Così com’era cominciato, si chiude in tutta la sua pletorica inutilità il dimenticabilissimo “semestre europeo” ad italica presidenza UE, nell’assoluta irrilevanza di una istituzione bombastica del tutto priva di anima e di una qualunque identità definita, che non sia il tristo tirar di conto sulla pelle di cittadini degradati a consumatori passivi e svuotati progressivamente di ogni diritto, nella sacralizzazione di un “mercato” assurto a feticcio trascendente, mentre i mercanti dilagano dentro e fuori dal tempio.
Nessun indirizzo economico alternativo, nessuna dimensione sociale, nessun impegno concreto, nessuna deroga ai divini trattati del ‘rigorismo’ imposto come religione, in un continente ridotto a depressa colonia tedesca… In questo, la presidenza italiana in nulla si è distinta rispetto a tutti i suoi predecessori, nell’irrilevanza di un risultato a somma zero. Come da tradizione.
In un’Italietta esautorata ed impotente, mentre il “paese reale” affonda nell’insipienza del suo premier ridanciano, sulla tolda del Titanic si sovrappongono le orchestrine in una cacofonia indistinta di ruttini senza regia.
Nello sprofondo di uno squallore senza fine, capita così che un vecchio barbuto con pretese messianiche, senza alcun titolo né ruolo istituzionale, entri ed esca dal Senato considerato alla stregua di una specie di boudoir personale per mettere in scena comizietti auto-promozionali, attorniato dalle sue deferenti vestali da camera, magnificando le sorti della sua setta digitale a marchio registrato.
Se la selezione di una classe dirigente minimamente decente resta il problema irrisolto della società italiana e la causa principale di un declino apparentemente inarrestabile, il dramma di una democrazia incompiuta si perpetua nell’inarrestabile susseguirsi di macchiette tragicomiche e di inveterati cialtroni del peggior qualunquismo demagogico, dei quali una certa Italia è prodiga da sempre e nei quali sistematicamente confida, tanto da rasentare una sorta di psicopatologia collettiva nella reiterazione ciclica delle ricadute.
In tempo di crisi, ascoltare gli sproloqui del Grullo sbavante e dei suoi replicanti allo sbaraglio resta di per sé un esercizio inutile. Certe esibizioni vanno infatti gustate per la loro dimensione pantomimica, nella miseria di siparietti imbastiti all’ombra dei logori teatrini della politica.
È questo forse il modo migliore per inquadrare nella cornice più adatta le performance del “capo politico” in versione natalizia, mentre sproloquia smarrito nei suoi deliri apocalittici. Più che altro, mentre discetta di diritto costituzionale, di leggi popolari, di politica monetaria e referenda.. senza avere il minimo rudimento
in materie delle quali ignora perfino le basi elementari, per la gioia dei media che ancora se lo filano, ricorda quei vecchi rincoglioniti provvisoriamente dimenticati in qualche ospizio che fanno di tutto per attirare l’attenzione su di sé, agitando la criniera cotonata da santone new age fuori tempo massimo. Di solito, vengono ritirati in concomitanza con le feste comandate, quando il gerontocomio chiude per ferie. Sono quelli che si sbrodolano mentre mangiano, si puliscono la bocca con la tavaglia di raso, e si cagano addosso durante il pranzo di natale per ripicca. Costituiscono motivo di imbarazzo, ma poi forniscono motivo di conversazione tra parenti troppo lontani e diversi tra loro, per avere dei veri legami in comune. È un po’ quanto succede all’interno del notorio moVimento che incapace com’è di un qualunque amalgama o iniziativa degna di questo nome, può sempre orientare l’attenzione sulle sparate di “Beppe” nel vuoto pneumatico di azioni e risultati.
In alternativa, li sentirete latrare alla luna che “loro” sono diversi, sono gli onesti per eccellenza e che sempre “loro” sono gli unici che non rubano, che tutto il resto è ka$ta. E ci mancherebbe pure che un non-partito di casi clinici, che rifugge qualsiasi responsabilità come la peste nera, che amministra una manciata irrisoria di comuni di provincia, e siede in parlamento da meno di un anno si facesse già coinvolgere in ruberie e scandali di corruzione, senza nemmeno avere un briciolo di potere!
Matteo Calvio (47 anni), detto “Lo Spezzapollici”: l’esattore di Massimo Carminati.
