Archivio per Crisi economica
(162) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Cialtroni, Crisi economica, Degrado politico, Democrazia, Elezioni 2022, Enrico Letta, Giorgia Meloni, Guerra, Italia, Liberthalia, Media, NATO, PD, Politica, Russia, Satira, Silvio Berlusconi, Società, Ucraina, USA on 27 agosto 2022 by SendivogiusÈ il Trio-Monnezza che piace tanto alla “gente” (e non solo…). Che questa roba qui sia stimata come il primo partito in Italia, costituisce la dimostrazione antropologica del nostro endemico sottosviluppo culturale, quale rappresentazione plastica del fascismo eterno degli italiani.
[27 Ago.] «C’è un governo che lavorando in silenzio ha fatto crescere il PIL tre volte di più di quello tedesco, ha creato 739.000 nuovi posti di lavoro ed ha accumulato una riserva di gas tra le più alte d’Europa. È guidato da Mario Draghi.»
[23 Ago.] «Vorrei che il prossimo governo istituisse un liceo del Made in Italy.»
[07 Ago.] «Noi daremo immediatamente 1500 lire al mese alle casalinghe, così i bambini vengono educati bene: le casalinghe curano i figli, curano la casa e invece lo Stato dà a queste donne un calcio nel sedere. Poi a tutti gli italiani rapinati dallo Stato dal 2000 restituiremo 1200 lire italiche. Non ci credete? Fatemi capo del governo e io il giorno dopo telefono al direttore generale del ministero del Tesoro, faccio stampare questa moneta e vi arriva il giorno dopo a casa. Che cosa volete di più?»
[03 Ago.] «È grazie al grande lavoro che ho svolto nel Ppe, insieme a Tajani e alla sua autorevolezza, che l’Italia ha potuto beneficiare dei fondi del Pnrr, decisivi per far ripartire la nostra economia.»
[06 Ago.] «Rigassificatori subito! Per estrarre gas naturale nazionale e renderci indipendenti dagli approvvigionamenti dall’estero.
[07 Ago.] «Notizia di oggi: la Basilicata darà gratis il gas ai Lucani.»
[25 Ago.] «Le forze politiche sospendano la campagna elettorale e si dichiarino pronte a supportare il piano del governo, rigassificatore incluso, e un eventuale scostamento di bilancio.»
[26 Ago.] «Serve una comunicazione brutale per dare la sveglia agli italiani.»
[25 Ago.] «L’aborto esula dal territorio del diritto, non direi che è un diritto. L’aborto è il lato oscuro della maternità che non è mai entrata nello spazio pubblico»
[02 Ago.] «Siamo solidi, siamo compatti, andiamo a vincere queste elezioni»
De finibus bonorum et malorum
Posted in Business is Business with tags Area valutaria ottimale, BCE, Bilancia commerciale, Cameralismo, Capitalismo finanziario, Crisi economica, Economia, Euro, Europa, Finanza, Germania, Liberthalia, Mercantilismo, Mercato, Moneta unica, Oligarchie, Tallero, Tecnocrazia, Trappola della Liquidità, UE, Unione Europea, Unione monetaria, Unione Monetaria Latina, Vereinsmünze on 26 agosto 2014 by SendivogiusIn attesa del prossimo vertice della UE, che per certo sarà “storico”… “epocale”… “determinante”… secondo la scoppiettante salva di iperboli, che di solito accompagnano i giri di valzer europei e che di consueto vengono utilizzati per coprire la voragine della loro inconsistenza, una cosa sembra abbastanza chiara: la cosiddetta ‘Unione Europea’ (omaggio alle intenzioni nella contraddizione della pratica) appare sempre più come un guscio vuoto, priva di un animus fondativo che non sia mero esercizio contabile in tempi di post-mercantilismo. E questo al di là delle fumose dichiarazioni d’intenti ad usum populi, peraltro in piena crisi di rigetto nella sua disillusione per un’istituzione percepita sempre più come estranea ed invasiva, con la sua tecnocrazia oligarchica, consacrata alle divinità profane di un ‘mercato’ ormai cannibalizzato dai morsi di una crisi finanziaria, mai davvero affrontata se non con cataplasmi tardivi. In proposito, è interessante notare come la BCE si muova sul filo del rasoio, ottemperando a tutti i passaggi fondamentali per incappare come da manuale nella più classica “trappola della liquidità”.
Del tutto sprovvista di una qualsivoglia visione strategica, la sedicente “unione” manca praticamente di quanto è più necessario per potersi definire tale: non ha una politica immigratoria, rimessa com’è all’improvvisazione dei singoli stati; non ha una politica estera condivisa (non è capace neanche di tutelare gli interessi economici continentali, figuriamoci la gestione delle emergenze umanitarie!); né una politica di difesa, al di fuori del coordinamento NATO. Nonostante sia alla base della sua costituzione, la UE non possiede una vera politica economica e finanche nemmeno il tanto decantato “mercato comune integrato”, a meno che non si voglia considerare tale il modello neo-camerale di ispirazione teutonica in un’Europa sempre più simile ad una sorta di Lebensraum, per incrementare la bilancia commerciale del nuovo reich germanico. Ed il surplus delle partite correnti sta lì a testimoniarlo, in barba ai sacralizzati “trattati” interpretabili (e violabili) a discrezione e senza timore di sanzioni che evidentemente, quando riguardano Berlino, sono sempre derogabili…
Sono gli inconvenienti nei quali si incorre quando si pretende di costituire un’entità (con)federale attorno ad una moneta (creata in laboratorio) e non viceversa, pensando di compensare tale carenza con la costruzione di un’area valutaria ottimale (optimum currency area), fortemente integrata a livello economico e commerciale. In riferimento all’eurozona, è superfluo dire che l’area è assai meno ‘integrata’ di quanto non si vuole ammettere e tutt’altro che ‘ottimale’, incapace com’è di fronteggiare i cosiddetti “choc asimmetrici”.
A dodici anni dall’immissione in circolazione dell’euro, è un fatto che l’Europa stia entrando nel suo ottavo anno di recessione e langua a tutt’oggi nella più grave depressione economica (peggiore persino di quella del 1929) della sua storia, senza che si intravedano concrete prospettive di ripresa. Se l’obiettivo della moneta unica era quello di favorire i processi di integrazione ed unificazione europea, si può dire senza falsi pudori che ha miseramente fallito nel suo scopo: mai gli stati europei sono stati tanti divisi nella reciproca diffidenza, negli egoismi nazionali, e nella totale assenza di coesione e solidarietà tra di loro, dalla fine della seconda guerra mondiale.
Succede, quando si imposta un matrimonio unicamente sui soldi, combinando le nozze nell’interesse dei pochi e tirando di conto sulla dote da versare.
A contrario di quanto vanno affermando gli stucchevoli filmini (per influenzare non per informare), che il nuovo Min.Cul.Pop per la propaganda manda in onda col nome di “Cantiere Europa”, l’esperimento monetario
unitario era già stato tentato in passato con modalità totalmente diverse (il parametro fondamentale era il gold standard), rivelandosi ogni volta un fallimento. È stato il
caso dell’Unione Monetaria Latina, che nell’ignoranza dei più rimase in vigore per oltre 60 anni (dal 1865 al 1927), e delle ancor meno conosciute “Unione monetaria scandinava” (1872-1914) e quella austro-germanica. Quest’ultima, stipulata a Vienna il 24/01/1857 nell’ambito della Deutscher Bund, includeva gli statarelli dello Zollverein germanico, il Regno di Prussia, l’Impero Austriaco ed il Principato del Liechtenstein, con l’introduzione di un rigido sistema di cambi fissi e, sul modello del tallero, l’adozione di una moneta comune da affiancare alle valute nazionali: il Vereinstaler, o anche Vereinsmünze.
Tali accordi monetari (perché di questo e nient’altro si trattava) rimasero in piedi, più per gli oneri legati alla loro liquidazione che non per la loro effettiva efficacia, alla stregua di contratti con clausole di rescissione non convenienti. A dimostrazione che nessun processo è “irreversibile”, se non nella crisi che ne decreta la fine.
Homepage
KUHLE WAMPE
Posted in Muro del Pianto with tags Crisi economica, Cultura, Democrazia, Economia, Europa, Franklin Delano Roosevelt, Germania, Giorgio Napolitano, Grande Coalizione, Grande Depressione, Italia, Kuhle Wampe, Liberthalia, New Deal, Nipote di Rameau, Repubblica di Weimar, Storia, USA on 25 settembre 2013 by Sendivogius
Kuhle Wampe
oder: Wem gehört die Welt
(Pancia fredda; ovvero: a chi appartiene il mondo?)
«Eventi infelici accaduti in altri paesi ci hanno insegnato da capo due semplici verità in merito alla libertà d’un popolo democratico.
La prima verità è che la libertà di una democrazia non è salda se il popolo tollera la crescita d’un potere privato al punto che esso diventa più forte dello stesso stato democratico.
Questo, in essenza, è fascismo – un governo posseduto da un individuo, un gruppo, o qualsiasi altro potere privato capace di controllarlo.
La seconda verità è che la libertà di una democrazia non è salda se il suo sistema economico non fornisce occupazione e non produce e distribuisce beni in modo tale da sostenere un livello di vita accettabile.
Entrambe le lezioni ci toccano.
Oggi tra noi sta crescendo una concentrazione di potere privato senza uguali nella storia. Tale concentrazione sta seriamente compromettendo l’efficacia dell’impresa privata come mezzo per fornire occupazione ai lavoratori e impiego al capitale, e come mezzo per assicurare una distribuzione piů equa del reddito e dei guadagni tra il popolo della nazione tutta.»Franklin Delano Roosevelt
“Discorso sulla limitazione dei monopoli”
(29/04/1938)
Nel suo lungo discorso dinanzi al Congresso degli Stati Uniti, il Presidente Roosevelt aveva altresì colto l’occasione per denunciare la “crescente concentrazione del potere economico” nelle mani di pochi cartelli oligopolisti:
«A buon ragione, è stato detto che il più libero dei governi, se potesse esistere, non potrebbe durare a lungo se l’inclinazione delle leggi fosse quella di creare un rapido accumulo di proprietà in poche mani e di rendere la stragrande maggioranza della popolazione in uno stato di dipendenza e senza un soldo.»
E quindi ammonire contro i rischi della preminenza finanziaria sulle attività produttive ed il controllo delle banche sulle industrie, a tutto discapito di queste ultime e sottolineando gli effetti sull’occupazione ed il crollo della produttività…
Altri tempi, stessa crisi.
Che il gabinetto presidenziale dell’Hindenburg al Quirinale, nel suo scialbo grigiore democristiano, non sia assolutamente paragonabile al New Deal rooseveltiano è una evidenza che risulta lampante anche all’ultimo degli squallidi nipoti di Rameau, impantanati nella palude governativa delle Laide Intese.
Ma (tant’è!) ogni epoca ha gli ‘eroi’ che si merita…
La Repubblica di Weimar collassò nel fallimento conclamato delle sue “grandi coalizioni”, all’insegna del rigore e dell’esautorazione parlamentare. In Italia, il governicchio allargato di nani allo sbaraglio si trascina nel prolungamento della sua inutile esistenza, mantenuto in vita dall’intraprendenza costituzionalmente border-line del suo maggiore sponsor e creatore: il Presidente Giorgio Napolitano, capo di una repubblica di fatto già semi-presidenzialista. In passato, in frangenti simili, e massimamente durante le presidenze di Gronchi, Segni e Cossiga, si era gridato all’abuso eversivo, al golpe bianco, allo stravolgimento della Costituzione.. ma, com’è noto, tempora mutantur…
In un Paese ridotto ad un hard-discount in liquidazione per svendite sottocosto, con un programma imminente per dismissioni coatte di beni pubblici a prezzi di saldo (ce lo chiede l’Europa; lo vuole il mercato), con un tasso di disoccupazione reale al 40% ed un comparto industriale in rottamazione, dove la politica economica non va oltre l’aumento dell’IVA (tanto per rilanciare i consumi) e l’ennesimo incremento delle accise sui carburanti (per essere certi di stroncare qualunque ripresa), il massimo obiettivo del governissimo allo sbaraglio è eseguire diligentemente i compitini a casa, su dettatura germanica e rispettare pedissequamente il pareggio di bilancio entro la fine dell’anno, senza sforare il tetto del 3% (attualmente superato del terribile 0,1%).
Che dire?!? Almeno moriremo coi conti in ordine e con la marcia funebre di Beethoven come omaggio tedesco alla nostra dipartita.
