Archivio per Signoraggio

Grullo a 5 Stelle

Posted in Stupor Mundi with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 12 gennaio 2013 by Sendivogius

LA PATACCA

Povero Beppe Grillo, in arte Grullo!
Invece di depositare il contrassegno della lista elettorale presso l’apposito ufficio del Ministero dell’Interno, come da più di mezzo secolo prevede la Legge (n.361 del 30/03/1957), e preoccuparsi Scemo di guerradella fila, è così impegnato a corteggiare i fascisti di Casa Pound e improvvisare comizietti davanti al Viminale, con le sagome di cartone del MoVimento ensifero che ridono a comando ad ogni menata del Guru, da farsi scavalcare da un gruppo di truffatori professionisti, specializzati in contraffazione elettorale, facendosi battere sul tempo nella registrazione di una lista che è un falso spudorato dell’originale M5S.
Lo squallido giochino, molto in voga da almeno 30 anni, rientra in quel fenomeno vergognoso e tutto italiano, conosciuto in ambito elettorale col nome di “Liste civetta”: in pratica una truffa legalizzata (e piuttosto marchiana), contro la quale solitamente ci si premunisce con largo anticipo, tramite registrazione di logo e nome e varianti, affidandosi a legali specializzati.
Scopri l'erroreNell’inconveniente, con tutta la sprovvedutezza dei neofiti, sono incappati anche i neo-movimenti HEIL BEPPE!di Ingroia e del robot Monti… Ma non ditelo a Beppe Grillo, tanto non gli par vero di poter agitare a costo zero gli stracci logori del vittimismo professionista, dove il delirio persecutorio si fonde con le manie di grandezza che contraddistinguono l’istrione.
Con Lui, l’ordinario si trasmuta in straordinario e tutto si trasforma in complotto esclusivo, in congiura ordita ai suoi danni… Le scandalose inefficienze dell’ufficio elettorale, la vergognosa disorganizzazione del ministero, che chiunque abbia mai avuto a che fare con una tornata elettorale conosce benissimo, diventa una caso personale, una cospirazione ad personam organizzata dal ‘sistema’ per boicottare la dirompente carica rivoluzionaria del “capo politico” che si crede l’ombelico del mondo, del Messia defraudato della vittoria.

 

 

CalimeroE non contento inscena furbescamente lo psicodramma con tanto di pantomima inclusa, minaccia di ritirarsi dalla competizione elettorale, strepitando e chiedendosi chissà quale cospirazione internazionale si celi dietro cotale attentato!
Per una volta, vogliamo prestare soccorso al povero perseguitato, travestito da Calimero
In merito al ricorso contro la lista-patacca, all’idiota ed ai suoi dummies ricordiamo come la summenzionata legge elettorale preveda:

Art.14
1. I partiti o i gruppi politici organizzati, che intendono presentare candidature nei collegi uninominali o liste di candidati, debbono depositare presso il Ministero dell’interno il contrassegno col quale dichiarano di voler distinguere le candidature nei collegi uninominali o le liste medesime nelle singole circoscrizioni. All’atto del deposito del contrassegno deve essere indicata la denominazione del partito o del gruppo politico organizzato.
2. I partiti che notoriamente fanno uso di un determinato simbolo sono tenuti a presentare le loro liste con un contrassegno che riproduca tale simbolo.
3. Non è ammessa la presentazione di contrassegni, sia che si riferiscano a candidature nei collegi uninominali sia che si riferiscano a liste, identici o confondibili con quelli presentati in precedenza ovvero con quelli riproducenti simboli usati tradizionalmente da altri partiti.
3 bis. Ai fini di cui al terzo comma costituiscono elementi di confondibilità, congiuntamente od isolatamente considerati, oltre alla rappresentazione grafica e cromatica generale, i simboli riprodotti, i singoli dati grafici, le espressioni letterali, nonché le parole o le effigi costituenti elementi di qualificazione degli orientamenti o finalità politiche connesse al partito o alla forza politica di riferimento.
ter. Non è ammessa, altresì, la presentazione di contrassegni effettuata con il solo scopo di precluderne surrettiziamente l’uso ad altri soggetti politici interessati a farvi ricorso.
4. Non è ammessa inoltre la presentazione da parte di altri partiti o gruppi politici di contrassegni riproducenti simboli o elementi caratterizzanti simboli che per essere usati tradizionalmente da partiti presenti in Parlamento possono trarre in errore l’elettore.

