Archive for the Ossessioni Securitarie Category

SENZA VERGOGNA

Posted in Ossessioni Securitarie, Stupor Mundi with tags , , , , , , , , on 29 gennaio 2023 by Sendivogius

Sbirciare i disegnini di legge, che i sottopanza del potere esecutivo presentano all’ombra di un Parlamento cloroformizzato e supino nel suo ruolo essenzialmente protocollare, rende la misura della sua mediocrità nel riflesso dello zeitgeist prevalente, che incista la maggioranza di governo in un’epoca miserabile. Ne restituiscono la ‘sensibilità’ sociale, i tic nervosi, e le pulsioni reazionarie che aleggiano al suo interno, nelle pruderie di un’Italietta clericale, col suo affettato moralismo e somma ipocrisia da Anni ’50 al tempo dei “patrioti”.
Tra le annose emergenze che funestano la Nazione, in piena crisi socio-economica e sull’orlo della terza guerra mondiale, vi è infatti la terribile piaga degli “atti osceni in luogo pubblico”, tanto da richiedere il pronto intervento del solerte legislatore di turno.
Va da sé che nel paese (scusate! “Nazione”), dove l’evasione fiscale viene incentivata e condonata, i capimafia presunti “latitanti” circolano indisturbati per 30 anni nel loro villaggio natale sotto gli occhi di tutti, mentre corrotti e corruttori vengono ossequiati al governo con biglietti di uscita gratuita dal carcere, il vero problema per la “moralità e la tutela pubblica” siano tutti quegli “atti ed oggetti che, secondo il comune sentimento, offendono il pudore, inteso quale pudore sessuale”.
 Tra i promotori dell’indispensabile proposta di legge, spiccano le firme del cognato della Meloni, tal Francesco Lollobrigida promosso per meriti di famiglia al Ministero dell’Agricoltura, il presidente del consiglio medesimo (Giorgia Meloni) e soprattutto il molto onorevole Edmondo Cirielli. Per chi non si ricordasse di lui, l’on. Cirielli ebbe il suo momento di gloria (si fa per dire) nel lontano 2005, quando la sua proposta di riforma della prescrizione in materia di attenuanti generiche, di recidiva, per i reati di corruzione, bancarotta fraudolenta, usura e associazione mafiosa, fu convertita in legge dello Stato. Meglio conosciuta come legge salva-ladri (e non solo), venne subito sconfessata dal suo primo firmatario e principale relatore, divenendo un unicum semantico di oscenità (quella sì!) giuridica, nota col nome di “Legge ex-Cirielli” e regina delle leggi ad personam, su misura di Pornocrate.
Preso da ben altri scandali, il nostro eroe si dedica al pudore, nella variante bigotta e pretesca da guardone di provincia. Va da sé che mentre per i delinquenti abituali, meglio se invischiati in reati contro la pubblica amministrazione, le pene non prevedono carcerazione, nell’impunità garantita fino a condanne del tutto simboliche a 5 anni di (non) reclusione, per lo sporcaccione esibizionista la gravità del reato contro la collettività si richiedono tempi di imprigionamento non inferiori ai 6 anni di carcere. Per questo governo, a quanto pare le emergenze prioritarie sono i rave party ed i nudisti a vario titolo, dove la “repressione penale” è l’unica che possa per l’appunto “preservare efficacemente la morale e la sicurezza pubblica”. Parlano proprio così, col linguaggio sbirresco da questurino in orbace della Buoncostume.

“A tale riguardo, l’orientamento consolidato della giurisprudenza penale ha stabilito che rientra nel concetto di atti osceni qualsivoglia manifestazione di concupiscenza, di sensualità, di inverecondia sessuale che offenda così intensamente il sentimento della moralità sessuale e il pudore da destare, in chi vi assiste, disgusto e repulsione.”

Sulla repulsione ed il disgusto incontenibile, che suscitano invece certe pompose facce di merda che fanno orripilante ostensione di sé al governo ed in parlamento è opportuno sorvolare, non rientrando nella fattispecie di reato per inclassificabilità dello stesso.
Interessanti sono invece le imprescindibili ragioni, all’origine della norma non più rinviabile:

“Negli ultimi anni si stanno verificando con sempre maggiore frequenza comportamenti degradanti sul territorio nazionale che ledono in maniera allarmante la moralità pubblica e la sicurezza dei cittadini.
Sovente, purtroppo, tali azioni si configurano come veri e propri atti osceni. Talora sono commesse da immigrati presenti a vario titolo sul territorio nazionale, incuranti della presenza – per le strade – di altre persone, tra cui anche minori.”

 Che a leggerla così, un allogeno che non abbia piena dimestichezza con la Nazione, potrebbe credere che ormai nelle città italiane si aggirino quotidianamente orde di negri indisturbati che fanno bella esposizione dei loro genitali al vento ad ogni angolo e crocicchio, copulando e masturbandosi in giro, con pubblico scandalo dinanzi a pudenda sicuramente meglio fornite degli oriundi.
Signora mia! Dove andremo mai a finire?

È infatti risaputo che:

“l’applicazione di una mera sanzione amministrativa non è certo un deterrente per l’allarme sociale connesso alle condotte di immigrati che, non avvezzi ai costumi, alle consuetudini e alle norme etiche e giuridiche che regolano la convivenza civile nella nostra società e sradicati dagli ambienti di provenienza, compiono talora azioni oscene o degradanti nelle nostre città. Troppe volte, infatti, apprendiamo dalle cronache locali, o vi assistiamo di persona, di immigrati che si aggirano per le strade nudi, ovvero si denudano, non curanti della presenza di altre persone, spesso anche di minori.
[…] Pertanto, al fine di contrastare in maniera più adeguata il degrado morale che affligge la nostra collettività e di rafforzare la sicurezza dei cittadini che rappresentiamo, sarebbe più efficace reprimere il fenomeno attraverso il ripristino di strumenti punitivi più incisivi rispetto a quelli previsti dalla norma vigente, frutto della depenalizzazione.”

Le grandi emergenze sociali (o per meglio dire, le paranoie patologiche) che ossessionano l’immaginario destronzo al potere, nel degrado mentale più che morale: il sesso, i negri, il cazzo, nel ritrovato moralismo puritano delle cene eleganti.

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DEI DELITTI E DELLE PENE

Posted in Kulturkampf, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , on 2 ottobre 2021 by Sendivogius

Finalmente la Calabria è una regione sicura!
Va da sé che, in uno dei territori a più alta densità criminale d’Europa, il problema fosse Mimmo Lucano, colpevole recidivo di umanità per lesa bestialità; protagonista involontario di uno dei più surreali processi kafkiani mai visti prima, che hanno condotto il plurincensurato ad una condanna grottesca.