Insomma, riparliamone tra cinque anni e qualche carica in più…
In quanto alla fondamentale opera di vigilanza e di denuncia, caliamo pure un velo pietoso. Perché se è vero che il sistema corruttivo in vigore da decenni nella Roma della terra di mezzo era sotto gli occhi di tutti, è altrettanto vero che lo starnazzante pattuglione pentastellato al Campidoglio non s’è mai accorto di nulla, a partire dall’ex candidato sindaco della “unica opposizione”, che pure avrebbe dovuto contare su un osservatorio privilegiato, in quanto avvocato. Al massimo, tra le indispensabili attività degli ensiferi in quel di Roma e dintorni, si ricorda una Taverna planata a fare sciacallaggio politico a Tor Sapienza, gli elogi di una Lombardi al fascismo ed al suo altissimo senso dello stato, o le interrogazioni parlamentari della Ruocco a favore delle cooperative della banda Buzzi-Carminati sull’assegnazione dei centri di accoglienza.
È ovvio che dinanzi ad un simile capitale umano il Telemaco fiorentino dorma sonni più che tranquilli, in quanto “eroe” di una narrazione politica e parlamentare che lo vede protagonista assoluto in assenza di antagonisti credibili.
Per questo bisogna creare, per scopi puramente propagandistici,
un avversario in qualche modo convincente; un prodotto mediatico da costruire a tavolino e da lanciare sul mercato politico; un fenomeno da esportazione ad uso dei talk-show in crollo di pubblico… Qualcuno da promuovere come valido concorrente, in modo da essere inserito nella scaletta e far risalire gli ascolti in caduta, secondo una formula accattivante: Matteo vs Matteo.

Perché un gioco senza contendenti perde di gusto. Il villoso animaletto della Lega in versione nazional-populista al momento è la miglior offerta sulla piazza.

La stessa operazione di marketing era stata tentata a livello giornalistico col Dibbà (tanto fotogenico quanto irrimediabilmente idiota) ed il più pragmatico Di Maio, ma si tratta di due gemelli diversi, entrambi limitati nei movimenti dal soffocante cordone ombelicale dell’onnipresente “capo politico” che, al massimo, tra il ‘buono’ Renzi ed il ‘cattivo’ Salvini, si presta per il ruolo dell’imbecille di supporto. Almeno fino alla prossima compagnia di giro…
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This entry was posted on 19 dicembre 2014 at 19:02 and is filed under Stupor Mundi with tags Beppe Grillo, Italia, Liberthalia, M5S, Matteo Calvio, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Paola Taverna, Politica, Roma, Semestre europeo, Società, UE. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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19 dicembre 2014 a 19:19
L’ha ribloggato su Beppe Grillo re-blogging.
20 dicembre 2014 a 15:54
” Le promesse, in politica, si possono anche non mantenere, ma bisogna saperle fare. ”
“La politica non mi dice niente. Non amo le persone che sono insensibili alla verità. ”
” In ogni epoca gli esempi più vili della natura umana si possono trovare tra i demagoghi. “
21 dicembre 2014 a 15:40
«Il populismo nasce sempre come sintomo di un malessere e disprezzare un sintomo è come negare la malattia e il dolore che lo provoca. Il problema sorge quando le istanze che sorgono dalla sofferenza di un popolo, sono cavalcate in modo grossolano dai capi popolo. Il Capo popolo populista è sempre di destra, tranne in pochi casi, perché quando riesce con il suo carisma a scatenare la rabbia ordalica della massa, il suo narcisismo ha già fatto uno scatto di qualità, trasformandosi in ego dispotico.
La qualità del capo populista è riuscire a percepire la pancia del popolo e i suoi umori come pochi. Arringare la folla per il capo è naturale, una dote che egli allena mentre sogna il trono. Il vulnus però è che il cibo non digerito, fa star male, che gli umori della pancia, se non elaborati diventano prodotti sfinterici. Il leader non autoritario deve fare comunità ed essere in grado di andare oltre lo slogan, raccogliendo ciò che chiede la pancia del popolo e restituendo il materiale elaborato: le soluzioni.
Per farla breve ad aizzare la folla con parolacce ed insulti alla classe dirigente siamo tutti capaci, almeno chi ha doti retoriche ed attoriali innate. A capire i nodi di sofferenza e sublimare la rabbia in proposta fattibile e coerente, son capaci in pochi. Questo è il problema dei problemi: il potere personale che rende invasato il leader e trasforma un popolo da comunità a folla giacobina, con tutto il furore triviale e il pericolo autoritario che ne consegue. Finché c’è da dire “Tutti a casa” o “rottamiamo” son bravi Grillo, Renzi e persino i leader dei forconi, sono bravissimi. Quando c’è da andare in piazza e stare con gli immigrati, i rifugiati, con gli sfrattati: quando c’è da far battaglie che non garantiscono i voti, vediamo come i leader dei partiti, si fanno da parte.
Progredire e creare spazi di libertà è scomodo, non avrà mai il 100% dei consensi ma sono le idee scomode chi è veramente libero che fanno progredire la civiltà.»
Barbara Collevecchio
“La facile retorica e
psicologia spicciola
del populismo“
(10/01/2014)