L'ESORCISTA - by Liberthalia

Art. 16
1. Il Ministero dell’interno, nei due giorni successivi alla scadenza del termine stabilito per il deposito, restituisce un esemplare del contrassegno al depositante, con l’attestazione della regolarità dell’avvenuto deposito.
2. Qualora i partiti o gruppi politici presentino un contrassegno che non sia conforme alle norme di cui all’art. 14, il Ministero dell’interno invita il depositante a sostituirlo nel termine di 48 ore dalla notifica dell’avviso.
3. Sono sottoposte all’Ufficio centrale nazionale le opposizioni presentate dal depositante avverso l’invito del Ministero a sostituire il proprio contrassegno o dai depositanti di altro contrassegno avverso l’accettazione di contrassegno che ritengano facilmente confondibile: a quest’ultimo effetto, tutti i contrassegni depositati possono essere in qualsiasi momento presi in visione da chi abbia presentato un contrassegno a norma degli articoli precedenti.
4. Le opposizioni devono essere presentate al Ministero dell’interno entro 48 ore dalla sua decisione e, nello stesso termine, devono essere notificate ai depositanti delle candidature e delle liste che vi abbiano interesse. Il Ministero trasmette gli atti all’Ufficio centrale nazionale, che decide entro le successive 48 ore, dopo aver sentito i depositanti delle candidature e delle liste che vi abbiano interesse.

Perciò, meno sceneggiate e più fatti!
In merito invece alla fantomatica identità dei contraffattori (“Chi c’è dietro?”), noi abbiamo impiegato meno di cinque minuti per sciogliere l’arcano…
Lo specialista in materia si chiama Renzo Rabellino; piemontese, si presenta così:

Renzo Rabellino (1) “Nato a Torino il 12/09/1958, imprenditore, sposato padre di un figlio. È segretario nazionale del Movimento NO EURO; vicesindaco di Sambuco (CN) dove risiede; dal 2001 consigliere della Circoscrizione IV di Torino. Militante dal 1980 nei movimenti autonomisti Union Piemonteisa prima e Piemont Autonomista poi, è stato il fondatore della Lega Nord nel 1989; consigliere regionale del Piemonte dal 1990 al 1995. Dal 1995 Consigliere Comunale a Osasco (TO), Massello (TO) e Cissone (CN) e per cinque anni nella Comunità Montana Val Chisone e Germanasca nel periodo preolimpico.”

Più prosaicamente, è un pataccaro esperto in parassitismo politico. A giudicare dai fatti, la sua principale attività imprenditoriale pare consista nell’operare azioni di disturbo politico, attraverso la creazione di liste civetta assemblate in serie, presumibilmente per raggranellare i soldi dei rimborsi elettorali.
Monti - Liste civettaSua è l’idea della “Lista Monti” (Samuele), ma in passato si era già presentato con una lista Lega Padana-Piemont e una “Lista Cota” (Nadia) sempre per il Piemonte, la lista “Verdi-Verdi”
Naturalmente, Grillo lo conosce bene visto che l’inossidabile Rabellino ha tentato più volte di sfruttarne il nome per i propri fini. Nella fattispecie ci aveva già provato con: “Amici di Beppe Grillo”“Lista del Grillo”… “Grilli parlanti”… e sempre diffidato dal comico genovese.
GRILLO - Liste civettaAlberto Sordi - 'Bertoldo Bertoldino e Cacasenno'Tipico prodotto dei villaggi della pedemontana, è il classico Bertoldo di provincia che si crede diabolicamente furbo, almeno a giudicare dal livello dei mezzucci coi quali sembra arrabattarsi per sbarcare il lunario…
Nel 1990 la Lega Nord (della quale sostiene essere tra i fondatori) lo fa eleggere consigliere regionale per il Piemonte, salvo espellerlo dal partito tre anni dopo.
Ovviamente, Rabellino è un convinto sostenitore di quell’immane idiozia, conosciuta come “signoraggio bancario”: ossessione prediletta da ogni deficiente che si riconosca nei deliri del complottismo. Da questo punto di vista, il suo capolavoro è costituito dal movimento No-Euro di cui è segretario nazionale.
Renzo Rabellino (2)Quando non è impegnato a clonare liste e fantasticare su autonomismi e devoluzioni tribali, il nostro eroe bazzica gli ambienti neo-fascisti, galleggiando tra le formazioni di estrema destra: dalla Fiamma Tricolore a La Destra, passando per Forza Nuova.
Per rendere l’idea del personaggio, Rabellino si era già presentato alle elezioni politiche del 2008 come segretario della Lista No Euro – Grilli parlanti, in quella che lui stesso ribattezzò “Operazione Alias”:

