Chi l’ha visto?
MACELLERIA ITALIANA
TAGLIATA ARGENTINA
“Stavamo tutto il giorno sdraiate per terra, una accanto all’altra, incappucciate e bendate. Mani ammanettate e piedi legati. Non potevamo parlare né muoverci. Se lo facevamo ci prendevano a calci. (…) Se ce la facevamo addosso ci picchiavano. Se chiedevamo la bacinella non la portavano. E se la portavano ci costringevano ad esibirci. Intorno solo lamenti, sempre sotto una musica assordante.
(…) per tutta la notte, giocarono con me dicendo che la mattina dopo mi avrebbero ucciso. Anche quella notte la guardia mi fece sfilare per un’ora davanti a tutti i militari, nuda e bendata. Mi toccavano, facevano di me quel che volevano. E se mi lamentavo minacciavano ritorsioni sulla mia famiglia.”
Buenos Aires 1976, Centro di detenzione clandestina dell’ESMA. Testimonianza di Hebe Lorenzo
Aula bunker di Rebibbia, gennaio 2007, processo contro gli ufficiali del Grupo de Tarea 3.3.2 per crimini contro l’umanità (Argentina 1976-1983).
“Da dove dovrei cominciare? Devo raccontare le manganellate. Oppure gli schiaffi, i calci. L’umiliazione di spogliarsi davanti a uomini e donne che ridono di te. Che ti guardano, che scrutano ogni centimetro del tuo corpo, che ti penetrano con i loro occhi. Tu sei nuda, e ti senti così fragile. Sola. E tutto intorno a te è sporco, corrotto, nero. Appoggi i piedi sul pavimento e ti fa schifo, ti spingono da una parte all’altra e ti fa schifo, ti ticono alza braccia, e girati, e allarga le gambe, e accucciati e ti fa schifo.
(…) Ho visto un ragazzo per terra in un corridoio. Privo di conoscenza. Era a faccia in giù, in una posizione così innaturale. E poi ho scorto il sangue che gli usciva dalle orecchie. Fuori dalla cella ne ho visto pestare uno di brutto. Pugni, calci, bastonate. Sembrava un fantoccio, ad un certo punto ha smesso persino di provare a ripararsi dai colpi con le braccia. Uno dei poliziotti ha ‘sentitò che qualcuno li stava osservando. Ha alzato lo sguardo, ha incrociato il mio. E’ entrato in cella come una furia, mi ha preso per il collo, mi ha sbattutto con la faccia al muro.”
(…) Un funzionario di polizia “mi ha preso il passaporto, lo ha sfogliato. Mi ha mostrato le fotografie dei bambini. ‘Li vuoi davvero rivedere? Allora firma questo verbale. Altrimenti gli puoi dire addio’.”
Genova 2001, Caserma di Bolzaneto. Testimonianza di Valérie Vie.
Brano estratto da “Bolzaneto. La mattanza della democrazia” di Massimo Calandri (Edizioni DeriveApprodi)
Riportare tutte le violenze, gli abusi, le continue violazioni ai danni degli internati nelle caserme di Bolzaneto e Bixio, sarebbe impresa troppo ardua per uno spazio così ristretto. Senza tacere le vessazioni e le minacce psicologiche, tramite i percorsi di umiliazione e degradazione sessuale che ogni sadico e aguzzino professionista ben conosce e pratica per annichilire ogni reattività nella sua vittima:
– A.F. viene schiacciata contro un muro. Le gridano: “Troia, devi fare pompini a tutti”.
– Ester Percivati, una giovane turca, ricorda che le guardie la chiamavano puttana mentre veniva condotta in bagno, dove un agente donna le spinse la testa in giù nella tazza e un maschio la derideva:”Bel culo! Vuoi che ti ci infili un manganello?” Diverse donne raccontarono di minacce di stupro, sia anale che vaginale.
È difficile condensare in poche righe la lunga catena di orrori che, con la loro cruda brutalità, hanno dimostrato come in Italia possano esistere ed essere tollerate delle enclave di non-diritto e, con complice omertà, istituzionalizzate tramite prassi perversa come nelle più truci dittature sudamericane.
Non così hanno pensato i magistrati chiamati giudicare le violenze di Bolzaneto, che hanno sostanzialmente contestato il reato di “abuso di autorità” a carico degli imputati, comminando condanne irrisorie che grazie agli effetti della prescrizione e dell’indulto non genereranno conseguenze a carico dei pochissimi condannati.
