OBSCURUM PER OBSCURIUS


I prodotti della giurisprudenza parlamentare (le raffazzonatissime leggi di politici semi-analfabeti) sono famosi per la sciatteria espositiva e per l’inesplicabilità linguistica di una prosa ostica, che fa dell’incomprensibilità del testo una missione. Tuttavia, il DDL 1905, la cosiddetta Riforma Gelmini, sembra davvero battere tutti i suoi predecessori…
 Almeno è questa l’impressione che si ricava dalla bozza di testo (già approvata dal Senato il 29/07/2010) ed ora in dirittura d’arrivo finale, a tappe forzate e tempi contingentati. A tal proposito, è davvero irresistibile la leghista Rosi Mauro: la badante di Bossi, ragioniera e improvvisata vicepresidente al Senato, che smista gli emendamenti alla stessa velocità con cui si prezza il pescato al mercato del pesce all’ingrosso. 

Nel Disegno di Legge governativo (firmato dalla Gelmini, ma scritto da Tremonti) si parla di “consigli di amministrazione”, “collegi dei revisori contabili”, “sostenibilità di bilancio”, “obiettivi strategici”… come nei prospetti delle mission aziendali… senza che MAI venga nominato il termine “Cultura”. Eppure le disposizioni riguardano l’insegnamento e la formazione universitaria.

«Quando sento la parola ‘cultura’ tolgo la sicura alla mia Browning!» 

 Hanns Johst
 “Schlageter” 
  Atto I; scena 1
  (1933)

Inflazionato è invece il ricorso a “meritocrazia” che fa capolino ogni due righe, alla stregua di un feticcio auto-rassicurante. Tanto le parole non costano nulla, altrimenti non si capirebbe come la Maria Stella possa essere diventata ministro: caso estremo, ma non isolato, nel governo del fottere presso la Casa del Papi.
 Eppure, almeno sotto certi aspetti, la ‘riforma Gelmini’ potrebbe persino essere un’ottima legge contro sprechi, inefficienze e favoritismi clientelari, con spunti interessanti per la gestione ottimale di società di capitali ed aziende municipalizzate del Comune di Roma, come l’ATAC e (meglio ancora!) l’AMA, se l’oggetto in questione non fosse però l’Università pubblica la cui gestione viene equiparata in tutto e per tutto a quella di un’impresa privata.
E davvero non si capacità la Maria Gelmini superstar di tanta ostilità e tali proteste da parte di chi l’università (con tutte le sue carenze) la vive:

«I baroni, attraverso alcuni studenti, tentano di bloccare una riforma che rende l’Università italiana finalmente meritocratica, che pone fine al malcostume di parentopoli, che blocca la proliferazione di sedi distaccate inutili e di corsi di laurea attivati solo per assegnare cattedre ai soliti noti

 M.S.Gelmini 
 (25/11/2010)

Infatti, tra i maggiori estimatori del ddl c’è il rettore dell’Università La Sapienza di Roma (il più grande ateneo d’Europa, come pomposamente viene chiamato), l’assai chiacchierato prof. Frati: “il ministro Gelmini ha fatto una riforma straordinaria” (18/11/2010).

ONORE AL MERITO
 Se c’è uno che incarna i vizi e le furbizie del baronato accademico, questo è proprio Luigi Frati: un uomo che ha fatto del nepotismo familiare molto più di un’arte, nella quale è maestro indiscusso.
Laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato per anni il collettore politico tra potere democristiano e mondo baronale accademico, con incursioni nel grande policlinico universitario della Capitale: il disastrato Umberto I.
A tali rapporti andrebbero poi aggiunti i suoi legami con le multinazionali farmaceutiche…
Nominato a soli 40 anni vicepresidente del Consiglio Universitario Nazionale, l’organismo che gestisce i concorsi per l’assegnazione delle cattedre, il giovanissimo (per gli standard italiani) Frati ne approfitta per costruire una rete fittissima di clientele e relazioni, che sono  alla base del suo potere personale. Si tratta di un sistema talmente articolato e complesso da essere chiamato “Modello Frati” e che vale la pena di conoscere meglio, leggendo QUI.
Di conseguenza, da docente, Luigi Frati è diventato preside di facoltà ed infine rettore (03/10/2010). Inutile dire che conserva tutte le cariche; tanto che, a prescindere dai suoi meriti scientifici,  il prof. Frati continua a guadagnarsi numerosi articoli sui principali quotidiani nazionali. Ad esempio: QUI.
Professore di Patologia generale alla facoltà di Medicina, Luigi Frati da 18 anni è anche preside della medesima facoltà che considera un suo feudo personale, tanto da usare l’Aula Magna come sala di nozze per il matrimonio della figlia Paola (14/11/2004), opportunamente nominata professoressa ordinaria di Medicina Legale, con una laurea in giurisprudenza.
Ma nell’Ateneo del magnifico rettore Luigi Frati hanno trovato opportuno collocamento anche il secondogenito Giacomo (classe 1974) e Luciana Rita Angeletti (in Frati). Naturalmente non poteva mancare il cognato: Pietro Angeletti.

