
Una peculiarità delle elezioni italiane, qualunque sia la loro natura, è che queste il giorno dopo il voto conoscono molti vincitori e nessun sconfitto.
Tempo addietro, regnante felicemente il Pornocrate di Arcore al massimo del suo turgore, greggi di blasonati politologhi da salotto, in riferimento alla situazione comatosa dell’allora ‘centrosinistra’, ne paragonavano la tenuta ad una sorta di “lega appenninica” arroccata nelle sue storiche riserve elettorali, circoscritte alle cosiddette “regioni rosse” della Liguria e del Centro Italia, giudicate come roccaforti imprendibili.
Con l’avvento del Bullo di Firenze, il partito bestemmia (erede degenere di quella tradizione) è riuscito a perdere anche laddove pareva impossibile. Soprattutto, dimezza i propri voti, scendendo a percentuali di gran lunga inferiori alla dileggiata “ditta” bersaniana, che mai era caduta così in basso, con una fuga in massa dalle urne tanto era improponibile l’offerta.
Perde in Liguria (e di brutto pure!) con l’unica candidata propriamente organica alla scuderia renziana, per giunta contro un’inconsistente protesi ectoplasmatica di un letargico Silvione al tramonto; tanto bucava la candidatura dell’arrembante Raffaella Paita, affondata con tutto il suo barcone nel Golfo del Tigullio, più pesta che mai.

Avrebbe perso ugualmente, anche sommando i voti dell’outsider a sinistra, Luca Pastorino, a cui troppo facilmente i chierichetti della sagrestia renziana vorrebbero ora attribuire le cause di una batosta senza precedenti.
Dal partito del 41% a Toti presidente!
Cosa ancor più ‘grave’, vince di misura in Umbria dove l’esangue partito, che si voleva della nazione, viene tallonato a stretto giro da un centrodestra più arzillo che mai. E l’andamento del voto rivela una disaffezione ben più profonda di quanto non si voglia ammettere dalle parti del Nazareno, mentre Lega Nord e M5S triplicano un po’ dovunque i consensi.
Vince anche in Campania, ma lo fa con l’impresentabile Vincenzo De Luca, lo sceriffo di Salerno (alleato con fascisti e camorristi), per cui il Bambino Matteo si è speso personalmente, salvo dover essere costretto da qui a breve a firmare il decreto per le dimissioni del neo-governatore, in ossequio alla Legge Severino sulla corruzione. A meno che non voglia cambiare la norma (col classico provvedimento ad personam), aprendo in ogni caso un conflitto istituzionale senza precedenti. In fondo, è solo una questione di tempo prima che esploda il “caso De Luca”, con effetti devastanti.
Per fortuna, in Campania il partito bestemmia può sempre contare sul fondamentale apporto di un Ciriaco De Mita (sempre per quella storia della rottamazione a targhe alterne), il quale scorge nelle magnifiche sorti progressive del PD la possibilità di una grande rinascita democristiana. Se ne sentiva proprio la nostalgia!
Dalle elezioni regionali ne esce stravolta pure Alessandra Moretti: la Lady Like buona per tutte le candidature, che finalmente potrà tornare a dedicarsi a tempo pieno alle sue cerette, dopo esser stata spazzata via in Veneto da un trionfante Luca Zaia (Veni, Vidi, Vici) in una partita senza competizione.
Ma il botto della deflagrazione deve aver raggiunto con la sua onda d’urto anche il bunker abusivo a Palazzo Chigi, occupato dall’ennesimo premier clandestino…
Matteo Renzi, quello che ci mette la faccia (ma solo quando vince facile), ha improvvisamente esaurito le battute. Ed in silenzio twitter è subito decollato in fuga verso l’Afghanistan, come un dittatorello detronizzato, a masticare la bile in solitudine, per una visita a sorpresa presso il contingente italiano, che certo non vedeva l’ora di assistere alla passerella di questa bastonata porchetta rignanese in imbarazzante tenuta mimetica. Giusto in concomitanza con le celebrazioni della Festa della Repubblica, tanto per essere sicuro di non dover incontrare il Presidente Mattarella con una (inopportuna) assenza strategica. Proprio come farebbe uno scolaretto impreparato, all’interrogazione concordata.
