Archivio per Liberazione

La Costituzione for dummies (e per Ignazio)…

Posted in A volte ritornano with tags , , , , , , , , on 23 aprile 2023 by Sendivogius

“Guardate che nella Costituzione non c’è alcun riferimento all’antifascismo.”
Ignazio Benito Maria La Russa  (23/04/23)

In quella della cosiddetta Repubblica Sociale di Salò sicuramente riferimenti non ve ne sono. Peccato solo che il camerata Benito (Ignazio) abbia fatto (finta?) di giurare solennemente su quella sbagliata, che con ogni evidenza non ha mai letto e ancor meno conosce. Benito Maria è fatto così: inutile aspettarsi altro dal personaggio, più che altro noto al grande pubblico per l’inconfondibile pizzetto luciferino e per le epiche risse televisive, durante le quali di solito insolentisce gli interlocutori, in spumeggianti profusioni di italianità e fascismo pecoreccio da macchietta missina. Meglio se in concomitanza con la Festa della Liberazione, che di solito dalle parti dei destronzi (al governo o meno) funziona come un repellente naturale. Ad ogni modo, Benito Maria fa colore e, come sembra, è quanto di meglio la destra (post?)fascista ha da esibire in ambito istituzionale; tale è la caratura dello ‘statista’ in orbace, che pure vanta un prodigioso cursus honorum, non nella Camera dei fasci e delle corporazioni di Salò ma nei palazzi del potere romano, anche se parla ancora come un picciotto delle campagne di Paternò.   Perché occuparci dunque di questo pittoresco cimelio vivente del Ventennio fascista, che pare fuggito da uno scaffale di chincaglierie di Predappio?!? Non sprecheremmo una sola riga in più sulle “sgrammaticature” (copyright della puffetta nera di Garbatella) dell’incontinente figlio d’arte, se non fosse pure l’attuale Presidente del Senato, a cui la carica imporrebbe un po’ più di contegno o quantomeno di silenzio. Già l’esperienza come Ministro della Guerra avrebbe dovuto richiedere maggior prudenza nella scelta, ma tant’è… la carriera dell’esilarante collezionista di statuine ducesche è più misteriosa del personaggio stesso di per sé prevedibilissimo, più imperscrutabile dell’immacolata concezione; perché solo un miracolo potrebbe spiegare come questo gran pezzo di Salò, buono per tutte le stagioni, abbia potuto assurgere alle massime cariche di quella Repubblica che si vorrebbe ‘democratica e antifascista’, mentre romanamente saluta dall’alto del suo scranno garantito nella distribuzione delle spoglie elettorali. Il camerata Ignazio Benito Maria è così… la Costituzione bisogna spiegargliela, anche se non la capirebbe neanche coi disegnini, Per lui, se non lo trova scritto nella Carta, l’antifascismo non c’è. Non leggendo la parola, gli sfugge l’essenza del testo. O più semplicemente è il modo furbesco per mistificare l’incompatibilità con la carica e col ruolo istituzionale, che a lui piace rivestire e a noi subire, in tutta l’insipienza e lo squallore di questo simulacro mussoliniano. Magari a Benito Maria non riesce di afferrare qualche piccola differenza superficiale…

 

Costituzione della Repubblica italiana

Art.1  L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Progetto di Costituzione della Repubblica Sociale (1944)

Art.10  La sovranità promana da tutta la Nazione.

Art.11  Sono organi supremi della Nazione: il Popolo e il Duce della Repubblica.

Art. 2  La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art.1  La Nazione Italiana è un organismo politico ed economico nel quale compiutamente si realizza la stirpe con i suoi caratteri civili, religiosi, linguistici, giuridici, etici e culturali. Ha vita, volontà, e fini superiori per potenza e durata a quelli degli individui, isolati o raggruppati, che in ogni momento ne fanno parte.

Art.3  Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 4  La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

 Art. 89  La cittadinanza italiana si acquista e si perde alle condizioni e nei modi stabiliti dalla legge, sulla base del principio che essa è titolo d’onore da riconoscersi e concedersi soltanto agli appartenenti alla stirpe ariana italiana. In particolare la cittadinanza non può essere acquistata da appartenenti alla razza ebraica e a razze di colore.

Art. 90  I sudditi di razza non italiana non godono del diritto di servire l’Italia in armi, né, in genere, dei diritti politici: godono dei diritti civili entro i limiti segnati dalla legge, secondo il criterio della loro esclusione da ogni attività, culturale ed economica, che presenti un interesse pubblico, anche se svolgentesi nel campo del diritto privato. In quanto non particolarmente disposto vale per essi, in quanto applicabile, il trattamento riservato agli stranieri.

Art. 93  I diritti civili e politici sono attribuiti a tutti i cittadini. Ogni diritto soggettivo, pubblico e privato, importa il dovere dell’esercizio in conformità del fine nazionale per cui è concesso. A questo titolo lo Stato ne garantisce e tutela l’esercizio.

 Art.8  Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.

 Art.6  La religione cattolica apostolica e romana è la sola religione della Repubblica Sociale Italiana.

Così, una assaggino tanto per gradire…

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NAZI-LIBERATI

Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 24 aprile 2022 by Sendivogius

25 Aprile 2022. A cento anni dalla mussoliniana marcia su Roma, possiamo dire con cognizione di causa che non c’è proprio alcuna Liberazione da festeggiare, dal momento che il fascismo gode di ottima salute e lotta contro di noi, più longevo che mai nella mimesi delle sue infinite varianti mutogene, per congenita capacità di adattamento e riproduzione su brodo di cultura.
Altrimenti non dovremmo assistere tutti gli anni allo stesso schifoso teatrino revanchista, messo in piedi ad ogni ricorrenza dagli eredi di Salò, pienamente legittimati ed inseriti da sempre nelle stanze e stanzette dei bottoni, da dove poter condizionare il corso della repubblichetta eterodiretta e dettarne l’agenda. Non sono mai stati “sdoganati”; non ne hanno bisogno, semplicemente perché non se ne sono mai andati.
Ogni tanto, quando il merdone è troppo grosso per essere nascosto, costituendo in realtà più una fonte di imbarazzo che di sdegno, e senza che mai alle parole seguano i fatti, si sente pigolare qualche lamento dalle parti del partito bestemmia: quell’oscuro oggetto governistico subalterno a chiunque lo porti al potere, che infatti coi fascisti di ogni ordine e grado, raggrumati in quel cartello elettorale che si fa eufemisticamente chiamare “centrodestra”, ci si trova benissimo, scambiandosi poltrone e governandoci insieme senza ombra di turbamento. Rientra nel copione della recita condivisa. Giusto per fare un po’ di scena e tenere la parte, giacché nulla deve disturbare la splendida ammucchiata, a cui partecipare per “spirito di servizio” e per ovvio “senso di responsabilità”: la magica trovata semantica che rende possibile ogni porcata, senza che mai disagio alcuno cali ad offuscare la magnifica narrazione imbastita su mandato politico da nostri media, ormai espressione del peggior giornalismo giallo, in piena distopia orwelliana.
Ma ormai il fu “partitone”, completata la mutazione transgenica, in piena svolta atlantista su evoluzione guerrafondaia dopo l’americanizzazione coatta, è tutto preso nel definire la propria servile subordinazione coloniale agli interessi statunitensi, raccomandandosi a Washington per meno di un pugno di lenticchie.
Dunque, dicevamo: cosa festeggiamo in questo ultimo 25 Aprile? Certo non la Liberazione dal nazifascismo. E nemmeno celebriamo la Resistenza! Bisogna stare attenti a definire cosa si intende per “resistenza”, specificando bene quale e che uso se ne intenda fare, in consonanza col ritrovato spirito marziale…
Possiamo prendere lezione dai fascisti per questo, che con intraprendenza ci indicheranno l’interpretazione corretta. Che poi, mutato nomine, si facciano chiamare “patrioti”… “nazionalisti”… “sovranisti”… è sempre quella merda lì!
Si dissuade vivamente dal fare ogni riferimento alla lotta partigiana, ma è assai gradito legare la ricorrenza, in posizione ancillare fino all’annullamento per sovrapposizione, con la ‘resistenza’ ucraina contro i russi, intessendo le lodi e lanciando fiori in onore delle eroiche brigate nere di Azov.

Vietato ogni riferimento al nazifascismo: il pubblico potrebbe non cogliere la differenza e cadere in confusione.

