Archivio per Elezioni
THE WINTER IS COMING…
Posted in Masters of Universe with tags Democrazia, Elezioni, Europa, Günther Oettinger, Liberthalia, UE, Ursula Von der Layen on 23 settembre 2022 by SendivogiusUrsula Von der Leyen
Ora ci si è aggiunta anche la NATO ed un rincitrullito nonnetto arteriosclerotico facente veci del presidente USA, ad avvertirci su come e cosa dobbiamo votare (atlanticamente conforme), sottolineando il nostro irriducibile ruolo di colonia a servaggio militare.
(151) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Antonio Tajani, Cialtroni, Costume, Elezioni, Giorgia Meloni, Italia, Liberthalia, Matteo Salvini, Politica, Squallore on 1 ottobre 2021 by Sendivogius“Classifica SETTEMBRE 2021″
Un po’ di sciacallaggio assortito, cazzari irriducibili, un pizzicotto di razzismo, fascismo à gogo, una spruzzata di sanfedismo reazionario, atei devoti, porci notori, cialtroni a pioggia per citrulli a seduta stante, copiose iniezioni di complottari a schizzo sparso.
Et voilà! Il pastone del mese è servito: rancido, sozzo, puzzolente, indigesto come e più di sempre, per stomaci a rinforzo corazzato.
Hit Parade del mese:
01. INFORMAZIONE SCORRETTA
[10 Sett.] «Proviamo a fare informazione corretta: le varianti nascono come reazione al vaccino.»
(Matteo Salvini, l’informatore scientifico)
02. FASCIOSOVRANISMO
[31 Sett.] «In Fratelli d’Italia non c’è spazio per antisemitismo e razzismo.»
(Giorgia Meloni, la ducia)
03. LE PORCHE MADONNE!
[09 Sett.] «Oggi festeggiamo la nascita della Beata Vergine Maria. Ricordiamo e proteggiamo le nostre radici cristiane che sono anche il fondamento dell’unione dei popoli europei. Le 12 stelle della bandiera dell’Europa rappresentano le 12 tribù d’Israele che cingono la testa dell’Assunta, mentre il blu richiama al mantello della Madonna 🙏.»
(Antonio Tajani, il madonnaro)
04. W DRAGHI CHE CI CONDUCE
[02 Sett.] «L’Italia sta vivendo un boom economico, che non vedeva dagli Anni ’60. Sono tutti risultati che si devono a Draghi e alla credibilità dell’azione riformatrice di questo governo»
(Renato Brunetta, il Visionario)
05. INTOSSICAZIONE
[05 Sett.] «Per me il reddito di cittadinanza è metadone di Stato»
(Giorgia Meloni, l’amica del popppolo)
06. STRISCE PEDONALI PORTATILI
[30 Sett.] «Distribuiremo strisce pedonali portabili agli anziani»
(Giuseppe Cirillo, aka “Dr Seduction”, aspirante sindaco di Roma)
07. SOGNO O SON DESTO
[31 Sett.] «Chi è che comanda? E’ molto semplice… lo spiega una serie spagnola: “La Casa di carta”.»
(Carlo Freccero, teledipendente)
08. LOL!!!!
[28 Sett.] «Populista? Io sono un eretico, nel senso letterale del termine, ovvero alla ricerca della verità: faccio giornalismo d’inchiesta.»
(Massimo Giletti, giornalista?)
09. MONDO PARALLELO
[16 Sett.] «Anche Gandalf è stato sospeso dall’Ordine degli Stregoni. Quando l’oscurità invede il mondo, i bravi non cedono. Quando l’Angelo della Morte arriverà, potrò guardarlo in faccia e non abbasserò lo sguardo. Come Cyrano de Bergerac, porterò a Dio immacolato il mio pennacchio bianco.»
(Silvana De Mari, cazzara no-vax)
10. Mo’ però anche basta
[27 Sett.] «I no-vax sono come chi puzza.»
(Roberto Burioni, il Profumato)
Homepage
Il Ritorno dei Grulli Dementi
Posted in Stupor Mundi with tags Anti-politica, Beppe Grillo, Costume, Elezioni, Liberthalia, M5S, Matteo Renzi, Matteo Salvini, Philippe van Parijs on 19 ottobre 2019 by Sendivogius
Cosa fa un vanesio cialtrone quando si annoia? Cerca attenzione, per coccolare il suo ego frustrato e cavalcare quel reflusso stagnato che scambia per “cresta dell’onda”.
Se poi si aggiunge anche il fattore anagrafico, il nonnetto dovrà pure trovarsi qualcosa da fare, per ammazzare il tempo che passa e
ritagliarsi una ragion d’essere. Prendete ad esempio il Beppone nazionale, in cerca d’autore per assenza di ruolo… Al vecchio narciso piace disquisire su sistemi di rappresentanza ‘alternativi’, credendo siano un antidoto alla proliferazione dei troppi coglioni in circolazione; non pago di aver portato nelle fantomatiche stanze dei bottoni una marmellata indigesta di deficienti analfabeti (uno valeva l’altro), coagulati attorno ad un non-programma, interscambiabile nella più trasformistica manovra di palazzo che mai s’era vista dai tempi di Giolitti, e capace di far sembrare dei principianti persino i cacicchi democristiani più scafati.