Come avevamo previsto con ampio anticipo, comincia con l’estate del 2015 la parabola discendente del Piccolo Principe, destinato ad un rapido declino fino alla sua definitiva scomparsa, tanto non se ne può più di questa brutta copia abborracciata del berlusconismo, ma in formato digitale, con la sua insopportabile carica di arroganza e presunzione, propaganda ed incompetenza, in un’esplosione pirotecnica di smargiassate provinciali e provocazioni gratuite, dove altro non emerge se non la compiaciuta esibizione di sé nel tronfio compiacimento di un narciso patologico.
Conoscendo il tipo, tornerà presto alla carica più strafottente che mai, con un nuovo campionario di fanfaronate da sparare in pubblico, come si conviene ad un Cazzaro di primo livello che abbia conosciuto la magia delle luci della ribalta.
Da parte nostra, onde persistere in sì magnifiche prestazioni e levarsi quanto prima dai co(xxx)oni (ci siamo capiti..!) gli consigliamo caldamente di:
a) Continuare a postare in giro il suo sformato faccione ridanciano, perennemente contratto in grassi sorrisi e ghigni compiaciuti tra un selfie e l’altro, per spargere ottimismo (il suo) tra “gufi” e “rosiconi” travolti dalla crisi e che non sanno più dove sbattere la testa. In genere, la Sindrome di Pollyanna è sempre un buon metro di misura per distinguere gli idioti…
b) Magnificare gli straordinari effetti del Jobs Act e della ripresa che non si vede, preferibilmente facendosi immortalare accanto a Sergio Marchionne ed agli amatissimi Elkann, contro livelli di disoccupazione senza precedenti nella storia repubblicana e con una politica di rilancio occupazionale tutta incentrata sull’estensione dei licenziamenti ai danni di chi un lavoro ancora ce l’ha.
c) Persistere nell’alleanza osmotica col mitologico Angelino Alfano e la sua famelica destra di ex-papiminkia fusi con la poltrona, tanto da ammetterli a partecipare in massa alle primarie del centrosinistra per far loro scegliere candidati a loro graditi, che poi osteggeranno alle elezioni.
d) Dichiarare guerra a tutto ciò che anche lontanamente possa assomigliare a qualcosa di ‘sinistra’: sia essa la “minoranza interna”, i “sindacati”, i “professoroni”… in tutta la paraconsistenza di chi non tiene in alcun conto le contraddizioni.
e) Intensificare (mi raccomando!) la rottura con insegnanti, studenti, ed il mondo della Scuola al gran completo da cui il PD attinge(va) 1/3 del suo elettorato. Di questo passo, il Bullo di Firenze comincerà ad agitare un mattone dinanzi alle telecamere, come un Frank Underwood fuggito dal set.
f) Posticipare le elezioni regionali di oltre un mese dalla scadenza naturale, in attesa di tirar fuori dal cappello magico qualche nuova marchetta elettorale, come gli ottanta euro, e millantare improbabili “tesoretti” salvo ricacciare poi tutto nel cilindro, agitando le mani vuote.
g) Stroncare ogni possibilità di ripresa, imponendo balzelli sui consumi, tassazioni indirette, accise aggiuntive e ritocchi IVA, continuando a togliere ai poveri per dare ai ricchi.
Ehi Matteo?!? Stai sereno! Che Tranquillo ha già fatto una brutta fine…
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This entry was posted on 1 giugno 2015 at 17:00 and is filed under Stupor Mundi with tags Campania, centrodestra, Centrosinistra, Costume, Elezioni regionali 2015, Giovanni Toti, Impresentabili, Italia, Liberthalia, Liguria, Matteo Renzi, Partito Democratico, PD, Politica, Raffaella Paita, Società, Vincenzo De Luca. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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2 giugno 2015 a 11:02
Vedo che hai delle “palle di vetro magiche” riesci a vedere dove noi comuni mortali non riusciamo :)… la verità è che la Liguria è stata persa grazie a Pastorino… l’autolesionismo è di moda nel PD… le politiche di un partito dovrebbero portare anche a dividere i concorrenti, non il proprio interno.