Fratture multiple della scatola toracica. Polmoni perforati da schegge di costole rotte. Trauma cerebrale. Frattura della scatola cranica. Rottura scomposta degli arti. Frantumazione della mandibola.
Non è “Saw”, non è “Hostel”. Sono solo alcuni dei referti medici stilati per i ragazzi rastrellati durante l’irruzione alla scuola Diaz, dopo il trattamento speciale riservato loro dai poliziotti impegnati nel blitz: “autentici galantuomini e servitori delle istituzioni” (P.F. Casini) che “meritano la gratitudine di tutti” (Alfredo Mantovano).
Dei 93 ospiti della “Diaz-Pertini” arrestati, 82 sono feriti, 63 ricoverati ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 subiscono fratture ossee.
Per farsi una pallida idea di che cosa è stato il raid in questione, leggete questo piccolo estratto:
Due tra gli ultimi ad essere catturati furono un paio di studenti tedeschi, Lena Zuhlke, 24 anni, e il suo compagno Niels Martensen. Si erano nascosti in un’armadio per le pulizie all’ultimo piano. Sentirono la polizia avvicinarsi, battendo i manganelli contro le pareti delle scale. La porta dell’armadio si aprì, Martensen fu trascinato fuori e picchiato da una dozzina di agenti disposti a semicerchio intorno a lui. Zuhlke corse in corridoio e si nascose in gabinetto. Alcuni agenti la videro, la inseguirono e la trascinarono fuori per i capelli.
Nel corridoio la puntarono come cani con una lepre. Fu colpita alla testa e presa a calci da tutti i lati sul pavimento, dove sentì la sua gabbia toracica collassare. Fu trasportata fino al muro dove un poliziotto le puntò il ginocchio all’inguine, mentre altri continuavano ad assalirla con i manganelli. Lei scivolò lungo il muro e continuarono a colpirla a terra: “Sembrava che si stessero divertendo, quando ho gridato di dolore, la cosa sembrò dare loro ancora più piacere”. Alcuni agenti di polizia trovarono un estintore e spruzzarono schiuma sulle ferite di Martensen. La sua compagna fu sollevata per i capelli e gettata giù per le scale a testa sotto. Infine trascinarono Zuhlke nella sala al piano terra, dove avevano radunato decine di prigionieri provenienti da tutto l’edificio in un caos di sangue e di escrementi. La gettarono sopra ad altre due persone.
“Non vedevo niente, soltanto macchie nere. Credo di essere per un attimo svenuta. Ricordo che sono stata gettata su altre due persone, non si sono mossi e io gli ho chiesto se erano vivi. Non hanno risposto, sono stata sdraiata sopra di loro e non riuscivo a muovermi e mi sono accorta che avevo sangue sulla faccia, il braccio destro era inclinato e non riuscivo a muoverlo mentre il sinistro si muoveva ma non ero più in grado di controllarlo. Avevo tantissima paura e pensavo che sicuramente mi avrebbero ammazzata”
(…) Passava un gruppo di agenti, ed ognuno di loro sollevò il fazzoletto che gli nascondeva il volto, e si chinò a sputarle in faccia.”
Genova, 21 Luglio 2001. Blitz della Polizia alla scuola Diaz. (www.rinopruiti.it)
A proposito dei fatti della Diaz e di Bolzaneto, l’ex Ministro dell’Interno Giuliano Amato commentò che si trattava di “una gran brutta storia… bruttissima storia”, denunciando una “colpevole indifferenza”. Infatti quasi tutti i funzionari di polizia coinvolti nelle violenze di Genova sono stati promossi a massimi livelli dirigenziali. Molte delle promozioni sono avvenute durante il governo di centrosinistra del quale Amato era per l’appunto ministro.
Il tribunale di Genova, per il massacro alla Diaz, ha assolto 13 dei 29 imputati. Come nella precedente sentenza riguardo ai fatti di Bolzaneto, tutti i reati andranno in prescrizione nel corso del 2009 e le condanne non avranno effetto a causa dell’indulto. Quindi eventuali ricorsi in Appello all’atto pratico sono inutili.
Assolti i vertici della Polizia; dobbiamo dedurne che siano capitati alla Diaz così per caso, ritrovandosi coinvolti in un blitz senza pianificazione, improvvisato sul momento.