Argentina mi amor
Posted in Business is Business, Kulturkampf, Masters of Universe with tags America Latina, Argentina, Austerity, Banche, Carlos Menem, Chicago Boys, Crisi economica, Disoccupazione, Domingo Cavallo, Economa, Elite, Fernando de la Rúa, Finanza, Gruppo dei Trenta, Heinrich Brüning, Italia, José Piñera, La Stampa, Liberalizzazioni, Liberismo, Liberthalia, Mario Draghi, Mario Monti, Mercato, Oligarchie, Piano di convertibilità, Potere, Privatizzazioni, Privato, Progetto Cile, Pubblico, Recessione, Riforma delle pensioni, Ugo Di Martino on 7 febbraio 2013 by SendivogiusA noi il presidente del consiglio Mario Monti, tuttora premier ‘tecnico’ (poiché, seppur dimissionario, è ancora in carica e piena attività) di un governo mai eletto, sfiduciato e privo di maggioranza, che lungi dal limitarsi all’amministrazione corrente continua imperterrito a legiferare per decreto, e con un parlamento pressoché assente perché in campagna elettorale, senza che su una simile anomalia costituzionale il sommo Garante abbia nulla da ‘monitare‘, ha sempre ricordato per rigidità rigorista e strategie economiche Heinrich Brüning, cancelliere tedesco dal 1930 al 1932. Della preoccupante analogia, avevamo già parlato in dettaglio QUI.
Ora, scopriamo invece (QUI ma anche QUI) che il vero modello della politica montiana è in realtà l’Argentina del presidente Carlos Menem: sconcertante emulo berlusconiano del populismo sudamericano, invischiato in traffici illeciti e plurinquisito, “principale responsabile del crollo economico dell’Argentina e della vendita dissennata ai privati delle maggiori industrie produttrici nazionali”, insieme al suo ministro delle finanze Domingo Cavallo. Quest’ultimo divenne famoso per la rocambolesca fuga in elicottero, assediato da una folla di migliaia di argentini inferociti e ridotti sul lastrico dalle sue catastrofiche ricette ultra-liberiste.
In una rara intervista pubblicata su “La Stampa” del 13/08/1994 era già racchiuso in tutta la sua attuale freschezza il Monti-pensiero, giunto fino ad oggi imperturbabile ed immutato…
Fiducia messianica nel potere auto-regolatore della “finanza”; primato assoluto e sacrale dei “mercati” che non sono una creazione umana, ma emanazione divina a cui piegare le leggi degli uomini e consacrare la vita dei popoli.
Dalla scelta cinica a “scelta civica”, c’è quasi un richiamo straussiano alla “nobile menzogna”: un’elite di sapienti che finge di conformarsi ai voleri delle moltitudini ignare; ne asseconda le illusioni per indirizzarne le credenze e con l’inganno carpirne il consenso, per rimettere tutto il potere nella disponibilità assoluta di pochi “eletti”.
A proposito del primo Governo Berlusconi, incalzato dall’intervistatore, il banchiere prestato alla propaganda chiosa serafico:
«Il governo, alla sua nascita, aveva di fronte a sé due strade. Quella thatcheriana della politica aspra e dura, annunciata prima e poi seguita. E quella del consapevole “tradimento” delle promesse elettorali del presidente argentino Menem: eletto su una piattaforma peronista, ha poi capito che era nell’interesse del Paese fare una politica diversa, l’ha spiegato agli argentini, ha avuto in Cavallo un notevole ministro dell’economia e credo che oggi i suoi concittadini siano grati del “tradimento”»
Domingo Felipe Cavallo, oriundo italiano della provincia piemontese (Buriasco), è un banchiere prestato alla politica. Ça va sans dire!
Nel 1991, in qualità di ministro dell’economia, Cavallo fa approvare uno speciale piano di convertibilità che fissa la parità di cambio tra il peso argentino ed il dollaro statunitense, con il preciso scopo di ridurre l’altissimo tasso di inflazione del paese sudamericano, in una prospettiva monetarista. Il piano di convertibilità presenta però un inconveniente di natura pratica: la perdita di sovranità monetaria e l’impossibilità di ricorrere a svalutazioni competitive, mentre le sorti di una valuta debole come il pesos argentino vengono legate alle fluttuazioni di una moneta forte come il dollaro, tramite il cambio fisso, con l’impossibilità da parte del governo centrale di controllarne le oscillazioni e di orientarne le dinamiche macroeconomiche.
Per stare in piedi, un simile piano è sostenibile solo attraverso politiche fortemente liberiste, incentrate su un’austerità ad oltranza, tramite la riduzione costante del debito e saldo di bilancio proiettato ben oltre l’avanzo primario. Se si vuole mantenere l’agganciamento alla moneta forte, la ricetta rigorista implica altresì l’accettazione di parametri rigidi e speciali “agende” appositamente confezionatr dal FMI e dalla Banca Mondiale, con la supervisione interessata di organismi privati. Per dirla col prof. Mario Monti, l’intera politica economica di uno Stato sovrano è ispirata e rimessa alle “autorevoli opinioni espresse nei mercati e nei bollettini delle principali banche d’investimento, tutte analisi che hanno un gran peso nel determinare i comportamenti degli operatori del mercato”.
Impropriamente, è quanto avvenuto in Italia (e non solo) con il passaggio dalla lira all’euro, tramite l’adozione di parametri transnazionali e non negoziabili.
Per garantire la stabilità monetaria ed il mantenimento del cambio fisso, senza ripercussioni sull’andamento monetario, il piano di stabilità voluto dal ministro Cavallo ed imposto dal presidente Menem prevede una massiccia serie di privatizzazioni, con la totale dismissione del patrimonio pubblico ed il taglio radicale della spesa sociale. In pochi anni, vengono (s)vendute sul mercato tutte le risorse pubbliche e nazionali, con valutazioni (al ribasso) affidate alle principali banche d’investimento private, tra le quali si distingue la statunitense Merrill Lynch, specializzata in finanza strutturata.
Grazie all’improvvisa liquidità affluita dalla privatizzazioni selvagge, nell’arco del triennio 1991-1994, l’economia argentina conosce un aleatorio quanto illusorio incremento del PIL, con un effimero rilancio degli investimenti produttivi e con la ripresa dell’industria automobilistica (che coincide con gli investimenti FIAT).
Sul piano sociale, le politiche economiche attuate dal duo Menem-Cavallo si concretizzano attraverso uno smantellamento progressivo delle tutele contrattuali ed occupazionali, con la compressione dei sindacati, la liberalizzazione dei contratti ed una sostanziale contrazione dei salari per rendere “più competitive le imprese sui mercati” e “incrementare la produttività”. Nella pratica ciò si traduce in condizioni di lavoro peggiori e salari più bassi. La liquidazione del settore pubblico ed il taglio radicale dei servizi provoca sul medio periodo un aumento costante della disoccupazione che raddoppia in pochi anni, in parallelo con l’impoverimento della classe media.
Tra le privatizzazioni più interessanti, c’è il caso della vendita della compagnia aerea di bandiera, ovvero le Aerolìneas Argentinas. Si tratta di uno dei primi esempi conclamati di bad company: la società viene regalata a prezzi stracciati ai privati, mentre tutti i debiti vengono accollati allo Stato che si fa carico delle passività. Ma il sistema viene universalizzato all’intero piano di dismissioni: risanamento e debiti rimessi al pubblico; profitti interamente privati e depurati da oneri.
Un altro punto di forza risiede nella riforma pensionistica, che ricalca fedelmente quella promossa sotto la dittatura cilena del generale Pinochet dal ministro José Piñera. Ispirata alle politiche neo-liberiste dei Chicago Boys, la Riforma Piñera è sostanzialmente identica al suo omologo italiano, la Riforma Fornero, che insieme alla famosa Agenda Monti molto sembra attingere dal vecchio “Progetto Cile” (Proyecto Chile), riscritto nel 1990 e aggiornato al 2010, dal golpista Piñera frettolosamente riciclato in democrazia.
Tornando in Argentina, il prosciugamento degli investimenti pubblici, non compensati da quelli privati, insieme al crollo dei redditi, si traduce in una drastica riduzione della domanda aggregata con una crisi economica senza precedenti, accompagnata ad una esplosione delle disuguaglianze sociali ed una ripresa del debito pubblico, una volta esaurita l’onda corta delle “liberalizzazioni”.
Nel 2001 Domingo Cavallo, il notevole ministro dell’economia, viene ripescato nel governo del presidente Fernando de la Rúa. La crisi economica si evolve presto in crisi finanziaria col crollo del sistema bancario, la fuga di capitali, e la corsa agli sportelli di credito da parte dei correntisti per ritirare gli ultimi spiccioli dalle banche. Cavallo non ha niente di meglio che imporre il blocco dei prelievi ed il limite all’uso del contante, provocando una rivolta su scala nazionale e sfuggendo per poco al linciaggio. Ciò non impedirà allo straordinario Cavallo di accreditarsi come grande economista e di far parte del cosiddetto “Gruppo dei Trenta”, peraltro in buona compagnia visto che in questa organizzazione di banchieri centrali e finanziari internazionali fa parte anche Mario Draghi. E non senza polemiche [QUI].
Nel Novembre 2001 con la fuga di De la Rua ed un triennio di cure da Cavallo, il notevole ministro dell’economia lascia un paese stremato da tre anni di recessione e sprofondato nella depressione economica con un tessuto sociale in pezzi.
I redditi medi degli argentini sono precipitati ai livelli del 1976 (con un arretramento trentennale).
Sempre nel 2001, nonostante i tagli selvaggi e le privatizzazioni radicali, il debito pubblico argentino passa dagli 8.000 milioni di dollari a circa 160.000 milioni. Nello stesso periodo, l’Argentina ha rimborsato intorno ai 200.000 milioni di dollari, vale a dire circa 25 volte quello che doveva nel marzo del 1976. Questo perché gran parte dei prestiti e dei capitali affluiti con le privatizzazioni sono stati utilizzati per rifinanziare debiti e titoli scaduti e impegnati come garanzia per i creditori esteri, mentre il gettito fiscale viene usato per ripagare gli interessi sul debito, per l’80% detenuto da istituti finanziari internazionali.
Questa è l’eredità di Cavallo e delle agende neo-liberiste.
Com’è ovvio, attualmente il principale problema dell’Argentina è il governo di sinistra dei Kirchner, non certo le politiche della destra liberista (e golpista) che hanno portato il Paese allo sfascio e che anzi ‘qualcuno’ vorrebbe esportare in Italia, magari col partito serio e riformista a tenergli il moccolo per “senso di responsabilità”.
Del resto, Mario Monti conosce bene l’Argentina, dal momento che la sua famiglia storicamente in tale paese ha vissuto e prosperato… Il papà Giovanni è nato a Luijan nel 1888, dove nonno Abramo aveva fondato un’omonima distilleria, per la produzione locale di birra e liquori, salvo rientrare in Italia nel 1907. A proposito, è curioso notare come l’uomo che aborre il posto fisso e predica il ricambio sociale, provenga da una dinastia di funzionari di banca giunti alla quarta generazione nella trasmissione ereditaria del mestiere. Manco nel feudalesimo!
Ma Monti sembra conoscere ancor meglio le potenzialità sudamericane… Non per niente sembra accompagnarsi a personaggi come Ugo Di Martino, che parrebbe essere il referente delle cosche calabresi in America Latina [QUI], esperto in brogli elettorali e voto di scambio.
È il nuovo che avanza. E non promette niente di buono.
FINAL DESTINATION
Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags ANDEAN, Angela Merkel, ASEAN, Austerity, Banche, Chicago Boys, Chicago's Boys, Cile, Commercio, Credito, Crescita, Crisi economica, Debito, Economia, EDA, Esportazioni, Euro, Europa, Export, Finanza, Francia, Germania, Governo Monti, Governo tecnico, Grecia, Import, ISTAT, Italia, Liberismo, Liberthalia, Mario Monti, Media, MERCOSUR, Milton Friedman, Monetarismo, Montismo, Pil, Rigore, Spread, Stato, UE, UEM, Unione Europea on 23 novembre 2012 by Sendivogius«Dopo un anno l’Italia è saldamente sulla via del cambiamento, di certo è un’Italia che adesso può guardare con più fiducia verso il suo futuro. Un futuro che sarà prospero se si continuerà sulla strada intrapresa, senza disperdere il lavoro che è stato compiuto fino ad oggi.»
(Il Consiglio dei Ministri – Nov.2012)
Gli strabilianti risultati della terapia bocconiana li avevamo già ricapitolati QUI.
