ci ha pensato nessuno, a parte “Calenda accompagnato dai figli” (LaStampa). Però quello che passerà alla storia come il “Discorso alle Sedie” ha infiammato di ardore patriottico i giornaloni, che si sono ben guardati dal pubblicare la foto dell’aula deserta: in compenso han dato fondo all’immaginazione per tenere in vita artificialmente il de cuius.
Il Corriere della Sera lo descrive “commosso per le parole di stima” (delle sedie parlanti) e “colpito e sorpreso dall’accoglienza dei parlamentari” (assenti), mentre “lascia un messaggio alla riflessione dell’Assemblea” (o almeno della tappezzeria) e dà “la spinta per la tregua” (spingitore senza nessuno da spingere). Il Foglio pubblica il discorso integrale (per lasciarlo in clandestinità).
Il Messaggero titola “A Strasburgo il manifesto di Mario” (tipo quello di Ventotene). “Draghi, scossa all’Europa”, si eccita LaRepubblica: “alla vigilia aveva promesso un discorso storico”, purtroppo nessuno se n’è accorto. Men che meno dell’“intesa Roma-Parigi-Berlino” per il “nuovo Patto di Stabilità” (le sedie vuote tendono a basculare). Intanto Macron parlava per due ore con Putin, mentre SuperMario non riesce nemmeno ad andare a Kiev (a proposito: presi i biglietti?). Però parla “come sanno fare i veri statisti”.
La Stampa vede una “Dottrina Draghi per l’Europa”, a mezzadria fra la Dottrina Monroe e il catechismo (nelle parrocchie vuote). Ed esalta “la portata del progetto che Draghi offre per l’Europa”, un “federalismo pragmatico” (qualunque cosa significhi) che “piace a Bruxelles” (peccato che lui fosse a Strasburgo).
Il Dubbio: “La visione di Mario” (ma è Strasburgo o Medjugorje?). E il Riformista: “Draghi scuote l’UE” (all’insaputa della stessa). Come faccia a scuotere e a spingere nel vuoto pneumatico, non è dato sapere. Ma uno che riesce a “lavorare per la tregua e la pace” a suon di armi è capace di tutto

Marco Travaglio
“Vuoto a perdere”
(05/05/2022)

Al momento c’è grande trepidazione sull’imminente viaggio di Re Artù alla volta degli USA, dove potrà gattonare a braghe calate, per porgere i suoi omaggi di suddito fedele all’Impero. Lì potrà raccomandarsi per un posticino alla NATO, offendo in cambio il culo di noi tutti, e prendere le ordinazioni direttamente dal Commander in chief, sempre che non sia troppo impegnato a parlare col suo amico immaginario…
Giusto a proposito di nullità, per quanto non invisibile, il pubblico non noterà la differenza. Nelle italiche redazioni invece già si idratano le favelle. E ci si chiede emozionati cosa mai dirà il nostro Sciaboletta, tarato come un orologio svizzero che si prepari ad entrare nella Storia allo scoccare dell’ora fatale… Cosa mai farà Super Mario, alias Re Artù, per stupire ancora il mondo intero, mentre dalle parti di Mosca fremono di terrore dinanzi all’imminente entrata in guerra dell’Italia a sua insaputa?! 
E noi una mezza idea ce l’avremmo pure…

Pronto a concedere qualsiasi cosa Padron Sam pretenderà, eseguirà senza battere ciglio. Non c’è limite alla Provvidenza ed ai suoi omini ubbidienti. E già si sente il rombare dei fantastici mezzi a disposizione dell’Italietta alle grandi manovre, schierata in prima linea per la terza guerra mondiale.

Praticamente ci manca solo che invii un corpo di spedizione di Alpini in Russia, per farsi bello coi suoi padroni.