«La lotta per ottenere voti e consensi da parte degli elettori confrontandosi con altri partiti più grossi è però molto difficile, così il candidato premier della lista, Renzo Rabellino, decide di mettere in moto l’operazione Alias. Essa consiste nel candidare nelle varie regioni degli omonimi di personaggi politici, per risultare in questo modo più visibili, inducendo alla confusione eventuali votanti; così facendo essi hanno inserito in quasi tutte le circoscrizioni elettorali per il senato l’imprenditore piemontese Giuseppe Grillo, seguito a ruota da Pericle Barlusconi (leader dei Pensionati e Invalidi).»

D’altronde, le cialtronate del personaggio sono note da anni. Persino Il Giornale dedica un articolo al funambolico falsario di liste in un ispirato articolo del 2010 [QUI] in cui si può leggere:

«Rabellino, vecchia volpe sabauda a suo agio nel sottobosco dei consigli, da quelli di condominio a quelli regionali, a suo modo è un genio. Un incrocio tra Totò falsario e quei tarocchi tipo i jeans Lewis o le scarpe Naik. La sua peculiarità, infatti, sta nell’ideare liste civetta con l’intento di gabbare elettori disattenti a colpi di omonimie, simboli simili e altri specchietti per allodole.
[…] Riavvolgendo il nastro della sua carriera, si arriva alle Politiche 2008, quando le carte bollate riguardarono Beppe Grillo. Anzi, riguardarono due Beppi Grilli. Il comico genovese e il 54enne Giuseppe Grillo detto Beppe, nato a Bra, che il nostro incontrò a una raccolta firme e candidò a premier tra le proteste generali. Con secondo in lista tale Pericle Barlusconi.»

Marco Zucchetti
Il Giornale – 02/03/10

Renzo Rabellino Per la sua indefessa attività di pataccaro, questo cialtrone matricolato è stato condannato nel 2010 a due anni e dieci mesi di reclusione, subito dopo che si era presentato invano alle elezioni regionali del Piemonte nel 2009 con l’appoggio di nove liste tra le quali vale la pena di ricordare: “Pensionati e invalidi”; “No privilegi politici”; “Moderati”; “AutomobiLista”; “Forza Toro”.
Nell’Ottobre 2010 il Tribunale di Torino predispone nei confronti di Enzo Rabellino:

«la sospensione dei diritti elettorali e l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni. L’accusa, sostenuta dal pm Patrizia Caputo, aveva chiesto una condanna a quattro anni di reclusione. Tre le firme in una delle liste a sostegno di Rabellino c’era anche quella dell’attrice Luciana Littizzetto che, chiamata a testimoniare nel corso del processo, ha negato di aver firmato.»

La notizia la trovate pubblicata su La Stampa [QUI].

Il Grullo a 5 stelle però fa finta di scoprire uno come Rabellino soltanto ora, tanto gli torna comodo l’utile idiota di turno per la coesione della setta.