«Giacomo Frati, laureato in medicina, ha vinto il concorso da ricercatore nella facoltà paterna. Mentre la moglie, Luciana Rita Angeletti, ha fatto una carriera-lampo. Alla fine degli anni Ottanta era una semplice professoressa di lettere in una scuola superiore. Nel 1995 la ritroviamo nella facoltà del marito addirittura come professore ordinario di Storia della medicina. Anche suo fratello, Pietro Ubaldo Angeletti, insegnava patologia a Perugia, la stessa facoltà dove Frati iniziò la sua ascesa universitaria. Il cognato (morto negli anni Novanta) è stata una figura importante soprattutto perché era l’amministratore della filiale italiana della multinazionale farmaceutica Merck Sharp & Dohme

 “Il Barone Frati
 Primo Di Nicola & Marco Lillo
 L’Espresso (12/01/2007)

Notizia dell’ultima ora è la nomina di Giacomo Frati a docente ordinario. Coerentemente, Luigi Frati è un altro di quelli che si riempie la bocca di “meritocrazia”, con una faccia di tolla difficilmente eguagliabile neanche dal più spericolato degli spergiuri.
Un altro a cui la riforma Gelmini sembra piacere molto è il rettore dell’Università Roma-2 di Tor Vergata, il prof. Renato Lauro:

«Non approvare la riforma dell’università sarebbe un passo indietro gravissimo. Non si potrebbero fare concorsi e non ci sarebbe la riduzione dei tagli» 
 (02/12/2010)

 Medico personale di Angelo Balducci, il magnifico Lauro appartiene alla nutrita schiera di quelli che tengono famiglia. Pertanto ha piazzato nella “sua” università la moglie, il figlio e pure un paio di nipoti…dalla Sicilia con ardore!
L’ultima assunta, in extremis prima dell’approvazione del ddl, è Paola Rogliani: la moglie del figlio Davide. Alla vicenda Il Corriere della Sera dedica una gustosa intervista: QUI, mentre Il Messaggero di Roma lo affonda con un’altra bordata micidiale in onore dell’ennesima parentopoli romana (QUI).

L’ATENEO AZIENDA
 E del resto perché la riforma non dovrebbe piacere ai rettori degli atenei?!?
Con l’approvazione del ddl infatti i rettori si vedranno trasformati praticamente in supermanager (il cui mandato avrà un max. di 8 anni) con poteri quasi illimitati e la possibilità diretta di gestire fondi e appalti universitari, con gli istituti collegati. Il valore culturale diventa secondario; la formazione didattica una variabile dipendente. Gli atenei in tutto e per tutto si configurano come società private e come tali organizzate:

Art. 2
(Organi e articolazione interna delle università)

Le università statali, nel quadro del complessivo processo di riordino della pubblica amministrazione, provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a modificare i propri statuti in materia di organi (…) secondo princìpi di semplificazione, efficienza ed efficacia, con l’osservanza dei seguenti vincoli e criteri direttivi:
 a) previsione dei seguenti organi:
   1) rettore;
   2) senato accademico;
   3) consiglio di amministrazione;
   4) collegio dei revisori dei conti;
   5) nucleo di valutazione;
 b) attribuzione al rettore della rappresentanza legale dell’università e delle funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche; della responsabilità del perseguimento delle finalità dell’università secondo criteri di qualità e nel rispetto dei princìpi di efficacia, efficienza, trasparenza e meritocrazia; della funzione di proposta del documento di programmazione strategica triennale di ateneo.