Padron Grillo ed i suoi magnifici pupazzi animati infatti non hanno ancora capito che il problema non è la quantità (o l’età) degli eletti, ma la loro qualità, che peraltro riflette le scelte dell’elettore medio che li vota; meglio ancora se ridotti entrambi di numero, per difetto di rappresentanza. Perché per gli ostensori dei sondaggi on line, su una piattaforma privata digitale, riservata agli iscritti certificati e che scambiano per “democrazia diretta”, la democrazia reale (quella rappresentativa, poiché non è che ve ne siano altre in giro) costituisce unicamente un problema di costi da tagliare. Uno vale l’altro e il capo politico decide per tutti. Gli altri cliccano, tra un banner pubblicitario e l’altro pure, sottoscrivendo le decisioni altrui con un plebiscito eterodiretto dall’onnipotente “Staff”.
Così, ogni tanto, Beppone sente l’impellente necessità di tirare fuori dal cilindro qualcosa di nuovo, per tentare risalire la china dei like… Dopo l’estrazione a sorteggio di David van Reybrouck, adesso è il turno di Philippe van Parijs che invece propone di togliere il diritto di voto ai vecchi.
Evidentemente in Belgio i ‘filosofi’ non hanno davvero un cazzo da fare!
Sarebbe difficile spiegare a tutti loro che due delle rivoluzioni più famose della Storia, quella americana e francese, siano nate a seguito di un basilare (e assai più prosaico) principio, ben riassumibile in un semplice motto: “No Taxation whitout representation”.
Per i soldi si fanno (anche) le rivoluzioni, perché nessuno accetta di essere spremuto e contribuire ad un sistema fiscale, senza avere nessun diritto di rappresentanza e al contempo di garanzia. E che se il diritto di voto invece di rispondere ad un principio di partecipazione estesa si trasforma a pregiudiziale esclusiva, allora tutti ne possono essere privati per i più svariati motivi e pretestuosi sofismi, discriminati a seconda di categorie più o meno ‘tollerate’, più o meno ‘utili’, da chi di fatto il potere lo detiene. E lo esercita, senza doversi troppo preoccupare di dare conto del proprio operato, su scrematura preventiva: sia essa effettuata per censo, sesso, età, fedina penale, inclinazioni personali del corpo votante.
Ma davvero Beppone ed i suoi accoliti pensano che i giovani siano delle avanguardie rivoluzionarie da aizzare contro i “vecchi” (che di fatto li mantengono con le loro tasse), meglio se teleguidati da altri vegli della montagna, nella convinzione che questi siano del tutto migliori, e quando non più fanatici, più ignoranti, o semplicemente più presuntuosi?!?
E così eccolo là, il V@te® del Vaffa-Pensiero, dopo essersi cacciato due dita negli occhi pesti, il rossetto sbaffato dopo prestazioni innominabili, mentre fresco di Bukkake, alla tenera età di 71 anni si rivolge ai suoi giovani avanguardisti adunati a Napoli per le celebrazioni di rito, annunciando l’avvento del caos creativo.
Voleva travestirsi da Joker e invece sembra reduce da una gang-bang con cum-shower finale, ingaggiato in un circuito di video porno con sesso estremo per anziani. Inquietante!
Ma non è che l’alternativa se la passi poi benissimo…
Sorvolando sui Renzie-Boys della scuola politica fiorentina del Tony Blair di Rignano, che sembrano coltivati in vitro su clonazione del bacillo originario; o sul fenomeno tutto mediatico di Greta Thunberg (diversivo di massa, con cui il “Sistema” assolve se stesso, sterilizzando la critica sociale stornata altrove), con colonne di ragazzini preventivamente ‘autorizzati’ che protestano genericamente, contro un gas ossidante e non sulle cause che stanno all’origine dell’inquinamento globale e del sistema socio-economico che lo produce… Non so… uno pensa ai due bambini mai cresciuti, i quarantenni diversamente giovani della politica italiana, che si stuzzicano e si canzonano in diretta tv come se stessero ancora alla scuola elementare.
E pure a guardarli all’età di 30 anni, flaccidosi coi faccioni imberbi già sformati e la soporosa espressione porcina di chi non ha mai fatto un cazzo nella vita… il cravattone a lenzuolo (che manco mio nonno!)… nonché l’assurdo taglio di capelli da classico nerd sfigato, improponibile anche dieci anni fa… Ecco, dinanzi a gente così, l’unico rimpianto è non averli mai bullizzati abbastanza ai tempi del liceo!
Per non parlare poi del garrulo pulcinella napoletano che gongola e s’agita tutto leccato al ministero degli esteri… o la spiantata platea di scappati di casa, miracolata con un colpo di clic.
E allora uno si chiede se il libero accesso al diritto di voto non vada ristretto per limiti di età, ma per patente imbecillità.