A Domenico Lucano, ed ai suoi “complici”, per quella che probabilmente deve essere la più grande organizzazione criminale mai vista prima in Calabria, la Procura di Locri ha attribuito un’abbondante scodellata di reati contro la Pubblica Amministrazione, la “pubblica fede” ed il Patrimonio dello Stato, tramite l’apposita costituzione di un’associazione per delinquere finalizzata a commettere un numero indeterminato di delitti”. Si tratta di un elenco necessariamente aperto nella sua indeterminazione, onde lasciare spazio a sempre nuovi reati, qualora alla Procura ne fosse scappato qualcuno nella sua sfilza infinita di accuse, da aggiungere alla quindicina di capi di imputazione (già vacillanti in sede cautelare): falso in atto pubblico e in certificato, falsità materiale commessa dal pubblico ufficiale, turbativa d’asta, truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche, peculato, associazione a delinquere, abuso d’ufficio (relativo all’affidamento diretto del servizio di raccolta differenziata ad alcune cooperative del luogo), favoreggiamento dell’immigrazione clandestina finalizzato ad attrarre un illecito profitto derivante dalla gestione dei progetti legati all’accoglienza dei migranti.
E l’inflessibile Tribunale di Locri di condanne gliene avrebbe rifilate almeno qualche altra dozzina, se non fosse stata limitata nella sua furia inquisitoria da un precedente giudicato della Corte di Cassazione, che sostanzialmente rigettava gran parte dell’impianto accusatorio in assenza di “gravità indiziaria”: traffico di rifiuti (!), concussione aggravata, favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, per falsità commesse mediante il rilascio di documenti d’identità a non aventi diritto. Soprattutto, in Cassazione veniva respinta la frode nell’assegnazione delle concessioni. Pare che alla Procura di Locri l’abbiano quasi presa come uno sgarbo personale, visto che sono state ignorate anche le obiezioni dello stesso giudice istruttore, che pure aveva rigettato gran parte dei capi di imputazione a carico di Lucano, ritenendoli tanto vaghi e generici, da essere inidonei a rappresentare una contestazione.
Pilastro dell’impianto accusatorio è una denuncia di tal Francesco Ruga, commerciante di Riace e curiosamente omonimo della ‘ndrina dei Ruga-Gallace che spadroneggia nella Locride. Il nostro eroe, diventato il teste fondamentale di accusa, era stato nel frattempo bollato come “inattendibile” dalla Cassazione che ne ha ravvisato le “contraddizioni plurime” nella sua deposizione, resa presso una quanto mai attenta Guardia di Finanza che aveva cominciato già da tempo ad ‘attenzionare’ il sindaco. Si tratta di una testimonianza che anche il magistrato per le indagini preliminari aveva trovato quanto mai tendenziosa e “viziata da forte astio personale” verso l’allora sindaco Lucano.
Evidentemente, contro il parere della Cassazione e del suo stesso GIP, la Procura di Locri ha deciso diversamente, reputando forse di dover dare un “esempio” eclatante attraverso punizioni esemplari. E chissà che non sia stata imboccata in tale esemplarità dalle aspettative di ‘qualcuno’ in più alta sede, che molto s’è dato da fare in tal senso durante il suo mandato…
Fatto sta, che Mimmo Lucano viene condannato alla pena abnorme di 13 anni e due mesi, il doppio rispetto alle richieste del Pubblico Ministero. Perché le pene vengono praticamente raddoppiate in giudizio a tutti i suoi collaboratori, imputati insieme a lui per l’incredibile associazione criminale volta all’accoglienza, attraverso un meccanismo giuridico come la somma delle pene edittali, nell’esclusione di tutte le attenuanti generiche; scelta che ha pochissimi precedenti nella giurisprudenza italiana, costituendo un caso più unico che raro, persino quando si tratta di delitti gravissimi contro la persona (omicidio, stupro, lesioni volontarie permanenti, tortura).

E certo la stessa severità non s’è vista, con chi i negri li prende a revolverate, come nella vicina Rosarno. Nel caso di reati contro la Pubblica Amministrazione, di solito il problema non si pone proprio…
 Per dire, Giuseppe Scopelliti, già presidente dimissionario della Regione Calabria, nonché ex sindaco di Reggio Calabria, per abuso d’ufficio e falso ideologico in atto pubblico, per gli illeciti ripetuti nella gestione e storno dei fondi comunali, insieme alle irregolarità di bilancio che hanno fatto collassare il Comune di Reggio Calabria sotto un voragine di 170 milioni di debito, è stato condannato nell’Aprile 2018 alla devastante pena di cinque anni e mezzo di reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici. Nel frattempo però il reato di abuso di ufficio viene prescritto e la pena scende a 4 anni e 7 mesi, mentre l’interdizione “perpetua” scende a 5 anni; visto che le pene fino a 4 anni non prevedono detenzione, il bravo Scopelliti può subito accedere alla semilibertà dopo sette mesi. In merito al danno erariale, il risarcimento per il buco di 170 milioni di euro è stato computato a 120.000 euro.
Invece a Domenico Lucano, il Reprobo di Riace ed alla sua gang, la Procura ha richiesto la confisca di beni pari a oltre 700 mila euro, insieme al versamento di altri 531mila euro a titolo risarcitorio. A sua volta, il Ministero dell’Interno, in qualità di parte civile, ha ottenuto a titolo di risarcimento altri 200.000 euro. Si noti che nella richiesta originaria il Viminale aveva richiesto 10 milioni di euro dei quali due milioni a titolo provvisionale. Cioè oltre dieci volte tanto la cifra contestata nel reato di peculato (800.000 euro).
Peculato assai curioso, visto che Lucano è povero in canna e lo stesso tribunale ha dovuto riconoscere (suo malgrado) che con la sua indefessa attività criminale Lucano non s’è arricchito e che (seppur male) i soldi li spendeva davvero per l’accoglienza, pasticciando con le rendicontazioni nell’erogazione dei fondi.
Quindi, non trovando i soldi (e cadendo di fatto l’arricchimento illecito), gli zelanti PM sono subito corsi a cambiare l’impianto accusatorio, basandolo interamente sul gravissimo “movente politico”, volto alla costruzione di un sistema clientelare ramificato per il proprio “tornaconto elettorale” nella costruzione di consenso politico. In pratica Lucano faceva tutto ‘sto casino per farsi riconfermare sindaco di Riace; megalopoli di 1900 abitanti (minori inclusi), tra cui 470 stranieri residenti senza diritto di voto.
 In pratica, Mimmo Lucano coi suoi complici è un vero genio del crimine!
Di “politico”, in tutta questa farsa giudiziaria a scopo punitivo-intimidatorio, è stato soprattutto il processo, per una sentenza annunciata su condanna preventiva, che non poteva (e assolutamente non doveva) essere diversa, affinché il messaggio arrivasse forte e chiaro.
Probabilmente, Lucano avrebbe fatto molto meglio a fare il mafioso: gli avrebbero offerto un seggio in Parlamento e a quest’ora farebbe il sottosegretario di qualche ministero al Governo.