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NAZI-LIBERATI

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 24 aprile 2022 by Sendivogius

25 Aprile 2022. A cento anni dalla mussoliniana marcia su Roma, possiamo dire con cognizione di causa che non c’è proprio alcuna Liberazione da festeggiare, dal momento che il fascismo gode di ottima salute e lotta contro di noi, più longevo che mai nella mimesi delle sue infinite varianti mutogene, per congenita capacità di adattamento e riproduzione su brodo di cultura.
Altrimenti non dovremmo assistere tutti gli anni allo stesso schifoso teatrino revanchista, messo in piedi ad ogni ricorrenza dagli eredi di Salò, pienamente legittimati ed inseriti da sempre nelle stanze e stanzette dei bottoni, da dove poter condizionare il corso della repubblichetta eterodiretta e dettarne l’agenda. Non sono mai stati “sdoganati”; non ne hanno bisogno, semplicemente perché non se ne sono mai andati.
Ogni tanto, quando il merdone è troppo grosso per essere nascosto, costituendo in realtà più una fonte di imbarazzo che di sdegno, e senza che mai alle parole seguano i fatti, si sente pigolare qualche lamento dalle parti del partito bestemmia: quell’oscuro oggetto governistico subalterno a chiunque lo porti al potere, che infatti coi fascisti di ogni ordine e grado, raggrumati in quel cartello elettorale che si fa eufemisticamente chiamare “centrodestra”, ci si trova benissimo, scambiandosi poltrone e governandoci insieme senza ombra di turbamento. Rientra nel copione della recita condivisa. Giusto per fare un po’ di scena e tenere la parte, giacché nulla deve disturbare la splendida ammucchiata, a cui partecipare per “spirito di servizio” e per ovvio “senso di responsabilità”: la magica trovata semantica che rende possibile ogni porcata, senza che mai disagio alcuno cali ad offuscare la magnifica narrazione imbastita su mandato politico da nostri media, ormai espressione del peggior giornalismo giallo, in piena distopia orwelliana.
Ma ormai il fu “partitone”, completata la mutazione transgenica, in piena svolta atlantista su evoluzione guerrafondaia dopo l’americanizzazione coatta, è tutto preso nel definire la propria servile subordinazione coloniale agli interessi statunitensi, raccomandandosi a Washington per meno di un pugno di lenticchie.
Dunque, dicevamo: cosa festeggiamo in questo ultimo 25 Aprile? Certo non la Liberazione dal nazifascismo. E nemmeno celebriamo la Resistenza! Bisogna stare attenti a definire cosa si intende per “resistenza”, specificando bene quale e che uso se ne intenda fare, in consonanza col ritrovato spirito marziale…
Possiamo prendere lezione dai fascisti per questo, che con intraprendenza ci indicheranno l’interpretazione corretta. Che poi, mutato nomine, si facciano chiamare “patrioti”… “nazionalisti”… “sovranisti”… è sempre quella merda lì!
Si dissuade vivamente dal fare ogni riferimento alla lotta partigiana, ma è assai gradito legare la ricorrenza, in posizione ancillare fino all’annullamento per sovrapposizione, con la ‘resistenza’ ucraina contro i russi, intessendo le lodi e lanciando fiori in onore delle eroiche brigate nere di Azov.

Vietato ogni riferimento al nazifascismo: il pubblico potrebbe non cogliere la differenza e cadere in confusione.

I simpatici partigiani ucraini del ricostituito Battaglione Usignolo

Sarebbe inoltre bene interdire le piazze all’ANPI, l’Associazione Nazionale Putiniani d’Italia, secondo il brillante acronimo coniato durante un rigurgito d’ego da un patetico coglione glassato in crosta di zucchero, dopo le liste di proscrizione e la caccia agli eretici. E sfilare tutti uniti sotto i bandieroni munifici e salvifici della NATO. Questo perché l’ANPI non è abbastanza prona al nuovo corso guerrafondaio. C’è il rischio che ricordino come la Resistenza sia altro da ‘sta roba immonda…
È ovviamente vietato cantare “Bella Ciao”, in quanto faziosa e divisiva, ma in alternativa si può sostituire l’esecrato brano con l’inno ucraino (sic!), più consono alla ricorrenza liberamente reinterpretata. Oppure utilizzare la variante sempre ucraina del noto canto partigiano, musicato sulle note di “Bella Ciao”, ma completamente riscritto e riadattato alla bisogna dalla cantante folk Khristyna Soloviy, portata alla ribalta dalle ineffabili colonne de LaStampa-Repubblica-Corriere, ormai ridotte a carillon della nazi-fiabe ucraine, e che fa bagnare di lacrime il pannolone di qualche turgido coglione a sinistra che ne ignora il testo :