È ovvio che un ‘lavoro’ così ben fatto vada continuato, onde non disperdere effetti tanto straordinari…
Con un’economia reale stremata a condizioni post-belliche, senza alcuna prospettiva di “boom” se non il collasso di un intero tessuto sociale, in Italia siamo ormai alle verità di Fede. Il direttorio tecnocratico crede nei miracoli ed alla realtà dei fatti preferisce il culto delle visioni mistiche. Dall’alto del loro empireo accademico, lontani dalle anguste miserie dei comuni mortali, i professoroni preferiscono la libertà degli spazi siderali, dove l’aria rarefatta amplifica le allucinazioni nello stato comatoso di tunnel senza luci. E mentre i sacerdoti dell’Austerità per decreto trasformavano l’Italia in un immenso laboratorio accademico per i loro esperimenti sociali di teoria macroeconomica, ci hanno rifilato una riuscita serie di spauracchi costruiti ad hoc (la Grecia) e favolette di successo (secondo le quali avremmo vissuto al di sopra delle nostre possibilità), opportunamente amplificate dai media embedded dei potentati finanziari, interessati al grande piano di riorganizzazione post-democratica.
Bocciata nei fatti su tutti i parametri [QUI] l’Agenda Monti rimane la bibbia di riferimento per padroni e sindacati gialli, nella prosecuzione di un’esperienza che (per carità!) non va certo dissipata.
Principale (se non unico) risultato, è il contenimento dello spread sui titoli di Stato, ovvero il differenziale con i bund tedeschi, ad una media di 360 punti, che comunque (a fronte di una cura da cavallo) rimane elevato e non giustificabile. Più è alto il differenziale di riferimento, più aumenta l’importo degli interessi da pagare ai sottoscrittori dei titoli pubblici, emessi per il finanziamento delle spese correnti inerenti il funzionamento della macchina statale, incrementando di converso l’enorme debito pubblico che grava sul bilancio italiano.
Nella notte buia in cui tutte le vacche sono nere, ci si dimentica di dire però che nel 2007 lo spread era sotto i 50 punti e certo non costituiva un problema per l’incremento di un debito pregresso, in massima parte ereditato dalla finanza allegra degli anni ’80 [QUI!], e nell’ultimo decennio tenuto costantemente sotto controllo, senza incidere sulla tenuta economica e la stabilità finanziaria di un intero Paese, fino a quando non è improvvisamente diventato un problema…
Infatti, bisognava scegliere se continuare a finanziare la spesa corrente degli Stati a sostegno delle politiche sociali o drenare risorse pubbliche per colmare la voragine del Credito privato, dissanguato dalle speculazioni della finanza strutturata. Ovviamente, si è optato per la seconda
scelta col beneplacito delle oligarchie liberiste della UE ed il sostegno incondizionato dei nipotini di Milton Friedman (diffidare sempre dei nani!), tanto non pareva loro vero di poter ridisegnare la geografia sociale dell’Europa a immagine e somiglianza del Cile di Pinochet. Non per niente gli emuli nostrani dei Chicago Boys sono tra i più fieri sostenitori del Montismo ad oltranza e rilascio rapido.

Tanto per dire, un affresco del fallimento delle politiche rigoriste di ispirazione neo-monetarista ce lo danno i prudentissimi rapporti dell’ISTAT: nota congrega sovversiva di anarco-insurrezionalisti. Per questo i report in questione vengono di solito snobbati dalla grande stampa moderata e benpensante, sempre così pensosa dei destini del Paese e soprattutto del ‘mercato’.
E dunque riscopriamoli insieme…
La Dittatura del Debito
Nel Rapporto Annuale del 2010, prima della svolta tecnica, l’ISTAT esamina le cause della crescita del debito pubblico, nell’ambito della più generale crisi dell’euro (moneta nata male, strutturata peggio, ma la quale è vietato criticare) e soffermandosi sull’analisi del “saldo primario”, ovvero l’avanzo nei bilanci degli Stati. E viene calcolato al netto della spesa per interessi sui titoli emessi per il finanziamento corrente, che impropriamente chiamiamo “debito”.
Il saldo primario è una diretta conseguenza delle politiche fiscali adottate dai singoli Paesi e riflette le decisioni dei governi in materia economica e gestione di spesa.
«Il saldo primario, nella media dell’area è andato progressivamente deteriorandosi, passando da un avanzo del 2,3 per cento del Pil nel 2007 a disavanzi superiori al 3 per cento negli ultimi due anni.
Nel complesso del triennio 2008-2010, il saldo primario ha contribuito alla crescita del peso del debito sul Pil per 5,7 punti percentuali per l’insieme dell’UEM [Unione Monetaria Europea], ma per 47 punti percentuali in Irlanda, 20 punti in Grecia, 19 in Spagna, 14 in Portogallo e 10 punti in Francia. Solo in Finlandia, Italia e Germania ha offerto un contributo negativo, rispettivamente per 2,7, 1,7 e 1,5 punti percentuali. Nel 2010, il saldo primario è migliorato in tutti i paesi a esclusione di Irlanda, Paesi Bassi e Austria.»
Una situazione drammatica, ma non disperata. E soprattutto non tale da ingenerare il panico che ne è seguito. Le conseguenze (indirette) sul debito pubblico sono state esasperate in seguito all’esplosione della bolla speculativa statunitense, che ha travolto come un’onda lunga la finanza europea e in particolare le banche franco-tedesche sovresposte verso il sistema creditizio di Irlanda, Islanda e Grecia. L’Italia compariva perfino tra i paesi virtuosi!
Insomma, nulla che avesse a che fare con l’andamento sostanziale dell’economia reale. E niente che giustificasse l’imposizione delle politiche di austerity teutonica, calibrate dai tedeschi in modo da essere etero-indirizzate pro domo sua.
«Nel nostro Paese, la crescita del rapporto tra debito e Pil durante la crisi è stata determinata prevalentemente dalla spesa per interessi derivante dall’elevato livello di debito ereditato dal passato e dalla contrazione dell’attività economica.
La politica fiscale adottata dal Governo è risultata invece tra le più severe, con un ricorso molto limitato a interventi straordinari anticrisi rispetto agli altri paesi: l’Italia è, infatti, l’unica economia dell’Uem ad aver mantenuto in avanzo lungo tutto il triennio il saldo primario strutturale, calcolato depurando il saldo complessivo al netto della spesa per interessi dalla componente ciclica dovuta all’operare degli stabilizzatori automatici.
[…] Nel 2010, il saldo primario strutturale avrebbe, invece, continuato a segnare un ampio disavanzo in Irlanda (27,2 per cento del Pil), Spagna (6,2%), Francia (4,3%), Grecia (3,3%) e Paesi Bassi (3,2%).»
La mancanza di provvedimenti strutturali che hanno impedito di cogliere i vantaggi oggettivi (come avvenuto in Germania) che la moneta unica pure offriva, sono gli inconvenienti di aver posto alla conduzione dell’Italia un Pornocrate, molto più interessato alla “patonza” che non agli affari di Stato, funzionali più che altro agli introiti delle sue aziende di famiglia.
Ma, si sa, gli italiani amano da sempre gli “Uomini della Provvidenza”… vogliono essere condotti per mano al suono di pifferi magici, come i ciuchini nel Paese dei Balocchi.
Il Pasto Greco
La gestione del debito ellenico costituisce la più grande operazione congiunta di recupero crediti ai danni di una stato sovrano mai realizzata. In pratica, i governi conservatori di Germania e Francia, si sono comportati come la bassa manovalanza criminale, ingaggiata dagli usurai (le Banche d’affari private) per esigere i loro crediti a strozzo. La punizione collettiva del popolo greco (perché di questo si tratta), in nome degli Dei della Finanza, rimarrà un’onta indelebile a carico della UE e foriera di conseguenze sociopolitiche, ben peggiori di quanto una Merkel o le intelligenze artificiali del Governo Monti saranno mai in grado di elaborare.
L’Italia partecipa a pieno titolo nel salvataggio della piccola Grecia, che a sua volta deve sottostare alle condizioni capestro imposte dalla Germania. In poco tempo, un onere contenibile in ambito europeo si trasforma in una voragine senza fondo, sotto i morsi dell’intransigenza interessata di Berlino.
Ma, nella stampa teutonica e scandinava, lo sforzo italiano non viene tenuto in alcun conto ed anzi il Belpaese viene iscritto a forza nei Pigs del cosiddetto Club Med (non senza una punta di razzismo), descritto come un Paese indebitato coi creditori esteri (un falso clamoroso) e si acclara senza alcun riscontro la possibilità di un fantomatico rischio default.
Per uno strano capriccio del caso, l’economia italiana è la principale rivale della pompata locomotiva tedesca, con la quale gareggia in esportazioni e acquisizione di quote di mercato europeo. Le prescrizioni rigorista dilatate su scala continentale provvederanno presto a deprimere il potenziale concorrenziale. Ovviamente, gli interventi congiunti di Francoforte e Berlino e Bruxelles sono stati fatti esclusivamente per il nostro bene.
Come al solito, per la buona riuscita delle trattative in ambito europeo, non aiutano le perfomances dell’Innominabile che quietamente, nella gaia incoscienza dei controllori, viene lasciato gozzovigliare al governo italiano, umiliando le istituzioni repubblicane e sputtanando il paese in mondovisione.
«Nel 2010 è stato erogato circa un quarto del finanziamento speciale concesso alla Grecia dai paesi dell’Uem (21 miliardi su un totale di 80), il cui onere è stato ripartito tra i paesi membri in proporzione alla loro partecipazione al capitale della BCE: per Italia, Francia e Germania, questo intervento ha determinato un aumento del peso del fabbisogno sul PIL di circa un quarto di punto percentuale; nel 2011 si può stimare un impatto pari a circa 4 decimi di punto per l’Italia e solo marginalmente inferiore in Germania e Francia. La quota di finanziamento a carico di ciascun paese può essere confrontata con un indicatore dei potenziali effetti d’impatto che si ripercuoterebbero sulle rispettive economie in conseguenza di un eventuale consolidamento del debito pubblico greco, costituito dal grado di esposizione dei sistemi bancari nazionali verso operatori pubblici e privati greci. Emerge che le quote di finanziamento del prestito alla Grecia garantite dai principali tre paesi (circa il 27 per cento dalla Germania, il 20 dalla Francia e il 18 dall’Italia) non sono proporzionali al rischio relativo, che è elevato in Francia (con quasi il 40 per cento dei titoli greci collocati presso banche europee), significativo in Germania (con il 25 per cento) e molto ridotto in Italia (con meno del 3 per cento). Gli interventi che hanno inciso direttamente sul debito senza influenzare il saldo di bilancio sono soprattutto l’aumento delle riserve di liquidità e l’acquisizione di attività finanziarie delle banche da parte dei Governi.»
L’Italia e le Banche
Sicuramente si tratterà di una coincidenza fortuita, ma la guerra dello spread, cominciata con gli avvertimenti intimidatori delle agenzie del rating organizzato e proseguita con le armi di distruzione di massa della finanza speculativa, sembra quasi essere proporzionale alla mancata esposizione del bilancio italiano alle tempeste del credito bancario ed alla mancata emissione di garanzie pubbliche e coperture finanziarie nei confronti delle potenziali perdite del sistema bancario e le esposizioni alle fluttuazioni di mercato.
Nel corso del 2010 i principali governi europei, spaventati dalla crisi del credito privato, corrono a foraggiare gli istituti bancari con cospicue iniezioni di denaro pubblico, fornendo garanzie sui titoli emessi dalle banche in difficoltà finanziarie.
«Gli effetti correnti e potenziali sul debito pubblico dovuti all’adozione di misure straordinarie da parte dei Governi a sostegno del sistema bancario risultano, a fine 2010, eccezionalmente elevati in Irlanda (quasi il 150 per cento del Pil) e significativi in numerosi paesi (Grecia 27 per cento, Belgio 22, Germania 16, Spagna 8, Portogallo 6,8 e Francia 4,6 per cento). Per l’Italia il peso degli interventi attuati a sostegno del sistema finanziario è, invece, marginale (0,3 per cento).»
A dimostrazione forse di un sistema creditizio più sano rispetto agli omologhi europei.
Con lo smantellamento accelerato delle tutele sociali, la cancellazione dei diritti e delle ultime garanzie nell’ambito del lavoro, insieme all’esposizione dello Stato italiano nei confronti delle eventuali banche a rischio insolvenza, coincidono con uno stemperamento dello spread che tuttavia rimane troppo alto e che il Governo Monti si guarda bene dal pubblicizzare troppo tra i suoi successi (presunti). Non per niente, tra i primi atti del decreto Salva-Italia c’è la presa in carico da parte dello Stato delle passività bancarie, con la concessione di garanzie di copertura…
La morsa del Debito
Il peso del debito pubblico costituisce una morsa incontenibile, che condiziona le politiche economiche ed i piani di crescita da almeno un ventennio. Tuttavia, a fronte di un sistema produttivo ed industriale fortemente sclerotizzato, e refrattario alle innovazioni come agli investimenti, un mercato del lavoro ingessato con divaricazioni sempre più inique nel riconoscimento dei diritti, la tenuta dell’economia italiana è sostenuta in massima parte dai consumi delle famiglie. È questo l’elemento primario, se non unico, che finora ha garantito spinta propulsiva al cosiddetto sistema-paese:
«Nel periodo 1992-2000 la crescita dell’economia italiana è stata sostenuta dai consumi delle famiglie, dagli investimenti e rafforzata da un contributo positivo della domanda estera netta; il contributo dei consumi collettivi, invece, è leggermente negativo, conseguenza di una dinamica restrittiva della spesa delle amministrazioni pubbliche fino al 1995 e di una sua crescita a ritmi molto contenuti dal 1996 in poi.