Tra le novità c’è l’introduzione di un vero e proprio CdA aziendale che affianca ed integra le competenze del senato accademico, con mansioni pressoché equipollenti ed una inevitabile sovrapposizione di ruoli. Tra i compiti del Consiglio di Amministrazione rientrano altresì:
le funzioni di indirizzo strategico;
l’approvazione della programmazione finanziaria annuale e triennale del personale (in pratica le spese per il pagamento degli stipendi);
vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività (i saldi di bilancio);
la competenza a deliberare l’attivazione o soppressione di corsi e sedi;
Quest’ultima costituisce una grave ingerenza nei confronti del Senato accademico e della libera didattica, a maggior ragione che il CdA non è un organo elettivo e nulla ha a che vedere con la ricerca.

Il Consiglio di Amministrazione
 I membri del CdA, per un massimo di 11 componenti (compreso il rettore ed una rappresentanza degli studenti) viene reclutato:

“mediante avvisi pubblici, tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello; non appartenenza ai ruoli dell’ateneo”

Se è vero che il nuovo CdA si occuperà prevalentemente di amministrazione contabile e gestione di bilancio, escludendo quindi docenti e personale accademico, è anche vero che può mettere bocca sull’organizzazione e sull’offerta didattica, decidendo la chiusura di istituti e corsi, utilizzando come unico parametro la contabilità finanziaria. In questa prospettiva, ne consegue che istituti di eccellenza come ad esempio “Lingue Orientali”… “Semiologia”… “Filosofia ermeneutica”… che non vantano certo migliaia di iscritti, potranno essere chiusi per una mera questione di calcolo.
Per evitare i conflitti di interesse, si ricorre alla competenza di esperti “esterni”, ma il rettore dell’ateneo può diventare presidente del CdA, come se fosse immune da interessi particolari (e personali). Un controsenso che piace molto (come è ovvio) ai diretti interessati.
La svolta aziendalistica viene ulteriormente rafforzata dalla:

“sostituzione della figura del direttore amministrativo con la figura del direttore generale, da scegliere tra personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali; conferimento da parte del consiglio di amministrazione, su proposta del rettore, dell’incarico di direttore generale, regolato con contratto di lavoro a tempo determinato di diritto privato di durata non superiore a quattro anni rinnovabile”

Nell’ideologia efficientista che pervade la ‘riforma’ null’altro interessa all’infuori dell’esperienza dirigenziale del direttore che del resto dovrà occuparsi “della complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell’ateneo”.
È interessante invece notare come il rettore universitario, ormai avviato all’onnipotenza, può scegliersi altresì il direttore generale oltre a presiedere il CdA.

Il Collegio dei Revisori contabili
 La composizione di un collegio di revisori dei conti è forse l’unica, vera, novità positiva della ‘riforma’ che prevede:

“un numero di tre componenti effettivi e due supplenti, di cui un membro effettivo, con funzioni di presidente, scelto tra i magistrati amministrativi e contabili e gli avvocati dello Stato; uno effettivo e uno supplente, designati dal Ministero dell’economia e delle finanze; uno effettivo e uno supplente scelti dal Ministero tra dirigenti e funzionari del Ministero stesso; nomina dei componenti con decreto rettorale; durata in carica per quattro anni; rinnovabilità dell’incarico per una sola volta e divieto di conferimento dello stesso a personale dipendente della medesima università; iscrizione di almeno due componenti al Registro dei revisori contabili.”

Il Nucleo di valutazione
 È questa l’entità che nelle intenzioni del Legislatore (Tremonti-Brunetta) dovrebbe espletare le funzioni di controllo e certificazione qualità. Un po’ come gli ispettori aziendali.