Homepage
Fear of the Dark
Posted in Muro del Pianto with tags Alessandra Daniele, Alessandro Giglioli, Costituzione, Democrazia, Der Spiegel, Elezioni, Europa, Günther Oettinger, Istituzioni, Italia, Jan Fleischhauer, Liberthalia, Luigi Di Maio, Mercati, Neo-nazionalismo, Politica, Popolo, Populismo, Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, Sovranismo, Spread, UE, Unione Europea on 29 Maggio 2018 by SendivogiusCosa NON fare per contrastare il “populismo sovranista” ed il “neo-nazionalismo” primatista?!?
Be’… per esempio, sintetizzando in maniera volutamente semplicistica ed un pochino brutale (nicchiamo allo spirito dei mala tempora): fregarsene del risultato elettorale e ‘nominare’ l’ennesimo “governo tecnico” pescato dal cilindro presidenziale, eletto da nessuno, meglio se infarcito con banchieri di estrazione fondomonetarista, e sostenuto unicamente da quei partiti (di minoranza) che le elezioni le hanno perse.
«Comunque vadano le elezioni, è già pronto un nuovo Governissimo di salvezza nazionale.
Un altro esecutivo formato da tecnici che nessuno ha votato, sostenuto da partiti che hanno perso le elezioni, e presieduto da una personalità istituzionale che sta sul cazzo anche alla sua famiglia.
Come ha detto Mario Draghi, in Italia c’è ancora il pilota automatico.
Tutto rimane uguale affinché tutto rimanga uguale.
Chiamarli gattopardi però sarebbe un complimento, il gattopardo è un nobile felino, questi sono bacherozzi. Frutto d’un incrocio genetico fra la blatta e il camaleonte. Blattopardi.»Alessandra Daniele
(04/02/2018)
Poi, giusto per rasserenare gli animi, conviene alimentare l’impressione di farsi dettare l’agenda politica dalle sempre disinteressate agenzie del rating internazionale e dagli eurotecnocrati di Strasburgo; meglio se facendosi trattare alla stregua di una colonia a libertà vigilata e sovranità limitata, al traino di una UE germanizzata e pronta a scatenare i suoi gauleiter contro i sudditi riottosi al nuovo Ordnung teutonico, nei Reichsgaue ribelli alla periferia dell’Impero.
Altra cosa da NON fare, perché la cosa comporta delle conseguenze, è lasciar intendere (magari per deficit di comunicazione e distorsione del messaggio) che questi possano sovrapporsi e sostituirsi alle Istituzioni democratiche, per un trasferimento della sovranità nazionale dal “popolo” ai “mercati”, assurti a nuovo organo costituzionale non riconosciuto ma esplicitamente vincolante. Peraltro senza che si intraveda, almeno per compensazione, alcuna contropartita tangibile che non sia la pedagogia dell’austerità e della punizione; almeno finché gli italiani non impareranno a votare come si deve. Meglio ancora: insistere sulla retorica dei “compiti a casa” e delle cicale latine, mantenute a sbafo dalla generosa Germania, che pagherebbe le gozzoviglie di un popolo antropologicamente votato al parassitismo per congenita propensione (razziale?). E per questo da rieducare, o tenere comunque sotto sorveglianza.
Nel dubbio, c’è sempre l’immancabile intervento (non richiesto) del solito tecnoburocrate tedesco, fondamentale come un ascesso perianale e tempestivo come una perdita radioattiva, a stroncare ogni corrispondenza residua per una Unione europea, che oramai suscita nella maggioranza degli italiani la simpatia di una raspa nel culo. L’ultimo di una serie diventata troppo lunga per essere ancora tollerata è il contributo del supercommissario ai bilanci (e di passaggio alle “risorse umane”), Günther Oettinger, che certo ha migliorato di molto la percezione diffusa che dell’Europa ormai si ha, insieme al profilo segaligno di questi arcigni maestrini del Rigore (in casa altrui) che conferiscono all’intera confezione un tocco quasi lombrosiano.
Ma prima c’era già stato l’articoletto su Der Spiegel, firmato dal solito Jan Fleischhauer, a stemperare le tensioni e dissipare la folata populista, in un concentrato di stereotipi e luoghi comuni estesi a tutti gli italiani indistintamente, che nemmeno nei cessi dei peggiori autogrill..!
Dalle parti della Deutschland che si crede über Alles, i nostri aspiranti castigatori sono un po’ così… o fanno la faccia cattiva da kapò, o (tagliati gli orripilanti baffoni Anni ’70) hanno il profilo sbarazzino, e pure un po’ da frocetto, del provocatore che si crede anche fighetto. Perché quanno ce vo’, ce vo’!