I simpatici partigiani ucraini del ricostituito Battaglione Usignolo

Sarebbe inoltre bene interdire le piazze all’ANPI, l’Associazione Nazionale Putiniani d’Italia, secondo il brillante acronimo coniato durante un rigurgito d’ego da un patetico coglione glassato in crosta di zucchero, dopo le liste di proscrizione e la caccia agli eretici. E sfilare tutti uniti sotto i bandieroni munifici e salvifici della NATO. Questo perché l’ANPI non è abbastanza prona al nuovo corso guerrafondaio. C’è il rischio che ricordino come la Resistenza sia altro da ‘sta roba immonda…
È ovviamente vietato cantare “Bella Ciao”, in quanto faziosa e divisiva, ma in alternativa si può sostituire l’esecrato brano con l’inno ucraino (sic!), più consono alla ricorrenza liberamente reinterpretata. Oppure utilizzare la variante sempre ucraina del noto canto partigiano, musicato sulle note di “Bella Ciao”, ma completamente riscritto e riadattato alla bisogna dalla cantante folk Khristyna Soloviy, portata alla ribalta dalle ineffabili colonne de LaStampa-Repubblica-Corriere, ormai ridotte a carillon della nazi-fiabe ucraine, e che fa bagnare di lacrime il pannolone di qualche turgido coglione a sinistra che ne ignora il testo :

«Il vecchio Dnepr ruggì con rabbia. Nessuno lo so pensava, nessuno se lo aspettava. Quello che poteva essere la vera rabbia del popolo ucraino. I nemici maledetti senza pietà li distruggiamo. Quei nemici maledetti che la nostra terra invadono. Le nostre difese hanno i migliori ragazzi. Solo veri eroi combattono nell’esercito ucraino. E i Javelin ed i Bayractar combattono per l’Ucraina e uccidono i russi. E il nostro potente popolo, la gente dell’Ucraina, ha già unito il mondo contro i russi. E molto presto li sconfiggeremo. Presto li distruggeremo

Carina, vero?!? La Soloviy, alla quale si deve cotanto capolavoro artistico, è un’altra di quelle starlette dell’Est che ama farsi immortalare in pose da diva dei jet set, o a bordo di yacht in atteggiamenti ammiccanti, che più che altro fanno molto catalogo da escort di alto bordo. E che ovviamente non ha mancato di esternare tutta la sua devota ammirazione, per i nazisti dell’OUN (no, non sono le Nazioni Unite!) di Stepan Bandera, il santino nazionale dell’Ucraina ‘democratica’ (LOL!), nell’impossibilità di cogliere la contraddizione oscena. È che proprio non ce la fanno. Sono talmente imbevuti di nazifascismo, quasi a livello genetico, da esserne inconsapevoli, tanto riesce loro naturale.
Ecco, se questo è il nuovo 25 Aprile, tenetevelo!
La Liberazione è lontana, ma proprio oggi più che mai è necessario resistere. 

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REPETITA IUVANT (aut fortasse…)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , on 25 aprile 2021 by Sendivogius

«Il fascismo fu certamente una dittatura, ma non era compiutamente totalitario, non tanto per la sua mitezza, quanto per la debolezza filosofica della sua ideologia. Al contrario di ciò che si pensa comunemente, il fascismo italiano non aveva una sua filosofia. L’articolo sul fascismo firmato da Mussolini per l’Enciclopedia Treccani fu scritto o venne fondamentalmente ispirato da Giovanni Gentile, ma rifletteva una nozione tardo-hegeliana dello “stato etico e assoluto” che Mussolini non realizzò mai completamente. Mussolini non aveva nessuna filosofia: aveva solo una retorica. Cominciò come ateo militante, per poi firmare il concordato con la Chiesa e simpatizzare coi vescovi che benedivano i gagliardetti fascisti. Nei suoi primi anni anticlericali, secondo una plausibile leggenda, chiese una volta a Dio di fulminarlo sul posto, per provare la sua esistenza. Dio era evidentemente distratto. In anni successivi, nei suoi discorsi Mussolini citava sempre il nome di Dio e non disdegnava di farsi chiamare “l’uomo della Provvidenza”. Si può dire che il fascismo italiano sia stata la prima dittatura di destra che abbia dominato un paese europeo, e che tutti i movimenti analoghi abbiano trovato in seguito una sorta di archetipo comune nel regime di Mussolini. Il fascismo italiano fu il primo a creare una liturgia militare, un folklore, e persino un modo di vestire.
[…] Non serve dire che il fascismo conteneva in sé tutti gli elementi dei totalitarismi successivi, per così dire, “in stato quintessenziale”. Al contrario, il fascismo non possedeva alcuna quintessenza, e neppure una singola essenza. Il fascismo era un totalitarismo “fuzzy”. Il fascismo non era una ideologia monolitica, ma piuttosto un collage di diverse idee politiche e filosofiche, un alveare di contraddizioni. Si può forse concepire un movimento totalitario che riesca a mettere insieme monarchia e rivoluzione, esercito regio e milizia personale di Mussolini, i privilegi concessi alla Chiesa e una educazione statale che esaltava la violenza, il controllo assoluto e il libero mercato? Il partito fascista era nato proclamando il suo nuovo ordine rivoluzionario, ma era finanziato dai proprietari terrieri più conservatori che si aspettavano una controrivoluzione. Il fascismo degli inizi era repubblicano e sopravvisse per vent’anni proclamando la sua lealtà alla famiglia reale, permettendo a un “duce” di tirare avanti sottobraccio a un “re” cui offerse anche il titolo di “imperatore”. Ma quando nel 1943 il re licenziò Mussolini, il partito riapparve due mesi dopo, con l’aiuto dei tedeschi, sotto la bandiera di una repubblica “sociale”, riciclando la sua vecchia partitura rivoluzionaria, arricchita di accentuazioni quasi giacobine.
[…] Il termine “fascismo” si adatta a tutto perché è possibile eliminare da un regime fascista uno o più aspetti, e lo si potrà sempre riconoscere per fascista. Togliete al fascismo l’imperialismo e avrete Franco o Salazar; togliete il colonialismo e avrete il fascismo balcanico. Aggiungete al fascismo italiano un anticapitalismo radicale (che non affascinò mai Mussolini) e avrete Ezra Pound. Aggiungete il culto della mitologia celtica e il misticismo del Graal (completamente estraneo al fascismo ufficiale) e avrete uno dei più rispettati guru fascisti, Julius Evola. A dispetto di questa confusione, ritengo sia possibile indicare una lista di caratteristiche tipiche di quello che vorrei chiamare l`Ur-Fascismo, o il “fascismo eterno”. Tali caratteristiche non possono venire irreggimentate in un sistema; molte si contraddicono reciprocamente, e sono tipiche di altre forme di dispotismo o di fanatismo. Ma è sufficiente che una di loro sia presente per far coagulare una nebulosa fascista.
La prima caratteristica di un Ur-Fascismo è il culto della tradizione. […] Il tradizionalismo implica il rifiuto del modernismo. Sia i fascisti che i nazisti adoravano la tecnologia, mentre i pensatori tradizionalisti di solito rifiutano la tecnologia come negazione dei valori spirituali tradizionali. Tuttavia, sebbene il nazismo fosse fiero dei suoi successi industriali, la sua lode della modernità era solo l’aspetto superficiale di una ideologia basata sul “sangue” e la “terra” (Blut und Boden). Il rifiuto del mondo moderno era camuffato come condanna del modo di vita capitalistico, ma riguardava principalmente il rigetto dello spirito del 1789 (o del 1776, ovviamente). L’illuminismo, l’età della Ragione vengono visti come l’inizio della depravazione moderna.
[…] Perciò la cultura è sospetta nella misura in cui viene identificata con atteggiamenti critici…. Gli intellettuali fascisti ufficiali erano principalmente impegnati nell’accusare la cultura moderna e l’intellighenzia liberale di aver abbandonato i valori tradizionali.
[…] L’UrFascismo cresce e cerca il consenso sfruttando ed esacerbando la naturale paura della differenza. Il primo appello di un movimento fascista o prematuramente fascista è contro gli intrusi. L’Ur-Fascismo è dunque razzista per definizione.
L’Ur-Fascismo scaturisce dalla frustrazione individuale o sociale. Il che spiega perché una delle caratteristiche tipiche dei fascismi storici è stato l’appello alle classi medie frustrate, a disagio per qualche crisi economica o umiliazione politica, spaventate dalla pressione dei gruppi sociali subalterni. Nel nostro tempo, in cui i vecchi “proletari” stanno diventando piccola borghesia (e i Lumpen si autoescludono dalla scena politica), il fascismo troverà in questa nuova maggioranza il suo uditorio.
A coloro che sono privi di una qualunque identità sociale, l’Ur-Fascismo dice che il loro unico privilegio è il più comune di tutti, quello di essere nati nello stesso paese. E questa l’origine del `nazionalismo’. Inoltre, gli unici che possono fornire una identità alla nazione sono i nemici. Così, alla radice della psicologia Ur-Fascista vi è l’ossessione del complotto, possibilmente internazionale. I seguaci debbono sentirsi assediati. Il modo più facile per far emergere un complotto è quello di fare appello alla xenofobia. Ma il complotto deve venire anche dall’interno: gli ebrei sono di solito l’obiettivo migliore, in quanto presentano il vantaggio di essere al tempo stesso dentro e fuori.
[…] L’elitismo è un aspetto tipico di ogni ideologia reazionaria, in quanto fondamentalmente aristocratico. Nel corso della storia, tutti gli elitismi aristocratici e militaristici hanno implicato il disprezzo per i deboli. L’Ur-Fascismo non può fare a meno di predicare un “elitismo popolare”. Ogni cittadino appartiene al popolo migliore del mondo, i membri del partito sono i cittadini migliori, ogni cittadino può (o dovrebbe) diventare un membro del partito. Ma non possono esserci patrizi senza plebei. Il leader, che sa bene come il suo potere non sia stato ottenuto per delega, ma conquistato con la forza, sa anche che la sua forza si basa sulla debolezza delle masse, così deboli da aver bisogno e da meritare un “dominatore”. Dal momento che il gruppo è organizzato gerarchicamente (secondo un modello militare), ogni leader subordinato disprezza i suoi subalterni, e ognuno di loro disprezza i suoi sottoposti. Tutto ciò rinforza il senso di un elitismo di massa.
In questa prospettiva, ciascuno è educato per diventare un eroe. In ogni mitologia l’eroe è un essere eccezionale, ma nell’ideologia Ur-Fascista l’eroismo è la norma. Questo culto dell’eroismo è strettamente legato al culto della morte: non a caso il motto dei falangisti era: “Viva la muerte!” Alla gente normale si dice che la morte è spiacevole ma bisogna affrontarla con dignità; ai credenti si dice che è un modo doloroso per raggiungere una felicità soprannaturale. L’eroe Ur-Fascista, invece, aspira alla morte, annunciata come la migliore ricompensa per una vita eroica. L’eroe UrFascista è impaziente di morire. Nella sua impazienza, va detto in nota, gli riesce più di frequente far morire gli altri.
Dal momento che sia la guerra permanente sia l’eroismo sono giochi difficili da giocare, l’UrFascista trasferisce la sua volontà di potenza su questioni sessuali. È questa l’origine del machismo (che implica disdegno per le donne e una condanna intollerante per abitudini sessuali non conformiste, dalla castità all’omosessualità). Dal momento che anche il sesso è un fioco difficile da giocare, l’eroe UrFascista gioca con armi, che sono il suo Ersatz fallico: i suoi giochi di guerra sono dovuti a una invidia penis permanente.
L’Ur-Fascismo si basa su un “populismo qualitativo”: In una democrazia i cittadini godono di diritti individuali, ma l’insieme dei cittadini è dotato di un impatto politico solo dal punto di vista quantitativo (si seguono le decisioni della maggioranza). Per l’UrFascismo gli individui in quanto individui non hanno diritti, e il “popolo” è concepito come una qualità, un’entità monolitica che esprime la “volontà comune”. Dal momento che nessuna quantità di esseri umani può possedere una volontà comune, il leader pretende di essere il loro interprete. Avendo perduto il loro potere di delega, i cittadini non agiscono, sono solo chiamati pars pro toto, a giocare il ruolo del popolo. Il popolo è così solo una finzione teatrale. Per avere un buon esempio di populismo qualitativo, non abbiamo più bisogno di Piazza Venezia o dello stadio di Norimberga. Nel nostro futuro si profila un populismo qualitativo Tv o Internet, in cui la risposta emotiva di un gruppo selezionato di cittadini può venire presentata e accettata come la “voce del popolo”. A ragione del suo populismo qualitativo.
[…] Ogni qual volta un politico getta dubbi sulla legittimità del parlamento perché non rappresenta più la “voce del popolo”, possiamo sentire l’odore di Ur-Fascismo.