Il nucleo di valutazione [sarà composto] con soggetti di elevata qualificazione professionale in prevalenza esterni all’ateneo; il coordinatore può essere individuato tra i professori di ruolo dell’ateneo

Compito del coordinatore è la “verifica della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica”, insieme alla valutazione dell’attività di ricerca svolta nei singoli dipartimenti.
La struttura di controllo si dovrebbe chiamare ANVUR: Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. E naturalmente opererà “secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale”.
Peccato che il sedicente “nucleo di valutazione” sia in realtà una scatola vuota, ancora in fase di costituzione e senza che siano state ancora codificate le linee guida alle quali dovrebbe attenersi l’Agenzia per le sue valutazioni.
L’ANVUR (ancora in fase di costituzione) dovrà attenersi dunque ad un sistema di valutazione dai criteri indefiniti (da stabilire ex post mediante decreto legislativo).

Senato accademico
 Per contenere le camarille baronali all’interno dell’università, il DDL vieta il cumulo delle cariche ai componenti del senato accademico (naturalmente con l’eccezione del rettore):

Divieto per i componenti del senato accademico e del consiglio di amministrazione di ricoprire altre cariche accademiche.
Divieto di rivestire alcun incarico di natura politica per la durata del mandato (rettore incluso).
Divieto di incarichi nel nucleo di valutazione o del collegio dei revisori dei conti di altre università italiane statali, non statali o telematiche; di svolgere funzioni inerenti alla programmazione, al finanziamento e alla valutazione delle attività universitarie nel Ministero e nell’ANVUR.

In compenso, tra i votanti passivi che contribuiscono all’elezione del Senato accademico vengono interdetti tutti gli studenti che abbiano superato il primo anno fuori corso. Perché la democrazia elettiva è una cosa bella, ma se ci partecipano in pochi è meglio.

Tu chiamala “meritocrazia” se vuoi…
 Con la scusa della “razionalizzazione dell’offerta formativa” (Art.3) invece si smantellano dipartimenti, si riducono facoltà e chiudono interi corsi di laurea, con una vera falcidia di ricercatori e personale a contratto. Questo perché l’accorpamento degli istituti e la fusione delle università comporta necessariamente un ridimensionamento del ‘personale’ che va razionalizzato (licenziato), esattamente come avviene nelle fusioni aziendali, a prescindere dalle competenze e dai ruoli. È naturale che ad essere tagliati via non saranno i vecchi “baroni” coi loro contratti blindati a tempo indeterminato, ma i giovani ricercatori precari coi loro contratti a tempo (e da fame) con inevitabili conseguenze a ribasso sulla ricerca e sull’attività didattica. Certo il provvedimento sarà fondamentale per bloccare la cosiddetta “fuga dei cervelli all’estero”. Ma abbiamo già visto come gli aspetti culturali e formativi siano tra le ultime preoccupazioni della ‘riforma’ Gelmini, il cui unico scopo è fare cassa e giustificare il blocco dei finanziamenti.

“La federazione ovvero la fusione ha luogo sulla base di un progetto contenente, in forma analitica, le motivazioni, gli obiettivi, le compatibilità finanziarie e logistiche, le proposte di riallocazione dell’organico e delle strutture in coerenza con gli obiettivi.
(…) I fondi risultanti dai risparmi prodotti dalla realizzazione della federazione o fusione degli atenei possono restare nella disponibilità degli atenei stessi purché indicati nel progetto e approvati dal Ministero.
(…) Le disposizioni si applicano anche a seguito dei processi di revisione e razionalizzazione dell’offerta formativa e della conseguente disattivazione dei corsi di studio universitari, delle facoltà e delle sedi universitarie decentrate.”

In tutto ciò, non si comprendono bene i vantaggi per gli studenti universitari, per i quali è però previsto un articolato programma di valorizzazione con l’istituzione di un “fondo per il merito” (Art.4) che contempla premi di studio e buoni, ma riservati solo agli iscritti del primo anno:

«È istituito presso il Ministero un fondo speciale, di seguito denominato “fondo”, finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti individuati, per gli iscritti al primo anno, mediante prove nazionali standard e, per gli iscritti agli anni successivi, mediante criteri nazionali standard di valutazione.»

Da dove trae l’università i finanziamenti per garantire i bonus agli “studenti meritevoli”? Ma è chiaro! Siccome lo Stato, coi ministeri competenti, non sgancia un centesimo si confida nel buon cuore dei “privati”.

«Il fondo è alimentato con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati, nel rispetto delle finalità del fondo, a specifici usi.»
 