«Il vecchio Dnepr ruggì con rabbia. Nessuno lo so pensava, nessuno se lo aspettava. Quello che poteva essere la vera rabbia del popolo ucraino. I nemici maledetti senza pietà li distruggiamo. Quei nemici maledetti che la nostra terra invadono. Le nostre difese hanno i migliori ragazzi. Solo veri eroi combattono nell’esercito ucraino. E i Javelin ed i Bayractar combattono per l’Ucraina e uccidono i russi. E il nostro potente popolo, la gente dell’Ucraina, ha già unito il mondo contro i russi. E molto presto li sconfiggeremo. Presto li distruggeremo

Carina, vero?!? La Soloviy, alla quale si deve cotanto capolavoro artistico, è un’altra di quelle starlette dell’Est che ama farsi immortalare in pose da diva dei jet set, o a bordo di yacht in atteggiamenti ammiccanti, che più che altro fanno molto catalogo da escort di alto bordo. E che ovviamente non ha mancato di esternare tutta la sua devota ammirazione, per i nazisti dell’OUN (no, non sono le Nazioni Unite!) di Stepan Bandera, il santino nazionale dell’Ucraina ‘democratica’ (LOL!), nell’impossibilità di cogliere la contraddizione oscena. È che proprio non ce la fanno. Sono talmente imbevuti di nazifascismo, quasi a livello genetico, da esserne inconsapevoli, tanto riesce loro naturale.
Ecco, se questo è il nuovo 25 Aprile, tenetevelo!
La Liberazione è lontana, ma proprio oggi più che mai è necessario resistere. 

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MEDIACRAZIA (II)

Posted in Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 aprile 2022 by Sendivogius

In parallelo con la guerra in Ucraina, sono bastati meno di due mesi di propaganda ininterrotta (ora si chiama “storytelling”), per cancellare ogni credibilità residua di un sistema mediatico rattrappito in servitù volontaria; talmente abituato a sguazzare nei propri escrementi elevati ad oggetto di meraviglia, da rasentare livelli feudali di piaggeria cortigiana, e sputtanarsi irrimediabilmente agli occhi di un pubblico sempre più sconcertato dinanzi al miserabile teatrino di guerra, imbastito da zelanti reclutatori in livrea.
È un rassemblement violentemente ideologico di incarogniti gaglioffi convertiti alla mistica bellica, esteti del pensiero unico, presenzialisti da salotto, e servi sciocchi in cerca di visibilità. Si tratta di un pastone fetido, in cui sembrano convergere meschineria congenita e mediocrità professionale, dove i livori personali (e padronali) vengono ammantati di “indignazione” ad uso delle telecamere; una fossa biologica, nella quale approssimazione e disonestà intellettuale sono travestite da “fermezza”, mentre incompetenza e presunzione vengono esacerbate da una supponenza parolaia ed arrogante. Ci troviamo a vivere e sorbire una grande mistificazione orwelliana, dove si distingue per furore e fervore La Repubblica dei cavalieri GEDI nella galassia degli Elkann, con contorno di truppe cammellate di rinforzo e sturmtruppen da terza linea, tra i quali spiccano alcuni casi più consoni alla psicopatologia clinica che altro, come quel Massimo Gramellini che ha fatto del prof. Alessandro Orsini la sua ossessione personale, con tanto di esegesi dei testi e delle parole del reprobo. Se uno dovesse sottoporre allo stesso trattamento le opere del Gramella nazionale, si potrebbere scrivere una nuova appendice comica sull’inesauribile lista dei libri merdavigliosi dei quali la nostra editoria abbonda. Sono i pretoriani di regime, specializzati nel vituperio generalizzato di ogni voce critica all’invio ad oltranza di armi; la compagnia di disciplina, schierata contro chiunque osi semplicemente richiamare a maggiore prudenza, rispetto alla foga declamatoria dei troppi guerrafondai su procura. Attualmente, i nostri inquisitori di redazione sono uniti nella character assassination del frastornato Giuseppi, maramaldeggiando sul fu avvocato del popolo, politicamente già morto, colpevole di non essere abbastanza allineato al nuovo corso bellico, ma soprattutto non supinamente sdraiato al cospetto del Draghi che ci conduce, e per questo da fustigare legato alla colonna infame.
Strepitoso è pure un Massimo Giannini, che buttati nel cesso anni di solida reputazione giornalistica, lascia sottintendere chissà quali inconfessabili complicità per intesa col Nemico (e non ovvie responsabilità penali, insinuando alti tradimenti), circa gli innominabili scopi della famigerata missione russa ai tempi del Covid, non capacitandosi come il personale medico militare inviato dall’Impero del Male potesse essere coadiuvato da un generale: un “GE-NE-RA-LE!!” scandisce un Giannini furioso, al culmine del suo vibrante sdegno a misura di telecomando, sconvolto da cotanta abnormità.
Perché, il generale Figliuolo che ha gestito l’epidemia pandemica cosa cazzo era?!?