Assolti i funzionari che firmarono i farsi verbali d’arresto. Mica possono leggere tutto quello che sottoscrivono.
Assolti anche gli agenti Massimo Nucera e Maurizio Panzieri che simularono la coltellata ricevuta dal Nucera, assalito da feroci no-global nell’eroico espletamento delle sue funzioni. Si scoprì poi che d’accordo con Panzieri, il celerino Lucera si lacerò la giubba d’ordinanza per giustificare la durezza degli interventi. Per i giudici questo non costituisce un problema: per loro non c’è simulazione di reato, né falsa testimonianza, né alterazione delle prove. Infatti Nucera e Panzieri sono stati accusati di “calunnia”, e siccome il calunniato è sempre restato anonimo, era giusto che i due eroi venissero assolti con formula piena. Logico e lineare no?!?
In pratica, gli unici condannati sono stati Vincenzo Canterini (intanto promosso dirigente all’Interpol), il suo vice Michelangelo Fournier (che pure è stato l’unico a collaborare alle indagini) ed una manciata dei loro picchiatori dell’VII gruppo Celere di Roma.
Per l’episodio delle molotov il tribunale ha condannato Pietro Troiani (3 anni) e Michele Burgio (2 anni e mezzo) per la calunnia e per il porto illegale di armi da guerra. Pena interamente condonata. In compenso resta oscuro il misterioso ufficiale della DIGOS che mise materialmente in mano le molotov a Troiani e Burgio.
A tutti i condannati sono state concesse le attenuanti generiche e la non menzione della pena.
A “pagare” saremo innanzitutto noi cittadini, in quanto il Ministero si assumerà i costi dei risarcimenti a carico degli agenti condannati.
“TOC-TOC?!? C’è qualcuno in casa?”
Nella loro sconcertante condiscendenza, le sentenze di Genova sembrano riconoscere l’esistenza di una sorta di “diritto di polizia”, funzionale all’instaurazione discrezionale di uno stato d’eccezione contraddistinto dalla sostanziale impunità dei suoi fautori.
È alquanto inquietante che vengano mantenuti in servizio attivo e permanente, con mansioni di “ordine pubblico” una banda di pregiudicati e di psicopatici in divisa, che pensano di detenere un primordiale ius vitae necisque in una sorta di fratellanza guerriera che li pone al di sopra delle leggi e al di fuori del diritto.
Il quotidiano tedesco Tagesspiegel, nel commentare la sentenza genovese, è stato esplicito: “una tale brutalità può essere esercitata solo da una polizia aizzata dai suoi dirigenti. Picchiare in quel modo può osarlo solo chi si sente sicuro di avere le spalle coperte dalla politica. Le manipolazioni delle prove sono concepibili solo se chi le compie è convinto che in seguito la giustizia non gli creerà problemi. E la cosa in effetti ha funzionato“.
In Italia, se si esclude il giubilo entusiasta di Casini e della sua UDC, nell’opposizione parlamentare è giunto solo un sommesso bofonchio di Giulietti per conto dell’IdV che “auspica” una commissione parlamentare d’inchiesta (sì, magari a presidenza Gasparri-Mantovano) insieme ad una snocciolata di timide dichiarazioni sparse da parte di singoli esponenti del PD (quasi tutti ex “democratici di sinistra”). L’irruento Di Pietro, ex poliziotto ed ex PM, ha giustamente evocato lo spettro di Videla… peccato si riferisse a Berlusconi ed alla mancata elezione di Orlando alla commissione di Vigilanza RAI. In compenso si fanno imporre dal governo il margherito Villari che, in attesa di consultare anche il papa e i capitani reggenti della Repubblica di S.Marino, si guarda bene dal dare le dimissioni. Attendiamo con pazienza, che il tenero Walter finisca di gingillarsi con la vittoria di Obama, rammentandosi di vivere in Italia e di essere (suo e nostro malgrado) a capo della maggiore forza di opposizione. Almeno per ora. Perciò, imponga a Villari dimissioni o espulsione, finisca di consultare le 18 e passa correnti che compongono il suo partito e ci onori anche lui di una dichiarazione ufficiale sulla questione.
18 novembre 2008 a 02:03
ULTIMI AGGIORNAMENTI :
Visto il tenore delle risposte, forse certi interrogativi era meglio non porseli…
Antonio Di Pietro ha rettificato le posizioni della IdV, precisando la sua assoluta contrarietà ad una Commissione di Inchiesta; però si dichiara favorevole ad una Commissione di Indagine (?)