Se questo è il panorama “internazionale”, altro errore da non fare è cassare la scelta di un potenziale ministro, non in virtù del suo curriculum e dei suoi trascorsi personali, ma in merito alle sue idee in ambito squisitamente economico, in un processo alle intenzioni su base suppositiva. Come se le sue opinioni (accademiche) possano essere oggetto di veto preventivo, prima ancora che oggettivo su riscontro concreto. E’ vero che il Presidente Sergio Mattarella esercita i suoi poteri in osservanza dell’Art. 92 della Costituzione (“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”). E solo un imbecille come Giggino O’ Sarracino, imbalsamato nel suo eterno sorriso di plastica, poteva immaginare di sollevare una questione di “alto tradimento”, riguardo all’esercizio di una prerogativa assolutamente legittima.
Ma è anche vero che il Presidente della Repubblica dovrebbe tenere a sua volta presente l’assunto fondamentale contenuto nell’Art.1 (“la sovranità appartiene al popolo”), limitando l’esercizio del diritto di veto nel caso vengano meno i presupposti contenuti nell’Art.54 della Costituzione, nel rispetto della volontà dell’elettorato, espressa in libere elezioni:
“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”
Ed evitare così di cadere, per una scelta opinabile, nel trappolone abilmente orchestrato da un Matteo Salvini, per meri interessi di bottega elettorale… Non per niente, se il Presidente voleva tutelare gli interessi dei risparmiatori italiani, stando all’andamento dello spread, sembra aver finora ottenuto l’effetto contrario…
«In questa partita Di Maio si stava giocando tutto, Salvini no. Il leader leghista era in posizione win-win: vincente se partiva il governo con il ministro da lui voluto, vincente se si fosse arrivati alla rottura, perché pronto a fare bingo andando al voto. E infatti stasera, a Spoleto, in maniche di camicia e molto più rilassato del suo socio, Salvini era capace perfino di fare ironia, “potevano dircelo prima che non potevamo governare almeno non stavamo a far notte sul programma”.
E così si arrivati al crac, alla rottura. Non è servito il rassicurante comunicato domenicale dello stesso Savona, non è servito il bassissimo profilo tenuto dal premier incaricato Giuseppe Conte finito per sbaglio o vanità in un gioco molto più grande di lui.
Nella sua ricostruzione alla Sala della Vetrata, Mattarella è partito quasi con una excusatio non petita, sostenendo di avere fatto di tutto per lasciare che Lega e M5S arrivassero al loro governo, di avere aspettato i loro tempi, il loro “contratto”, le loro votazioni on line e ai gazebo, di avere anche superato “le perplessità per un premier non eletto” (frecciata pesante verso chi di questo slogan aveva fatto una bandiera), infine di avere accettato tutti i ministri proposti da Conte – cioè dai suoi azionisti. Tutti tranne uno.
Eccolo qui, l’ostacolo insormontabile, un signore ottuagenario dal curriculum senza fine e senza zone oscure, che però pensandosi fuori dai giochi da qualche anno aveva deciso di togliersi i sassolini dalle scarpe sull’euro, sulla sua architettura sbilenca, sul dominio tedesco, sulla necessità di rinegoziare molte cose comprese alcune di quelle che l’ortodossia di Bruxelles e Berlino considera non negoziabili, non oggetto di mediazioni.
E viene a mente un altro caso, un caso di tre anni fa probabilmente molto presente nell’animo di di Mattarella, da giorni. Il caso di Yanis Varoufakis, certo uomo di altra estrazione politica rispetto al governo gialloverde, eppure di idee così simili a Savona per quanto riguarda il giudizio su quest’Europa e sulla sua moneta, e quindi (come Savona) inaccettabile per Bruxelles e Berlino, che l’osteggiarono fino a chiudere i rubinetti dei bancomat a un intero Paese – e a ottenerne la testa.
No, Mattarella non è uomo della Troika, dei mercati, dei poteri forti europei, di Berlino e delle banche. Ma è cosciente che quei poteri esistono e soprattutto che sono capaci di mettere in ginocchio un Paese. Perché questa è la realtà, al momento. Una realtà atroce – e già in Grecia si era visto quanto violenta era stata l’imposizione su un governo eletto dal popolo, su un referendum in cui aveva votato il popolo. Ma una realtà fatta di condizioni oggettive.
Così l’Italia sta vivendo la questione fondamentale del presente, l’esternalizzazione del potere dalle democrazie nazionali ai vincoli economici internazionali.
Una questione in cui Di Maio e Salvini (piacciano o facciano orrore) hanno le loro fondate ragioni: abbiamo votato, si faccia come vogliono i cittadini; eppure le ragioni le ha anche Mattarella, non solo nell’esercizio delle indiscutibili prerogative che la Costituzione gli assegna ma anche nel merito, nel contenuto: no, oggi non si può fare come vogliono i partiti scelti dai cittadini perché se lo si fa andiamo tutti incontro a un massacro, com’è avvenuto in Grecia, e io come presidente ho appunto le prerogative costituzionali per provare a evitarlo.
Quello che oggi in Italia è uno scontro istituzionale – purtroppo – rivela quindi la contraddizione più bruciante del nostro tempo, cioè la convivenza che si fa talvolta impossibile tra democrazie e libero mercato, dopo un secolo in cui si era pensato che solo nel libero mercato fiorissero le democrazie. E invece non è più così, non c’è più coincidenza tra i due sistemi, se mai c’è stata. Oggi le democrazie sono rinchiuse all’interno di Stati che non hanno più autonomia di scelta, che per garantire i risparmi dei cittadini devono rinunciare a se stessi.