“Gli Oligarchi della tivvù, sbugiardati dal pubblico”
Domenico De Masi
(19/04/2022)

«Man mano che passano i giorni della guerra in Ucraina si moltiplicano i sondaggi trasmessi dalle varie reti televisive per rilevare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo. Il risultato è che cresce la divaricazione tra ciò che quelle reti cercano di accreditare con le proprie trasmissioni e ciò che “la gente” comincia a pensare con la propria testa. Questi media, pubblici o privati che siano, fanno a gara per dimostrare che Putin è pazzo, ma “la gente” comincia a pensare che sarà pure pazzo, ma di sicuro non è scemo. Questi media gareggiano nell’accreditare un’immagine salvifica degli Stati Uniti, ma “la gente” comincia a pensare che l’America sarà pure esportatrice di democrazia, ma i suoi interessi non coincidono con quelli europei. Questi media gareggiano nell’insinuare che in Russia monta un’ondata di dissenso per rovesciare Putin, ma “la gente” comincia a capire che la stragrande maggioranza dei russi concorda pienamente con le strategie belliche dello zar. Questi media gareggiano nel tranquillizzare i consumatori sulla disponibilità di fonti energetiche anche per il prossimo futuro, ma “la gente” è sempre più convinta che il petrolio e il gas raccattato presso altri dittatori comunque non ci affrancherà dalle forniture russe.
Da cosa dipende la sfasatura tra l’informazione fornita dagli anchor men dei media e l’opinione pubblica dei cittadini? A mio avviso dipende dall’abuso di potere esercitato dai primi, sottovalutando la qualità intellettiva dei secondi. Inoltre, gli anchor men soffrono di autoreferenzialità come ogni circolo chiuso in cui poche diecine di privilegiati fanno da guardiani al pensiero unico, mentre i cittadini comunque esprimono una pluralità di vedute garantita dall’essere milioni di teste disparate, appartenenti a classi diverse.
In 24 mesi, tra la realtà incombente della pandemia e della guerra e l’idea che ce ne siamo fatta, si è interposto il filtro distorcente di una ventina di anchor men, oligarchi nostrani dell’informazione che, armati di talk show, hanno imposto il loro punto di vista basandolo sulla propria cultura generica e sull’interesse dei loro padroni. Il metodo manipolatorio è semplice: ogni trasmissione viene articolata in uno o più panel di cosiddetti “esperti” scelti alla rinfusa in un mazzo consueto di giornalisti e politici. Il numero dei partecipanti a ciascun panel deve essere esuberante rispetto al tempo disponibile, in modo che ognuno degli interpellati abbia pochi secondi per esprimere giudizi su questioni cosmiche. Prima che l’interpellato di turno riesca a completare un pensiero, viene interrotto dal conduttore o viene contraddetto da altri partecipanti che sovrappongono il loro dissenso, spesso in tono forsennato, a ciò che si stava dicendo. Essenziale è che, alla fine della messinscena, tutti abbiano parlato senza nulla dire e resti salva solo la tesi che stava a cuore al conduttore, cioè al suo datore di lavoro.
Il sotterfugio sempre più frequentato sta nell’esibire giornalisti in veste di esperti. Quella del giornalista è una rispettabile professione che consiste nella capacità scientifica di raccogliere, vagliare e trasmettere notizie su una vasta gamma di accadimenti. L’esperto, invece, è colui che ha dedicato una vita intera ad approfondire una sola disciplina con qualche necessaria scorribanda nelle discipline confinanti. Ma ora vige il vezzo di promuovere al rango di storico o di geopolitologo o di virologo o di sociologo qualunque giornalista che sia stato impunemente intervistato un paio di volte su questioni di storia o di geopolitica o di virologia o di sociologia.
Tuttavia, quando gli eventi comunicati sono complessi e gravi come quelli attuali, si mette in moto tra “la gente” un meccanismo di autonoma elaborazione delle informazioni per cui l’ignoranza sapiente dell’opinione pubblica travalica la sapienza ignorante degli anchor men. Un aspetto particolarmente grave dell’attuale patologia informativa consiste nell’occultamento sia delle cause che hanno portato alla situazione presente, sia dei disastri cui stimo andando incontro e dei rimedi sbilenchi che gli stiamo opponendo. La carenza congiunta di grano e di fonti energetiche promette a tutto l’Occidente un prossimo futuro di fame per molti e di impoverimento per quasi tutti. Ciò comporta che masse pauperizzate accumuleranno un rancore esplosivo traducibile in sovversione autoritaria o in incremento democratico a seconda del colore delle forze politiche capaci di egemonizzarle e convogliarle. Dio non voglia che, nel frattempo, Le Pen conquisti la presidenza in Francia e Trump la riconquisti in America. A quel punto, Pandemia e guerra in Ucraina ci appariranno disgrazie minori. Ma di questo non si parlerà o ne parleranno i giornalisti, promossi esperti sul campo

