
Ne è passata di acqua (lurida) sotto i ponti da quando, nel lontano 1928, Edward Bernays elaborò per la prima volta in forma ‘scientifica’ le tecniche della comunicazione politica, tramite l’unione di psicologia (era nipote di Freud) e marketing pubblicitario, e le condensò nella sua opera più famosa dal titolo inconfondibile…
Come ben ricorderanno i nostri Lettori più attenti, dell’argomento avevamo già parlato in dettaglio QUI. Tuttavia, date le circostanze, repetita iuvant.
Per Bernays, il prodotto politico è indistinguibile da quello commerciale: in entrambe i casi si tratta di promuovere una merce destinata al consumo di massa, veicolando il messaggio attraverso quella che lui chiama “ingegneria del consenso”. Vale a dire: la strutturazione di campagne mirate alla formazione delle coscienze, con un miscuglio ben dosato di bugie strumentali, distorsioni, e connessioni emozionali legate non alla natura del prodotto in promozione, bensì alle aspettative ed alle suggestioni che questo è in grado di evocare in un pubblico (disattento) di potenziali consumatori.
In altre parole, per Bernays le opinioni vanno costruite attorno ad una “verità” prestabilita da una precisa cabina di regia che orienta il consenso. E che in tal modo agisce sull’immaginario di quella che viene definita “mente collettiva”. Il modo migliore per pervenire al risultato desiderato consiste nella manipolazione costante dei fatti, finalizzata alla determinazione controllata delle opinioni; ovverosia: una serie di stereotipi strutturati su scala di massa e volti alla massima semplificazione di concetti minimi, per la fruizione allargata degli stessi in forma eterodiretta.
Il ricorso allo “stereotipo” peraltro non è originale, perché Bernays prende in prestito il concetto da Walter Lippmann il quale, per quanto fosse elitaria la sua visione da aristocratico illuminato, non approverà mai la collateralità dell’intrigante austriaco con quello che qualche decennio dopo un sociologo come Charles Wright Mills, nel suo “Elite del potere”, chiamerà “industrial-military complex”, facendo propria la definizione del presidente Eisenhower.
Lippman considerava lo ‘stereotipo’ come un’immagine mentale, che nel suo insieme non permetteva di comprendere la realtà ma offriva una visione parziale dei fatti, visti in una prospettiva distorta dall’interpretazione spesso fuorviante e affidata a quelle che lui definiva “autorità cognitive”.
Bernays ne piega invece l’utilizzo ad uso e consumo di quell’apparato industriale (e militare) che agisce con precise finalità politiche, indirizzando l’orientamento di massa con modalità di persuasione appositamente studiate.
Tra i suoi estimatori vi fu certamente Joseph Goebbels, il ministro della propaganda del Terzo Reich, che più di ogni altro ne metterà a frutto le tecniche con un certo successo. E sempre a Goebbels vengono attribuiti i ‘famosi’ “11 principi della propaganda”. Almeno così come ebbe a riassumerli il prof. Leonard William Doob, dapprima in “Propaganda and Public Opinion” (1949) e quindi in “Goebbels’ Principles of Propaganda” (1950)…
1. Principio della semplificazione e del nemico unico.
E’ necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali.
2. Principio del metodo del contagio.
Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo.
3. Principio della trasposizione.
Caricare sull’avversario i propri errori e difetti, rispondendo all’attacco con l’attacco. Se non puoi negare le cattive notizie, inventane di nuove per distrarre.
4. Principio dell’esagerazione e del travisamento.
Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave.
5. Principio della volgarizzazione.
Tutta la propaganda deve essere popolare, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. La capacità ricettiva delle masse è limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria.
6. Principio di orchestrazione.
La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto. Senza dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.
7. Principio del continuo rinnovamento.
Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l’avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse.
8. Principio della verosimiglianza.
Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie.
9. Principio del silenziamento.
Passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario.
10. Principio della trasfusione.
Come regola generale, la propaganda opera sempre a partire da un substrato precedente, si tratti di una mitologia nazionale o un complesso di odi e pregiudizi tradizionali.
Si tratta di diffondere argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti primitivi.
11. Principio dell’unanimità.
Portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità.
Negli Anni ’50 i medesimi “principi” verranno poi rielaborati in dettaglio da Jean-Marie Domenach, intellettuale francese e cattolico progressista, che ne espliciterà la sostanza in “La propaganda politica”.