[…] L’Ur-Fascismo parla la “neolingua”. La “neolingua” venne inventata da Orwell in 1984, come la lingua ufficiale dell’Ingsoc, il Socialismo Inglese, ma elementi di Ur-Fascismo sono comuni a forme diverse di dittatura. Tutti i testi scolastici nazisti o fascisti si basavano su un lessico povero e su una sintassi elementare, al fine di limitare gli strumenti per il ragionamento complesso e critico. Ma dobbiamo essere pronti a identificare altre forme di neolingua, anche quando prendono la forma innocente di un popolare talkshow.
[…] L’Ur-Fascismo è ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. Sarebbe così confortevole, per noi, se qualcuno si affacciasse sulla scena del mondo e dicesse: “Voglio riaprire Auschwitz, voglio che le camicie nere sfilino ancora in parata sulle piazze italiane!” Ahimè, la vita non è così facile. L’Ur-Fascismo può ancora tornare sotto le spoglie più innocenti. Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme, ogni giorno, in ogni parte del mondo

(Umberto Eco. “Il fascismo eterno”. 1995)

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Festa della Liberazione

Posted in Kulturkampf with tags , , , , on 25 aprile 2017 by Sendivogius

Io sto con l’ANPI.
Sempre!

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DESISTENZA

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , on 24 aprile 2016 by Sendivogius

'Happy Birthday' - ZeeCast by Alexiuss

Potato degli stoloni retorici, il testo che vi (ri)proponiamo poteva benissimo essere scritto oggi. E invece venne pubblicato nel lontano Ottobre del 1946 sulla rivista mensile Il Ponte, dove ebbe a riunirsi il meglio dell’intelligenza italiana di provenienza azionista, negli anni difficili del primo dopoguerra.
Insomma, il secondo conflitto mondiale s’era concluso da poco più di un anno, l’Italia era diventata una repubblica soltanto da qualche mese (in quanto alla “democrazia”: si trattava più che altro di un postulato teorico ancora lungi dall’essere messo in pratica), e già si parlava di desistenza in luogo della lotta di Liberazione, per una ‘nuova’ compagine governativa la cui unica ansia era quella di archiviare in fretta l’esperienza restistenziale, in una sostanziale continuità col precedente regime rivisto e corretto in salsa ‘democratica’, speculare ad una capillare occupazione del potere che mal si accordava coi valori e le aspirazioni della Resistenza. Soprattutto se visti come fastidiosi impicci dei quali disfarsi in fretta. Oggi si può dire che l’oblio paventato a suo tempo da Piero Calamandrei è un’operazione compiuta, nella sostanziale rimozione della memoria (o nelle sue infantili distorsioni) con tutto ciò che questo comporta. E no, un selfie non ci salverà.