Nelle altre maggiori economie dell’Uem, costrette ad un processo di convergenza meno oneroso di quello italiano, invece, il sostegno della spesa pubblica, soprattutto nella fase recessiva, è stato positivo.»
Il godereccio ventennio berlusconiano, lungi dal risolvere i problemi li ha acuiti, e gli effetti si vedono…
«Nel periodo 2007-2011, la performance di crescita complessivamente negativa dell’Italia (-1,1 per cento in media d’anno) vede un contributo negativo di quasi tutte le componenti della domanda, in particolare degli investimenti, e un contributo nullo della spesa finale delle amministrazioni pubbliche. Tra gli altri principali partner, Francia e Germania conseguono una modesta crescita, complessivamente favorita dal sostegno della domanda privata e dei consumi collettivi, mentre nella media di periodo la domanda estera netta incide negativamente, principalmente a causa del pessimo risultato del 2009.»
L’equazione tra crescita ed equità è imprescindibile. In Italia si è costantemente proceduto in senso opposto.
L’Equità al tempo dei Tecnici
Nel 2011 abbiamo un nuovo “salvatore della patria”: ce lo chiede l’Europa; lo vuole la BCE; ce lo impone il Colle. E, come tutte le imposizioni dall’alto, si tratta di un’offerta che non si può rifiutare…
Nel solco di un processo di ristrutturazione a livello europeo, con la benedizione delle banche centrali e del Fondo Monetario, per il risanamento dei conti pubblici in nome dei sacri parametri, Mario Monti intraprende una cura fatta di lacrime, sangue e tagli. Il dolore è parte integrante della terapia e non prevede anestesia. Sostanzialmente si tratta di una vivisezione: se la cavia sopravvive alle asportazioni, si aprono per lui le aspettative di una non vita dalla lunga agonia.
Nel rapporto annuale del 2012, l’Istat non manca di osservare come:
«In Germania e in Francia il maggior contributo al risanamento è stato fornito dalle imposte dirette, con incrementi in valore assoluto rispettivamente dell’8,1 e del 10 per cento; nel Regno Unito, invece, il supporto più rilevante alle entrate è giunto dalla dinamica delle imposte indirette (in aumento del 6,4 per cento in termini nominali).»
Le imposte dirette si basano sulla tassazione progressiva del reddito e sulla repressione dell’evasione fiscale, in proporzione alla ricchezza patrimoniale detenuta ed alla propria capacità contributiva. Nei paesi dove più forte è il divario sociale e maggiore l’impronta liberista si prediligono le imposte indirette, che toccano solo marginalmente i grandi capitali ed i redditi più elevati.
In Italia, l’imposizione fiscale (e massimamente dopo l’avvento del Governo Monti) è basata quasi tutta sull’aumento delle imposte indirette, che spostano il peso del risanamento soprattutto a carico del reddito da lavoro dipendente e salariato:
«L’aumento di gettito è stato sostenuto esclusivamente dalla crescita delle imposte indirette (+2,0 per cento) realizzata attraverso interventi sull’Irap, l’introduzione della tassa di soggiorno, l’aumento di un punto dell’aliquota massima dell’Iva e aumenti delle imposte sugli olii minerali.
[…] In Italia si sono registrate diminuzioni dei redditi da lavoro dipendente (-1,2 per cento), delle prestazioni sociali in natura [forniture di beni e servizi alle famiglie n.d.r] (-2,2 per cento), dei trasferimenti di capitale (-8,8 per cento) e dei contributi alla produzione (-6,3 per cento).
[…] La dinamica negativa dei redditi da lavoro dipendente è stata determinata dalla contrazione dell’occupazione e dalla modesta flessione delle retribuzioni pro capite dovuta al congelamento dei rinnovi contrattuali. Il sensibile calo delle prestazioni sociali in denaro ha riflesso prevalentemente l’andamento di alcune componenti della spesa sanitaria (spesa per farmaci e spesa per la medicina di base) che, nel corso del 2010, avevano incorporato il costo dei rinnovi delle convenzioni dei medici di base.»
In pratica la gente risparmia sulle cure mediche, mentre migliaia di posti letto vengono tagliati e gli ospedali chiusi in nome del fiscal compact e dalla spending review che ne consegue. Il prossimo passo del Montismo è la privatizzazione della Sanità? Per crudele paradosso, mentre si pretende di inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione, si impone il fiscal compact che di fatto azzera ogni forma di spesa pubblica in Italia, si inaspriscono le politiche di rigore, mentre il debito pubblico esplode in concomitanza col crollo dell’economia e dell’occupazione.
Il caso è da manuale: si tratta del carrettiere che ammazzò il cavallo, convinto che per spronare l’animale a trainare il carro bastassero le sole frustate; aumentando al contempo il volume del carico, nella convinzione che per risparmiare sui costi di trasporto sarebbe bastato eliminare il foraggio e le cure per la bestia da soma.
Un anno dopo la cura Monti, questo è il risultato al settembre 2012, in merito alle prospettive per l’economia italiana, elaborate dall’Istat…
Per quanto riguarda l’Industria:
«Le contrazioni più marcate si rilevano nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-15,5%), nella fabbricazione di articoli in gomma, materie plastiche e altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-8,3%) e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-7,6%).
Le variazioni negative più rilevanti dell’indice grezzo degli ordinativi hanno riguardato la metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-18,4%), la fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (-17,3%) e l’industria del legno, carta e stampa (-13,1%).»
In merito all’industria automobilistica, Gli acquisti di autoveicoli sono crollati a -44,9%. Ma in questo ha contribuito molto la simpatia di Sergio Marchionne.
Stroncato il mercato interno, in nome del risanamento e riordino dei conti che assomiglia ormai ad una composizione della salma prima della tumulazione, i restauri tombali del Governo Monti stanno portando i loro benefici effetti anche nell’ambito del commercio estero. Le esportazioni, seppur in difficoltà, sono sempre state un settore di punta dell’economia italiana ed una voce importante nella strutturazione del PIL nazionale e che, al contrario delle aspettative, non sono state poi così beneficiate dall’introduzione dell’euro come si credeva in origine:
«L’adozione dell’euro ha determinato un impatto positivo, ma non di grande entità, sul commercio bilaterale dei paesi europei. Per alcuni paesi membri (Grecia, Finlandia e Portogallo) l’effetto della moneta unica europea sul commercio sarebbe stato negativo.
[…] Nel caso dell’Italia l’impatto positivo si sarebbe esplicitato attraverso la riduzione dei costi variabili del commercio internazionale, mentre la riduzione dei costi fissi non avrebbe avuto alcun ruolo. La stima differenziata dell’effetto “introduzione dell’euro” rispetto ai mercati di destinazione ha, tuttavia, mostrato un impatto positivo per gli scambi commerciali con i paesi “periferici”, verso i quali le imprese italiane avrebbero aumentato le esportazioni in termini sia di valore sia di varietà dei prodotti esportati. Al contrario, l’effetto sull’export verso i mercati “core” (tra cui la Germania, principale destinatario dell’export italiano) sarebbe stato negativo, indicando il prevalere di un effetto competitività penalizzante per i beni italiani.»
I flussi del commercio estero, scalzati progressivamente dai mercati interni della UE a tutto vantaggio della Germania, si sono concentrati verso i paesi emergenti e le nuove economie dell’Asia, insieme ai mercati tradizionali del made in Italy di qualità, conquistando importanti quote nei nuovi blocchi economici transcontinentali.
Verso le nuove tigri asiatiche (e tigrotti in crescita) dell’ASEAN: Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Birmania, Cambogia.
Verso i colossi dell’EDA: Singapore, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Malaysia
Oppure puntando sulle grandi potenzialità del continente latinoamericano, puntando ai mercati unificati del MERCOSUR e dell’ANDEAN.
E infatti,
“A settembre si rileva, rispetto al mese precedente [Agosto 2012], una flessione per entrambi i flussi commerciali, più intensa per l’import (-4,2%) che per l’export (-2,0%).
La diminuzione dell’export è di intensità analoga per entrambe le aree di sbocco: -2,1% per i mercati UE e -2,0% per quelli extra UE. In flessione sono soprattutto le vendite di beni strumentali (-4,5%) e di prodotti energetici (-2,3%), mentre i beni di consumo durevoli registrano un aumento dell’1%.
La flessione delle importazioni è rilevante sia dai paesi Ue (-4,4%) sia da quelli extra Ue (-3,9%). Particolarmente accentuata è la contrazione degli acquisti di beni strumentali (-9,7%).”
La flessione delle vendite riguarda tutti i potenziali partner commerciali, interessati alle nostre esportazioni:
Paesi EDA (-26%)
Giappone (-35%)
Cina (-18,8%)
India (-30,9%)
Paesi MERCOSUR (-13,7)
Germania (-10,3%)
Spagna (-12,8%)
Romania (-13,6%)
Aumentano invece i flussi commerciali con i Paesi dell’ASEAN (+22,9%); Paesi OPEC (+18,0%); Russia (+16,7%); USA (+19,4%).
A conti fatti, più che dinanzi ad un governo di risanatori ci troviamo di fronte ad una squadra di becchini. Epperò, dopo Monti c’è solo Monti… per l’estrema unzione?
Attulamente der Professor è ad uno dei soliti, inconcludenti, vertici brussellesi che tanto fanno sghignazzare mercati e investitori di borsa ad ogni puntata. Il copione è sempre lo stesso: Angelona Merkel si impunta come Hitler nell’assedio di Stalingrado senza cedere di un millimetro; il presidente francese cerca di rintuzzare l’intransigenza tedesca, confidando invano nella risicata sponda italica; Mario Monti, nicchia, bluffa, minaccia veti che non porrà mai… ma, finita la recita, prima si piega e poi si spezza. Per non fargli perdere la faccia, l’inflessibile Angelona concede qualche osso al suo fedele cagnolino da riporto e il giorno dopo sconfessa i risultati del vertice, inviando i suoi sabotatori di fiducia (Olanda e Scandinavia). È una tecnica nota ormai a tutti, tranne che ai giornaletti nostrani, i quali celebreranno il ritorno a casa del Professorone con titoloni roboanti sui nuovi “successi epocali”.

All’atto pratico, dopo aver stroncato ogni possibilità di ripresa, estendendo la cura ultra-rigorista all’intera Europa, i tecnocrati della UE e del Fondo Monetario Internazionale hanno rivisto al ribasso tutte le stime di crescita, ammettendo che forse qualcosa non sta funzionando… E dopo aver trasformato una crisi congiunturale, in una devastante recessione su scala continentale, senza che si prospettino reali prospettive di uscita, iniziano a profilarsi all’orizzonte concreti timori sulla tenuta sociale e democratica negli stessi Paesi coinvolti nella ‘cura’.
Se è vero che sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Ci troviamo di fronte ad un gruppo di cerusici ottocenteschi che, dinanzi all’aggravarsi della malattia, intensificano i salassi al paziente anemico, prescrivendo in aggiunta una serie di clisteri al malato rigorosamente tenuto a digiuno, pur di non rimettere in discussione le teorie del loro manuale scolastico. Evidentemente, è radicata la convinzione nietzschiana, secondo la quale ciò che non uccide fortifica.
LE PAROLE E I FATTI
Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags Austerità, Banche, BCE, Conti Pubblici, Crisi economica, Debito, Decreto Cresci-Italia, Decreto salva-Italia, Democrazia, Economia, Europa, Evasione fiscale, Finanza, Governo Monti, IMU, ISTAT, Italia, Lavoro, Liberismo, Liberthalia, Mario Monti, Oligarchia, Pil, Politica, Recessione, Rigore, Scudo Fiscale, Spread, Tasse, Tecnocrazia, UE, Unione Europea on 20 novembre 2012 by Sendivogius
Ci sono due modi per smantellare l’impalcatura sociale di un Paese:
1) Da una parte, l’impeto fracassone e la cialtroneria ducesca delle nuove oclocrazie populiste, che si alimentano dell’esibizionismo pornografico e dell’arroganza pacchiana dei provinciali arricchiti, attraverso il saccheggio compulsivo della respublica.
2) Dall’altra, il mondo fluttuante della finanza globalizzata, il verbo liberista sceso ad ispirare i teatrini della post-democrazia, che diventa carne geneticamente modificata nell’austerità tecnocratica di distinti signori borghesi, provenienti delle aristocrazie timocratiche e dalle sagrestie della finanza bianca d’ispirazione confessionale.