Oggi che propaganda e politica si mischiano insieme, fino a confondersi nell’indistinguibilità del messaggio, dove a prevalere non è il contenuto, ma la fruizione promozionale dello stesso, il modello prevalente è la televendita. E ciò avviene tramite campagne massive affidate a consulenti di immagine ed agenzie pubblicitarie, in un tritato indistinto di concetti e di idee, frullati per il rapido consumo su lancio pubblicitario degli stessi. Noterete che, in ordine sparso, gli 11 punti di Doob (o Goebbels, o Bernays, o Domenach che dir si voglia) sono perfettamente applicabili alle principali formazioni politiche del momento, che non mutuano un ideale nella comunicazione di un pensiero, bensì piazzano un prodotto i cui termini di vendita si misurano in termini di ritorno elettorale, attraverso la spettacolarizzazione di un messaggio mercificato. Ne consegue che i contenuti sono intercambiabili, in quanto funzionali ad intercettare l’attenzione e le aspettative più ampie possibili dell’elettore (consumatore) medio. L’offerta (politica) si adegua alla domanda. E per questo non può che essere generalista e volta alla massima diffusione, visto che risponde ad esigenze commerciali, inseguendo i sensazionalismi mediatici del momento. Il consenso è equivalente al profitto.
Sarà per questo che in una politica ridotta oramai a spettacolo, scandito da continui intervalli pubblicitari, l’iniziativa è rimessa a bolsi pagliacci che recitano la parte. Non per niente, il loro luogo d’elezione non è più la “piazza”, ma il pubblico selezionato di una platea al chiuso di un teatro, dove meglio possono imbastire i loro spettacolini ed al contempo piazzare il pentolame in svendita promozionale ai grandi saldi elettorali.
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This entry was posted on 17 ottobre 2015 at 22:24 and is filed under Kulturkampf with tags Charles Wright Mills, Comunicazione, Consenso, Cultura, Dwight D. Eisenhower, Edward Bernays, Informazione, Italia, Jean-Marie Domenach, Joseph Paul Goebbels, Leonard W. Doob, Liberthalia, Manipolazione, Marketing, Media, Opinione pubblica, Pensiero, Politica, Propaganda, Società, Sociologia, Stereotipi, USA, Walter Lippmann. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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17 ottobre 2015 a 23:13
“Metteteci alla prova!”
18 ottobre 2015 a 16:03
Vista la scelta, direi che sono utili come un preservativo bucato, ma rendicontato con scontrino.
18 ottobre 2015 a 22:22
“Non per niente, il loro luogo d’elezione non è più la “piazza”, ma il pubblico selezionato di una platea al chiuso di un teatro, dove meglio possono imbastire i loro spettacolini insieme e piazzare il pentolame in svendita promozionale ai grandi saldi elettorali.”,
infatti è proprio così, in Italia in modo particolare non c’è più la “piazza”, e non c’è Landini o Ciwati che possano smuoverne l’inerzia. Difficile dire se sia una situazione più pericolosa, el senso che nasconde conflitti latenti che possono esplodere da un momento all’altro in modo violento, o se sia proprio definitiva apatia da maggioranza silenziosa
19 ottobre 2015 a 00:29
Siamo impastati in una grande ricotta oramai in avanzata putrefazione…
In quanto allo stato delle lotte in Italia, non posso che associarmi alle parole dei Wu Ming:
«Il più grave problema di questo Paese, storicamente, è l’ignavia della piccola borghesia, che è la più becera d’Europa e oscilla perennemente tra l’indifferenza a tutto e la disponibilità a qualunque avventura autoritaria. Avventura “vicaria”, naturalmente, vissuta per interposto Duce che sbraita. Giusto un brivido ogni tanto, per interrompere il tran tran, godersi l’endorfina e tornare al proprio posto.
Finché non sente il dolore, l’italico cetomediume rimane apatico. Quando inizia a sentirlo, non sa dire cosa gli sia successo, blatera incoerentemente, dà la colpa ai primi falsi nemici che gli vengono agitati davanti (a scelta: i migranti, gli zingari, i comunisti, quelli che scioperano, gli ebrei…) e cerca un Uomo Forte che li combatta.
In Italia come in poche altre nazioni, non c’è nulla di più facile che spingere l’impoverito a odiare il povero.
Ora la “luna di miele” è agli sgoccioli, l’effetto degli analgesici sta cessando, e anche la piccola borghesia torna a incazzarsi, ma a casaccio. La vedete? Si guarda di nuovo intorno in cerca dell’ennesimo duce. Porterà in palmo di mano chiunque le propini un buon diversivo, ricorra a retoriche nazionaliste da quattro soldi e mantenga l’attenzione su falsi eventi, nel senso di “false lotte”.»