A questa trappola epocale la reazione diffusa non può che essere il sovranismo, il neonazionalismo. E lo sarà o finché il capitalismo per paura inizierà a trattare o finché la democrazia non diventerà sovranazionale.»Alessandro Giglioli
“La trappola della democrazia nel mercato”
(27/05/2018)
Il bel risultato è la più grave crisi politica di tutta la storia repubblicana, per uno scontro istituzionale senza precedenti, che prefigura scenari da Repubblica di Weimar.
Sempre che votare serva ancora a qualcosa…
Homepage
(107) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Cialtroni, Costume, Demagoghi, Elezioni, Fascismo, Italia, Lega, Liberthalia, M5S, Matteo Renzi, Matteo Salvini, PD, Politica, Razzismo, Silvio Berlusconi, Società on 3 febbraio 2018 by Sendivogius“Classifica GENNAIO 2018″
Appassionante come la carcassa putrefatta di un cane morto, continua la farsa delle candidature elettorali, nel grande shithole della politica italiana: il pozzo nero con la fuffa intorno, dove ogni minimo di decenza o parvenza di dignità sembra ormai sprofondata in un gorgo indistinto di stronzate surreali, che mai si ricordino a memoria di televendita, tanto che Wanna Marchi al confronto sembra una sobria statista di altri tempi e Cetto La Qualunque un raffinato teorico del realismo politico.
Nell’Era dei Cazzari, il mondo appartiene ai cialtroni: contaballe professionisti e spacciatori industriali di fuffa all’ingrosso, con la loro corte dei miracoli, e soprattutto di miracolati da certa ‘politica’ che fa del cialtronismo una professione; la claque sempre al seguito e pronto impiego, per le esibizioni coreografiche degli abborracciati capetti in grisaglia, alla ricerca di una rendita sicura in parlamento. Tra di loro condividono l’ignoranza abissale e l’incontenibile faccia come il culo. E fin tanto che non otterranno la loro elezione per meglio fottere ancora, ci toccherà subire questa giostrina demente di macchiette caricaturali, che si agitano su cavallucci a dondolo, roteando sciabolette di latta spuntate. Sono i nuovi mostri della politica italiana. E per rintracciare una simile galleria di facce da culo, bisognerebbe ritornare alla commedia grottesca degli Anni ’60, se non fosse che questi sono infinitamente peggio.
In un crescendo mirabolante di promesse impossibili (stronzate per l’appunto!) ed iperboliche elargizioni di massa, di chi ritiene che gli elettori prima ancora che convinti vadano soprattutto comprati, e con le quali i cazzari si inseguono tra loro nella corsa a chi la spara più grossa, il premio alla miglior faccia da culo di sempre spetta
indubbiamente a Lui, l’intramontabile Pornonano, campione indiscusso della categoria. E sarebbe destinato e rimanervi ancora a lungo, se solo una faccia ce l’avesse ancora, nascosta com’è da un multistrato di fard e cerone che conferiscono il tipico colorito argilloso al mascherone funebre che ne ricopre il volto, con la tripla passata di vernice per mogano in cima al prepuzietto, per simulare la ricrescita della peluria. Insomma, un barcollante zombie della politica in circolazione da 25 anni (ma che ha in schifo i “professionisti” della suddetta), che caracolla incerto sui
tacchi da 12 come un E.T. sodomizzato di fresco, e ciancica mentine cercando di non perdersi per strada la mandibola, mentre parla di detassazione del cibo per animali, tonsura canina, e le immancabili dentiere. Insomma, una roba grottesca!
Alla sua (estrema) destra si agita il porcinesco uomo con la felpa, davvero convinto di fare il premier, ed al cui confronto il canaro di Arcore ci fa un figurone..! Il programma di Salvini è semplice: zero tasse, armi per tutti, giustizia sommaria, “radici cristiane” e zero diritti civili, i dazi (in un paese che vive prevalentemente di esportazioni), niente vaccini, caccia grossa ai negher che minacciano la “razza bianca”, ed i suoi bifolchi della provincia profonda. Insomma, l’Alabama del 1930.
A chi parla di “deriva neo-fascista” della Lega salvinizzata, bisognerebbe far notare che la Lega è sempre stata compiutamente fascista, fin dai tempi della fantomatica “Padania” disegnata sui confini della Repubblica di Salò e ad essa perfettamente sovrapponibile. Con Salvini ha fatto un passo in più: è la formazione politica di un qualche rilievo, che più di ogni altra è prossima al nazismo. Nell’attesa che la mutazione sia completa, non c’è merda fascista o razzista da KKK che Salvini non vada ad omaggiare o legittimare, sciacallando nel frattempo su ogni tragedia che possa lucrargli qualche voto. É la punta ‘moderata’ della coalizione di “centrodestra”.