In entrambe i casi, a perderci è la Democrazia.
Solitamente, il primo sistema si nutre del gigionismo esasperato di vecchi avanzi da cabaret. Spesso, la loro eccitazione istrionica attira troppe attenzioni e viene reputata sconveniente nei salotti che contano: gli utili idioti hanno in genere tempi di scadenza ravvicinati. Perciò, la tendenza a strafare e l’eccessiva sovraesposizione finiscono quasi sempre con l’annullare gli effetti desiderati. Nei casi più estremi, si rischia di mandare a puttane intere nazioni. E mai metafora fu interpretata alla lettera come in Italia!
Al contrario, il secondo sistema punta all’esatto opposto del primo: liquidata la volgarità dei servi, concentra tutto sulla sobria austerità della nobiltà padronale, travestita da buon fattore. Se il
trucco riesce, si finisce con lo scambiare la tutela di una serie di interessi proprietari per interessi comuni. La prassi ordinaria rifugge da gesti eclatanti e da ignobili pagliacciate. Piuttosto, si nutre di imperativi categorici, quasi sempre provenienti da entità astratte di eterea collocazione: Ce lo chiede l’Europa… Bisogna assecondare le percezioni dei mercati… Ce lo chiedono gli investitori…
È un po’ come Mosé che sente le voci e convince il popolo a seguirlo nella “Terra Promessa”, salvo girare a vuoto per 40 anni in un deserto inospitale!
Il paradosso più eclatante di una situazione surreale, che la dice lunga sulla maturità democratica di un popolo e l’intelligenza politica degli italiani, è di aver considerato come una cosa assolutamente normale la presenza in cucina
di un pornomane che grufola, mangia con le mani e flatuleggia, mentre si ingozza insieme alla sua vorace corte dei miracoli. Secondo i moderati nostrani, non c’era niente di meglio disponibile sulla piazza. Invece, si è reputata un’eccezione la presenza di un’ospite che a tavola si serve di coltello e forchetta, sa come si usano e conosce le basi della buona educazione.
È il caso fortunato del prof. Mario Monti: antitetico nei modi e nell’aspetto al suo predecessore, ne eredita il programma di governo e la prassi emergenziale, insieme a certe estemporaneità promozionali: come il Pornonano, va in giro per il mondo a rilanciare l’immagine del Paese e la propria (fortunatamente con effetti diametralmente opposti!). Avido di complimenti e di riconoscimenti, ad un anno dal suo insediamento al governo, se li tributa da solo con manifesti celebrativi pubblicati on line sul sito del governo: 14 pagine di indulgente auto-sbrodolamento. Naturalmente, non perde occasione di incensare il suo operato, con un’opera dal titolo evocativo: “Le Parole e i Fatti”. Evidentemente, il magnifico professore non sa che chi si loda s’imbroda. E magnifiche sono state le circostanze di promozione editoriale: all’Università Bocconi, davanti una platea di privilegiati, mentre all’esterno dell’ateneo privato gli studenti della scuola pubblica in protesta contro i tagli del governo all’Istruzione venivano manganellati dalla polizia.
Raccoglie il copione dal passato, ma reinterpreta il tutto in maniera “sobria” all’insegna dell’Austerità. Ad un anno dall’insediamento del professore e del suo direttorio tecnocratico, così com’era comparsa inaspettata, come per incanto la famigerata crisi è svanita.
I risultati ci sono, ma non si vedono (è sempre un problema di percezione!). E dunque, ad un anno di distanza vediamoli questi risultati così eclatanti…
I dati sono desunti dalla Banca d’Italia ed elaborati dal Sole 24 Ore (noto foglio bolscevico). Giudicate da soli:
DER PROFESSOR
Dalla sua realtà parallela, Mario Monti interpreta il triplice ruolo di Commissione, Studente e Professore, si valuta da solo e ovviamente si promuove a pieni voti.
In un afflato rassicurante, ci fa sapere che l’Italia è una grande potenza industriale (ma va?!?) dai solidi fondamenti economici e sopratutto (udite! udite!):
“L’Italia non è un paese debitore, non deve neanche un euro ai fondi ‘salva-Stati’ ed è il terzo contributore non solo dei bilanci Unione Europea, ma anche dei salvataggi verso Atene e il Portogallo.“
(18/11/2012)
Ad un anno dalla terapia ‘tecnica’ che sta stroncando il nostro tessuto produttivo e sociale, apprendiamo dunque che l’Italia non solo non è mai stata a rischio default e che, nonostante un debito pubblico nel frattempo lievitato a 2.000 miliardi (in massima parte pregresso), il Paese non è esposto verso i creditori esteri, ma si può altresì permettere di foraggiare gli anelli deboli della UE. E dunque la famosa emergenza?
«Il governo ha cercato di mettere in sicurezza i propri conti pubblici, come richiesto dall’Europa e dalla Banca Centrale Europea […] Per farlo si sono messe in atto politiche rigorose ma necessarie sia in termini di consolidamento di bilancio che di riforme strutturali. Il governo ha proseguito in questo senso l’impegno preso nell’estate del 2011 dal precedente esecutivo di portare il bilancio dello Stato in pareggio già nel 2013, cioè prima rispetto a tutti gli altri stati dell’Unione Europea.»
Praticamente, in base al necrologio celebrativo per la prossima dipartita di questa pestilenza tecnocratica, il direttorio bocconiano ci sta dicendo che ha guidato l’Italia verso la peggiore recessione degli ultimi 80 anni, con incipienti fenomeni di stagflazione e depressione economica, per fare bella figura con la BCE ed i tecnoburocrati di Bruxelles, quando poteva negoziare condizioni meno draconiane?!?
E se al contrario la crisi congiunturale del Paese era così grave, perché non si è intervenuto in anticipo per la rimozione del Pornocrate e la sua banda di predoni?
Perché non si è intervenuti finché la situazione era ancora recuperabile, nel lontano Dicembre 2010, quando il governo del pornonano fu salvato con la più scandalosa compravendita di voti della storia parlamentare e grazie ai temporeggiamenti del Monitore dall’alto del Colle, che nulla ebbe a dire sulla circostanza, né prima, né durante, né dopo?!?
In compenso, è consolante sapere che “forse alcuni errori sono stati commessi”, ma che tutte le misure prese, a partire dalla fantomatica ‘riforma del lavoro’, sono state finalizzate “a superare le segmentazioni che tendono a escludere o marginalizzare i giovani”. E la differenza si nota! Sarà per questo che, da quando i tecnici sono arrivati al governo, sono aumentati i pestaggi legalizzati della polizia?
UN ANNO DI SUCCESSI…
Ad ogni modo, usando le “parole”, vediamoli in sintesi questi “fatti” del Governo Monti, i cui fautori millantano la prosecuzione ad libitum, in una sorta di monarchia tecnocratica per investitura oligarchica.
1. CREDIBILITÀ
Gli ostensori del direttorio tecnico sottolineano come l’Italia avesse un problema di “credibilità” in ambito internazionale… Succede, quando hai un gangster plurinquisito come premier, che fa cambiare le leggi in parlamento dai suoi avvocati-deputati, per mandare in prescrizione i processi che lo riguardano; si circonda di una corte di lenoni, papponi, faccendieri e mafiosi che gli riempiono le ville di mignotte, ripagandoli con commesse pubbliche e creste milionarie sugli appalti di Stato. E ciò è avvenuto senza che peraltro l’opinione pubblica, né stampa benpensante, né vertici istituzionali se ne scandalizzassero più di tanto.
Forse, i ‘mercati internazionali’ più che ai vizi privati del caligola brianzolo, erano molto più interessati alla solvibilità creditizia dell’Italia ed alla quantificazione del suo debito strutturato in prodotti derivati, da parte di amministrazioni locali (Regioni e Comuni) completamente fuori da ogni controllo contabile. Al contrario che da noi, gli investitori stranieri il problema se l’erano posto eccome. E cercavano rassicurazioni in proposito. Bastava sfogliare la stampa specializzata in questioni finanziarie per comprenderlo, così come certi provvedimenti scaturivano più da una ideologia neo-mercantilista del capitale finanziario, che non da un’esigenza dell’economia reale.
Noi ne avevamo parlato QUI e ripreso il discorso QUI.
2. Lo SPREAD impazzito
Protagonista indiscusso delle disamine economiche degli ultimi mesi, è praticamente scomparso dalle valutazioni dell’agenda del Governo Monti.
Se pensate che la febbre degli spread sia stata debellata da una massiccia cura di antibiotici e dall’inoculazione di un valido vaccino, vi sbagliate di grosso.
La cura approntata per placare l’esplosione dei differenziali dei titoli di Stato assomiglia un po’ ai rimedi medioevali in caso di influenza: qualche pannicello caldo, brodo di pollo, e tante preghiere confidando nella guarigione per intercessione divina.
Una ‘ricaduta’ è possibile in qualsiasi momento…
Innanzitutto, perché le armi di distruzione di massa in dotazione alla speculazione finanziaria non sono state affatto disinnescate, o messe in condizioni di non nuocere, da chi avrebbe potuto e dovuto. Per farvi una piccola idea sull’argomento, potete leggere QUI.
E poi perché al momento c’è una sorta di tregua in armi da parte dei famigerati speculatori senza volto, i quali tutto sono tranne che sconosciuti, travolti per troppa ingordigia e attualmente in attesa (non si uccide la pecora che si vuole tosare).
Se volete avere una piccola panoramica sulle loro identità e la potenza di fuoco a loro disposizione, potete dare un’occhiata QUI.
Valutate quindi quale sia il reale potere di contrasto dei raffazzonati provvedimenti, messi in piedi dalla UE e sistematicamente boicottati da Berlino.
3. Le RIFORME EPOCALI
Ovvero come produrre fuffa, ma venderla bene spacciandola per oro colato…
Un prodotto di marketing, per essere vendibile, richiede sempre un nome ad effetto. Nella pioggia di decreti-leggi, che ha fatto del ricorso alla decretazione d’urgenza la prassi ordinaria del Governo Monti, ci sono certamente il “Salva-Italia” ed il “Cresci-Italia”.
Il SALVA-ITALIA arriva in tempi di spread alle stelle, una voragine di discredito internazionale grazie al Grande Statista di Arcore, ed il totale fallimento della finanza creativa targata Tremonti. Quindi si concede al Governo Monti il beneficio delle buone intenzioni, sotto le pressioni fortissime del momento, con l’urgenza di mettere in sicurezza i conti pubblici.
E infatti, per non far torto a nessuna delle elite cooptate al governo nazionale, si provvede subito a garantire le banche, con la presa in carico del loro debito privato da parte dello Stato. Innanzitutto, si proroga e si amplia la concessione di garanzie dello Stato sulle passività degli Istituti di Credito. Quindi con la scusa della lotta all’evasione fiscale, si riduce il limite della tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro per far impazzire gli uffici di tesoreria delle grandi aziende e spingere i correntisti a usare la carta di credito (il miglior strumento di indebitamento individuale che esista). Ma ci si guarda bene dall’introdurre il registro clienti-fornitori, che permetterebbe invece di tracciare qualunque flusso ingente di denaro.
Quindi, si provvede a fare cassa, aumentando il gettito delle entrate…
In ossequio alla conformazione classista di tipo ottocentesco di un esecutivo, che sembra uscito fuori tempo massimo da un gabinetto sabaudo, NON vengono toccati i costosissimi giocattolini dell’ammiraglio Giampaolo Di Paola, nel frattempo transitato alla Difesa.
Stipendi ed emolumenti dei super-manager e boiardi di Stato vengono appena lambiti dalla riforma, mentre tutte le politiche fiscali del governo vengono modulate in segno restrittivo, con il ricorso ad un fiscalismo bizantino che ha il suo punto di forza nella tassazione indiretta e, contro ogni principio di equità, è completamente sbilanciato a carico dei ceti medi e medio-bassi. Soprattutto, colpisce i consumi delle famiglie piuttosto che i redditi e meno che mai le rendite di posizione, innescando una micidiale spirale recessiva, ulteriormente aggravata dalla perdita di potere d’acquisto e contrazione salariale.
Anni di studi e ricerche specializzate nell’olimpo accademico della teoria economica, hanno prodotto risultati eclatanti e provvedimenti altamente tecnici come l’aumento delle accise sui carburanti, l’aumento di due punti dell’IVA, delle sigarette e degli alcolici.
Sono queste alcune delle riforme epocali che hanno stupito il mondo!
Al contempo, il Governo Monti esclude categoricamente ogni forma di ‘patrimoniale’ o di reale contributo da parte dei redditi più alti, con prelievi sui patrimoni mobili e finanziari. La motivazione ufficiale è che una patrimoniale, sui valori mobiliari e non, in realtà è stata già introdotta.