Comunque sono salite a 16 su 20 le regioni amministrate dal PD!
Il “cappotto” non è mai auspicabile per nessuno… e il partito del non voto ha fatto il resto…
2 giugno 2015 a 14:01
😉 Non mi sono mai appassionato troppo alle analisi statistiche dei flussi elettorali… Però mi permetto di aggiungere qualche piccola nota ‘metodologica’…
E’ comodo, ma distorsivo, sommare in un unico paniere le elezioni regionali del 2013 e quelle del 2015, non foss’altro perché se si misura la capacità di “attrazione” elettorale bisogna tener conto che due anni fa il PD aveva un altro segretario e politiche completamente diverse rispetto a quelle odierne, che invece contraddistinguono il corso renziano.
Quindi, rapportato ai risultati elettorali della vecchia segreteria Bersani nel 2013, il Partito di Renzi perde in ambito regionale la bellezza di un milione di voti. Ma rispetto alle strombazzatissime Europee del 2014 (in un solo anno) si ritrova con ben due milioni in meno di voti (!), ai quali vanno aggiunti tassi di assenteismo in alcuni casi superiori al 50%.
Se non è una sconfitta personale del Principino ed una sonora bocciatura delle sue politiche di governo, poco ci manca.
Ad onor di cronaca, faccio notare che gli esecrati Walter Veltroni e Massimo D’Alema (contro cui Renzi ha costruito la sua “rottamazione”), dopo la sconfitta alle elezioni regionali (rispettivamente del 2009 e del 2000), si dimisero entrambi: il primo da segretario ed il secondo da presidente del consiglio. Matteo Renzi, quello che non è attaccato alla poltrona e non è affamato di potere, NON ci pensa nemmeno. Anzi!
E rimane tanto segretario del partito tanto premier.
In fondo si tratta di una diversa percezione di stile: un democristiano (di razza dorotea-fanfaniana) è per sempre.
In aggiunta, perdere in Liguria (e rischiare di perdere in Umbria con una vittoria striminzita) era fino ad un paio di anni fa considerato qualcosa di semplicemente inconcepibile a ‘sinistra’. E’ come un centrodestra che perde in Veneto. Uno schock! Inutile girarci attorno, consolandosi con la Campania.
Figuriamoci se poi si viene sconfitti in casa da una nullità assoluta come Giovanni Toti, il quale non sa neppure che Novi Ligure si trova in Piemonte (provincia di Alessandria).
Sempre a proposito di Liguria, un po’ di psicologia elettorale spicciola:
La candidatura di Pastorino nasceva in rottura con la candidatura di Raffaella Paita ed in aperta polemica con la scelta fatta dal PD ‘renziano’ (di cui Paita era diretta emanazione, rappresentando l’unico e vero candidato di bandiera del segretario). Mi pare abbastanza ovvio che chi ha votato per Pastorino (nella piena consapevolezza che questi non aveva alcuna chance di essere eletto), non avrebbe mai votato per la Paita. Quindi sottrarre i voti di Pastorino a quelli di una Paita mi pare una operazione abbastanza capziosa ed una lettura un po’ furbesca dell’andamento elettorale. Un po’ come quando il M5S sostiene che gli astenuti sono da considerarsi voti dati ai cinque stelle.
Se mi interessa un partito e un candidato, lo voto: non mi astengo o scelgo altro. Mi sembra un concetto piuttosto lapalissiano. In proposito, si potrebbe perfino supporre che proprio la presenza di un Pastorino abbia costituito per molti elettori una valida alternativa all’astensionismo.
Ciò detto, le liste che appoggiavano Pastorino hanno preso in totale 35.593 voti (6,6% dei consensi elettorali). Il candidato Pastorino 61.988 voti (9,4% dei consensi). Ad occhio e croce, si può ipotizzare con una certa facilità che quasi 1/3 dei suoi elettori abbia praticato il voto disgiunto: voto di lista al PD, voto di presidenza a Pastorino.