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GENTE DI MERDA

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , on 22 luglio 2021 by Sendivogius

Da quello che emerge colui che si è difeso sarebbe stato aggredito da un soggetto pregiudicato, clandestino, noto per violenze, aggressioni e atti osceni in città…
Colui che ha reagito è un docente universitario di diritto penale e istruttore di forze di Polizia, avocato penalista noto e stimato in città, quindi non penso che Voghera si sia trasformata nel Far West.
Voglio disarmare i delinquenti e poi il processo spetta alle autorità. Se si tratterà, come si legge oggi su alcuni giornali, di legittima difesa, allora qualcuno dovrà chiedere scusa a questo assessore.

Matteo Salvini
(22/07/21)

Notate con quale voluttuoso godimento necrofilo si compiace il sempre più indecente Capitan Mitraglia, alla vista succulenta del “clandestino” (nuova categoria del sub-umano) impiombato a freddo dall’improvvisato giustiziere della notte: uno di quelli che scambia la “legittima difesa” con la licenza di uccidere, per privilegio di censo ed impunità di status; uno che se ne va in giro sventolando la pistola nella sua Alabama padana, a caccia di negri da castigare (mettere al loro posto), e che trova la sua naturale rappresentanza nelle cloache del nazileghismo, all’ombra dell’osceno Capitone a mano armata.
E giustappunto, mentre ne celebra le gesta sparatorie, lo fa con la stessa libidine pornografica con cui va sguazzando voglioso tra sughi stracotti e rifritti, sbavando famelico davanti ad una ciotola di rognoni fumanti, ospite d’onore alla Sagra del Porco, intanto che ingurgita cibo spazzatura a comando con bulimica voracità, grufolando tra immondi pastoni, con la stessa voluttà con la quale va ciucciando rosari.
Senza ritegno, senza vergona, smarrita da tempo ogni decenza (se mai ne ha avuta alcuna).
Soppesatelo, nelle sue argute argomentazioni, mentre si arroga del suo ius vitae necisque, e decide chi è degno di vivere e chi invece merita la giusta punizione del boia itinerante di turno, travestito da sceriffo, delineando le nuove categorie dell’inutile e dei reati passabili di pena capitale con esecuzione immediata: “gli atti osceni in città”! Né sovviene a LVI, ed al resto della sua gente di squadra, cosa sia la vera oscenità di cui è portatore insano.
 Per lo stesso principio, anche Jack The Ripper era una persona perbene, presumibilmente un membro rispettabile della comunità, uno di quelli del non se ne può più, e che coi mezzi a sua disposizione non faceva altro che ripulire le strade di Londra e “purificare” il mondo, da quella feccia umana che portava degrado e diffondeva le malattie: le prostitute… che oscenità, signora mia!
Ora guardatelo, mentre reclama la sua libbra quotidiana di carne (umana). Soprattutto, osservatelo mentre freme eccitato alla vista del sangue, senza nemmeno riuscire a trattenere le polluzioni forcaiole del linciaggio mascherato.
E chiedetevi se questo è un uomo (o una merda).

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Semantica giustizialista

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , on 21 luglio 2021 by Sendivogius

Detenuto ammanettato e pestato in carcere da una squadretta punitiva di energumeni in divisa?
Caduta accidentale dalle scale.
O, in alternativa, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale.

Un ubriaco ti spintona e lo respingi con uno schiaffone?
Concorso in rissa.

Un ubriaco disarmato ti spintona e tu gli spari e lo ammazzi a sangue freddo?
Se sei un nazista della Lega, legittima difesa.

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Cattivissimo Me

Posted in Muro del Pianto, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , on 6 dicembre 2020 by Sendivogius

Che gli italiani non fossero brava gente (anche se a loro piace credere il contrario), è una di quelle evidenze nascoste sotto lo strato degli stereotipi assolutori di una folla solitaria, più massa che popolo, schiumata nella “gente”, che del proprio passato non sa nulla. Vive (o per meglio dire, consuma) solo il presente, come eterni bambini mai cresciuti. Ed è incapace di pensare il futuro, se non come un’estensione indeterminata del proprio presente senza tempo.
Il mito degli “italiani brava gente” è innanzitutto una leggenda fortunata, di quelle dure a morire, come il mostro di Loch Ness, l’autostoppista fantasma, l’uomo falena, la fatina dei dentini, Babbo Natale, l’immacolata concezione, Luigi Di Maio ministro degli Esteri (ah no, quello è reale!), gli Illuminati (o chi per loro) che controllano il mondo, le sirene, i vaccini che fanno venire l’autismo… E come tale è falso.
Che gli italiani non sarebbero usciti migliori dalla pandemia di Covid-19 era nell’ordine delle cose… Che non sarebbe andata affatto bene, una conseguenza naturale, nonostante le sciroppose paternali a cura del Min.Cul.Pop di governo e di gentismo spiccio a fondo perduto. Insomma, il processo di involuzione antropologica in corso dura da almeno cinque lustri. Troppi per pensare di invertire la tendenza. Né era difficile prevedere quale effetto avrebbe avuto rinchiudere un branco di scimmie spaventate e arrabbiate nella gabbia dello stato d’eccezione.
A giudicare dal ritratto che annualmente ne fa il CENSIS, gli italiani visti allo specchio già facevano abbastanza schifo di loro, ma alla vigilia del 2021 sembra siano percolati in qualcosa di ancora peggio, imprigionati in un loop di quello che il rapporto chiama vero e proprio “sovranismo psichico”; che surroga aspirazioni e realizzazione personale, in un “egolatrico compiacimento dei consumi”

 DOPO IL RANCORE, LA CATTIVERIA
«Al volgere del 2018 gli italiani sono soli, arrabbiati e diffidenti. La prima delusione ‒ lo sfiorire della ripresa ‒ è evidente nell’andamento dei principali indicatori economici nel corso dell’anno. La seconda disillusione ‒ quella del cambiamento miracoloso ‒ ha ulteriormente incattivito gli italiani. Così, la consapevolezza lucida e disincantata che le cose non vanno, e più ancora che non cambieranno, li rende disponibili a librarsi in un grande balzo verso un altrove incognito.
Gli italiani sono ormai pronti ad alzare l’asticella: sono disponibili a un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto da così vicino, perfino a un salto nel buio, se la scommessa è quella poi di spiccare il volo. È quasi una ricerca programmatica del trauma, nel silenzio arrendevole delle élite, purché l’altrove vinca sull’attuale. È una reazione pre-politica che ha profonde radici sociali, che hanno finito per alimentare una sorta di sovranismo psichico, prima ancora che politico. Un sovranismo psichico che talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare e disperata, ma non più espressa nelle manifestazioni, negli scioperi, negli scontri di piazza tipici del conflitto sociale tradizionale.
[…]  La dimensione culturale della insopportazione degli altri sdogana ogni sorta di pregiudizio:

Il 43,2% degli italiani non vuole convivenze tra persone non sposate.