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Monti Python

Posted in Business is Business, Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 14 novembre 2011 by Sendivogius

Ogni momento storico ha il suo personaggio di riferimento.
Seppellito provvisoriamente il grande statista di Arcore sotto due metri di cerone, in attesa della risurrezione con contorno di Maddalene piangenti e ladroni mai pentiti, tutti i riflettori e le aspettative sono ora rivolte verso il prof. Mario Monti, che avrà il compito più che gravoso di traghettare l’Italia fuori dal guano in cui il Pornocrate l’ha precipitata.
In attesa del lieto evento, si sprecano i fiumi di inchiostro per delineare la caratura del nuovo personaggio del giorno, tra le interpretazioni e le disamine più svariate sulla biografia del prof. Monti. Pertanto, l’etere potrà benissimo fare a meno del nostro più che superfluo contributo.
Sulla figura di super-Mario, in pirotecnica staffetta, si alternano panegirici agiografici e critiche serrate… I commentatori più intelligenti ricordano il suo ruolo organico nel mondo finanziario. Ironizzano sul paradosso di colui che dovrebbe salvare la situazione, applicando le ricette di chi la crisi l’ha creata, forse nella convinzione che abbia la stessa efficacia dei vaccini estrapolati dagli agenti virali alla base della malattia. E ne sottolineano la contraddizione implicita di una candidatura di ‘sistema’. A dire il vero più potenziale che sostanziale…
Si lamenta la prevalenza dei governi di tecnici sulla ‘Politica’ e la presunta “perdita di sovranità democratica”, ma si dimentica che ogni governo per essere tale deve reggersi necessariamente sul consenso di maggioranze parlamentari. Fino a prova contraria, la nostra Costituzione prevede che il “popolo” elegga i parlamenti e NON i governi, i quali ricevono la loro legittimazione dalle Camere. Ne consegue che ogni governo è ‘politico’ e dura fintanto che ha il sostegno in Parlamento, quale unico e vero “rappresentante della volontà popolare” per indiretta intermediazione.
 In realtà, questi sarebbero concetti basilari nella complessità dell’architettura costituzionale. Ma nelle reiterate semplificazioni della finzione berlusconiana (la cui nefasta eredità dovremo metabolizzare a lungo) si preferisce lanciare generiche invocazioni alla “Libertà” (concetto vacuo se privato di sostanza), lamentando la “perdita di democrazia” nell’illusione che i due concetti costituiscano un’equazione certa a prescindere. Una simile pretesa risulta quanto mai impropria per una compagine governativa, che ha convertito i timori di un Alexis de Tocqueville sul “dispotismo della maggioranza” in prassi ordinaria. D’altra parte, una democrazia politica mutua le sue maggioranze dal filtraggio delle preferenze collettive, secondo i meccanismi elettorali della rappresentanza indiretta per delega (in bianco). Nella fattispecie, il sistema elettorale italiano è quanto di meno rappresentativo possa esistere in termini di scelta. Le maggioranze elettorali che ne scaturiscono, lungi dall’essere espressione esplicita di una sedicente “volontà popolare”, sono il risultato di un compromesso tra interessi e aspirazioni divergenti, nell’impossibilità di rispettare la scelta originale dell’elettore. La questione era ben chiara fin dagli albori della democrazia, quando il Marchese de Condorcet elaborò il famoso “paradosso” che porta il suo nome e dal quale Kenneth Arrow strutturò il suo Teorema dell’Impossibilità nel 1951.
Ad ogni modo, qualora il prof. Monti fosse il robotico tecnocrate imposto dall’Europa, esautorando la ‘Politica’, bisognerebbe anche rammentare cosa quest’ultima è stata capace di esprimere nel corso dell’ultimo trentennio e tenere a mente di quale pasta siano fatti i politicanti nostrani, professionalizzati nella mortificazione delle competenze.
È altresì curioso che le principali rimostranze provengano da uno schieramento politico, imperniato sull’infallibilità del Führerprinzip, che ha fatto della forzatura costante delle regole, della commistione tra pubblico e privato in un abnorme conflitto di interessi, delle tutele corporative e dell’affarismo dilagante… lo strumento permanente della sua azione cogente.
Tuttavia, già dimentica dell’austero predecessore, la vulgata comune dei detrattori preferisce il ritratto di un Monti rappresentato come uno strumento (agente rettiliano?) della Finanza internazionale (ebraica?), intesa come un unico blocco di potere (occulto) impegnato a perseguire un articolato disegno di egemonia e controllo globale. Per l’occasione, non manca chi rispolvera l’antico complotto pluto-giudaico-massonico di fascistissima memoria, confezionato sempre in nuove varianti.
Dispiace constatare quanto, dopo la morte delle ideologie, come alternativa abbiano attecchito nell’immaginario di massa le demenziali panzane sul “signoraggio bancario”, saldamente innestate nel substrato d’accatto culturale di un cospirazionismo complottardo, che non va oltre i libracci di Dan Brown, pesca a man bassa dalle fortunate baggianate di Michael Baigent e Richard Leigh, e soprattutto ha eletto a verità di fede la pletora di deliri paranoici condensati nel fantomatico NWO.
La prova inconfutabile risiede nel fatto che Mario Monti sia l’uomo della famigerata Goldman Sachs, il cui board sembrerebbe controllare le principali istituzioni economiche e politiche su scala globale, tramite una serie di figure chiave piazzate tra i diversi schieramenti politici.
Che una delle più grandi banche d’affari del pianeta si serva di personaggi di comprovata esperienza per la gestione dei propri capitali ed investimenti finanziari, affidando a specialisti del settore (advisor) la revisione dei propri bilanci, è un fatto lapalissiano. Solitamente le grandi holding e le multinazionali non affidano la gestione contabile al figlio ragioniere del vicino di casa.
Non dovrebbe essere un concetto troppo difficile da capire, a meno che non si viva nel paese della nipote di Moubarak e delle cene (orge) eleganti.
L’apparente comunanza di interessi e di vedute, con una soluzione di continuità ideale di proposte e interventi di risanamento, non risiedono certo in un “complotto” d’ispirazione mistico-esoterica, ma nell’accettazione pressoché universale di una medesima matrice economica, convertita in ideologia dominante su base politica, che non prevede alternative né eterodossie in nome di un modello capitalistico che da prevalente è diventato dominante. È logico che istituzioni e governi conformino l’azione politica e le proprie linee guida a livello economico, in ossequio ad un unicum considerato imprescindibile. Attualmente, costituisce quel complesso dottrinario nelle teorie macro-economiche, chiamato neo-monetarismo. Ma era già conosciuto agli albori del XX secolo col nome di “capitale finanziario”.