Renzi-Bean

«Quel miracoloso soprassalto dello spirito che si è prodotto, quando ogni speranza pareva perduta, in tutti i popoli europei agonizzanti sotto il giogo della tirannia interna ed esterna, ha ormai ed avrà nella storia del mondo un nome: “resistenza”. Sotto la morsa del dolore o sotto lo scudiscio della vergogna, gli immemori, gli indifferenti, i rassegnati hanno ritrovata dentro di sé, insospettata, una lucida chiaroveggenza: si sono accorti della coscienza, si sono ricordati della libertà. Prima che schifo della fazione interna, prima che insurrezione armata contro lo straniero, questo improvviso sussulto morale è stato la ribellione di ciascuno contro la propria cieca e dissennata assenza: sete di verità e di presenza, ritorno alla ragione, all’intelligenza, al senso di responsabilità. La resistenza è stata, nei migliori, riacquisto della fede nell’uomo e in quei valori razionali e morali coi quali l’uomo si è reso capace nei millenni di dominare la stolta crudeltà della belva che sta in agguato dentro di lui.
BrechtSi è scoperto così che il fascismo non era un flagello piombato dal cielo sulla moltitudine innocente, ma una tabe spirituale lungamente maturata nell’interno di tutta una società, diventata incapace, come un organismo esausto che non riesce più a reagire contro la virulenza dell’infezione, di indignarsi e di insorgere contro la bestiale follia dei pochi. Questo generale abbassamento dei valori spirituali da cui son nate in quest’ultimo ventennio tutte le sciagure d’Europa, merita di avere anch’esso il suo nome clinico, che lo isoli e lo collochi nella storia, come il necessario opposto dialettico della resistenza: “desistenza”. Di questa malattia profonda di cui tutti siamo stati infetti, il fascismo non è stato che un sintomo acuto: e la resistenza è stata la crisi benefica che ci ha guariti, col ferro e col fuoco, da questo universale deperimento dello spirito.
Così ci illudevamo due anni fa, alla vigilia della liberazione. Ma oggi ci sembra di avvertire d’intorno a noi e dentro di noi i sintomi di un nuovo disfacimento.
Ciò che ci turba non è il veder circolare di nuovo per le piazze queste facce note: il pericolo non è lì; non Albert Kesselringsaranno i vecchi fascisti che rifaranno il fascismo. Che tornino in libertà i torturatori e i collaborazionisti e i razziatori, può essere una incresciosa necessità di pacificazione che non cancella il disgusto: talvolta il perdono è una forma superiore di disprezzo.
No, il pericolo non è in loro: è negli altri, è in noi: in questa facilità di oblio, in questo rifiuto di trarre le conseguenze logiche della esperienza sofferta, in questo riattaccarsi con pigra nostalgia alle comode e cieche viltà del passato.
Oggi le persone benpensanti, questa classe intelligente così sprovvista di intelligenza, cambiano discorso infastidite quando sentono parlar di antifascismo: e se qualcuno ricorda che i tedeschi non erano agnelli, fanno una smorfia di tedio, come a sentir vecchi motivi di propaganda a cui nessuno più crede. I partigiani? una forma di banditismo. I comitati di liberazione? un trucco dell’esarchia, i processi dei generali collaborazionisti si risolvono in trionfi degli imputati. I grandi giornali si affrettano a riaprire le terze pagine alle grandi firme, care ai lettori borghesi: dieci anni fa celebravano l’impero e la guerra a fianco della grande alleata, oggi scrivono collo stesso stile requisitorie contro la pace spietata; e il pubblico si compiace di questi elzeviri ritrovati e non si accorge che questa pace è la conseguenza di quella guerra. PansaFinita e dimenticata la resistenza, tornano di moda gli “scrittori della desistenza”: e tra poco reclameranno a buon diritto cattedre ed accademie.
Sono questi i segni dell’antica malattia. È nei migliori, di fronte a questo rigurgito, rinasce il disgusto: la sfiducia nella libertà, il desiderio di appartarsi, di lasciare la politica ai politicanti. Questo il pericoloso stato d’animo che ognuno di noi deve sorvegliare e combattere, prima che negli altri, in se stesso: se io mi sorprendo a dubitare che i morti siano morti invano, che gli ideali per cui son morti fossero stolte illusioni, io porto con questo dubbio il mio contributo alla rinascita del fascismo.
Dopo la breve epopea della resistenza eroica, sono ora cominciati, per chi non vuole che il mondo si sprofondi nella palude, i lunghi decenni penosi ed ingloriosi della resistenza in prosa. Ognuno di noi può, colla sua oscura resistenza individuale, portare un contributo alla salvezza del mondo: oppure, colla sua sconfortata desistenza, esser complice di una ricaduta che, questa volta, non potrebbe non esser mortale.»

Piero Calamandrei
“Desistenza”
(Il Ponte. Anno II, n.10; 1946)

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70 Anni di Desistenza

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 aprile 2015 by Sendivogius

resistance

Nel 70esimo anno del suo anniversario ha ancora senso celebrare la “Liberazione”?
Ci si chiede infatti, a malincuore, che cosa sia rimasto da festeggiare; per giunta nello svuotamento delle feste laiche della Repubblica, trasformate in un giorno lavorativo come altri, secondo gli imperativi del credo mercantilista. E cosa permane ancora degli ideali e dei valori che animarono la Resistenza, sbiadita nella memoria e tradita nella sua eredità, svuotata di senso dai miserabili teatrini imbastiti nei quadrivi di una politica ubriaca dei suoi reflussi, a tal punto da essere ormai circoscritta ad una sorta di ricorrenza funebre, in attesa di tumularne anche il ricordo insieme alla scomparsa dei suoi ultimi protagonisti. Tanto è forte la sensazione (sgradevolissima) che l’intera faccenda sia ridotta al pacchettino sempre più risicato di un precotto take-away, da consumare in fretta quasi a scusarsi per il disturbo. Anche la “Festa di Liberazione” invecchia; porta male i suoi anni. E rischia di morire per trascorsi limiti di età…
Diversamente, in pieno 2015, nell’Italia liberata a misura ‘democratica’, bisognerebbe capire la relazione con Il vespasiano di Affilel’intitolazione di strade, piazze e mausolei ai gerarchi fascisti: una costante dell’amena provincia italiana e dei suoi nuovi podestà fascistissimi, a cui si accompagna la coniazione seriale di medaglie ed onorificenze per “incontestabili meriti” a criminali di guerra e nazifascisti, con tanto di celebrazioni officiate pubblicamente dalla Presidenza del Consiglio.
movimento dei porconiBisognerebbe ancor di più spiegare l’indulgente pervasività, con cui viene celebrato ed esibito un fascismo diluito, blandito, nella minimizzazione dei crimini dietro al mito assolutorio degli “italiani brava gente” e la sopravvalutazione dei ‘meriti’, attraverso la persistente apologia di reato da sempre elusa, bonariamente accolta, e mai contrastata.
La sobria curva della AS RomaAl massimo, certe esibizioni vengono liquidate come espressioni “goliardiche”, dalle curve degli stadi ai pellegrinaggi organizzati verso la betlemme nera di Predappio, passando per la memorialistica Liberopataccara dei Diari di Mussolini e le dispense agiografiche, allegate dai giornaletti a carico pubblico della destra più nostalgica dei papiminkia organici al berlusconismo.
Bisognerebbe spiegare la discrepanza tra un partito che si fece Stato ed un altro che ambisce ad essere “partito della nazione”; se non fosse che uno si chiamava ‘fascista’, mentre il nuovo si definisce “democratico” per auto-attribuzione del termine. Il tutto nel nome della “governabilità” (ieri era la “sicurezza nazionale”), con la differenza che negli Anni ‘20 vi era un solo duce, oggi invece si può scegliere tra una mezza dozzina di aspiranti tali, per altrettante organizzazioni politiche che vi si ispirano più o meno apertamente, nell’inflazione di candidati al ruolo.
Salvini ti aspettavoBisognerebbe spiegare la volontà irresistibile di concentrare tutti i poteri nelle mani di un “capo del governo”, investito di prerogative assolute, in un Parlamento esautorato di funzioni e competenze, ma chiamato unicamente a ratificare i decreti blindati su presentazione governativa.
Bisognerebbe altresì spiegare la cancellazione del Senato, trasformato in un ufficio delegato della Presidenza del Consiglio, composto da nominati rigorosamente non eletti (un requisito imprescindibile!) e deprivato di ogni funzione di controllo e indirizzo.
Matteo RenziBisognerebbe distinguere la pioggia di decreti-leggi, dei voti di fiducia, della forzatura delle procedure parlamentari, che imbavagliano le Camere e le trasformano in votifici di complemento, prostrati ai desiderata di un premier che non s’è preso nemmeno il disturbo di farsi eleggere in libere elezioni.
Bisognerebbe inoltre tracciare le differenze che intercorrono tra la Legge Acerbo e l’imposizione della nuova legge elettorale ad un parlamento refrattario ed imbavagliato, con la rimozione dei membri di commissione sgraditi al premier ed il sostanziale aggiramento delle procedure parlamentari, secondo un sistema elettivo volto a racimolare il massimo dei seggi, con il minimo dell’affluenza, nello svuotamento di ogni rappresentanza. Il tutto in un Parlamento dove non si ‘parla’ più, ma si ubbidisce a comando.
Bisognerebbe infine spiegare la persistenza della tortura, che continua ad essere praticata ma che non è reato.
diaz-locandinaSe c’è un impegno che questa Repubblica, nata per puro caso dalle ceneri del fascismo nella prosecuzione ideale del medesimo, ma revisionato in salsa democratica, ha perseguito con costanza immutata nel corso dei suoi 70 anni di desistenza, è stato quello di depotenziare il ricordo della Liberazione. E lo ha fatto attraverso la delegittimazione costante della lotta di Resistenza, che già il giorno dopo la caduta del regime lasciava il posto agli ipocriti, agli opportunisti ed ai riciclati della peggior risma, che correvano a seppellire le stragi nazifasciste dietro gli armadi della vergogna e riabilitare i colpevoli nell’estensione della più ampia impunità.
Dead-Snow zombiesDietro un antifascismo puramente di facciata, la transazione di regime è spesso avvenuta all’insegna della rimozione delle responsabilità nella negazione delle stesse, tanto radicata è stata fin da subito l’ansia di “normalizzazione” nella continuità, fino agli sdoganamenti ed alle riabilitazioni più recenti (e resistenza cancellataindecenti). Perché fin da subito è stato chiaro che nella nuova Italietta pusillanime e revisionata, la vera anomalia da rimuovere era costituita dalla Resistenza: movimento considerato di minoranza nel ventre molle di una nazione, che però aveva l’insostenibile torto di mettere in luce tutta l’accondiscenza, l’ignavia, e l’accomodante conformismo di certe maggioranze più complici che silenziose, che raggiunse il suo culmine nella persecuzione degli ebrei italiani. Una deportazione capillare, che non fu blanda né contenuta, come invece ama far credere certa vulgata minimalista…