Il 37,1% è paladino della tradizionale divisione dei ruoli (l’uomo al lavoro e la donna in casa con i figli).

il 22,7% è convinto che le faccende domestiche debbano sempre e comunque essere in capo alle donne, che lavorino fuori casa o meno (lo pensa anche il 19,7% delle donne stesse).

Le diversità dagli altri sono percepite come pericoli da cui proteggersi: il 69,7% degli italiani non vorrebbe come vicini di casa rom, zingari, gitani, nomadi, il 69,4% persone con dipendenze da droghe o alcol, il 24,5% persone di altra etnia, lingua o religione. Sono i dati di un cattivismo diffuso ‒ dopo e oltre il rancore ‒ che erige muri invisibili, ma non per questo meno alti e meno spessi. Il 52% dei cittadini è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi.
[…]
Con tutta la loro potenza iconoclasta, internet e i media digitali personali sono diventati le tecnologie dell’immaginario dominanti. E abbiamo finito per sacrificare ogni mito, divo ed eroe sull’altare del soggettivismo, potenziato nei nostri anni dalla celebrazione digitale dell’io

Ed era solo il 2018. Quindi si è passati ad una società ansiosa, macerata dalla sfiducia per “il furore di vivere”, che nel vissuto quotidiano si tradurrebbe in:

“Stress esistenziale, disillusione e tradimento originano un virus ben peggiore: la sfiducia, che condiziona l’agire individuale e si annida nella società. Il 75,5% degli italiani non si fida degli altri, convinti che non si è mai abbastanza prudenti nell’entrare in rapporto con le persone.”

Poi per fortuna è arrivato il fatale 2020, quello che secondo Giuseppi Conte doveva essere una anno bellissimo, e che nei fatti si è rivelato essere:

“L’ANNO DELLA PAURA NERA”
Meglio sudditi che morti

Sono soddisfazioni grosse, perché come conseguenza diretta:

a) il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale;

b) il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e associazioni.

La paura pervasiva dell’ignoto porta alla dicotomia ultimativa: “meglio sudditi che morti”. E porta a vite non sovrane, volontariamente sottomesse al buon Leviatano. Cresce allora il livore della logica “o salute o forca”.

il 77,1% degli italiani chiede pene severissime per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento;

il 56,6% vuole addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena e dell’isolamento, e così minacciano la salute degli altri;

il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili o irregolari, hanno provocato la propria malattia;

il 49,3% dei giovani vuole che gli anziani siano curati dopo di loro.

Non sorprende, quindi, che persino una misura assolutamente indicibile per la società italiana come la pena di morte torni nella sfera del praticabile: quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani).

Ora, la fotografia che ne viene fuori è quella di una società più incanaglita che incattivita, dove meschinità e miserie congenite, hanno dato la stura alla pusillanimità diffusa di un gregge chiassoso di aspiranti servi frustrati, che sembra aver smarrito ogni valore morale nella totale assenza di ideali.
I ‘giovani’ (e sopratutto i diversamente tali, nella sovrabbondanza di peter pan in crisi di mezza età) ne escono malissimo: sono infinitamente più reazionari e gretti dei loro genitori; in piena regressione civica, ancor prima che sociale; indifferenti alla “Libertà”, intesa come valore civile e non come pretesa di “fare quello che mi pare”. Ciò che spicca è l’amore per la roba nel cumulo compulsivo della stessa; per il (proprio) incondizionato “benessere economico” questa variante post-industriale da Basso Impero del figliol prodigo venderebbe pure il culo (della madre).
Il quesito più annoso per simile gente?
Dove trascorrere le vacanze.
Le conseguenze più terribili dell’epidemia da Covid?
Rinunciare all’aperitivo.
A completare il quadro clinico, spicca il gusto sadico per la punizione, nel compiacimento verso il patibolo, come si conviene a tutte le plebaglie agghindate a festa durante le esecuzioni, quali occasione di intrattenimento pubblico.
O almeno questa è l’impressione miserrima che se ne ricava.
Da un punto di vista schiettamente sociologico, sembrano proprio delle egocentriche teste di cazzo: la peggior generazione di gente di merda mai cagata al mondo negli ultimi cento anni.
Si salvano gli anziani (che per fortuna sono la maggioranza), e che però hanno pure generato le medesime teste di cazzo in oggetto.
Ovviamente, è tutta colpa dei negri.
Insomma, comunque vada, andrà malissimo.

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Letture del tempo presente (VII)

Posted in Kulturkampf, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , on 24 ottobre 2020 by Sendivogius