Epigono più riuscito della cucciolata pur copiosa del berlusconismo di ritorno, è invece l’aitante Adone di Rignano sull’Arno, quello che se perdeva il referendum costituzionale lasciava la politica e faceva il conferenziere per le università private, convinto che per sentire le sue stronzate lo pagavamo pure!
E’ il trombato di lusso, che da quando è segretario del partito bestemmia è riuscito a perdere ogni elezione possibile, e provocato una scissione, mentre corre baldanzoso incontro ad una debacle epocale che forse ce lo leverà dai coglioni una volta per tutte, nonostante abbia riplasmato il partito a proprio immagine e somiglianza con un’insufflata di “fedelissimi” (che lo tradiranno non appena avranno di meglio a cui raccomandarsi). E che ora pensa di risalire la china con una specie di Lista Beautiful di volti noti mediaticamente spendibili e nulla più. È la variante gggiovane della “rottamazione”, mentre ripropone l’eterna Emma Bonino, ricicla un Pier Ferdinando Casini in un collegio sicuro (o così gli ha fatto credere) a Bologna, forse per l’ottimo lavoro fatto nella commissione per Banca Etruria, e piazza i suoi balilla in listini protetti come i panda per salvarli dalla prossima estinzione.
Come un disco rotto, che si inceppa sempre sulla stessa nota, va ripetendo fino allo sfinimento il mantra degli ottanta euro (che tanta fortuna gli anno portato alle elezioni europee, le uniche vinte) e ancora non ha capito che il prodotto non vende più da tempo. Ora che invece è evidente il bluff dei posti finti e dei diritti azzerati di chi lavora, il Job Act lo sventola assai meno, se non come provocazione per appagare i padroni (ops! Benefattori datori di lavoro!!).

Sulle cazzate di questo coso buffo non vale neanche più la pena di perderci tempo. Ancora un paio di mesi e sarà storia passata e sepolta.
Un occhio di riguardo invece alla fu Setta del Grullo, scippata al sommo W@te® dalla Casaleggio Associati per usucapione, con la proiezione olografica di un Luigi Di Maio, forte del suo formidabile curriculum professionale, a fare da “capo politico” (o prestanome?): l’app aziendale che va in crash ogni volta che si imbatte in un congiuntivo, e che dovrebbe vigilare sulle liste di candidati pescati a strascico sul webbé, insieme a qualche esperto in fuffologia applicata per rassicurare i ‘mercati’. Perché uno vale l’altro, quando il “capo” decide per tutti e le decisioni che contano sono rimesse all’insindacabile giudizio di un fantomatico “Staff”, con un livello occulto che tutto controlla dietro la farsa delle cliccarie.
Che vinca il peggiore!
Hit Parade del mese:
01. L’IMPORTANTE È CREDERCI
[23 Gen.] «Sono davvero straconvinto che siamo l’unico argine al razzismo. Oramai agli italiani è evidente»
(Matteo Salvini, l’Anti-razzista)
02. PARLA COME MAGNI!
[20 Gen.] «L’atomistica liberale mira a dissolvere la famiglia nella pluralità nomade e diasporica degli io irrelati o, in modo convergente, a ridefinirla come mero assemblaggio effimero e a tempo determinato, rispondente in via esclusiva al libero e illimitato desiderio.»
(Diego Fusaro, il Sofista)
03. SEMPRE VOLLI
[03 Gen.] «Il Movimento ha sempre detto che noi VOLESSIMO fare un referendum sull’euro »
(Luigi Di Maio, il Coniugatore)
04. RESTAURI
[18 Gen.] «E’ vero che questo non è il tempo della rottamazione, come dice Calenda è bella l’immagine della costruzione. Ma sappiamo che se non ci fosse stata la fase della rottamazione oggi il ceto politico sarebbe quello del passato. Non dobbiamo tornare a schemi del passato. Se c’è un disegno politico non originale e non inedito è restaurazione di quelli che c’erano prima e non la permetteremo»
(Matteo Renzi, il Vecchio che resta)
05. IL PARTITO DEI MODERATI
[26 Gen.] «Vorrei i miei vigili armati di kalashnikov»
(Nicola Fragomeni, il Mitraglietta)
06. MESSAGGIO CULTURALE
[07 Gen.] «Come Presidente del Maggio Musicale sostengo la decisione di cambiare il finale di Carmen, che non muore. Messaggio culturale, sociale ed etico che denuncia la violenza sulle donne, in aumento in Italia.»
(Dario Nardella, Pupazzo fiorentino)
07. SPIRITO DI SACRIFICIO (I)
[26 Gen.] «In tutti i prospetti che girano sulle candidature c’è una casella sul proporzionale con un nome certo: Giachetti.
[…] Bene: sento dentro di me che quella casella (il paracadute) mi sta troppo stretta. Non corrisponde alla mia storia, alla mia cultura, al mio sentire. […] E allora no. Quel paracadute sarebbe per me un vestito sgualcito e stretto, un trapianto di pelle, un cibo avariato. Non lo voglio.»