«Il monetarismo, la UE lo ha elevato a dottrina centrale e indiscutibile addirittura per costituzione (costringendo a votare di nuovo chi si era espresso contro, fino a non fare votare per nulla la sua ultima riproposizione, il “Trattato di Lisbona”). I parlamenti sono stati esautorati delle loro prerogative attraverso limitazioni di mandato, o meccanismi di voto alterati sino a escludere opposizioni ostili alla filosofia di fondo. Ogni impegno è volto a impedire che i cittadini possano influire sulle scelte determinanti che li riguardano.
Naturalmente, l’effetto è più sensibile nelle fabbriche, la cellula autoritaria per eccellenza. Guai a ostacolare l’efficientismo dei padroni, salvo una trasmigrazione delle aziende. Si pisci di meno, si mangi di meno, si lavori fino allo sfinimento, dal giorno alla notte. Altrimenti produrremo (senza peraltro vendere) dove la forza-lavoro costa quasi un cazzo, e dove i diritti dei lavoratori confinano con quelli della prima rivoluzione industriale. Sindacati gialli, forti solo di una base di pensionati iscritti a forza per presentare la dichiarazione dei redditi, applaudono entusiasti. Due ipotesi alternative: o non hanno capito nulla, o hanno capito troppo e sono complici. Buona la seconda.
Ma come si fa, senza riuscire a vendere ciò che si è prodotto (per esempio automobili), a tenersi sul mercato? Il fatto è che il capitale finanziario ha finito col sovrapporsi al capitale reale. Hilferding lo aveva previsto, ma anche Marx lo aveva intuito (con la formula D-M-D: si rilegga il primo volume de Il Capitale per vedere cosa significa). La “M”, merce, è comunque uscita di scena. Paesi prosperi come l’Irlanda o la Spagna sono messi in un angolo, declassati da entità futili quali le agenzie di rating. Agenti fasulli e obbrobriosi, che solo una teoria forsennata come il monetarismo, privo di qualsiasi base scientifica (come aveva dimostrato il compianto Federico Caffè in Lezioni di politica economica, Bollati-Boringhieri, 1980), poteva formulare. Ebbene, proprio il monetarismo è la dottrina ufficiale dell’Unione Europea. Non conta quanto un Paese sia vitale e produttivo. Conta, per valutarlo, il suo indebitamento. Verso cosa? Verso un debito complessivo più grande. Tutti sono indebitati. Specialmente l’Africa, il continente più ricco di materie prime e di giacimenti. Guarda caso, sembra il più povero. I suoi abitanti fuggono al nord inseguiti dalla fame. Chi li perseguita? Una povertà naturale? No, il debito. Chi è ricco diventa povero, chi è povero diventa ricco. C’è qualcosa che non va.
Uno spettro si aggira per l’Europa e per il mondo: è un errore di calcolo. Non ha niente a che vedere con l’economia propriamente intesa, cioè con la ripartizione delle risorse tra gli appartenenti al genere umano, cercando di far sì che esistano beni per tutti. E’ una follia collettiva che va oltre le atrocità del capitalismo, cioè la versione moderna del rapporto tra padroni e schiavi. Siamo alla servitù delle cifre, si produca o no. Siamo servi di un registratore di cassa in mano altrui, che pare manipolato da un folle. Ma folle non è poi tanto. Sceglie quale classe colpire, per farla vittima delle sue bizzarre matematiche. E’ sempre la classe subalterna, quella dei salariati e degli stipendiati. Tutto si tocchi salvo i profitti e le rendite, essenziali ai fini dell’algebra astratta del regno della finzione economica. Dove chi non produce guadagna, chi produce soffre, chi sarebbe ricco è povero, chi è povero lo è per calcoli immateriali e per flussi di ricchezza inesistente fatti apposta per non beneficiarlo.
Il “debito pubblico” è un’astrazione legata a un’ideologia stupidissima, oggi l’unica insegnata nelle università – il “monetarismo”, più la sua variante volgare, la Supply Side Economy, cara a Reagan, alla Thatcher, a Pinochet – e il sistema, vergognoso, vi ha costruito sopra un intero edificio teorico.»