(Art.4; comma VII)

«Il Ministero [dell’Università], di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, promuove, anche con apposite convenzioni, il concorso dei privati e disciplina con proprio decreto di natura non regolamentare le modalità con cui i soggetti donatori possono partecipare allo sviluppo del fondo, anche costituendo, senza oneri per la finanza pubblica, un comitato consultivo formato da rappresentanti dei Ministeri e dei donatori.»

 (Art.4; comma VIII)

L’unico risultato concreto è che non solo sarà impossibile calcolare l’entità reale delle erogazioni, ma che gli studenti (in assenza di fondi certi) vedranno messa in seria discussione anche l’assegnazione delle attuali borse di studio.

«Il Fondo può essere integrato dai singoli atenei anche con una quota dei proventi delle attività conto terzi ovvero con finanziamenti pubblici o privati. In tal caso, le università possono prevedere, con appositi regolamenti, compensi aggiuntivi per il personale docente e tecnico amministrativo che contribuisce all’acquisizione di commesse conto terzi ovvero di finanziamenti privati»

 (Art.9 – Fondo per la premialità)

In pratica è l’ingresso dei famosi sponsor privati nei collegi universitari, che chiaramente non erogano finanziamenti disinteressati ed a tasso zero.

UNITÀ DI PRODUZIONE
 Lo studente cessa di esistere in quanto tale, per trasformarsi in una sorta di unità produttiva alla quale conferire un valore d’uso. Nell’Art.5, che stabilisce le deleghe in materia di interventi per la stabilità di bilancio e l’organizzazione degli atenei, si contempla pure:

«l’introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università, cui collegare l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario»

Dall’estremismo efficientista al mercato delle vacche!
Invece per gli atenei in passivo di bilancio, come le regioni insolventi o le aziende in dissesto, verranno approntati dal Ministero dell’Economia appositi “piani di rientro finanziario”, fino alla disposizione del “commissariamento” delle università (di nomina governativa), alla faccia dell’autonomia…

Intendiamoci! Non è che la riforma sia del tutto priva di spunti interessanti ed in parte condivisibili.  Non  dimentichiamo certo che  l’attuale sistema universitario con le sue carenze, gli sprechi, e le sacche parassitarie più o meno clientelari è quasi indifendibile. E crediamo nessuno voglia mantenere immutata la situazione attuale, che ottimale proprio non è.
Ben venga dunque un tentativo di intervento che introduca una nuova disciplina dei rinnovi contrattuali e soprattutto un controllo più stringente su spese e gestioni di bilancio.
Ben venga una riorganizzazione delle assunzioni e dei concorsi, che non sia però preclusiva, che contempli davvero una valorizzazione ed un’opportunità per i talenti migliori.
E pur tuttavia la politica dei tagli indiscriminati, la leggenda metropolitana dei “Privati” che finanziano la Cultura e l’Università sopperendo alle carenze del “Pubblico”, le ‘sussidiarietà’ a tutto vantaggio delle strutture private senza alcuna contropartita, la parificazione delle università telematiche con l’incredibile caso del CEPU, sono aspetti quanto meno ambigui di una “riforma” blindata che non prevede verifiche né approfondimenti. L’ennesima prova muscolare di una compagine di potere che fa della provocazione una costante, criminalizza gli studenti (che della riforma sono parte integrante), e interpreta ogni possibile revisione o modifica al testo come un intollerabile cedimento dinanzi al ‘nemico’.
Chi semina vento, raccoglie tempesta..!

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16 Risposte a “OBSCURUM PER OBSCURIUS”

  1. […] Il seguito di questo articolo:  OBSCURUM PER OBSCURIUS « […]

  2. ernesto Says:

    La legge Gelmini e solo la lagica conclusione a tanti anni di quella che considerate la “CULTURA” vera, quella che ci ha ridotti agli ultimi posti delle classifiche mondiali. la cultura della vera ignoranza!
    A proposito di baroni e simili: vi suggerisce qualcosa il nome del direttore del TG3…….. Bianca BERLINGUER!!!
    Ma quale Berlinguer quello del PCI o quello della….. riforma universitaria?

  3. …E buon Natale.

  4. @ LadyLindy
    Grazie per il tuo intervento. E grazie per gli auguri che naturalmente ricambio, augurandoti ogni gioia.