La tutela castale dei ceti sociali di riferimento è talmente evidente nella protervia di salvaguardia di classe, da risultare quasi provocatoria nell’irrisorietà degli atti…
TASSAZIONE IMMOBILIARE. Si introduce l’IMU, con la tassazione della prima casa e delle proprietà immobiliari, ma si rimanda ad un secondo momento la revisione degli estimi catastali, col risultato che gli immobili vengono tassati a prescindere dal reddito, dalla composizione del nucleo familiare e di eventuali persone a carico, senza alcuna progressività nel calcolo delle aliquote né la possibilità di esenzioni. Si tassano i vani, ma non l’estensione in mq. In compenso, fino ad ora è escluso dal pagamento dell’IMU l’immenso patrimonio immobiliare del Vaticano, beneficiato da anacronistiche guarentigie.
In pratica, un disoccupato che ha perso il lavoro, ma con il mutuo da pagare e una famiglia da mantenere, deve versare la tassa di proprietà sulla casa in cui vive. Un convento trasformato in albergo extralusso invece non paga nulla.
RENDITE FINANZIARIE. Dopo molte insistenze, il Governo Monti ha introdotto una tassazione sui cosiddetti “capitali scudati”, ovvero sui soldi riciclati all’estero da delinquenti ed evasori fiscali, rientrati in Italia grazie al condono di Giulio Tremonti [QUI].
L’aliquota aggiuntiva di bollo è fissata al 10 per mille (avete letto bene!) per l’anno 2012, al 13,5 per mille per l’anno 2013 e al 4 per mille a decorrere dall’anno 2014 dei capitali, che rimangono così anonimi. Ma per coloro che decidono di rinunciare all’anonimato non è dovuto alcun importo!
Viene introdotta la revisione del bollo su titoli, strumenti e prodotti finanziari, con la strabiliante aliquota dell’1,5 x mille. È un’imposta di tipo regressivo: più soldi hai e meno paghi.
In pratica, per un conto titoli di 50.000 euro si pagano circa 50 euro. Ma in ogni caso la tassa non può superare un importo massimo di 1.200 euro: sia che si abbia un patrimonio da un milione di euro, o da dieci o da cento milioni, il contribuente continuerà a versare sempre lo stesso importo per non più di 1.200 euro.
Al contrario, l’imposta sui conti deposito (in pratica i libretti postali al risparmio) sale allo 0,15% col risultato che i risparmiatori si trovano a pagare più tasse di chi specula in Borsa.
Quantomeno, è stata reintrodotta l’addizionale erariale per i veicoli oltre i 185 kw. Il Pornocrate aveva circoscritto il pagamento ai veicoli superiori a 225 kw. Ma l’imposta diminuisce sensibilmente in base all’anno di immatricolazione.
Ed è stata ripristinata altresì l’imposta erariale su aerei ed elicotteri privati e barche. Berlusconi l’aveva abolita nel 1994 con un occhio alla sua flotta privata e l’altro a quella dei suoi amici. E’ ovvio che in assenza di controlli supplementari ed una migliore definizione della norma, la tassa può essere facilmente elusa, registrando aerei e yacht all’estero. E quindi è inefficace
Ci si richiama genericamente ad una lotta senza quartiere contro gli evasori fiscali, ma a tutt’oggi non è stato ancora approntato lo strombazzato “redditometro”, per la verifica incrociata dei dati tra reddito dichiarato e patrimonio posseduto. Né è stato firmato, nonostante le profferte della controparte elvetica, il patto con la Svizzera per la consegna dei nominativi degli evasori che nascondono i soldi nei caveau d’oltralpe. In compenso, si lanciano messaggi in codice agli evasori: forse, non so quando, dovrò fare una patrimoniale o scovare i vostri capitali anonimi… perciò, fate sparire il malloppo finché siete ancora in tempo! In ogni caso, il povero evasore può sempre contare sul pagamento di una aliquota ridotta al 25% e comunque trattabile…
Nel cosiddetto Decreto CRESCI-ITALIA si ravvisano tanti buoni propositi, ma nel concreto risultati risicati. A meno che non si voglia credere davvero che la soluzione alla disoccupazione giovanile consista nell’improvvisarsi tutti imprenditori, con capitale sociale di un euro, ma 45 giorni per aprire un C/C alle Poste e 5.000 euro o più da versare in contributi annuali, a prescindere dalle entrate e dal ritorno economico dell’attività commerciale, anche se a gestione unica.
Le liberalizzazioni delle tariffe e la revisione degli Ordini professionali rimangono nel novero delle buone intenzioni e più che altro si esplicano in una presa in giro che rasenta la farsa.
In merito alla crescita, più che intravedere la luce alla fine del tunnel, sembra di osservare la luna dal fondo di un pozzo… Freschi di giornata sono gli ultimi dati ISTAT, su fatturato e ordinativi dell’industria, in riferimento al Settembre 2011. Nell’ordine, rispetto al mese di Agosto (un periodo di solito fiacco), l’industria registra una riduzione del 4,2% dei fatturati, con una diminuzione del 3,7% sul mercato interno e del 5,3% su quello estero.
Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano cali congiunturali per l’energia (-9,6%), per i beni strumentali (-4,7%), per i beni intermedi (-4,5%) e per i beni di consumo (-1,5%).
La diminuzione più pesante si verifica nel settore della metallurgia, con un devastante -15,5%. Che nei fatti si traduce in licenziamenti di massa per un’industria in via di dismissione. Fino a pochi anni fa, prima dei vincoli UE, eravamo uno dei principali produttori europei, in concorrenza con la Germania. Coincidenze?
Da notare che il crollo della fabbricazione di lavorati in metallo comporta una flessione delle nostre esportazioni (che costituiscono ormai la voce più importante del nostro PIL), con un abbassamento delle vendite di macchinari e apparecchi in Cina, Francia e Germania (a tutto vantaggio di quest’ultima). La diminuzione tendenziale di tali esportazioni comporta un punto in meno del PIL.
Prodotto Interno Lordo che in alternativa si è pensato di incrementare con una serie di proposte demenziali, tipiche dei nostri ‘economisti’ da salotto, che nulla hanno capito della crisi ma hanno le idee chiarissime su chi debba pagarne le conseguenze: più ore lavorate a parità di salario, riduzione della pausa pranzo; eliminazione delle pause da 10 minuti in catena di montaggio dopo 4 ore di lavoro; cancellazione delle feste nazionali, ma solo quelle laiche! Si elimina la celebrazione di fondazione della Repubblica, la Festa dei Lavoratori (che di questi tempi hanno poco da gioire)… In compenso si festeggia la Befana, per non dispiacere il Vaticano.
Altri bagliori nel buio hanno illuminato in tempi recenti l’operato dei professoroni di finanza e governo [QUI].
Sulla famigerata controriforma del lavoro, fatta per rispondere ad una percezione dei mercati piuttosto che ad una serie di problematiche e distorsioni oggettive, che spaccia per nuove alcune normative e tutele già esistenti, ma cancella tutte le altre senza minimamente incidere sulla precarietà lavorativa, abbiamo già parlato diffusamente QUI e anche QUI.
Tuttavia, la parola d’ordine è sempre la stessa: “Monti ha salvato l’Italia”.
C’è da chiedersi chi salverà gli italiani…
LA LUCE NEL TUNNEL
Posted in Business is Business, Muro del Pianto with tags Crescita, Crisi economica, Disoccupazione, Economia, Export, Governo tecnico, Impoverimento, ISTAT, Italia, Liberthalia, Mario Monti, Pil, Prospettive di previsione economica, Recessione, Reddito, Tunnel on 6 novembre 2012 by Sendivogius
“Ci stiamo avvicinando alla fine della crisi, vedo la luce in fondo al tunnel”
Mario Monti
(12/09/12)
Evidentemente ci siamo persi qualche passaggio…
Eravamo il Paese più virtuoso d’Europa: il modello a cui il resto del mondo guardava con invidia; il campione che aveva stroncato le reni alla crisi sul nascere, avviato verso un radioso avvenire di prosperità e sviluppo, coi ristoranti pieni ed i biglietti aerei esauriti… E il meglio della nostra elite economica e produttiva non smetteva di ripetercelo [QUI]. Fior di editorialisti ce lo gridavano fin sopra ai tetti delle redazioni, scrivendolo sugli autorevoli giornali della sana borghesia moderata e (ovviamente!) liberale. Per esempio, QUI. Fior di economisti si complimentavano di cotanto successo, congratulandosi con lo “statista” di Arcore… Insomma, sarebbe stata una gran festa, se non fosse stato per il solito grumo di disfattisti che alimentavano “percezioni psicologiche” negative.
Poi, improvvisamente, tutti hanno cambiato idea. Scaricato il Pornocrate e la sua corte, hanno cominciato a raccontarci che eravamo sull’orlo del fallimento, prossimi all’apocalisse finanziaria e
che, senza la cura dei biodroidi tecnocratici, l’Italia entro la fine dell’anno (uno vale l’altro) non sarebbe più riuscita nemmeno a pagare gli stipendi né le pensioni. Che non c’era alternativa e che i politici son tutti uguali, salvo poi lamentarsi dell’esplodere dell’anti-politica.
Ma come?!? Senza accorgercene, eravamo passati dalle virtuose stars (di latta) alle stalle dei Pigs?
Poi per fortuna è arrivato direttorio tecnico, addetto al recupero crediti bancari, sponsorizzato dagli stessi che la “crisi la non esiste”. E per mesi ci hanno terrorizzato con la favoletta cattiva della Cenerentola porcellosa, che faceva preoccupare tutta la UE.
L’ottava potenza economica mondiale, la seconda potenza industriale in Europa dopo la Germania, a rischio default! Volete finire come la Greeeeciiia?!?
E il bello è che gli italiani ci hanno creduto, mentre il governo truffa dei sedicenti ‘tecnici’ smantellava a colpi di decreto 50 anni di conquiste sociali, in nome dell’austerità e del più rigido rigorismo monetarista.
La situazione era talmente disperata che.. puff!! dopo 18 mesi la ‘crisi’ è già svanita, la fine del tunnel vicina e la ripresa timidamente in corso, grazie alle riforme epocali del provvidenziale Governo Monti: aumento della benzina; aumento dell’IVA; blocco dei contratti; tagli indiscriminati a Istruzione e Sanità. Come dimenticare poi la fondamentale riforma del lavoro che non cancella nemmeno una delle oltre cinquanta forme di contratto atipico o precario, ma modifica al ribasso le indennità di disoccupazione? O la fondamentale riforma pensionistica, che lascia senza reddito e lavoro oltre 200.000 persone, ribattezzate esodati?
Per rilanciare la crescita e combattere la disoccupazione giovanile ci sono poi provvedimenti straordinari come la possibilità di fondare società a responsabilità limitata, con un solo euro di capitale sociale. Immaginiamo con un simile capitale di garanzia, l’eccezionale accesso al credito e la straordinaria disponibilità degli eventuali fornitori, nei confronti di tali realtà imprenditoriali.
Sono soltanto alcuni dei successi propagandati dal governo truffa che, proprio come il suo autorevole predecessore, ha decretato: “la crisi è finita!”
Il Governo Monti ha svolto con diligenza i compiti a casa, sotto l’interessata dettatura di Berlino. E i risultati si vedono!
Crollo dei consumi interni, con l’esplosione della più grande recessione economica degli ultimi 20 anni, con una contrazione congiunturale che si appresta ormai a superare i sei trimestri consecutivi. Flessione degli investimenti ed un incidenza della crisi, che viene arginata dagli italiani soprattutto attraverso l’erosione del risparmio privato.
Abbiamo una disoccupazione (ufficiale) oltre il 10%, alla quale non vengono computati però i lavoratori in cassa-integrazione, in mobilità, ed i cosiddetti “inoccupati”. Si tratta di un’anomalia tutta italiana, che però permette di mantenere le statistiche (truccate al ribasso) sotto la media europea.
Ma andiamo per ordine, seguendo le “Prospettive per l’economia italiana” per gli anni 2012-2013, pubblicate dall’ISTAT:
PIL. Per l’anno 2012, si prevede una riduzione del prodotto interno lordo a meno 2,3% ulteriormente aggravato da un 0,5% per il 2013. Ciò vuol dire che per raggiungere il saldo zero dovremo recuperare almeno il 2,8%!
Domanda. “La domanda estera netta risulterebbe, in entrambi gli anni, la principale fonte di sostegno alla crescita, con un contributo rispettivamente pari a 2,8 e a 0,5 punti percentuali nei due anni considerati, mentre il contributo della domanda interna al netto delle scorte è previsto rimanere negativo sia nel 2012 (-3,6 punti percentuali) sia nel 2013 (-0,9 punti percentuali)”.
Consumi. “La spesa privata per consumi registrerebbe nell’anno in corso una contrazione del 3,2%. Nel 2013, la spesa dei consumatori risulterebbe ancora in calo (-0,7%), a seguito delle persistenti difficoltà sul mercato del lavoro e della debolezza dei redditi nominali.”