Valerio Evangelisti
“Economia metapolitica”
Carmilla on line – 04/01/04

 A proposito di “capitale finanziario”, alla vigilia dell’insediamento del Governo Monti, sarà il caso di ricordare un personaggio come Rudolf Hilferding: economista di estrazione marxista ed esponente di spicco della SPD tedesca, fu Ministro delle Finanze nella Repubblica di Weimar prima dell’avvento del nazismo. Su Hilferding potete leggere un’ottima monografia dello storico Lucio Villari: QUI.
Secondo Hilferding, il capitalismo industriale, fondato sui principi del libero scambio, è destinato ad essere sostituito integralmente dal capitalismo finanziario, in perfetta sinergia con gli organismi statali che ne diventano diretta espressione politica di tipo oligarchico.

«La caratteristica del Capitalismo “moderno” è data da quei processi di concentrazione che, da un lato, si manifestano nel “superamento della libera concorrenza”, mediante la formazione di cartelli e trust, e, dall’altro, in un rapporto sempre più stretto fra capitale bancario e capitale industriale. In forza di tale rapporto, il capitale assume […] la forma di capitale finanziario, che rappresenta la sua più alta e più astratta forma fenomenica. Lo schema mistico che vela in genere i rapporti capitalistici raggiunge qui il massimo della impenetrabilità»