    @ Ernesto
    Se gli atenei italiani sono così carenti, allora non si capisce bene perché i laureati italiani siano così ambiti e valorizzati dagli istituti e dai laboratori stranieri, per i quali costituiscono invece un bacino di eccellenza.

    Immagino che quando parli di “classifiche mondiali” il riferimento sia alle statistiche OCSE. Sono rapporti annuali (e pubblici) dove, a volerli leggere davvero, è evidente come il problema risieda nella scarsità dei finanziamenti alla Cultura e nell’esiguità del sostegno statale alla Pubblica Istruzione e non certo nella mediocrità della didattica o dei docenti, o (peggio ancora!) degli studenti.
    Di tali statistiche puoi trovare un comodo sunto:

    QUI (Corriere della Sera)
    QUI (Sole 24 Ore)
    E, se ti piacciono gli istogrammi, puoi analizzare i dati direttamente dal Ministero dell’Università: QUI!

    Siccome si tratta di variabili dipendenti, queste non dovrebbero mai essere discinte dai contesti socio-economici di riferimento, e pertanto possono essere oggetto di interpretazioni diverse…
    Se hai pazienza, puoi leggere un’analisi alternativa e ben circostanziata QUI.

    Ciò detto, la CULTURA è universale. Vederla ridotta (e stuprata) in termini di appartenenza (“nostra”.. “vostra”..) è l’ennesimo scempio di questa Italietta da Guelfi e Ghibellini.
    Tuttavia, se la “vera cultura” è quella di Sandro Bondi, nominato ministro della medesima, la considerazione che si ha della materia è fin troppo eloquente…
    Nella migliore delle ipotesi, va da sé che nel Paese dove non si fanno i panini con Dante e “la cultura non si mangia”, quest’ultima sia concepita come una spesa inutile e dunque da tagliare, dove è evidente l’insofferenza (se non addirittura l’astio) per qualcosa di profondamente alieno e distante dall’ideologia aziendal-familistica dei ragionieri al governo.
    Al peggio, le università, ed i comparti culturali nella loro pluralità d’insieme, sono settori non allineati e dunque vanno puniti per il loro apporto critico al nuovo pensiero unico berlusconiano.

    P.S. Per quello che vale, considero la cosidetta riforma Berlinguer (Luigi) come qualcosa di pessimo. E gli apporti dell’ex ministro Fabio Mussi come qualcosa di ancora più pernicioso, quanto letale per l’accesso alle libere professioni.
    Certo se l’alternativa sono gli artifici tecnocratici di un commercialista di Sondrio esperto in “finanza creativa” ed evasione fiscale, controfirmati da una spocchiosa avvocatessa di Leno, iscritta all’albo di Reggio Calabria e laureata fuori corso…

  5. Midhriel Says:

    Articolo straordinariamente ricco e interessante.
    La riforma dell’università ci vuole, eccome, ma certo la strada intrapresa dall’avvocatessa e dal commercialista non è quella giusta.
    La domanda che mi pongo è: ma perchè in Italia ogni istituzione viene considerata come i terreni o le miniere nel Far West? Come mai le istituzioni sono alla mercè di furbi, prepotenti, mafie, delinquenti, che le trasformano in feudi privati, come tu stesso dici a proposito di Luigi Frati? Non esistono efficaci strumenti di protezione delle istituzioni, o forse l’onestà (come atteggiamento mentale e come comportamento) in Italia non è diffusa… o forse ancora è stata disintegrata da vent’anni di berlusconismo senza argini e senza opposizioni efficaci.

  6. Grazie Midhriel per i tuoi complimenti che giungono sempre graditi come le tue visite…
    In merito alla tua domanda, penso che ognuno di noi abbia elaborato una sua opinione sulla questione…

    “…perchè in Italia ogni istituzione viene considerata come i terreni o le miniere nel Far West?…”