I carnefici italiani «Gli italiani che dichiararono “stranieri” e “nemici” gli ebrei, li identificarono su base razziale come gruppo da isolare e perseguitare, li stanarono casa per casa, li arrestarono, li tennero prigionieri, ne depredarono beni e averi, li trasferirono e detennero in campi di concentramento e di transito, e infine li consegnarono ai tedeschi, furono responsabili di un genocidio. Un genocidio è il tentativo violento di cancellare un gruppo su basi etniche o razziali e non vi è dubbio che – sebbene l’atto finale dello sterminio non avvenne su suolo italiano e per mano italiana – anche gli italiani presero l’iniziativa, al centro e alla periferia del rinato Stato fascista, partecipando così al progetto e al processo di annientamento degli ebrei, con decisioni, accordi, atti che li resero attori e complici dell’Olocausto. Diversi furono evidentemente i gradi e le modalità di coinvolgimento, perché diversi furono i ruoli, i contributi pratici e le forme di partecipazione. Non si trattò solo di coloro che compirono materialmene gli arresti (polizia, carabinieri, guardia di finanza, militi e volontari fascisti), ma di coloro che compilarono le liste delle vittime: dagli impiegati comunali e statali dell’anagrafe razzista ai funzionari di polizia che trasformarono i nomi degli elenchi in altrettanti mandati di arresto; dal prefetto e dal questore che firmarono gli ordini di cattura, giù giù lungo la scala gerarchica, alle dattilografe che ne compilarono i documenti. Partecipe e complice fu anche chi sequestrò e confiscò beni ebraici, spendendo ore, talora intere giornate, a descrivere nei più minuti dettagli i beni sequestrati, mettendoli sotto chiave oppure trasportandoli e consegnandoli ad altro ufficio o autorità, o – caso non insolito – accaparrandoseli 50 kgper uso proprio, oppure per lucro attraverso la vendita. Vi furono inoltre le responsabilità dei delatori: di chi segnalò, denunciò, consegnò, tradì i propri concittadini ebrei. E così via nella catena delle persecuzioni e responsabilità, nelle loro molteplici, talora apparentemente innocue, fasi e procedure: chi guidò il camion o la corriera o il vaporetto che trasferì i prigionieri; chi sorvegliò le celle o i campi di transito; chi costruì quei campi o li rifornì di vettovaglie. Infine, coloro che stettero a guardare, rivolsero lo sguardo altrove, ignorarono volutamente quanto stava avvenendo»

Simon Levis Sullam
“I carnefici italiani”
Feltrinelli (2015)

Pertanto, il problema non era l’eredità del fascismo, ma chi a questo s’era più opposto e per giunta in tempi non sospetti, nell’indifferenza dei più, passando per la grande farsa delle “epurazioni” prima dell’amnistia generale voluta da Palmiro Togliatti, con conseguenze grottesche…

Giorgio Bocca «I fascisti che hanno militato nell’esercito di Salò passano nell’Aprile del ’45 per una prima discriminazione generale. […] Gli ufficiali ed i militi delle formazioni di partito vengono internati in una ventina di campi di prigionia, assieme ai civili più compromessi del regime mussoliniano. Il primo campo sorge presso la Certosa di Padula: i prigionieri comuni stanno in grandi stanzoni, ma ci sono ospiti di riguardo come Achille Lauro, l’armatore, il principe Vittorio Massimo, il generale Ezio Gariboldi, l’ex comandante del corpo di spedizione italiano in Russia, e il principe Francesco Ruspoli per il quale si preparano alloggi accoglienti.
[…] Il campo di Terni, affidato ad un colonnello inglese filofascista, è qualcosa che sta a metà tra il mercato nero e un bordello di lusso: la principessa Maria Pignatelli ha il permesso di organizzarvi cerimonie celebrative, le evasioni in massa sono pagate in valuta pregiata. Diciamo che qui si forma il primo nucleo di neofascismo aristocratico e alto borghese, il neofascismo dei principi romani e dei grandi costruttori edili, dell’alta burocrazia militare e ministeriale. Il campo più noto però è quello di Coltano, il più duro, dove vengono per mesi rinchiusi i fascisti meno colpevoli, quelli che hanno militato nelle formazioni regolari della Repubblica Sociale.
Il neofascismo militaristi ha i suoi capi naturali negli alti ufficiali prigionieri a Procida: Rodolfo Graziani, ministro della guerra nella repubblica di Salò, e il principe Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas, la più agguerrita delle compagnie di ventura della repubblica mussoliniana.
Graziani con le chiappe al vento[…] Occorre recuperare i capi carismatici con dei processi solenni. Quello al maresciallo Graziani inizia l’11/10/1943 a Roma. La sua autodifesa nel peggior stile fascista è tutta un elogio al suo senso dell’onore, della fedeltà, della lealtà, con cui opportunamente nasconde gli aspri conflitti avuti durante la guerra con Mussolini che è stato sul punto, dopo la catastrofe libica, di deferirlo al tribunale militare. La farsa giudiziaria continua fino al 26/02/1949 quando la Corte d’Assise si accorge, improvvisamente, di non essere competente…… Il Tribunale militare lo condanna a 19 anni, gliene condona 14, e siccome ne ha già scontati quasi quattro lo manda anticipatamente libero. Per finire, gli si riconosce di “aver agito per motivi di particolare valore morale e sociale”.
Junio Valerio Borghese Il processo di Junio Valerio Borghese è una burletta: presiede la Corte d’Assise il dottor Caccavale, amico della famiglia Borghese e vecchio gerarca, mentre nel collegio giudicante ci sono ex fascisti notori. La sentenza del 17/02/1947 supera ogni livello di impudenza: vengono concesse a Borghese le attenuanti al valor militare, per il salvataggio delle industrie del nord, perché si è battuto per salvare la Venezia Giulia, per l’assistenza ai deportati dai tedeschi. Insomma, sarebbe meritevole di aver assistito i partigiani e gli antifascisti che ha catturato e mandato nei lager nazisti. Con tutte le attenuanti e gli indulti, a Borghese restano ancora nove anni. Su suggerimento dei difensori si studiano ancora altri indulti, finché al principe resta un solo anno. E su questa condanna ad un anno di reclusione il processo farsa sta per concludersi, quando un avvocato difensore ricorda al presidente che per la legge del 1946 il condono deve essere superiore ad un anno e allora il dottor Caccavale torna in fretta in camera di consiglio, toglie l’ultimo anno come dal conto del salumaio, e Borghese esce libero, portato in trionfo.
OVRA[…] Si aggiunga che l’organico di polizia resta in mano a funzionari di formazione fascista: due soli prefetti non sono stati funzionari del ministero degli interni fascista. I viceprefetti, 241, tutti, senza neppure un’eccezione, hanno fatto parte della burocrazia fascista. […] Dei 135 questori, 120 provengono dalla polizia fascista: se si contano i commissari, i commissari capi aggiunti si arriva a 1642 dirigenti, solo 34 dei quali hanno partecipato in qualche modo alla guerra di liberazione

Giorgio Bocca
“Storia della Repubblica italiana”
Rizzoli, 1982

Anarchici contro il fascismoIn compenso nelle prigioni rimangono gli antifascisti, e massimamente gli anarchici che, subito dopo le caduta di Mussolini da capo del governo, vengono rinchiusi nel Campo di Renicci ad Anghiari (campo di internamento badogliano n.97), nella provincia aretina, prima del tana libera tutti in seguito all’armistizio dell’8 Settembre 1943.
La StampaMa il vero paradosso viene raggiunto dopo la formazione della Repubblica italiana, quando i fascisti vengono liberati in massa e riammessi in senso all’amministrazione del nuovo Stato, che si vuole democratico e antifascista, mentre partigiani ed ex resistenti vengono perseguitati un po’ ovunque; arrestati e rinchiusi in prigione o, peggio ancora, nei manicomi criminali col beneplacito dei governi democristiani che si susseguiranno al potere. La Resistenza come malattia dello spirito.