Rudolf Hilferding
“Il capitale finanziario”
Feltrinelli, 1976

Hilferding collega la nascita del capitalismo finanziario alla vocazione imperialistica dello Stato-Nazione e la funzione del nazionalismo nella legittimazione ideologica dell’imperialismo predatorio. La sua opera principale è per l’appunto “Das Finanzkapital” (Il capitale finanziario) del 1909. Oggi è un saggio praticamente misconosciuto, ma ai tempi della sua pubblicazione riscosse un notevole interesse. Le dinamiche del nazionalismo imperialista catturarono l’attenzione di Lenin che, pur non perdendo occasione di denigrare Hilferding, lo cita in continuazione nel suo “L’Imperialismo” (1916), dopo aver saccheggiato a man bassa l’opera omonima di J.A.Hobson del quale ci eravamo già occupati QUI).
Il pensiero di Rudolf Hilferding, che non è esente da cantonate clamorose, contiene comunque presupposti più che attuali evidenziando il ruolo delle banche nella determinazione del capitale finaziario…

«Una parte sempre crescente del capitale dell’industria non appartiene agli industriali, che lo utilizzano. Essi riescono a disporne solo attraverso le banche, le quali, nei loro riguardi, rappresentano i proprietari del denaro. Gli istituti bancari devono d’altronde fissare nell’industria una parte sempre crescente dei loro capitali, trasformandosi quindi vieppiù in capitalisti industriali. Chiamo capitale finanziario quel capitale bancario, e cioè quel capitale sotto forma di denaro che viene, in tal modo, effettivamente trasformato in capitale industriale.
[…] Il capitale azionario viene svalutato, il che significa che gli utili vengono suddivisi su un capitale più ristretto. Nel caso poi che non vi sia alcun utile, viene raccolto nuovo capitale il quale, insieme a quello già posseduto e svalutato, riesce di nuovo a produrre un utile sufficiente. Va notato, a questo proposito che questo riassestamento e questa riorganizzazione hanno per le banche una duplice importanza: in primo luogo perché rappresentano affari vantaggiosi e, in secondo luogo, perché offrono loro l’occasione di assoggettare quelle società che si siano rivolte a loro per aiuti

È un modello speculare alla ciclicità delle crisi economiche e permette l’acquisizione di insperati margini di profitto, con specifiche conseguenze in ambito sociale:

«Il capitale finanziario è la risposta del modo di produzione capitalistico alla non mobilità del capitale reale (la concentrazione del capitale)
[…] Un conto è la concentrazione (riproduzione su scala allargata: accumulazione), un conto è la centralizzazione (semplice cambiamento nella distribuzione dei capitali già esistenti). La centralizzazione aumenta il processo di accumulazione, allarga la composizione tecnica del capitale e fa diminuire la domanda relativa di lavoro

Non esiste alcun complotto del Grande Capitale, trasmutato nei tentacoli della Finanza universale teleguidata da intelligenze aliene, ma un’idea… una precisa linea di pensiero… tradotta in modello universale, ma relativamente recente che prospera nell’ignoranza di plebi che concionano di “signoraggi” e “cospirazioni globali”.
Se ci perdonate l’ennesima citazione rubata:

«Bisognerebbe riscoprire Rudolf Hilferding, da cui Lenin attinse a piene mani, pur coprendolo di insulti per le prese di posizione contingenti dell’economista. Cosa sosteneva Hilferding, ne “Il capitale monopolistico”? Che il capitale astratto avrebbe progressivamente preso le redini dell’economia produttiva, fino ad assumerne il pieno controllo. Non con un atto di forza, bensì per reciproca complicità. I profitti reinvestiti nel settore finanziario, a scapito degli investimenti nella produzione di merci. Il monopolista e il banchiere che finiscono per essere una persona sola. Anzi, una non-persona: Monsieur Le Capital l’aveva chiamata Marx (e così l’avrebbe chiamata uno studioso lucidissimo, Marco Melotti, scomparso di recente).
Hilferding è stato tra i pochi, seri, continuatori di Marx, al di là di scelte politiche oggettivamente discutibili, e di soluzioni controverse (secondo lui, nazionalizzando le banche, un governo socialista avrebbe automaticamente assunto il controllo delle grandi imprese). Ciò che resta valido, nel suo ragionamento, è la denuncia della tendenza del capitalismo a farsi progressivamente più evanescente, a fondarsi su un sistema simbolico sempre più distante da ciò che crea ricchezza, e cioè il lavoro.
Perduto il referente concreto, si avrà un assetto instabile, soggetto a periodiche crisi (qui non è più Hilferding che parla, ma Marx in persona). Fino alle paradossali inversioni cui il capitalismo moderno ci ha abituati. Un’azienda è tanto più sana quanti più lavoratori espelle (sì, ma quanto consumeranno dopo gli espulsi? Quale domanda solleciterà gli investimenti?). Un’economia è tanto più solida quanto più comprime la spesa (meno servizi gratuiti, minore accesso a ciò che spetterebbe di diritto: salute, casa, scuola e altri capisaldi del vivere civile. Privatizzare il privatizzabile). Un paese è tanto più povero quanto più è ricco di risorse naturali.
Su tutto, lo spettro sempiterno di minacce diaboliche e impalpabili: il debito incombente, la stramaledetta inflazione, l’eccesso di moneta sui mercati, ecc. A suo tempo, da Keynes si passò a Milton Friedman, e a lui si ispirarono Ronald Reagan e Margaret Thatcher, più i loro devoti successori. Peccato che Friedman, e con lui gli economisti “supply siders”, mai abbiano messo assieme una dottrina organica dell’economia. Andavano a casaccio. I loro seguaci hanno messo (temporaneamente) in ginocchio il Cile e l’Argentina. Frutto dei loro esperimenti sono anche i polacchi che si offrono di pulirci i parabrezza ai semafori.
Per inciso, la non-dottrina di Friedman oggi è adottata dalla Banca Centrale Europea (l’ha inclusa anche nel progetto di Costituzione e nel patto di Lisbona) e dall’Occidente nel suo assieme. Se come teoria fa acqua, i suoi risvolti politico-sociali sono netti: smontare la classe operaia – o più in generale il proletariato – quale soggetto compatto, portatore di istanze collettive. Scinderla in individui costretti a contrattare individualmente, o a piccoli gruppi, la propria sopravvivenza. Abolire i contratti di lavoro nazionali, in modo da lasciare i soggetti deboli in balia di se stessi. Illuderli con lo specchietto di una falsa autonomia, in modo che l’azienda possa, all’occorrenza, liberarsene come facevano le antiche mongolfiere, quando staccavano e gettavano nel vuoto i sacchetti di sabbia per prendere il volo.
Un precario riesce con difficoltà a essere un soggetto antagonista: teme per il suo posto di lavoro. Idem per un falso “lavoratore autonomo”: difenderà la propria posizione individuale. Idem per un operaio o per un impiegato, circondato da un mare di precari e di disoccupati: nel timore di finire in quelle acque, accetterà ogni sorta di disciplina e di prepotenza. Peggiore di tutte è però la posizione del lavoratore subalterno che ha accettato di convertire in fondi azionari i propri risparmi o la propria pensione. Diventa oggettivamente parte marginale dell’economia astratta. Trepida per i soprassalti dei listini di borsa, che legge con fatica. Diversamente da un azionista vero, non può agire: deve solo subire. Voterà Berlusconi, l’unico che lo può salvare.
Ignora infatti cosa sia la politica dell’open mouth, della “bocca aperta”, teorizzata dai supply siders e adottata da Ronald Reagan. Lanciare sorrisi e messaggi ottimistici, dire bugie per rassicurare. Convincere tutti che la povertà del presente è ricchezza futura. Chiamare a una corsa in cui i cavalli migliori potranno vincere (traggo il paragone da “Martin Eden”, del compagno Jack London). I cavalli in corsa non si parlano tra loro. Alcuni cadono, altri si azzoppano. Uno solo vince, ma la vittoria vera è di chi lo cavalca. Attenzione a quanti vi parlano di ‘merito’: hanno in mente l’ippodromo. Sono i fantini.»

Valerio Evangelisti
Carmilla on line
(15/10/08)

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