    Difficile dare una risposta esauriente in poche righe… si può provare ad abbozzare una micro-sintesi assai incompleta…
    Forse il perché risiede nell’assenza di una tradizione civica unitaria, che coincide con la mancanza di una storia condivisa ed un individualismo esasperato. Da qui l’incapacità di identificare un bene comune e riconoscere interessi collettivi.
    Forse non abbiamo mai davvero superato il bellum contra omnes.
    Forse il nostro è un “contratto sociale” minino, circoscritto alla mera salvaguardia del ‘particulare’.
    Forse è il retaggio di una società arcaica, frazionata in piccole enclave territoriali e comunali, contrapposte le une contro le altre, ed al loro interno ripartite in clan familiari divisi dalla reciproca diffidenza. In fin dei conti, in Italia la consapevolezza (se mai c’è stata) di un storia e di un destino comune è andata completamente distrutta durante le Guerre Gotiche (e parliamo del VI sec!), mentre ogni unità nazionale si è perduta con la successiva invasione longobarda.
    Forse perché da allora le comunità si sono costituite soprattutto per ragioni difensive: contro i razziatori barbari; contro i soprusi dei signorotti locali; contro gli abusi del clero secolare; contro il dispotismo regio… Ed ogni volta che veniva sancito un qualche accordo, insieme al riconoscimento di qualche diritto, con l’Autorità dominante ecco che un nuovo invasore giungeva a sconquassare la Penisola, rimettendo in discussione i patti precedentemente stipulati, sostituendo un oppressore con un altro.
    Ma a ben guardare, credo che sia un retaggio molto più antico, insito nelle nostre radici culturali più profonde. La storia romana (che dal I° sec. a.C. al V sec. d.C. coincide con quella italiana) è in fin dei conti una storia di famiglie alleate (familiae), riunite in clan (gentes), che concepiscono la cosa pubblica (res publica) come un personale bottino da spartirsi, a seconda dei rapporti di potere (misurati in termini di clientele e numero di amici). Le cariche istituzionali, vengono attribuite con accordi pre-elettorali e formalizzate con elezioni truffa dominata del voto di scambio. In epoca repubblicana, l’amministrazione pubblica è piagata da una corruzione endemica per ripagare i “costi della politica”. Le prospettive di carriera, racchiuse nel cosiddetto “cursus honorum”, sono appannaggio esclusivo di rampolli ultra-raccomandati. Gli stessi rapporti sociali e politici sono strutturati in funzione clientelare (patronus e clientes) che domina ogni aspetto della società e della stessa diplomazia internazionale.
    Da questo punto di vista, gli italiani sono davvero gli eredi diretti della civiltà latina.
    Del resto, la peculiarità italica diventa subito evidente agli occhi degli osservatori stranieri, che non mancano di sottolineare l’anomalia, alla quale hanno pure dato un nome di successo: familismo amorale (Edward C. Banfield. “Le basi morali di una società arretrata”. Il Mulino. BO 1978).
    Se le cause sono identificabili, molto più difficile è studiare una ‘cura’…

    • interessantissimo studio storico-sociologico! Sembra che dell’antica Roma abbiamo mantenuto solo il peggio 😦

      Mi ero già interessata di familismo amorale, mi era stato segnalato l’argomento in occasione della vicenda Sarah Scazzi (la possibile copertura della famiglia all’omicidio, la società di certe zone arretrate del sud…). E’ sempre un piacere leggerti nei tuoi momenti “storico-mode on” 😉

      • E’ sempre un piacere per me leggere i tuoi commenti e non posso che essere gratificato dall’estrema considerazione con la quale ogni volta mi onori.. ma io resto solo un modesto autodidatta..:)

        Sul “familismo amorale”, Banfield resta il testo fondamentale.
        Tuttavia un’ottima lettura di contorno può essere:

        La tradizione civica nelle regioni italiane
        di Robert Putnam
        Mondadori, 1997

        Di scorrevole lettura, ha un prezzo assai ragionevole e dovrebbe essere facilmente reperibile in libreria.

        • Midhriel Says:

          Se le radici del malcostume e della disonestà sono così profonde, temo che ci siano poche speranze di cambiamento per il futuro.
          In mezzo ci siamo noi, a cui hanno insegnato che valori e principi sono importanti e che proprio non riusciamo a farci furbi (o furbetti).