“Se qualcuno quando eravamo sulle montagne a condurre la guerra partigiana fosse venuto a dirci che un bel giorno, a guerra finita, avremmo potuto esser chiamati davanti ai tribunali, per rispondere in via civile di atti che allora erano il nostro pane quotidiano, gli avremmo riso francamente in faccia”

Dante Livio Bianco
(11/12/1947)

Perché nell’immediato dopoguerra, l’offensiva giudiziaria con la promulgazione di ‘sentenze esemplari’ sembra interamente indirizzata in funzione anti-partigiana, mentre i vecchi fascisti opportunamente amnistiati e riabilitati possono riallacciare il imagesfilo delle loro carriere provvisoriamente interrotte. Le epurazioni semmai funzionano al contrario e vengono portate avanti con estrema solerzia. In parallelo, per l’opera di repressione ci si affida a funzionari di comprovata fede mussoliniana: i personaggi che offrono maggior affidabilità e garanzie alla giovane ‘democrazia’ italiana ed ai nuovi padroni del Paese da ‘stabilizzare’.

Milizia fascista«Il tracollo della democratizzazione della polizia è personificato dall’ex capo dell’Ovra, Guido Leto, Il fantasma dell'OVRAdestituito e riabilitato dopo un fugace soggiorno a Regina Coeli, infine promosso a direttore tecnico della scuola di polizia. In compenso, i partigiani immessi negli organici all’indomani della Liberazione ne sono presto allontanati. Si perde così l’occasione di riformare l’apparato fondamentale di controllo e garanzia dell’ordine pubblico.
Nel 1946 ad essere epurati sono i prefetti nominati dal Comitato di liberazione nazionale, rimpiazzati dai “fidati” funzionari di carriera, già zelanti esecutori delle direttive mussoliniane.
files06gws3[…] La discontinuità tra dittatura e democrazia è insomma attutita dalla riemersione di personaggi che si pensava dovessero uscire di scena con la sconfitta fascista.
Nella transizione dal regime mussoliniano a quello democratico – osserva Vladimiro Zagrebelsky – l’ordinamento giudiziario e l’orientamento culturale dei suoi componenti sono caratterizzati dal predominio della Corte suprema di Cassazione, decisiva anche per la selezione dei giudici. Cassazione e Corte d’appello si confermano strumenti di gestione autocratico-conservatrice della magistratura: la direzione della macchina processuale spetta a personaggi forgiatisi culturalmente e professionalmente nel regime, da essi convintamente servito e nel quale si immedesimarono, ricavandone privilegi e potere.
Il Palazzaccio[…] Il sistema giudiziario rimane quello forgiato nel ventennio; le carriere dei giudici fotografano l’inamovibilità dei vertici della magistratura.
Vincenzo Eula, il pubblico ministero del Tribunale di Savona che nel 1927 ha fatto condannare Ferruccio Parri, Sandro Pertini e Carlo Rosselli per l’espatrio di Filippo Turati, scansata l’epurazione (invocata dal ministro della giustizia Togliatti, negata dal presidente del consiglio De Gasperi) diviene procuratore generale della Cassazione.
Alcide De GasperiLuigi Oggione, già procuratore generale della Repubblica sociale italiana (RSI), nel dopoguerra sarà presidente della Corte di cassazione e poi giudice della Corte costituzionale.
L’artefice della legislazione antiebraica della RSI, Carlo Alliney, capogabinetto all’Ispettorato della Razza, è promosso consigliere della Corte d’Appello a Milano, procuratore della repubblica a Palermo, e infine giudice di Cassazione. Va ancora meglio all’ex presidente del Tribunale della Razza, Gaetano Azzariti, destinato addirittura alla presidenza della Corte costituzionale.
Negozio giudeoIl fallimento dell’epurazione si accompagna alla disapplicazione dell’amnistia del Novembre 1945 per i partigiani. “Le leggi contro il fascismo – osserva il giurista Achille Battaglia – furono interpretate secondo la volontà del legislatore soltanto quando la forza politica dell’antifascismo toccò il vertice; e furono interpretate alla rovescia, e applicate col massimo dell’indulgenza man mano quella andò declinando”. Guido Neppi Modona ritiene che “la repressione antipartigiana si realizzò mediante un uso molto vasto e spregiudicato della carcerazione preventiva; gli ordini di cattura venivano sovente emessi sulla base dei soli rapporti redatti anni prima dalla RSI, dove i partigiani erano appunto qualificati come banditi, autori di reati comuni”.
Il 22/06/1946 le esigenze di pacificazione nazionale si concretizzano nell’amnistia Togliatti. La sua applicazione estensiva e selettiva da parte di molti giudici (sensibili alle direttive della Cassazione) giova anzitutto ai fascisti, che ne beneficiano generosamente. Le “sevizie particolarmente efferate”, previste quale circostanza ostativa, sono aggirate con interpretazioni pirotecniche e sottili disquisizioni dottrinarie sull’essenza della tortura. Nemmeno l’omicidio e la strage rappresentano una barriera invalicabile…. La spietata giustizia sommaria dei giorni della Liberazione è rimpiazzata dal perdono sommario, metodico e generalizzato.
In riferimento all’eccidio delle Fosse Ardeatine del 24 Marzo del 1944, nel giro di un biennio vengono amnistiati sia il commissario di PS Raffaele Aniello, che ha fornito ai tedeschi la lista dei cinquanta detenuti politici da fucilare, sia i delatori di decine di antifascisti venduti ai tedeschi e trucidati nelle cave della periferia di Roma.
I funerali del boia[…] Liberazioni scandalose si coniugano con il mancato accertamento giudiziario di reati gravi, determinando oltre alla denegazione della giustizia enormi vuoti conoscitivi, che deformeranno la percezione per i lutti del 1943-45. Vuoti che la storiografia non ha colmato e sui quali si è costruita la vulgata del “sangue dei vinti”.
pansa vauroIl 30/06/1946, a otto giorni dall’emanazione, l’amnistia Togliatti è stata applicata a 7106 fascisti e 153 partigiani. La giustizia della neonata Repubblica italiana con una mano rialza i collaborazionisti, con l’altra percuote i partigiani

Un'odissea partigianaMimmo Franzinelli
Nicola Graziano

“Un’odissea partigiana.
Dalla Resistenza al manicomio”