(Roberto Giachetti, il Sacrificato)
08. SPIRITO DI SACRIFICIO (II)
[27 Gen.] «Ieri ho scritto chiaramente che rinunciavo alla candidatura sicura nel plurinominale per combattere esclusivamente nel collegio uninominale di Roma 10 dove vivo da sempre. Un collegio difficile, ma che avrei fatto di tutto per portare a casa, con lo stesso spirito con il quale ho lottato per conquistarmi un posto alle parlamentarie del 2013 quando nessuno puntava una lira sul fatto che potessi farcela, con lo stesso spirito con il quale mi sono candidato a Roma, dopo aver vinto le primarie, sapendo perfettamente che era una battaglia persa.
Ho appreso solo nella tarda mattinata di ieri che quel collegio, che nei giorni scorsi sulla stampa era indicato come il collegio destinato a me, era stato inserito nell’accordo con i radicali.
In ragione di questo, per tutto il giorno, insistentemente, mi è stato chiesto di rivedere la mia scelta di rinunciare al paracadute plurinominale.
[…] In nottata mi è stato comunicato che, presumo anche in ragione delle mie responsabilità nazionali, sarei stato candidato in un collegio della Toscana dove peraltro sono stato spessissimo in questi anni a fare iniziative. Certo, so bene che quel collegio è più sicuro di quello dove volevo candidarmi.»
(Roberto Giachetti, il Paracadutato)
09. TI ASPETTIAMO CON ANSIA…
[22 Dic.] «Sono pronto per la campagna elettorale: il mio collegio sarà Firenze. Passo dall’auto blu alla vespa blu: andrò casa per casa.»
(Matteo Renzi, il Maleandante)
10. UN FIORINO!
[28 Gen.] «Se sarò premier metterò i dazi come Trump.»
(Matteo Salvini, il Trumpista)
Homepage
(99) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Cialtroni, Costume, Elezioni, Italia, Liberthalia, Matteo Renzi, PD, Politica, Squallore on 2 giugno 2017 by Sendivogius“Classifica MAGGIO 2017”
Eccolo lì, il Bullo di Rignano che si crede Napoleone e si balocca sul suo cavallino a dondolo, agitando la sciaboletta di latta e fantasticando di improbabili rivincite. Finita la quarantena, dopo la batosta referendaria del 4 dicembre (giorno magico in cui il 70% degli italiani ha inviato su scheda un sonoro vaffanculo collettivo all’aspirante Re Bomba ed ai suoi sodali), rieccolo di nuovo alla carica: gonfio e tronfio con l’immancabile camicia bianca d’ordinanza da piazzista di successo e le maniche arrotolate da fankazzista professionista, a rivendicare successi straordinari (ed immaginari) in un’Italia al collasso sociale. Ma il piccolo Napoleone è troppo concentrato a rimirarsi l’ombelico, disperso tra i rotoli di un’adipe incontrollabile, mentre avanza baldanzoso verso la sua prossima Waterloo personale, accompagnato dal suo sempre più squallido codazzo di cortigiani adoranti e propagandisti a mezzo stampa. Il fatto è che il Bomba, tra un selfie e l’altro, ed i siparietti coi suoi degni ruffiani di corte, esaurite le cazzate, e considerato ormai più mefitico di un Berlusconi a livello internazionale, è rimasto disoccupato. Tiene famiglia. Non ha la minima intenzione di cominciare a lavorare (a 40 anni poi il trauma sarebbe troppo grande), e c’è sempre l’inchiesta Consip che incombe… Quindi bisogna fare presto. E il Bullo ha fretta di ricollocarsi, a stipendio garantito, e soprattutto con immunità assicurata. Il fatto che né lui, né i suoi (finti) avversari, abbiano uno straccio di programma, è un elemento del tutto secondario e irrilevante ai fini personali. È solo una questione di sopravvivenza, per gentucola senz’arte né parte che con la ‘politica’ ha scoperto Lamerica. E dunque una legge elettorale vale l’altra: Consultellum, Rosatellum, Provincellum, Toninellum, Mattarellum, Legalicum, Italicum… dove l’uso distorto del Latinorum è l’impronta più evidente del degrado culturale ancor più che politico, nell’evidente cialtroneria di questi parassiti della democrazia, alla distribuzione delle poltrone.
Hit Parade del mese:

01. SEMPLIFICAZIONE
[03 Mag.] «Lavoro, casa, mamme»
(Matteo Renzi, il Comunicatore)
02. W IL DUCE CHE CI DA LA LUCE
[04 Mag.] «Siamo nel corso di una catastrofe del riformismo storico, solo due luci possono invertire la tendenza: Macron e Renzi»
(Gennaro Migliore, Leccaculo senza confini)
03. TALENTI
[25 Mag.] «Niente tagli al mio compenso, sono un artista, non un giornalista»
(Bruno Vespa, il Fenomeno)
04. COMPLOTTO CAPITALE
[11 Mag.] «Nelle notti di venerdì e sabato è partito l’ordine di sporcare Roma in certi punti dove c’è molta visibilità, perché stanno già reclutando persone per andare a pulire dove loro sanno che troveranno molto sporco, vigilate attivisti di Roma e soprattutto amici condividete il più possibile questa notizia»
(Massimo Baroni, Coglione a 5 stelle)
05. LA STRAGE DEGLI INNOCENTI
[27 Mag.] « I vaccini non sono sicuri. Questi bastardi stanno ammazzando i bambini (…) Che cazzo di paese di merda è questo che obbliga i bambini a vaccinarsi?»