«Ecco, secondo un regolamento della fine del secolo Diciassettesimo, le precauzioni da prendere quando la peste si manifestava in una città.
Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del «territorio agricolo» circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Ogni strada è posta sotto l’autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza; se la lasciasse, sarebbe punito con la morte. Il giorno designato, si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall’esterno, la porta di ogni casa; porta con sé la chiave, che rimette all’intendente di quartiere; questi la conserva fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l’interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione, senza che vi sia comunicazione tra fornitori e abitanti; per la carne, il pesce, le verdure, saranno utilizzate delle carrucole e delle ceste. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, ed evitando ogni incontro. Non circolano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e, anche tra le cose infette, da un cadavere all’altro, i “corvi” che è indifferente abbandonare alla morte: sono “persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti”. Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione.
L’ispezione funziona senza posa. Il controllo è ovunque all’erta: “Un considerevole corpo di milizia, comandato da buoni ufficiali e gente per bene”, corpi di guardia alle porte, al palazzo comunale ed in ogni quartiere, per rendere l’obbedienza della popolazione più pronta e l’autorità dei magistrati più assoluta, “come anche per sorvegliare tutti i disordini, ruberie, saccheggi”. Alle porte, posti di sorveglianza; a capo delle strade sentinelle.
Ogni giorno, l’intendente visita il quartiere di cui è responsabile, si informa se i sindaci adempiono ai loro compiti, se gli abitanti hanno da lamentarsene; sorvegliano “le loro azioni”. Ogni giorno, anche il sindaco passa per la strada di cui è responsabile; si ferma davanti ad ogni casa; fa mettere tutti gli abitanti alle finestre (quelli che abitassero nella corte si vedranno assegnare una finestra sulla strada dove nessun altro all’infuori di loro potrà mostrarsi); chiama ciascuno per nome; si informa dello stato di tutti, uno per uno – “nel caso che gli abitanti saranno obbligati a dire la verità, sotto pena della vita”; se qualcuno non si presenterà alla finestra, il sindaco ne chiederà le ragioni: “In questo modo scoprirà facilmente se si dia ricetto a morti o ad ammalati”.
Ciascuno chiuso nella sua gabbia, ciascuno alla sua finestra, rispondendo al proprio nome, mostrandosi quando glielo si chiede: è la grande rivista dei vivi e dei morti.
Questa sorveglianza si basa su un sistema di registrazione permanente: rapporti dei sindaci agli intendenti, degli intendenti agli scabini o al sindaco della città. All’inizio della “serrata”, viene stabilito il ruolo di tutti gli abitanti presenti nella città, uno per uno; vi si riporta “il nome, l’età, il sesso, senza eccezione di condizione”: un esemplare per l’intendente del quartiere, un secondo nell’ufficio comunale, un altro per il sindaco della strada, perché possa fare l’appello giornaliero. Tutto ciò che viene osservato nel corso delle visite – morti, malattie, reclami, irregolarità – viene annotato, trasmesso agli intendenti e ai magistrati. Questi sovrintendono alle cure mediche; da loro viene designato un medico responsabile; nessun altro sanitario può curare, nessun farmacista preparare i medicamenti, nessun confessore visitare un malato, senza aver ricevuto da lui una autorizzazione scritta “per evitare che si dia ricetto e si curino, all’insaputa del magistrato dei malati contagiosi”. Il rapporto di ciascun individuo con la propria malattia e con la propria morte, passa per le istanze del potere, la registrazione che esse ne fanno, le decisioni che esse prendono.
Cinque o sei giorni dopo l’inizio della quarantena, si procede alla disinfezione delle case, una per una. Si fanno uscire tutti gli abitanti; in ogni stanza si sollevano o si sospendono «i mobili e le merci»; si spargono delle essenze; si fanno bruciare dopo aver chiuso con cura le finestre, le porte e perfino i buchi delle serrature, che vengono riempiti di cera. Infine, si chiude la casa intera, mentre si consumano le essenze; come all’ingresso, si perquisiscono i profumatori «in presenza degli abitanti della casa, per vedere se essi non abbiano, uscendo, qualcosa che non avessero entrando». Quattro ore dopo, gli abitanti possono rientrare in casa.
Questo spazio chiuso, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso, in cui i minimi movimenti sono controllati e tutti gli avvenimenti registrati, in cui un ininterrotto lavoro di scritturazione collega il centro alla periferia, in cui il potere si esercita senza interruzioni, secondo una figura gerarchica continua, in cui ogni individuo è costantemente reperito, esaminato e distribuito tra i vivi, gli ammalati, i morti – tutto ciò costituisce un modello compatto di dispositivo disciplinare. Alla peste risponde l’ordine: la sua funzione è di risolvere tutte le confusioni: quella della malattia, che si trasmette quando i corpi si mescolano; quella del male che si moltiplica quando la paura e la morte cancellano gli interdetti. Esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, a ciascuno la sua malattia e la sua morte, a ciascuno il suo bene per effetto di un potere onnipresente e onniscente che si suddivide, lui stesso, in modo regolare e ininterrotto fino alla determinazione finale dell’individuo, di ciò che lo caratterizza, di ciò che gli appartiene, di ciò che gli accade. Contro la peste che è miscuglio, la disciplina fa valere il suo potere che è di analisi. Ci fu intorno alla peste, tutta una finzione letteraria di festa: le leggi sospese, gli interdetti tolti, la frenesia del tempo che passa, i corpi che si allacciano irrispettosamente, gli individui che si smascherano, che abbandonano la loro identità statutaria e l’aspetto sotto cui li si riconosceva, lasciando apparire una tutt’altra verità. Ma ci fu anche un sogno politico della peste, che era esattamente l’inverso: non la festa collettiva, ma le divisioni rigorose; non le leggi trasgredite, ma la penetrazione, fin dentro ai più sottili dettagli della esistenza, del regolamento – e intermediario era una gerarchia completa garante del funzionamento capillare del potere; non le maschere messe e tolte, ma l’assegnazione a ciascuno del suo «vero» nome, del suo «vero» posto, del suo «vero» corpo, della sua «vera» malattia. La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come correlativo medico e politico la disciplina. Dietro i dispositivi disciplinari si legge l’ossessione dei «contagi», della peste, delle rivolte, dei crimini, del vagabondaggio, delle diserzioni, delle persone che appaiono e scompaiono, vivono e muoiono nel disordine.
Se è vero che la lebbra ha suscitato i rituali di esclusione, che hanno fornito fino ad un certo punto il modello e quasi la forma generale della grande Carcerazione, la peste ha suscitato gli schemi disciplinari. Piuttosto che la divisione massiccia e binaria tra gli uni e gli altri, essa richiama separazioni multiple, distribuzioni individualizzanti, una organizzazione in profondità di sorveglianze e di controlli, una intensificazione ed una ramificazione del potere.  

[…]  La città appestata, tutta percorsa da gerarchie, sorveglianze, controlli, scritturazioni, la città immobilizzata nel funzionamento di un potere estensivo che preme in modo distinto su tutti i corpi individuali – è l’utopia della città perfettamente governata.
La peste (almeno quella che resta allo stato di previsione) è la prova nel corso della quale si può definire idealmente l’esercizio del potere disciplinare. Per far funzionare secondo la teoria pura i diritti e le leggi, i giuristi si ponevano immaginariamente allo stato di natura; per veder funzionare le discipline perfette, i governanti postulavano lo stato di peste.
[…]
Il “Panopticon” funziona come una sorta di laboratorio del potere. Grazie ai suoi meccanismi di osservazione, guadagna in efficacia e in capacità di penetrazione nel comportamento degli uomini; un accrescimento di sapere viene a istituirsi su tutte le avanzate del potere, e scopre oggetti da conoscere su tutte le superfici dove questo si esercita.
Città appestata, stabilimento panoptico; le differenze sono importanti. Esse segnano, a un secolo e mezzo di distanza, le trasformazioni del programma disciplinare. Nel primo caso, una situazione d’eccezione: contro un male straordinario, si erge il potere; esso si rende ovunque presente e visibile; inventa nuovi ingranaggi; ripartisce, immobilizza, incasella; costruisce per un certo tempo ciò che è contemporaneamente la controcittà e la società perfetta; impone un funzionamento ideale, ma che si riconduce in fin dei conti, come il male che combatte, al semplice dualismo vita-morte: ciò che si muove porta la morte, si uccide ciò che si muove. Il “Panopticon”, al contrario, deve essere inteso come un modello generalizzabile di funzionamento; un modo per definire i rapporti del potere con la vita quotidiana degli uomini.
[…]
Ogni volta che si avrà a che fare con una molteplicità di individui cui si dovrà imporre un compito o una condotta, lo schema panoptico potrà essere utilizzato.
[…]
Il “Panopticon” perspicacemente predisposto in modo che un sorvegliante possa, d’un colpo d’occhio, osservare tanti diversi individui, permette anche a tutti di venire a sorvegliare il meno importante tra i sorveglianti. La macchina per vedere è una sorta di camera oscura da cui spiare gli individui; essa diviene un edificio trasparente dove l’esercizio del potere è controllabile dall’intera società.
Lo schema panoptico, senza attenuarsi né perdere alcuna delle sue proprietà, è destinato a diffondersi nel corpo sociale; la sua vocazione è divenirvi funzione generalizzata. La città appestata forniva un modello disciplinare eccezionale: perfetto, ma assolutamente violento; alla malattia apportatrice di morte, il potere opponeva la sua perpetua minaccia di morte; la vita vi era ridotta all’espressione più semplice; era, contro il potere della morte,l’esercizio minuzioso del diritto di spada. Il “Panopticon” al contrario gioca un ruolo di amplificazione: se organizza il potere, se vuole renderlo più economico e più efficace, non è per il potere stesso, né per la salvezza immediata di una società minacciata: si tratta di rendere più forti le forze sociali – aumentare la produzione, sviluppare l’economia, diffondere l’istruzione, elevare il livello della moralità pubblica; far crescere e moltiplicare.»