Feltrinelli, 2015

In pochi anni la Corte di Cassazione così costituita annulla il 90% delle condanne contro collaborazionisti e criminali di guerra. Vengono mandati assolti pure i comandanti della XXXVI Brigata nera “Mussolini”, in precedenza condannati all’ergastolo per le stragi della Garfagnana.
XXXVI Brigata nera “Mussolini”Per i fatti di sangue ed i reati troppo gravi da poter beneficiare dell’amnistia che riguardano ufficiali dell’esercito, nei tribunali militari vengono predisposte “archiviazioni provvisorie”, ancorché illegali vista l’obbligatorietà dell’azione penale, finché i fascicoli non vengono ‘dimenticati’ o fatti sparire.
archiviazione_provvisoriaNella provincia di Modena, a venire processati (e condannati) sono i partigiani: 3.500 su 18.411.
Antonio Pallante Il 14 Luglio del 1958 è il giorno dell’attentato a Togliatti, segretario del PCI, l’attentatore è un fascista siciliano con simpatie neo-naziste, Antonio Pallante, che nel 1949 viene condannato a tredici anni e otto mesi, poi ridotti a dieci anni e otto mesi nel 1953, e infine portati a cinque per essere subito dopo assunto nel Corpo forestale dello Stato. I militanti comunisti che protestano contro l’attentato (e le coperture politiche che vi furono) vengono invece puniti con estrema severità: dalle lunghe carcerazioni preventive prima del prosciogliemento, o condanne fino a dieci anni di reclusione.
Nella primavera del 1955, decennale della vittoria sul fascismo, gli ex partigiani posti in stato di fermo di polizia sono 2474, dei quali 2189 vengono processati e 1007 condannati.
Arresti effettuati da CCPer l’erogazione delle pene e dei provvedimenti ci si basa sul Codice penale del 1930, emanato da Alfredo Rocco, il ministro fascista della giustizia sotto il governo Mussolini, e rimasto in vigore fino al 1988.
Vengono imbastiti veri e propri teoremi accusatori, con montature grossolane, mentre atti di guerra e azioni militari vengono rubricati a delitti comuni e quindi sottoposti a procedimento penale con processi ad hoc, appositamente strombazzati sulla stampa reazionaria. Delle indagini e della produzione delle ‘prove’ d’accusa si occupano con particolare zelo i Carabinieri. Gli accusati vengono indotti ad una “piena confessione” con minacce, pestaggi a sangue, ed il il marescialloricorso alla tortura. Nel modenese è particolarmente attivo il maresciallo Silvestro Cau che comanda la stazione di Castelfranco Emilia. Il sottufficiale è solito calcare sulla faccia degli arrestati delle maschere antigas, col filtro imbevuto di acqua salata che provoca il soffocamento. Il tenente Nilo Rizzo che denuncia gli abusi del suo subordinato, descrivendolo come un sadico criminale, viene sottoposto a provvedimento disciplinare da parte dei comandi dell’Arma e trasferito a scopo punitivo.
1949 Celere di RomaSeguendo un strategia difensiva demenziale, su consiglio degli avvocati messi a disposizione dal PCI e dal PSI, molti degli inquisiti si fanno dichiarare parzialmente infermi di mente, per poter beneficiare delle attenuanti di pena. La pratica si rivelerà un espediente suicida, perché ciò comporta l’internamento nei manicomi criminali con trattamento sanitario obbligatorio che all’epoca, oltre a prevedere l’eventuale interdizione delle visite esterne, consisteva in camicie di forza, letti con cinghie di contenimento, bagni ghiacciati e sedute di elettrochoc, mentre i tempi di pena sono indefiniti e prolungabili dal personale medico delle strutture fino ad avvenuta ‘guarigione’.
Manicomio di AversaTra i fondamentali motivi del mancato rilascio rientra anche “l’avversità alla religione”. Insomma, anche l’ateismo è una malattia. Da punire prima ancora che ‘curare’.
Ne consegue che molti dei reclusi ne escono devastati, dopo lunghi anni di internamento negli ospedali psichiatrici giudiziari.
Si consideri che nel 1953 a vagliare le richieste di dismissione Antonio Azaradalla detenzione manicomiale, con l’accettazione di eventuali misure di “clemenza”, vi è Antonio Azara, guardasigilli della Repubblica nel Governo Pella (un monocolore democristiano che può vantare l’appoggio di fascisti e monarchici), già presidente di Cassazione e membro eminente sotto il regime fascista (di cui è un estimatore convinto) del “comitato scientifico” per prestigiose riviste come “La nobiltà della stirpe” ed il “Diritto razzista”.
Difesa della razzaMa in fondo parliamo di eventi e situazioni oramai superate dalla storia e dai fatti: tortura, razzismo, autoritarismo, fascismo, abuso detentivo, repressione poliziesca, trattamento psichiatrico della malattia mentale e riforma degli OPG… tutte cose assolutamente sconosciute nell’Italia del 2015.

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Posted in A volte ritornano, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 aprile 2013 by Sendivogius

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Per una atroce ironia del caso, capita di dover celebrare le ricorrenze del 25 Aprile, in concomitanza con la prossima formazione di quello che si preannuncia, qualora dovesse davvero prendere vita, come il più orripilante esecutivo mai defecato prima dagli sfinteri parlamentari del peggior trasformismo consociativo.
E, dinanzi ad un simile orrore, ci sarebbe quasi da chiedere se la Festa della Liberazione abbia ancora un senso, così vergognosamente tradita nell’essenza stessa della sua identità storica e nel suo valore morale, da un ‘gabinetto’ (o latrina?) che probabilmente verrà ricordato come la più grottesca e oscena ammucchiata mai vista in tutta la storia della Repubblica.
Poco importa se la costituzione del più democristiano dei governi (a 20 anni dalla scomparsa della DC), sancisca nei fatti l’atto di morte dell’insulso partito bestemmia: aborto politico, nato già morto e mai tumulato in una estenuante veglia funebre. Il fetore di questa carogna in decomposizione avanzata ha raggiunto ormai livelli insopportabili.
Giustizia e Libertà Servirà molto di più di uno scatto d’orgoglio collettivo per risalire dal fondo di una simile infamia…
E, paradossalmente, proprio i valori della Resistenza possono fornire quel modello ideale e quell’esempio di coraggio (quando tutto sembrava perduto) per ritrovare la dignità calpestata nel nome di una nuova Liberazione.
C’è chi, giustamente, dalle pagine di Libertà e Giustizia, ha gridato al tradimento, sfiorando però il necrologio…

25 aprile tradito

«25 aprile 2013: difficile festeggiare, oggi che sentiamo, dentro di noi, la consapevolezza di averla tradita quella giornata del nostro riscatto. Comunque andranno a finire le cose, chiunque saranno i ministri di questo governo, rimane il fatto che una parte, quella che credevamo essere anche la nostra o almeno lo era di tanti italiani, oggi è al governo con italiani avvezzi a irridere la Liberazione (volevano addirittura abolirla come festa di tutti gli italiani o cambiarle il nome), a sostenere che Mussolini e il fascismo non furono poi così male, a stravolgere la nostra Costituzione inseguendo una Repubblica presidenziale che non è la nostra. Scompariranno dal sacro testo le firme di De Nicola, Terracini e De Gasperi, sostituite da quelle di chissà chi, magari di Gaetano Quagliarello e Silvio Berlusconi.
Questa è la posta in gioco.
Questo vuole il Pdl vincitore non delle elezioni, ma del dopo elezioni, e verso questo risultato siamo incamminati, dopo l’orrenda prova che ha dato il Parlamento di non essere in grado di eleggere un Capo dello Stato. A dir la verità si è deciso molto in fretta che nessun altri sarebbe stato eletto se non Giorgio Napolitano.
Oggi è amaro ripensare a tutto questo, a una politica e a dei partiti incapaci di governare e di lavorare con dignità e onore per il bene degli italiani.
Oggi è dunque difficile festeggiare: ci sentiamo tutti un po’ complici del tradimento, anche chi si è opposto in questi anni; anche noi che non abbiamo saputo evitare il ritorno di Berlusconi.
Ripenso a Ennio Flaiano e a quello che scrisse alla figlia appena nata il 25 luglio del ’43: “Un giorno tu ti sorprenderai quando ti racconteranno quello che si è sofferto in ventun anni di miseria morale. Non vorrai crederci e forse ci rimproverai dicendo: perché non l’avete cacciato prima?… non sappiamo quel che l’avvenire ci riserva. Ma una cosa è certa: che Dio s’è svegliato. Il piffero di Manet suona per te e per noi la dolce canzoncina della Libertà. Suonala in eterno, Piffero!”.
E mi viene da piangere.»

 Sandra Bonsanti
(Libertà e Giustizia – 24/03/13)

25aprile

….Ma a noi le lacrime piacciono assai poco e ancor meno la commiserazione rassegnata che deprime l’azione e prosciuga le forze, in nome di una “normalizzazione” che è sottomissione di coloro che, oltre allo spirito combattivo, rischiano di smarrire anche il proprio orgoglio.
A noi, amanti delle cause perse, piacciono le battaglie soprattutto se sembrano impari, giacché la sconfitta è certa solo per chi rinuncia alla difesa dei propri ideali.

13 ASSASSINS

Di fronte ad una disgrazia non è sufficiente rimanere calmi. Quando sopraggiunge la sventura, il samurai deve rallegrarsene e andare avanti con coraggio. Un’attitudine simile differisce radicalmente dalla rassegnazione.