  7. La “furbizia” è l’arte prediletta dai deboli, dai mediocri e dai meschini, che con l’inganno ottengono ciò che è precluso loro dall’assenza di talento e di coraggio.
    Universalmente disprezzata, in Italia è oggetto di vanto nazionale.
    Quando manca un ethos condiviso, la “furbizia” diventa l’atteggiamento prevalente, la forma mentis preponderante che indirizza il comportamento del singolo, e che in assenza di contropartite (come il pubblico biasimo), e nella certezza dell’impunità, diventa tratto distintivo di un popolo, inteso però come plebe raggrumata attorno alla sportula del patronus potenziale.
    La “furbizia” manca di una serie di requisiti fondamentali: empatia; rispetto; onore. Per sua stessa natura, nella violazione implicita delle fiducia altrui (Fides) e nel mancato rispetto dei patti (Foedus), presuppone sempre una forma di tradimento con ricorso alla frode (Fraus).

    La virtù romana per eccellenza era la fides. Tale nozione (che definisce originariamente il leale e corretto comportamento) sembra aver rappresentato, almeno per il Romano dell’età arcaica, il presupposto teorico essenziale di ogni tipo di rapporto in pubblico non meno che in privato.”
    Giovanni Brizzi
    Gli eserciti nel mondo classico
    Il Mulino; Bologna 2002.

    Va da sé che gli antichi ritenevano la fides (insieme alla sacralizzazione dei foedera) vincolante unicamente tra il “gruppo dei pari” rigidamente codificato per affinità, censo e dignità di casta.
    Quanto più una realtà sociale è atomizzata in gruppi e sottogruppi di natura autarchica, tanto più si ricorrerà alla “furbizia” che presuppone dissimulazione, ipocrisia, e diffidenza reciproca, ed è il tratto distintivo di una serie di scambi minimi, meramente utilitaristici.
    Fondamentale al trionfo dei “furbi” è la compressione ed il soffocamento di ogni forma di conflitto sociale. Questo perché il furbetto è intrinsecamente un vigliacco terrorizzato dal confronto diretto, dallo scontro alla pari, dalla libera competizione dei talenti che in cuor suo detesta ed invidia (e comprime col ricorso alle raccomandazioni di massa). Ricerca l’omogeneità nel conformismo; la sicurezza nella “tradizione”, intesa come consuetudini di abitudini consolidate; nel piccolo abuso sistematico una “necessità” esistenziale; nel “prete” l’assoluzione assicurata sempre e comunque.
    Per il ‘furbetto’, il suo è il migliore dei mondi possibili che non ammette termini di paragone, altrimenti il suo piccolo castello di stratagemmi e grettezze familistiche rischierebbe di franare. Tutto il resto è “scandalo”, repressione è la cura.
    Ebbene, scandalizziamoli questi furbetti! Sarebbe ora di dare l’assalto alla cittadella fortificata.

  8. Anonimo Says:

    NON FERMATEVI ALLE APPARENZE … ANDATE OLTRE…… NON NASCONDETEVI DIETRO un….. ” GRAZIE..E’ FIGLIO DI….”…… NON E’ SEMPRE COSI’…. NON E’ QUESTO IL CASO … FIDATEVI MERITA…… HA LE PALLEEEEEEEEEEE… FIDATEVI E’ COSI’…

  9. avicenna Says:

    Luigi Frati, cattedra di patologia generale e direzione del day-hospital oncologico, questa è l’epitome di una un uomo e della sua carriera, degna di uno Svetonio. O, meglio, di un Plauto. Per il profano, come dire,mutatis mutandis, un cattedratico di fisica teorica o di analisi matematica posto alla direzione tecnica di una società di engineering. Povera Italia, che nonostante i …Fratres riesce a formare validi giovani che si fanno e le fanno onore. All’estero.

    • E non tralascerei nel Convivium allargato alla greppia accademica le uxores… le sorores… e, soprattutto, i filii familias..!

      • avicenna Says:

        Manca solo che questo moderno Caligola maremmano dello Studium Urbis propizi l’assegnazione di una cattedra al suo cavallo, o meglio al suo asino personale, e la fama del terzo dei Giulio-Claudii, col suo Incitatus, sarà definitivamente oscurata.

        • Temo che ormai i ‘posteri’ abbiano superato di gran lunga la fama dei classici…
          Nessun Svetonio, e nemmeno i pettegoli compilatori della Historia Augusta, potrebbero mai competere con la extra-ordinarietà di simili campioni, capaci di prosciugare persino lo stilo di un Marziale qualora potesse ritornare in vita.

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