Michel Foucault
“Il Panoptismo”
(da “Sorvegliare e Punire”; Cap.III)
Einaudi, 1976

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VI FACCIAMO LA FESTA!

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , on 18 ottobre 2020 by Sendivogius

Cosa c’è di più subdolo, schifoso, squallido, infame, della delazione?!?
Un governo che invita i propri cittadini alla denuncia anonima, a prescindere dalle intenzioni ‘buone’ o (quasi sempre) pessime che siano, istituzionalizzando la pratica nefasta in un sistema di controllo diffuso per indiretta persona, è un governo criminale, che scambia la prevenzione con la sorveglianza totalitaria, la sicurezza, con l’autoritarismo securitario, dietro la patina paternalistica del moralismo emergenziale, stravolgendo le più elementari relazioni private.
 E se poi un ministro, in totale buonafede, non lo capisce, tanto peggio per lui e soprattutto male per tutti quanti gli altri, nell’inconsapevolezza della gravità che ogni precedente crea, con l’eccezione elevata a regola tramite lo stravolgimento normativo.
La delazione diffusa, anche se la si chiama “cittadinanza attiva” con ipocriti appelli al “buonsenso civico” (!?) nella distorta concezione dello stesso, è un altro tassello della regressione giuridica e sociale in essere, che segna la febbre forcaiola di una in-civiltà di aspiranti vigilanti da balcone, giustizieri fai da te e spioni della porta a fianco; roba da tonarigumi giapponese in uno stato pre-moderno, attraverso l’ansia del castigo altrui come compiacimento surrogato per costrizione indotta. E che fa della sorveglianza asimmetrica ed ininterrotta:

una trasformazione generale di atteggiamento…. uno sforzo per regolare i meccanismi di potere che inquadrano l’esistenza degli individui; un adattamento ed un affinamento dei meccanismi che prendono in carico e mettono sotto sorveglianza la loro condotta quotidiana, la loro identità, la loro attività, i loro gesti apparentemente senza importanza; un’altra politica nei confronti di quella molteplicità di corpi e di forze che costituisce una popolazione.”

Michel Foucault
“Sorvegliare e Punire”
(Einaudi, 1976)

La delazione, le accuse segrete, la denuncia anonima, restano più consone ai regimi che alle democrazie; è un’involuzione da storia della colonna infame in un ritorno alla caccia alle streghe (o all’untore), specchio dello schifo che siamo diventati e che nulla può giustificare, per un male antico che si credeva (a torto) debellato.

«Evidenti, ma consagrati disordini, e in molte nazioni resi necessari per la debolezza della constituzione, sono le accuse segrete. Un tal costume rende gli uomini falsi e coperti. Chiunque può sospettare di vedere in altrui un delatore, vi vede un inimico. Gli uomini allora si avvezzano a mascherare i propri sentimenti, e, coll’uso di nascondergli altrui, arrivano finalmente a nascondergli a loro medesimi. Infelici gli uomini quando son giunti a questo segno: senza principii chiari ed immobili che gli guidino, errano smarriti e fluttuanti nel vasto mare delle opinioni, sempre occupati a salvarsi dai mostri che gli minacciano; passano il momento presente sempre amareggiato dalla incertezza del futuro; privi dei durevoli piaceri della tranquillità e sicurezza, appena alcuni pochi di essi sparsi qua e là nella trista loro vita, con fretta e con disordine divorati, gli consolano d’esser vissuti. E di questi uomini faremo noi gl’intrepidi soldati difensori della patria o del trono? E tra questi troveremo gl’incorrotti magistrati che con libera e patriottica eloquenza sostengano e sviluppino i veri interessi del sovrano, che portino al trono coi tributi l’amore e le benedizioni di tutti i ceti d’uomini, e da questo rendano ai palagi ed alle capanne la pace, la sicurezza e l’industriosa speranza di migliorare la sorte, utile fermento e vita degli stati?
Chi può difendersi dalla calunnia quand’ella è armata dal più forte scudo della tirannia, il segreto? Qual sorta di governo è mai quella ove chi regge sospetta in ogni suo suddito un nemico ed è costretto per il pubblico riposo di toglierlo a ciascuno?
Quali sono i motivi con cui si giustificano le accuse e le pene segrete? La salute pubblica, la sicurezza e il mantenimento della forma di governo? Ma quale strana costituzione, dove chi ha per sé la forza, e l’opinione più efficace di essa, teme d’ogni cittadino? L’indennità dell’accusatore? Le leggi dunque non lo difendono abbastanza. E vi saranno dei sudditi piú forti del sovrano! L’infamia del delatore? Dunque si autorizza la calunnia segreta e si punisce la pubblica! La natura del delitto? Se le azioni indifferenti, se anche le utili al pubblico si chiamano delitti, le accuse e i giudizi non sono mai abbastanza segreti. Vi possono essere delitti, cioè pubbliche offese, e che nel medesimo tempo non sia interesse di tutti la pubblicità dell’esempio, cioè quella del giudizio? Io rispetto ogni governo, e non parlo di alcuno in particolare; tale è qualche volta la natura delle circostanze che può credersi l’estrema rovina il togliere un male allora quando ei sia inerente al sistema di una nazione; ma se avessi a dettar nuove leggi, in qualche angolo abbandonato dell’universo, prima di autorizzare un tale costume, la mano mi tremerebbe, e avrei tutta la posterità dinanzi agli occhi.
È già stato detto dal Signor di Montesquieu che le pubbliche accuse sono più conformi alla repubblica, dove il pubblico bene formar dovrebbe la prima passione de’ cittadini, che nella monarchia, dove questo sentimento è debolissimo per la natura medesima del governo, dove è ottimo stabilimento il destinare de’ commissari, che in nome pubblico accusino gl’infrattori delle leggi. Ma ogni governo, e repubblicano e monarchico, deve al calunniatore dare la pena che toccherebbe all’accusato

Cesare Beccaria
Dei Delitti e delle Pene (1763)
Accuse segrete (Cap. XV)

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QUESTIONI DI PELLE

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , on 26 luglio 2020 by Sendivogius