Investimenti. “Gli investimenti fissi lordi diminuirebbero del 7,2% nel 2012, per effetto di una forte riduzione da parte delle imprese e delle amministrazioni pubbliche. Nel 2013, le prospettive di una ripresa del ciclo produttivo e il graduale miglioramento delle condizioni di accesso al credito porterebbero ad un rallentamento della caduta (-0,9%).”
Occupazione. “La maggiore partecipazione al mercato del lavoro osservata a partire dalla fine del 2011 è alla base del rilevante incremento del tasso di disoccupazione previsto per quest’anno (10,6%). Nel 2013 il tasso di disoccupazione continuerebbe a salire (11,4%) a causa del contrarsi dell’occupazione, fenomeno cui si dovrebbe accompagnare un aumento dell’incidenza della disoccupazione di lunga durata.”
La situazione è ulteriormente esasperata dal progressivo peggioramento del quadro economico internazionale, in decisa decelerazione, che sta investendo anche i cosiddetti mercati emergenti (Cina e Brasile) i quali non sono in grado di sostenere la crescita degli scambi e di assorbire le esportazioni europee.
“La geografia degli scambi continuerà a operare in senso avverso all’export del nostro Paese: i mercati di sbocco dell’Italia, infatti, sono attesi crescere meno del commercio complessivo, il che determinerebbe una nuova flessione della quota di mercato in volume delle esportazioni italiane sul commercio mondiale.”
Le previsioni per l’economia italiana sono pessime:
“Nel biennio di previsione le famiglie continuerebbero a sperimentare significative riduzioni del reddito, con conseguenze negative sul tasso di risparmio, come evidenziato dal netto rialzo dell’indicatore sull’utilizzo del risparmio tratto dalle inchieste congiunturali condotte dall’Istat sui consumatori. La probabilità di un ritorno agli investimenti da parte delle imprese risulterebbe ancora bassa a causa della caduta dei margini di profitto, dei bassi livelli di capacità utilizzata e delle difficoltà dal lato della domanda. Proseguirebbe il deterioramento sul mercato del lavoro. L’unico contributo positivo alla crescita deriverebbe dalle esportazioni nette.”
E nell’insieme avrebbe pesanti ripercussioni sulle famiglie italiane e sul loro stesso benessere, con un progressivo abbassamento del tenore di vita e la creazione di drastiche sacche di impoverimento, con inevitabili ripercussioni sul mercato del lavoro:
“La caduta del reddito disponibile, il clima di incertezza percepito dai consumatori e l’attuazione di misure di politica economica volte al consolidamento dei conti pubblici penalizzerebbero la spesa per consumi. La crescente situazione di disagio finanziario dichiarata dalle famiglie porterebbe, in un primo tempo, ad un proseguimento nell’utilizzo del risparmio, cui potrebbe seguire una evoluzione in negativo dei modelli di consumo.
La spesa privata per consumi registrerebbe nell’anno in corso una contrazione del 3,2% e anche nel 2013 la spesa dei consumatori risulterebbe in calo (-0,7%), a seguito delle persistenti difficoltà sul mercato del lavoro e della debolezza del reddito disponibile.
[…] Le difficoltà finanziarie delle famiglie e la crescita della disoccupazione associate alla lunghezza della fase recessiva potrebbero amplificare i rischi al ribasso della previsione.”
Al Governo Monti piace stilare pagelle di merito… Se questo fosse l’esito di una prova d’esame, il giudizio potrebbe essere uno solo: BOCCIATI!
La Caduta dei Nani
Posted in A volte ritornano, Masters of Universe with tags Adolf Hitler, Banche, Centro, Crisi di sistema, Crisi economica, Cultura, Debito, Democrazia, Economia, Europa, Finanza, Germania, Heinrich Brüning, Italia, Jaochim Fest, Liberthalia, Mercati finanziari, Nazismo, Partiti, Politica, Repubblica di Weimar, Richard J. Evans, Speculazione, Storia, UE, Unione Europea, Zentrum on 13 giugno 2012 by Sendivogius
OK, abbiamo scherzato!
Forse è giunto il momento di ripensare l’Europa; ridimensionare le ambizioni e mettere da parte ogni velleità; prendere coscienza che abbiamo affidato la soluzione di problemi epocali ad una impotente tribù di boriosi nani allo sbaraglio.
Forse è il caso di rassegnarsi all’idea che l’Europa non sia altro che l’espressione geografica di una mera sommatoria di litigiosi ex Stati combattenti, ognuno gelosamente aggrappato al proprio particulare, nella nostalgia dei fasti del passato, condannati ad un presente inglorioso e ad un futuro di assoluta irrilevanza proteso verso un inarrestabile declino.
La Non-Unione europea sembra infatti procedere come un treno piombato furiosamente lanciato verso un binario morto, al traino della locomotiva tedesca che evidentemente si reputa immune alla catastrofe imminente, nell’ostinata riproposizione di politiche macroeconomiche finora rivelatesi fallimentari. E non è una consolazione sapere che la Germania, la quale sta guidando con convinzione l’intero convoglio verso il baratro, sarà alla lunga il paese che pagherà le conseguenze peggiori di una crisi che finirà inevitabilmente per travolgere anche lei: la preda più ambita e più ghiotta dei mercati finanziari, che non hanno anima né coscienza… Semplicemente investono là dove maggiore è l’incremento dei dividendi azionari, da distribuire agli investitori dei loro fondi speculativi, legati al private equity.
Questi ultimi due anni terribili avrebbero dovuto insegnare ai custodi dell’ortodossia monetarista che nessuno è immune al contagio e che, una volta innescato l’effetto domino, le conseguenze sono irreversibili, in una unione monetaria dove le economie sono strettamente interconnesse. Non sarà certo lo spirito luterano del rigore teutonico a salvare i tedeschi dalla morsa speculativa sui debiti sovrani.
A tal proposito è straordinario come la Germania di frau Merkel, evidentemente immemore delle lezioni della Storia, stia prescrivendo al resto dell’Europa le stesse condizioni insostenibili che a suo tempo vennero imposte alla Repubblica di Weimar, determinandone l’inevitabile collasso e finendo col precipitare il resto del continente nell’abisso…
La diabolica perseveranza con la quale Berlino e Francoforte si ostinano ad imporre salassi forzati a pazienti anemici, e già spossati dai prelievi, assomiglia quasi ad una vendetta postuma. Ben poco possono le timide e riottose iniezioni di liquidità, peraltro somministrate in extremis e con mille recriminazioni, quando gli hedge funds, scatenati dall’odore del sangue, possono movimentare capitali superiori ai 4 trilioni di dollari in manovre speculative, usando una tastiera da pc.
Difficile fermare il contagio senza un vaccino che debelli il virus [QUI]. Al massimo si può circoscrivere con fatica il focolaio di infezione, fino all’esplodere della nuova epidemia.
Dalle parti di casa nostra, nell’ingrata opera di profilassi e messa in sicurezza, è evidente il fallimento dell’arrogante gabinetto bocconiano, sotto protezione presidenziale, che da sette mesi ormai cincischia nell’inconcludenza al governo dell’Italia. Naturalmente parliamo del prof. Mario Monti: un tipico esponente dei “poteri deboli”; la scimmietta ammaestrata del presidente Napolitano (e guai a chi gliela tocca!).
Ad eccezione dell’invasata Elsa Fornero, alla disperata ricerca di un esorcista, è invece il caso di dimenticare il contorno di algidi professoroni, dei quali null’altro si ricorderà all’infuori della spocchia accademica e dei provvedimenti degni di un ragioniere particolarmente mediocre… Gente talmente ‘esperta’ che ha serie difficoltà a tirar di conto in evidente guerra coi numeri e, a quanto pare, piuttosto a suo agio con la menzogna ad uso politico. Il caso degli “esodati” è paradigmatico.
Mutato nomine, de te fabula narratur…
Per uno strano ricorso della Storia, le analogie con la grande depressione economica degli anni ’30, e soprattutto con la situazione della Germania weimeriana, sono emblematiche…
Tenendo conto delle debite differenze, per certi aspetti la prassi rigorista del prof. Mario Monti e la sua linea programmatica (ammesso ne abbia davvero una) a noi ricorda quella adottata a suo tempo dal cancelliere tedesco Heinrich Brüning.
Certe somiglianze risultano quasi inquietanti…
Nato il 26/11/1885, Heinrich Brüning fu il penultimo cancelliere (se si esclude l’effimero gabinetto del gen. Kurt von Schleicher) della Repubblica di Weimar, dal 1930 al 1932, in un periodo difficilissimo della storia tedesca, giunta al culmine di una crisi reiterata che spalancò le porte al nazismo.
Cattolicissimo, Brüning proviene dalle fila del partito cattolico, il Zentrum (il Centro). Monarchico convinto, appartiene all’ala conservatrice del partito, per conto del quale si occupa di questioni sindacali, guadagnandosi una rapida fama di esperto in politiche economiche. Nel 1924 viene eletto in parlamento (Reichstag).
Come formazione universitaria, Brüning studia Storia e Scienze Politiche a Strasburgo, ma si specializza in Economia politica, frequenta i corsi della London School of Economics, conseguendo il dottorato all’Università di Bonn nel 1915. Durante la Grande Guerra si arruola come volontario, prestando servizio come ufficiale della riserva. Viene assegnato alle postazioni di mitragliatrici mobili; ferito in combattimento si conquista i galloni da tenente e la Croce di ferro al valor militare.
Il 28 Marzo del 1930 , il presidente della Repubblica, l’ultra-ottuagenario Paul Hindenburg lo chiama al governo del Reich per costituire un governo di coalizione, in seguito all’ennesima crisi politica della Repubblica, confidando nelle competenze economiche del leader centrista per affrontare la gravissima recessione che attanaglia il paese.
«Heinrich Brüning si era costruito una buona fama come esperto di questioni finanziarie e fiscali ed era ovvio che nel 1930 si sentisse il bisogno di affidare il timone ad un politico che sapesse districarsi in questi settori, di solito molto specialistici. Ma dopo quell’anno lo spazio di manovra in questi campi si restrinse con grande rapidità anche per le disastrose valutazioni politiche del cancelliere. Infine, neanche i suoi paladini più devoti avrebbero mai sostenuto che Brüning fosse un leader dotato di carisma e capacità di coinvolgere le folle: semplice nell’aspetto, riservato e impenetrabile, incline a prendere decisioni senza consultare nessuno, privo di doti oratorie, non era un uomo capace di conquistare un sostegno di massa presso un elettorato atterrito di fronte al caos economico.»
Richard J.Evans
“La Nascita del Terzo Reich” [pag.283]
Mondadori editore – Milano 2005.
In sintesi, gli interventi di natura economica del cancelliere Brüning si basano su una rigorosa applicazione di politiche deflattive, in un periodo in cui la terrificante iperinflazione degli anni precedenti (1923-24) era comunque rientrata e le esportazioni tedesche cominciavano a flettere in un generale ristagno recessivo dell’economia.
Ad ogni modo, Heinrich Brüning fonda la sua azione di governo su una inflessibile politica rigorista, volta al pareggio di bilancio ed al contenimento del debito, tramite il costante ricorso alla decretazione d’urgenza con l’adozione di decreti straordinari, che esautorano progressivamente il parlamento dalle sue funzioni politiche…
«Il Parlamento non era più il luogo delle decisioni politiche. Ancor prima delle elezioni del settembre 1930, Brüning aveva retto il paese, passando sopra il capo dell’assemblea legislativa scissa in fazioni, grazie ai poteri eccezionali conferiti al presidente del Reich secondo l’articolo 48 della Costituzione di Weimar e dal momento che le vie per la formazione di una normale maggioranza parlamentare risultavano impraticabili, egli si avvalse quasi esclusivamente di tali prerogative presidenziali, ai fini di una prassi di governo semi-dittatoriale al di fuori del controllo camerale. La storiografia non ignora certo che in tal modo Brüning si fece precursore di Hitler, nel senso che accantonò il procedimento democratico senza promuovere un’alternativa in senso duraturo. D’altra parte, chi pretendeva di vedere già in questo “la morte della Repubblica di Weimar” dovrebbe tener presente che questo trapasso di poteri era possibile soltanto perché rispondeva alla tendenza di quasi tutti i partiti alla fuga dalla responsabilità politica. Sussiste tuttora la propensione da parte degli storici a rendere responsabili della svolta autoritaria della situazione le masse “apolitiche”, ma, ovunque facessero la loro comparsa “strutture statali autoritaristiche”, ciò avveniva per la frettolosa rassegnazione con cui i partiti, dalla sinistra alla destra, nel momento in cui si scaricavano le responsabilità sull’Ersatzkaiser (imperatore sostitutivo) presidenziale, in tal modo tentando di non apparire coinvolti nelle decisioni chiaramente impopolari che dovevano esser prese.