Dopo la lettera del capo della Polizia, Antonio Manganelli, alla direzione de “La Repubblica” (cliccate QUI), sembra essersi svegliato anche il sempre più evanescente Walter Veltroni con una moderatissima dichiarazione che alla piaggeria elettorale (la lettera di Manganelli è “un gesto di coraggio e d’orgogliosa rivendicazione del lavoro compiuto da lui e da decine di migliaia di poliziotti in Italia sottopagati e che in questi giorni subiscono nuovi e pesanti tagli alle risorse destinate alla sicurezza”), alterna la timida “voglia di superare i gravissimi fatti di Genova attraverso l’accertamento puntuale della verità”. Naturalmente nel pieno rispetto della sentenza che, nonostante tutto, “lascia ampi spazi d’incertezza e d’ombra”.
I vertici PD sarebbero propensi alla commissione di inchiesta parlamentare ma, data l’indisponibilità della maggioranza, non insisterà nella richiesta. Quindi si accontenteranno di un’audizione di Manganelli alle commissioni Affari costituzionali riunite della Camera e del Senato. Intanto leggetevi la lettera di Manganelli. Non essendo di certo il destinatario della missiva, evito di commentarla. Fa piacere però sapere che il capo della Polizia ha deciso di fornirci delle “spiegazioni su quel che realmente accadde a Genova”. Ha avuto 7 anni per meditare.
Faccio sommessamente notare che un organismo sano dovrebbe saper produrre i naturali anticorpi democratici, senza traumi e con serenità. Non giova alla limpidità dell’istituzione, troppo spesso chiusa in un autismo referenziale, la reticenza omertosa di un travisato spirito di corpo ogni volta che uno dei suoi appartenenti finisca sotto inchiesta per comportamenti delittuosi.
18 novembre 2008 a 10:27
finirà come è sempre finita.
Che la storia non la fanno i tribunali…abbiamo, chi l’ha fatto, sbagliato a crederci. Ancora una volta!
25 novembre 2008 a 16:01
Non credo si fara nulla, il reato molto probabilmente cadrà in prescrizione prima del prossimo grado. E nel frattempo alcuni degli imputati sono stati promossi…
In italia si usa così se qualcuno sbaglia lo promuoviamo, come accadde per il leggendario capitano Ultimo tanto osannato dalle fiction. Altrove lo avrebbero degradato per non aver sorvegliato il covo di Riina.
26 novembre 2008 a 02:42
Ma a Roma lo cooptiamo insieme con l’indimenticato generale Mario Mori nell’Ufficio Speciale per la Sicurezza: l’ennesima commissione voluta dal vulcanico neo-sindaco Alemanno. Per questo si sottraggono le competenze alla Prefettura (che svolge il lavoro gratis) e si caccia via il prefetto Mosca, che si oppone sottolineando l’anomalia istituzionale. Gianni è sempre a corto di quattrini (il buco lasciato da Veltroni) ma, evidentemente, per piazzare amici e compari i soldi sembrano non mancare mai.
26 novembre 2008 a 09:04
Ho una pessima opinione sia di Veltroni sia di Alemanno. Veltroni non ha mandato in rovina il comune di Roma e non sa nemmeno cosa significhi la parola opposizione.
Alemanno non so nemmeno se avrebbe vinto se le 5 reti del cavaliere non fossero andati a indagare su ogni moscerino che si muoveva a Roma, per poi mettere il microfono sotto il naso di Alemanno il tempo necessario per fargli dire la parola magica “sicurezza”.
28 novembre 2008 a 01:27
La cosa più desolante è stata l’incapacità di affrontare in modo vincente perfino delle perfette nullità come Alemanno. Non saper reagire nemmeno agli spot più beceri e oramai arcinoti: e prima il “buco di Prodi”, ora “il buco di Veltroni”, domani “il buco di Marrazzo” e sotto a chi tocca. E loro lì a morgiare in silenzio, anche dinanzi a spudorate stronzate demenziali come i 9,6 miliardi di euro di debito lasciati da Veltroni al Comune di Roma. Con simili castronerie ci tappezzano i muri di una città. Altro che banca rotta, altro che fallimento Alitalia. E Walterino che fa?!? Si fa mettere i piedi in testa pure dall’ultimo dei peones come un Riccardo Villari. Ma non doveva fare il missionario in Africa? Prodi è già partito.