Che ci fosse qualche problemino circa la selezione e composizione degli effettivi in organico delle cosiddette “forze dell’ordine”, nonché una gestione discutibile delle procedure e la libera interpretazione delle regole di ingaggio, nella presunzione di credersi legibus soluti per sindrome di onnipotenza (insieme ad una certa ideologia prevalente…), avrebbe dovuto essere evidente fin dall’ormai lontano 2001, ai tempi allegri dell’impunita mattanza genovese.
Non che prima le cose fossero diverse, per carità! Al massimo, si è passati dall’istituzionalizzazione professionale della pratica, al fai-da-te su improvvisazione. Ma insomma si sperava (a torto) che nel paese che ha dato i natali a Pietro Verri e Cesare Beccaria ci si fosse affrancati da un’immagine da birraglia inquisitoriale, elevandosi al di sopra dei soliti standard medioevali.
Poi al principio di legalità ha prevalso lo spirito dei tempi. E l’abuso di potere è diventato sistematico e sfrontato nella certezza dell’impunità, in parallelo con la (ri)fascistizzazione crescente della società italiana, fino all’apoteosi di un ministro della polizia che collezionava casacche militari invocando i pieni poteri, mentre va sciacallando in giro travestito da gendarme. E chissà se ora andrà a citofonare pure a casa dei carabinieri spacciatori di Piacenza.
Nell’intermezzo, non ci siamo fatti mancare praticamente nulla, in quel mondo chiuso ed autoreferenziale che contraddistingue le “istituzioni totali”, dove la coesione del branco viene confusa in un distorto spirito di corpo, con l’immancabile campionario immaginifico di fratellanze e sodalizi guerrieri (tratte dall’antico minchione romano), fino a degenerare in coazione a delinquere…
Dai pestaggi punitivi come prassi ordinaria, sospinta a livelli massivi come negli eccessi della Lunigiana tra Aulla e Massa (37 carabinieri indagati per 189 capi di imputazione); passando per i più triti clichè machisti da caserma, nell’erotismo malsano dei repressi sessuali, pronti ad esplodere in veri e propri stupri di gruppo: a Roma nella caserma del Quadraro… a Parabiago nella provincia di Milano… a Firenze, dove si usa la divisa per rimorchiare e la gazzella di servizio per scopare… Fino agli ancor più gravi casi di omicidio, come nelle più sordide storie di provincia (e dunque passate in sordina sui grandi media, opportunamente silenziate); ovvero estorsione e omicidio su associazione a delinquere… dove l’unica preoccupazione sembra lo stornare l’attenzione da ogni possibile coinvolgimento dei vertici gerarchici. 
Se prima ci si indignava, adesso al massimo certi avvenimenti vengono derubricati a fattacci di cronaca e liquidati in fretta con la retorica ipocrita delle poche “mele marce”, che elide il problema e lo circoscrive alle rassicuranti pruderie dei benpensanti di nient’altro ansiosi se non di essere rassicurati, per tutto continuare come se nulla fosse stato.
 Quella fossa biologica per la raccolta di bassi istinti nazistoidi che si fa chiamare Libero, dinanzi ai pestaggi di gruppo, gli arresti illegali, i festini a luci rosse negli uffici della caserma trasformata in una centrale organizzata dello spaccio all’ingrosso, che hanno portato alla ribalta nazionale la stazione “Levante” dei Carabinieri di Piacenza, convertita in una succursale di guapperia napoletana, parla con ammiccante compiacimento di “dolce vita” (!), tale è il livello a cui è sprofondata ancora l’inquietante cloaca gestita dal sempre più ripugnante Littorio Feltri.
E se questa è la comune sensibilità democratica, allora capisci anche il resto…

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VOGLIAMO I COLONNELLI

Posted in Muro del Pianto, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , on 24 marzo 2020 by Sendivogius

I “pieni poteri” (lo si sa), ogni volta che vengono invocati a sproposito, eccitano le fantasie nostalgiche e le polluzioni ducesche del mitomane di turno, insieme a tutta l’assortita pletora di feticisti in pieno orgasmo da fascismo della divisa, che sempre ricicciano fuori nei momenti di massima crisi con l’orgia da potere assoluto che ne deriva.
 Ed è una fortuna che a gestire l’emergenza attuale ci sia pur sempre il mite Giuseppi, la sagoma di cartone animata a vita propria, pur con tutte le sue sbandate, e non i manipoli di loschi figuri dalla ‘diversa’ sensibilità democratica, pronti ad accompagnarsi con macchiette in uniforme che sembrano fuggite dal vecchio set di un film di Mario Monicelli.
Oggi è il turno del fantomatico “Comandante Alfa: un altro di quegli anonimi coglioni mascherati fuori di testa, che affollano i ranghi dei Rambo in pensione, e che amano le foto con mefisto e tuta da combattimento, a costruire il personaggio per sceneggiature da fumetto pulp. Uno di quei sedicenti “servitori dello stato” che lo Stato sognano di sottomettere, per trasformarlo in una caserma dove giocare al generalissimo, in un’esibizione muscolare di populismo demagogico e machismo fascistoide, impasto riscaldato di luoghi comuni e retorica sciovinista da parata militare (in pratica un concentrato di sovranismo in orbace), sfornati per essere sfoggiati un tanto al chilo in un susseguirsi di deliranti contraddizioni. Il tipo appartiene alla ricca casistica di risolutori da tastiera, rapidi a chiacchiere, e pronto a scendere in guerra con armi e colpo in canna contro la pandemia, con l’inevitabile appello al popolo che non s’è capito bene cosa dovrebbe fare (in realtà il messaggio è chiarissimo).

“Siamo un paese in emergenza , in guerra. Sì in guerra, i decreti non servono più a nulla, sono confusi, servono a indebolirci e non a rinforzarci. Sono pallottole al sale quando metaforicamente servirebbero quelle vere.”

Forse il macho della situazione pensa di spezzare le reni al coronavirus sparando alle gambe di quei tossici da endorfina, che proprio non possono fare a meno della corsetta quotidiana cadesse anche il mondo. Non so… altre soluzioni efficaci potrebbero essere l’abbattimento degli infetti; o la promulgazione della legge marziale, con l’ordine di sparare a vista sui trasgressori?
Ovviamente tuona contro “sardine” e “centri sociali”, e le “navi pirata” delle ONG, e ovviamente gli immancabili “privilegi dei politici”. Tutta roba che non si capisce bene cosa c’entri con l’epidemia e la sua diffusione, ma va bene così… Fornisce un’idea esaustiva per il ‘dopo’…
E già che c’è, se la prende pure con “le signore con le gambe accavallate che spopolano in tv” (sdraiate a cosce aperte era meglio?!?), che evidentemente popolano le sue frustrazioni erotiche di guerriero senza sonno.
Questo perché:

Non è il momento della brillantina o del rossetto, è l’ora di indossare ognuno la propria divisa e combattere in prima linea dando l’esempio […] Basta, datevi da fare, basta stare seduti in poltrona e combattete.”