[…] Il disgusto per lo stato partitico, che in pratica aveva cessato di esser tale, fu ulteriormente accentuato dalla manifesta incapacità del governo di registrare successi sia all’interno che all’esterno. La politica di rigido risparmio, perseguita da Brüning col massimo rigore e in misura addirittura autolesionistica, non valse a superare le difficoltà economiche né a risollevare la crisi produttiva, con la conseguenza che l’enorme esercito dei senza lavoro non ne fu minimamente ridotto.»Jaochim Fest
“HITLER. Una biografia” [Pag.428-429]
Garzanti Libri – Milano 2005
Brüning riduce gli stipendi governativi, ma soprattutto applica drastici tagli alla spesa pubblica in un momento di grandissima crisi sociale: riduce fortemente i sussidi di disoccupazione e ne limita la durata di erogazione.
Comprime i salari e motiva la decisione dicendo che ciò favorisce la competitività delle imprese.
Taglia le pensioni, aumentando al contempo la pressione fiscale con l’introduzione di nuove imposte indirette.
A livello politico, aumenta la stretta della censura sulla libera stampa e limita fortemente i diritti associativi e le libertà individuali, tanto che alcuni storici, come Herbert Hömig, sono giunti addirittura a sostenere che la sua tanto criticata politica economica durante la crisi era stata concepita per indebolire sindacati e socialdemocratici.
E nonostante tutto i provvedimenti del premier tecnico si rivelano tanto insufficienti quanto inadeguati.
C’è da dire che a complicare ulteriormente la situazione, subentra anche la crisi degli istituti di credito coi rischi impliciti di un crollo del sistema bancario, nonostante la creazione di un fondo di garanzia per i depositi.
«Nel Febbraio del 1932 il numero dei disoccupati superò i 6 milioni; pur con l’ottusità dell’esperto il quale è convinto di saperla più lunga dell’uomo politico con le sue basse propensioni al compromesso, Brüning continuò imperterrito la sua strada.
[…] Ma i suoi concittadini non ne condividevano né il rigore né le speranza…. detestavano i continui decreti speciali accompagnati da formali appelli al sacrificio: il governo, tale il rimprovero che da moltissime parti gli veniva rivolto, si accontentava di gestire la crisi anziché superarla. Se la politica di spietato risparmio di Brüning presentava il fianco alle critiche dal punto di vista economico, ancor meno valida essa si rivelò sul piano politico, denunciando la propria impotenza, e ciò perché il cancelliere [il premier] nella sua tecnicistica freddezza, era incapace di quei toni patetici suscettibili di indurre al sacrificio e di fare, del sangue, del sudore e delle lacrime, un numero a sensazione accolto da fragorosi applausi. Nessuno è disposto a rassegnarsi facilmente al fatto che la miseria in fin dei conti è null’altro che miseria; e il crescente rifiuto opposto alla repubblica affondava radici anche nell’incapacità di fornire una spiegazione dello stato di crisi, di dare un senso ai sacrifici di continuo richiesti.»Jaochim Fest
“HITLER. Una biografia” [Pag.454-455]
Garzanti Libri – Milano 2005
Il fallimento delle politiche rigoriste di Heinrich Brüning, insieme alla catastrofica gestione della recessione economica, spianeranno la strada ai nazionalsocialisti di Adolf Hitler: fino a pochi anni prima un’oscura formazione di estrema destra, che in pochissimo tempo passa da una manciata di consensi (il 3% nel 1928) a percentuali con due cifre (dal 18,3% del 1930 al 33% del 1932), grazie ad una capillare propaganda populista contro la “vecchia politica”, raccogliendo il voto degli scontenti, dei delusi, gli arrabbiati, gli strati popolari, e soprattutto i giovani.
Insomma, a voler forzare la mano, i precedenti storici per la crisi attuale non sono dei più confortanti. C’è di che stare allegri…
La matematica è un’opinione
Posted in Business is Business, Kulturkampf with tags Consumi, Crisi economica, DPEF, Economia, Elsa Fornero, Entrate fiscali, Fisco, Governo Monti, IMU, Istituzioni, Italia, IVA, Lavoro, Liberthalia, Ragioneria di Stato, Recessione, Redditi, Repubblica, Salario, Stato, Tasse, Tecnici on 6 giugno 2012 by Sendivogius
3,5 miliardi di euro. Secondo la Ragioneria dello Stato, a tanto ammonterebbero i mancati introiti dalle entrate tributarie nei primi quattro mesi del 2012, con un differenziale del 2,9%.
Contrordine! Per il Ministero dell’Economia, nel primo quadrimestre di quest’anno il gettito fiscale è aumentato dell’1,3%.
Ovvero, le entrate sono inferiori rispetto a quanto preventivato dal DPEF (documento di programmazione economica e finanziaria), stilato a cura del Governo Monti, ma comunque superiori a quanto incassato dal Fisco nell’anno 2011 epperò minori a quanto previsto per il 2012.
In attesa che Governo e Ragioneria si mettano d’accordo per far quadrare i numeri e arrotondare la cifra da presentare a saldo finale, ci si chiede se i grandi professoroni del direttorio tecnico sappiano almeno tirar di conto..!
In ‘soldoni’ (perché proprio di questo si parla), vuol dire che il recupero dell’evasione fiscale è di gran lunga inferiore al previsto e quindi, al di là delle operazioni di facciata, non si sta davvero incidendo là dove l’evasione è più radicata e sostanziosa.
Vuol dire pure che, se il Governo ha sottostimato il mancato gettito erariale, di converso sta sopravvalutando le sue capacità di spesa, peraltro falcidiata dal patto di stabilità. E questo implica il rischio concreto di una mancata copertura fiscale per i progetti di rilancio della crescita
economica e per lo sviluppo. In merito, è difficile capire dove si pensi di andare a pescare il “miliardo” per l’ennesima (e pessima) riforma dell’Istruzione… Il resuscitato Pornonano, con la lungimiranza che gli è consueta, ha proposto di stampare banconote direttamente in casa: “pazze idee” in pieno delirio senile.
Ma, se il Governo non incassa quanto stabilito, ciò vuol dire anche che verranno viste al rialzo le aliquote dell’IMU con un ulteriore aumento della tassa sulla casa, già priva di ogni requisito di progressività. A tal proposito, una suprema Corte più solerte avrebbe dovuto da tempo prendere in considerazione i possibili vizi di costituzionalità della norma che impone il tributo in questione.
E, con ogni probabilità, vuol dire altresì che sarà necessaria la famosa “manovra aggiuntiva”, così pervicacemente negata ma persistentemente evidente da mesi e nei fatti.
D’altra parte, gli innesti tecnici trapiantati al primo governo biodroide della repubblica non sono nemmeno sfiorati dall’idea che una eccessiva pressione fiscale possa comportare una pericolosa flessione del gettito fiscale ed un drammatico calo dei consumi, in conseguenza alla caduta del potere d’acquisto dei salari. A maggior ragione se una tassazione è tanto più iniqua, quanto più si fonda sulle imposte indirette, perché risparmiano le grandi rendite patrimoniali e gravano maggiormente sui lavoratori dipendenti e famiglie, erodendone capacità d’acquisto e livelli di vita.
Si tratta davvero di una cosa difficilissima da prevedere; specialmente dopo l’aumento esponenziale delle accise sui carburanti, in un paese dove le merci viaggiano prevalentemente su gomma ed ogni rincaro della benzina viene ricaricato inevitabilmente sui beni al consumo. Per questo, in una congiuntura fortemente recessiva, per calmierare l’aumento dei prezzi, in risposta alla stagnazione dei salari, al crollo dell’occupazione, ed alla contrazione dei redditi (integrati dal prosciugamento dei risparmi privati), il Governo tecnico sta pensando bene di elevare l’IVA al 23%.
La scusa ufficiale è il terremoto in Emilia. Infatti, per rilanciare l’economia delle zone colpite, il Governo si guarda bene dallo sbloccare i crediti alle aziende e cancellare i tributi agli abitanti, che però si vedranno sospendere le tasse per il momento fino a Settembre. Per consolazione, il prossimo inverno, quegli emiliani che rimarranno senza casa e senza lavoro, ma coi tributi da pagare, si scalderanno il cuore ripensando alle marcette militari del 2 Giugno.
Nella psiche contorta dei super-professori-tecnici, il nuovo aumento dell’IVA (che a sua volta incide sul prezzo della benzina) costituisce un fondamentale contributo per il rilancio dei consumi, che certo non mancherà di mostrare presto i suoi effetti tra gli italiani che stanno rinunciando a tutto, comprese le cure mediche. Coerentemente, avanzano le prime ipotesi di introdurre un’assicurazione integrativa parallelamente allo smantellamento del servizio pubblico. I grandi gruppi assicurativi, le cliniche private, e le fondazioni (esentasse) ringraziano sentitamente.
Con 28 milioni di persone a rischio povertà (parola del ministro-banchiere Corrado Passera), più difficile sarà capire dove gli italiani troveranno i soldi per potersi pagare l’assicurazione medica… 28 milioni di persone che indubbiamente “hanno vissuto al di sopra delle loro possibilità”, come ama ripetere l’ineffabile ministra Elsa Fornero, e che per questo vanno castigati senza remore; al massimo con una lacrimuccia!
Almeno moriremo col bilancio in pareggio ed i complimenti della Merkel per il brodetto dei crucchi.

D’altra parte la professorina indemoniata, che mai avremmo creduto potesse farci rimpiangere un Maurizio Sacconi, sta finalmente portando all’incasso la sua controriforma del lavoro, dove la questione non è come creare più occupazione e più garanzie, ma come estendere i licenziamenti a tutti e renderli più facili, in nome di una percezione opportunamente incoraggiata e molto aleatoria dei ‘mercati’, dietro la quale si nasconde una più concreta rivalsa ideologica del peggiore padronato confindustriale. Ce lo chiede l’Europa… E soprattutto Marchionne! Il grande “innovatore” del quale si attendono ancora i 20 miliardi di investimento promessi, dopo l’estorsione dei contratti capestro con lo straordinario contributo di Cisl e Uil: i sindacati responsabili, al servizio del capitale ed al soldo del padrone.
È ovvio che a preoccupare gli investitori stranieri non sono certo i tempi biblici della nostra giustizia civile coi suoi tempi di prescrizione dimezzati, la corruzione endemica, la presenza di una criminalità organizzata profondamente infiltrata nel mondo imprenditoriale, la mancanza di tutele per le imprese oneste contro i concorrenti che falsificano i bilanci e truffano sulle forniture…
Di conseguenza, grazie al formidabile contributo Monti-Fornero ed alla loro riforma del lavoro fortissimamente voluta, già si registrano file di imprenditori esteri incolonnati ai confini, che scalpitano e sgomitano tra di loro per investire per primi in Italia, tanto che quest’anno la disoccupazione giovanile è arrivata al 36% sfondando al ribasso le peggiori statistiche europee. Evidentemente, anche il decreto ‘Cresci-Italia’ sta funzionando a pieno regime..!
Tra le novità epocali della sedicente “Riforma Fornero” vale la pena di ricordare:
a) L’introduzione di misure contro la pratica illegale delle cosiddette “dimissioni in bianco”, già sanzionate dalla Legge n.188 del 2007, e opportunamente abrogata del Governo Berlusconi l’anno successivo… Ad Emma non piaceva.
b) L’estensione dell’obbligo di reintegro dei lavoratori ingiustamente licenziati anche per le piccole imprese, o la concessione di indennizzi in assenza di reintegro.
I provvedimenti introdotti dalla Fornero sono in realtà già previsti dall’Art.3 della Legge 109 del 1990 ed integrati dal Decreto legislativo n.368 (del 06/09/2001), ai quali si aggiungono le ulteriori modifiche in materia di lavoro a tempo determinato, disciplinate dalla Legge n.247 del 2007 e dal Decreto Legge n.112 del 2008 (l’omnibus tremontiano).
In dettaglio,
Sul reintegro dei dipendenti per le aziende sotto i 15 dipendenti:
“Il licenziamento determinato da ragioni discriminatorie ai sensi dell’art. 4 della Legge 15 luglio 1966, n. 604, e dell’art. 15 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dall’art. 13 della Legge 9 dicembre 1977, n. 903, è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta e comporta, quale che sia il numero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro, le conseguenze previste dall’art. 18 della Legge 20 maggio 1970, n. 300, come modificato dalla presente legge”
[Legge 109/90; Art.3]
Sugli indennizzi corrisposti ai lavoratori, in assenza di reintegro:
“Con riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata in vigore della presente disposizione, e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro è tenuto unicamente a indennizzare il prestatore di lavoro con un’indennità di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un massimo di sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni.”
[D.L. 112/08; Art.4bis]