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MEDIACRAZIA

Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , on 15 aprile 2022 by Sendivogius

C’era una volta il “giornalismo d’inchiesta”… brillante invenzione di una stampa del tutto ideale (e per questo irreale), che aspira ad essere qualcosa d’altro e di più, rispetto ad una cassa di risonanza di poteri consolidati; o ridursi a mero strumento di manipolazione delle coscienze, per la promozione di interessi particolari su diffusione propagandistica.
Da noi, dove il giornalismo libero non è mai stato, nell’imprescindibilità di un’atavica vocazione cortigiana, le inchieste si limitano più che altro a tirar di conto nelle tasche altrui, con indignazione variabile in base alle appartenenze di scuderia. Oppure finiscono nel vuoto cosmico del disinteresse generale su ottundimento di massa. Più che i fatti, prevalgono i teoremi. E tutto si riduce ad appendice di un romanzo criminale senza fine, da tirare avanti fino ad esaurimento dei lettori disponibili.
Questo quando va bene, nel minimo di approfondimento che ne consegue, perché di preferenza il giornalista italiano riporta opinioni, di solito le proprie (meglio se mutuate da quelle del suo interessato padrone editoriale), elette ad imprescindibile verità di fede disciplinata in dogmi apodittici, da circostanziare al limite con poche battutine su twitter e condensabili in slogan rifritti, riassumibili in una mezza dozzina di parole vuote. “Altrimenti il pubblico non capirebbe”.
Per questo predilige i sensazionalismi della comunicazione emozionale, che lo dispensano dalla confutazione critica nell’onere della prova su verifica indotta, nella prevalenza dei patetismi mediatici su base regressiva, attraverso la delineazione dei fronti di appartenenza su divisione manichea. Il giornalista non deve mediare un’informazione verificata, ma creare un “animus” particolare e soprattutto funzionale ad altro…
Il fenomeno era già in essere da tempo, ma il conflitto in Ucraina scatenato dall’invasione russa ha ingenerato in un sistema mediatico embedded una sorta di catechesi propedeutica alla pedagogia di guerra. Più che formare coscienze, si preparano i futuri soldati alla guerra di domani, che ormai viene data quasi per certa, considerata accettabile… E per questo va resa desiderabile nell’ineluttabilità della stessa.
È una narrazione mitopoietica, che aborre la complessità; né tollera dubbi o esitazioni di sorta: nel migliore dei casi sono intesi come cedimenti al Nemico e nella peggiore delle ipotesi come un atto di tradimento della patria (ucraina, per proiezione).