Hagakure (I, 116)

Al contempo, sarà bene ricordare come siamo potuti arrivare a tanto…
Questa che riportiamo è una delle analisi migliori sulla quale meditare per non dimenticare le cause ed i responsabili:

Hellblazer - Pandemonium “Cronistoria di un disastro

«Benché i colpi di scena, veri o apparenti, incalzino, vorrei ricapitolare che cosa (mi pare) è successo.
Vinte nettamente le primarie, Bersani ha fatto una campagna attendista. Era convinto che il successo fosse già nel sacco. Ci teneva come all’occasione culminante della sua vicenda militante, e si proponeva di usare la vittoria per rinnovare fortemente la composizione del Pd e per cimentarsi con un governo che rompesse col feticcio dell’austerità.
Dopo la delusione elettorale, ha investito sulla propria debolezza per stanare la demagogia grillista: ottenerne una collaborazione, o svelarne il nullismo.
Bersani aveva un punto fermo: nessun accordo di governo con il Pdl. Attorno a lui si moltiplicavano i dissensi, malcelati e via via più trasparenti. Avrebbe potuto rinunciare alla candidatura al governo: ci si può chiedere se ci fossero altri accreditati e risoluti altrettanto a non trattare del governo con Berlusconi.
PBersaniLa resistenza di Bersani (tenace oltre ogni previsione, e non spiegabile con una disperata ambizione personale) aveva una sola prospettiva: che Napolitano lo mandasse alle Camere. Lì, se non un calcolo politico, il dolore sentitissimo di tanta parte, e trasversale, dei nuovi eletti per l’eventualità di tornarsene a casa, avrebbe potuto dargli una striminzita e caduca fiducia, di cui però avrebbe potuto approfittare per prendere tre o quattro iniziative radicali, a cominciare dalla legge elettorale. Se fosse stato sfiduciato, avrebbe potuto guidare un governo provvisorio per l’elezione al Quirinale e la successiva campagna elettorale anticipata. Napolitano non ne ha voluto sapere: aveva le sue ragioni, ma sia lui che i numerosi esponenti del Pd che mordevano il freno e davano segni di impazienza crescente nei confronti di Bersani e della “perdita di tempo”, rivendicavano di fatto (guardandosi dal dirlo, nella maggior parte dei casi) un accordo di governo con il Pdl.
Bersani ha tenuto duro a oltranza, posponendo la questione del governo alla rielezione al Quirinale, così da ammorbidire l’esclusione del Pdl grazie alla distinzione fra governo e Presidenza della Repubblica, quest’ultima costituzionalmente orientata alla più vasta condivisione.
Ha qui fatto due o tre errori fatali: ha creduto che quella distinzione fosse chiara; ha ritenuto che fosse convincente per la base e l’elettorato di sinistra; si è illuso che il notabilato del Pd lo seguisse. Soprattutto, non ha formulato pubblicamente il nome o i nomi dei candidati che il Pd avrebbe proposto a tutte le altre forze politiche.
Così, mentre un nome degno come quello di Marini passava per scelto da Berlusconi, Grillo candidava Rodotà, persona esemplare per uno schieramento di sinistra dei diritti civili e dei movimenti. I 5Stelle erano fino a quel punto piuttosto nell’angolo, essendo evidente come il loro compiaciuto infantilismo settario (oltre che l’insipienza dei loro portavoce) facesse dissipare un’inverosimile opportunità di riforme e regalasse al centrodestra una forza di ricatto insperata. Del disastro della notte e del giorno di Marini (che non lo meritava) inutile ripetere: Bersani ne è uscito, dopo 50 giorni di resistenza catoniana, come un inciucista finalmente smascherato. (Ve li ricordate, dal primo giorno, i titoli “da sinistra” sull’inciucio avvenuto?).
Avrebbe potuto il Pd aderire alla candidatura di Rodotà, come tanti hanno auspicato? Forse: sarebbe stata una capitolazione nei confronti dei 5Stelle, che in Rodotà avevano visto soprattutto una ghiotta occasione per imbarazzare il Pd, ma cedere a una pretesa strumentale e arrogante può non essere un errore. Lo considererei più nettamente tale se Rodotà avesse risposto all’offerta della candidatura dichiarando che l’avrebbe accettata solo nel caso che fosse di tutta Stefano Rodotàla sinistra: Scalfari ha fatto un’osservazione simile. I 5Stelle hanno sventolato il nome di Rodotà come una loro stretta bandiera, e al tempo stesso l’hanno proclamato come il candidato di tutti gli italiani contro quelli del Palazzo. Gli italiani avevano moltissimi altri candidati degni, per fortuna, e le stesse consultazioni varie lo mostravano (com’è noto, Emma Bonino era la preferita: è diventato un tic, gli italiani ce l’hanno, i politici non ci fanno più caso). La postuma pubblicazione di voti e preferenze delle cosiddette (pessimamente) quirinarie, hanno aggiunto un tocco di ridicolo al tono grillista. Bene: quando si sbaglia, specialmente se in buonissima fede, è buona norma di lasciar perdere, pena la valanga.
La candidatura brusca di Prodi – meritevolissima – è stata la toppa peggiore del buco. E ha mostrato come il Pd non abbia, come si dice, “due anime”, ma forse nemmeno una, e invece una quantità di cordate e bande, tenute assieme da altro che le divergenze politiche. Le convinzioni politiche sono la cosa più importante in un partito che aspira, come si dice, a cambiare il mondo, tranne un’altra: l’amicizia fra i suoi membri e i suoi militanti.
Per questo la scissione è forse un pericolo, ma non una cosa seria: la frantumazione sì. Sarebbe bene che ne tenesse conto chiunque si proponga davvero di “rifondare” (verbo inquietante) il Pd, e sia tentato da escursioni minoritarie. Eravamo al punto in cui il Pd, in stato del tutto confusionario, era a rimorchio della demagogia a 5Stelle da una parte – e di sue piazze scandalizzate e scandalose – della furbizia di Berlusconi dall’altra. L’elezione di Napolitano (una pazzia, in un mondo normale: un uomo molto vecchio che si era finalmente preparato uno scampolo di esistenza privata) è stata un escamotage provvidenziale: il suo effetto, quel governo delle “larghe intese” che si voleva escludere a priori, è il boccone più indigesto. È, amara ironia, il rovescio della distinzione cui Bersani aveva confidato la sua ostinazione, fra governo mai col Pdl e Quirinale condiviso: Quirinale confermato, e governo condiviso, a capo chino.
I 5Stelle? Le mosse furbe hanno gambe corte. I portavoce hanno spiegato che i voti in Friuli-Venezia Giulia sono quelli normali nelle regioni. Però il capo aveva annunciato che sarebbe stata la prima regione in loro mani. Credo che le persone che li avevano votati e hanno sentito sprecato il loro voto siano molte. Il bilancio provvisorio, con 5Stelle e Pd in caduta, e il Pdl in ascesa, è un capolavoro.
Propaganda anti-semita nella Germania pre-nazista e Propaganda 5 Stelle oggiVorrei aggiungere una cosa. Ci sono molti aspetti della situazione attuale che ricordano, ben più del precedente di Mani Pulite, quello remoto del primo dopoguerra, quasi cent’anni fa. Non c’era, nello scontro frontale fra sovversivi diciannovisti ed eversori fascisti una distinzione così netta di sinistra e destra. Le file del fascismo movimento erano piene di ex-socialisti, interventisti rivoluzionari, sindacalisti soreliani, massimalisti di ogni genere. Non era così chiaro, e a distanza di tanti anni fu penoso per tanti chiedersi da che parte erano stati, e perché, e come fosse stato possibile. A suo modo, e con una gran dose di autoindulgenza, Grillo evoca questa ambiguità quando ripete che il suo movimento è l’argine italiano all’Alba dorata greca o al lepenismo e alle altre insorgenze neonaziste in Europa. Il programma dei 5Stelle contiene molti obiettivi buoni per una sinistra della conversione ecologica, e anzi da quest’ultima pensati e proposti da lungo tempo.
La differenza sta altrove, nel Vaffanculo, nei Morti che camminano, nel Tutti a casa. La differenza fra il federalismo verde e aperto di Alex Langer e il razzista federalismo leghista passava dalle imprecazioni di Bossi e dei suoi. I buoni programmi smettono di essere minoritari e vincono quando vengono distorti e incattiviti dalla demagogia. “La gente” non ha infinite ragioni alla sua ribellione contro i privilegi e l’impudenza dei potenti? Certo. Ma che i parlamentari escano da Montecitorio da una porta secondaria – se è andata così – è un episodio di violenza e di viltà vergognose. A proposito del 25 aprile.»

 Adriano Sofri
 (La Repubblica – 25/04/13)

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