Armiamoci e partite. Sì, lo abbiamo già sentito…Qui, ad essere molto perfidi, parliamo di un Paese (e di una regione in particolare) dove il virus si è diffuso incontrollato, nonostante gli appelli alla prudenza, perché torme di ragazzini ipereccitati non potevano rinunciare all’apericena, contagiando poi nonni e familiari come nei migliori racconti sui vampiri. Caliamo poi un velo pietoso sulle scene miserabili di merdoni in fuga a casa da mammà rimasta giù al paesello nel Sud, mentre ruzzolano via coi trolley griffati, rincorrendo l’ultimo treno di mezzanotte una volta finita la festa ed esplosa l’epidemia.
Ma il problema sono i “politici”.
E quindi Ciccio Alpha si scaglia con furiosissimo sdegno contro il “parlamento chiuso” ed i politici imboscati come sorci. Lui invece è schierato in prima linea e lotta insieme a noi. Su facebook, travestito da Punisher della terza età. Si chiede persino se non siamo in una “dittatura”, ma poi invoca l’istituzione del coprifuoco con la legge marziale su tutto il territorio nazionale.

“Chiudete tutto, lasciando aperti i servizi essenziali per la sopravvivenza, garantendo agli operatori la tutela adeguata. Schierate l’esercito, istituite il coprifuoco, chiudete i confini, i porti, sigillate il nostro paese all’Europa che ci ha lasciati soli e che ci ha presi in giro senza che nessuno dei nostri governati ci abbia difesi.”

E dopo aver chiesto la serrata generale, da far rispettare con l’imposizione di leggi di guerra, si contraddice appena un rigo dopo:

“Prendete in giro artigiani, piccoli imprenditori, gente che fa fatica ad andare avanti e voi che fate per aiutarli a sopravvivere? Spostate la data delle tasse? Ma come ragionate? Come pensate che riusciranno a pagare se sono chiusi e lo saranno ancora per molto senza avere guadagni? Vergogna!!”

Ehm… Machoman?! In tutta confidenza, fai pace col cervellino: o chiudi tutte le attività economiche e produttive (e allora non guadagni); o le tieni tutte aperte. E allora non rompi i coglioni. O paghi le tasse, dilazionate o rinviate che siano, oppure semplicemente cessi di fornire tutti quei servizi che con le tasse vengono finanziati.
Non è un concetto difficile da comprendere, almeno fuori dal magico mondo marziale dei G.I.Joe, dove non si molla e non si arretra.

“Allora ascoltate tutti, munitevi di mascherine e tute e fate squadra, insieme si diventa invincibili”

E se mio nonno aveva le ruote era un calesse!
Un tempo, di fenomeni così i manicomi erano pieni… I più si infilavano la mano nel panciotto e si credevano Napoleone. Oggi abbaiano su Facebook come cani alla luna.
Manco a dirlo, il pronunciamiento dell’aspirante caudillo ha subito trovato i suoi entusiasti estimatori…
Tale Matteo Valléro, direttore editoriale di “Business24”, a sprezzo di ogni ridicolo possibile, si appella direttamente al Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate, per esortarlo al colpo di Stato. Ovviamente lo fa “a nome del popolo italiano”, dopo essersi autodelegato in assenza dell’interessato.
Cuor di leone, quando gli è stato fatto notare che l’invito all’eversione è un reato (penale) grave, ha subito cancellato il post, temendo ripercussioni per il suo contratto su SKY.
Giusto a proposito di benefici e culi comodamente seduti al sicuro in poltrona.
Per inciso, il generale Farina non ha assolutamente il physique du rôle del duce in carrozza e tanto meno coltiva pulsioni golpiste. Peraltro, se Matteo Valléro si fosse informato prima di dar sfogo ai suoi deliri, saprebbe pure che il generale attualmente non sarebbe esattamente disponibile, dal momento che è stato anche lui contagiato dal Covid-19 ed è in regime di quarantena.
Invece, chi scrive non aveva fino ad oggi la più pallida idea di chi mai fosse ‘sto Valléro, ma del resto non è che si possa conoscere tutti i bei figurini che affollano i pozzi neri dell’italica fascisteria, sorvolando sull’Alpha Spirit in tutina nera. Specialmente quando il sottoscritto continua ad andare regolarmente a lavoro (il privilegio di rientrare nelle “eccezioni”), spostandosi in metro, con o senza mascherina, e senza cazzeggiare su facebook in preda a crisi di isteriche, cercando una divisa come feticcio a cui votarsi…

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Brodetto di Capitone

Posted in Masters of Universe, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , on 27 gennaio 2020 by Sendivogius

Cazzo se è stata una lunga apnea, mentre tutt’attorno volava merda a palate!
Allora… com’è che recitava il mantra, salmodiato fino allo sfinimento, per frantumazione molecolare degli zebedei?!?

Il 26 Gennaio li mandiamo tutti a casa… inviamo l’avviso di sfratto al governo… Ovvero, l’Esecutivo di disperazione che l’Uomo dei Selfie dovrebbe invece tenersi ben stretto, visto che fa talmente schifo da essere uno straordinario moltiplicatore di consensi e dunque suo principale traino elettorale…
E visto che la pantomima sguaiata premia: dimissioni! …ci giochiamo tutto…
Ecco appunto! Esattamente, l’Uomo che magna cos’è che si giocava? Perché in ogni partita c’è chi vince e c’è chi perde. E non è ben chiaro cosa avrebbe perso LVI in caso di sconfitta, ora che l’Emilia Romagna non ha voluto essere ‘liberata’ ed anzi l’ha mandato sonoramente a fare in culo con tutta la tribù di zotici al pascolo, assieme al resto dei suoi manipoli in camicia nera. Tanto che gli è toccato riarrotolare la candidata sockpuppet nel cassetto dei resi e tirare dritto fino alla prossimo buffet; nonostante fosse andato a raccomandarsi alla madonna (una delle tante in circolazione), dopo la visita a parenti e amici sotto sale…

E ovviamente con l’immancabile imitazione della ducia gemella, per plagio elettorale su clonazione digitale…

Entrambi dovranno rimettere in frigo le bottiglie di spumante e magari rivalersi alle prossime elezioni in Toscana, dove potrebbero essere più fortunati… Tuttavia tra porci, prosciutti, madonne, e groupie dagli ardori sovrani, non dubitiamo che il Mussolini di ghisa saprà consolarsi e sollazzarsi a dovere, votandosi ai suoi idoli profani preferiti, in quel di Bibbiano…
Cuius regio, eius religio. E ovviamente continuerà ad ammansire in pubblico il suo enorme faccione da culo, come se nulla fosse. Evidentemente la parabola dell’altro Matteo, con le elezioni trasformate in ordalia su sé stesso, non gli hanno insegnato nulla.

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