L’addestramento è affidato ad un battaglione di invasati 50/60enni, con contorno di supponenti bimbiminkia in carriera e figlie di papà, preferibilmente parcheggiate sul seggiolone di qualche consiglio d’amministrazione a mantenimento pubblico. Che più che altro, sembrano i servi sciocchi di una compagnia di giro per l’intrattenimento ed indottrinamento delle reclute, mentre si infervorano come un Tirteo redivivo e leggono le veline della propaganda eletta a verità incontrovertibile, giacché nessuna panzana dal fronte ucraino pare loro abbastanza grande né assurda, da non essere esaltata o dal dover essere confutata, senza che mai ombra di dubbio alcuno sfiori le loro granitiche certezze.
Si distinguono per foia guerriera una mandria assortita di pasciuti e panciuti maschi adulti in fase senescente, che hanno superato la crisi di mezza età sostituendo i pruriti erotici di ritorno con le fregole di guerra in orgasmo surrogato, dopo aver riscoperto i soldatini con mezzo secolo di ritardo, per giocare alla guerra sul divano di casa travestiti da grandi strateghi, in un ritrovato vitalismo su eccitazione bellica.
E che ora imperversano a tempo pieno su reti unificate diffondendo il Verbo, mentre si passano la staffetta e randello per la bastonatura collettiva su pestaggio in gruppo dell’Orsini di turno.
A loro tempo imboscati, dopo essere ricorsi a qualsiasi espediente utile per sfangare il servizio militare di leva (“obbligatorio” per tutti, ma non per loro), oggi si sentono tutti generali, promossi sull’aia dei pollai televisivi per meriti di corte, mentre piantano bianderine e spostano carrarmatini di plastica sul tabellone del Risiko!, con l’aria tronfia e compiaciuta di ogni citrullo ingallonato che giochi alla guerra senza mai averne vista una.
Sono gli emuli contemporanei di quel giornalismo parolaio ed interventista che condusse l’Italia al mattatoio della prima guerra mondiale, in un’epifania sanguinaria di nazionalismo sciovinista ed esaltazione bellicista contro i “panciafichisti” di allora. All’epoca, le voci critiche o diffidenti erano bollate così. Oggi possiamo contare su un maccartismo di ritorno, molto più consono all’american spirit che pervade i nostri concionanti guerrafondai da salotto. Ma a differenza dei nostri eccitabili rambo da tastiera, gli “interventisti” di un secolo fa almeno ebbero la compiacenza di arruolarsi volontari in prima linea e farlo con convinzione, spesso rimanendoci secchi. Qui invece abbiamo solo un commando di indecenti pennivendoli d’assalto, che in guerra preferiscono mandarci gli altri, per spacciare qualche copia in più dei loro insulsi giornaletti in crisi di vendite e credibilità, appagando il proprio narcisismo da salotto e magari riciclarsi con un ingaggio da zerbino sull’uscio di qualche panel NATO.

Tale è l’assatanato manipolo di ringhiosi cagnetti da riporto, pronti a scondinzolare dietro a Padron Sam (nei panni di un vecchio rincoglionito, che non riesce a trattenere le sue flatulenze) in cambio di qualche croccantino, ridotti come sono a sbavanti mascottine da CCS di caserma.

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