Chi votava Pastorino, in assenza non avrebbe mai votato per la Paita che crolla proprio nelle roccaforti ‘rosse’ di Levante. E questo dovrebbe aprire più di qualche parentesi su quale fosse la vera candidatura “divisiva”, anche se la cosa sembra piuttosto difficile da digerire al Nazareno che deve ora giustificare una sconfitta senza eguali, a maggior ragione che nel 2010 Claudio Burlando vinse col 52,6% delle preferenze ed un’affluenza alle urne del 70%.
Questo se si vogliono confrontare i dati per una valutazione statistica.
2 giugno 2015 a 17:45
😉 Non essere troppo rigido…
E’ normale per chi governa perdere consenso, si sa la vita è una contraddizione e spesso un compromesso… l’importante è non eroderlo fino ad annullarlo, solo i “partiti unici” al governo non lo perdono.
« Votare secondo disciplina fa parte del patto costitutivo di un’organizzazione. Una banale formula di rispetto reciproco. O si è un partito o si è un casino »
Buon vecchio e collaudato centralismo democratico dove sei tu?
La verità è che quando uno “sposa” le nostre idee è bravo ed intelligente quando “sposa” le idee di altri… è poco più di un pirla.
Ora è la sua stagione breve o lunga che sia, per lui, ma non solo, sembra valere il motto:
” Tu pensa pure quello che vuoi, ognuno deve vivere con i propri pensieri. ”
– In democrazia – il partito del non voto conta come il due di coppe quando briscola è denari.
2 giugno 2015 a 18:18
Il belga David van Reybrouck, autore di un interessante pamphlet “Contro le elezioni” (e di un saggio straordinario sul Congo), in merito avrebbe molto da ridire…:)
«Siamo alle prese con la democrazia da circa 3 mila anni, ma lo strumento delle elezioni lo usiamo da soli 250. Le elezioni sono state inventate, dopo le rivoluzioni americana e francese, non certo per fare avanzare la democrazia, ma semmai per arrestare e controllare i suoi progressi. Il voto ha permesso di sostituire a un’aristocrazia ereditaria una nuova aristocrazia elettiva.
[…] Non sono un bolscevico. Semplicemente prendo atto che le elezioni hanno portato a vere iniezioni di democrazia fintanto che si allargava il suffragio, esteso a tutti gli uomini e poi a tutte le donne. Da decenni ormai il percorso si è di fatto invertito e, soprattutto in Occidente, i cittadini sono stanchi di una partecipazione fondata quasi solo sul voto. Nel mio libro precedente Congo (in Italia lo pubblicherà Feltrinelli, ndr) racconto la colonizzazione belga in Africa e poi i sacrifici immensi di tanti che hanno perso la vita per ottenere libere elezioni. Vedere come questo strumento venga sempre di più snobbato in Occidente deve far riflettere e ha poco senso gettare tutta la responsabilità su milioni di cittadini che legittimamente non credono più a quest’organizzazione della società e della politica.
A dare la colpa ai politici sono i populisti. Da Silvio Berlusconi a Geert Wilders e Marine Le Pen ai nuovi arrivati Nigel Farage o Beppe Grillo. Chi critica la democrazia invece vanta i successi della tecnocrazia, evidenti in Cina per esempio, secondo uno schema opposto rispetto ai populisti: invece di privilegiare la legittimità, i tecnocrati puntano all’efficenza. Oppure, ci sono quelli che incolpano la democrazia rappresentativa, come fanno i movimenti come We are the 99% e gli Occupiers americani o gli Indignados. Io invece me la prendo con le elezioni, o meglio con la pigrizia di ridurre tutto al voto. Le elezioni sono il combustibile fossile della politica: un tempo erano in grado di stimolare la democrazia, ma ora provocano problemi giganteschi. Questo non significa che abbia visto con favore la nomina in Italia, da Mario Monti in poi, di presidenti del Consiglio non eletti.»
2 giugno 2015 a 21:42
– Andate sempre a votare. Chi non sceglie lascia il potere alla folla. La folla sceglie Barabba… sempre! –
3 giugno 2015 a 01:12
🙂 In effetti, oggi Barabba verrebbe sicuramente eletto.
E sarebbe pienamente legittimato dal voto.
Una garanzia!