(Bartolomeo Pepe, altro coglione non più a 5 stelle)
06. LA SCUOLA PD
[20 Mag.] «Finestra è intendere la parola ‘potere’ come verbo, non come sostantivo. La sfida non è fare meglio di loro ma dare il meglio di noi stessi. Lasciamogli lo specchio, teniamoci la finestra. Specchio richiama la parola virale. Finestra richiama la parola vero. Una parola non diventa vera se la dico 10 volte. (…) Specchio è potere, finestra è potere. Potere può essere sostantivo e verbo. Se non pensi di potere, come fai politica?»
(Matteo Renzi, Contorzionista del linguaggio)
07. NON È L’ULTIMA PAROLA
[31 Mag.] «Noi faremo una campagna elettorale mettendo al centro il lavoro, la crescita economica e il bene del Paese. Certamente non faremo una campagna partendo dal presupposto che ci saranno le larghe intese.»
(Matteo Richetti, lo Scendiletto)
08. DIVERSAMENTE VOUCHER
[27 Mag.] «I voucher sono stati cancellati con un decreto-legge di questo Governo e non torneranno. Chi sostiene il contrario, non dice la verità. Con la conseguenza aggravante a suo carico di voler lasciare nell’illegalità quelle tante piccole prestazioni di lavoro occasionale di modesta entità economica, che oggi non trovano alcuna tutela nel nostro ordinamento. Governo e PD vogliono regolare i lavori occasionali tutelando i soggetti coinvolti»
(Anna Finocchiaro, la Garante)
09. PAPA-RAP
[27 Mag.] «Quando io vado a missionare, non è soltanto la decisione mia, quella che mi fa andare: c’è un altro che mi missiona, che mi invia a missionare. E non si può missionare senza essere missionato da Gesù. È Gesù che ti missiona»
(Papa Bergoglio, il Cazzaro Bianco)
10. SENZA PAROLE!
(29 Maggio – Matteo Renzi, l’Imbucato)
Homepage
TERTIUM NON DATUR
Posted in Kulturkampf with tags Democrazia, Donald Trump, Elezioni, Esteri, Hamiltoniani, Hillary Clinton, Jeffersoniani, Liberthalia, Politica, Potere, Stati Uniti d'America, USA, Wilsoniani on 25 luglio 2016 by SendivogiusL’incommensurabile fortuna di non votare alle elezioni presidenziali negli USA comporta il privilegio di non dover scegliere tra un clownesco miliardario cotonato, col suo contorno di Barbie importate dall’Europa orientale, ed una vecchia gallina bollita che pilucca da venti anni nei cortili della White House, intossicata da una sete per il potere inteso come appannaggio dinastico.
Cinici, ambiziosi, bugiardi e soprattutto falsi come le loro chiome riverniciate di fresco con tinture all’ingrosso, sono i protagonisti plastificati, i gemelli diversi che si agitano tra i festoni kitsch di una democrazia al silicone, nella grande recita elettorale al teatro degli inganni per l’alchimia del potere.
Non lasciatevi ingannare dalle reciproche provocazioni e dai toni apparentemente esagitati… Tutti e due gli attori fanno parte di una grande famiglia allargata…
La storia americana è piena di esilaranti cialtroni ed imbarazzanti coglioni, pericolosi sociopatici e stralunati minchioni, spesso e volentieri eletti alle massime cariche
dell’Unione. Né sono mai mancati gli aspiranti tali, nell’abbondanza di materia prima della quale la Terra delle Opportunità eccelle da sempre. Non lasciatevi perciò impressionare dagli exploit fascistoidi di un Trump, che senza le sue sparate cesserebbe di esistere come personaggio mediatico. Se davvero vi preoccupate di questo energumeno con una donnola morta incollata sulla testa, allora non avete mai sentito parlare di George Wallace.
Al netto delle sue sbruffonate da duro del Roadhouse che ne marcano la differenza dai suoi omologhi, il miliardario newyorkese non è poi così al di fuori dai canoni classici del pensiero politico americano, che resta lontano anni luce dagli schemi analitici (ed ideologici) degli Europei i quali infatti continuano a guardare al fenomeno con lenti deformate.
In prospettiva, a modo suo, Donald Trump riprende in parte diversi aspetti della visione “jeffersoniana” della democrazia americana, specialmente in quella che è la sua componente più populista, mutuandone la carica isolazionista e la polemica contro i poteri della finanza, se non fosse che le libertà civili non rientrano esattamente tra le preoccupazioni fondamentali di Trump.
«Il jeffersonismo è una tendenza molto particolare della politica americana, non ben compresa all’estero. I suoi seguaci vorrebbero che il resto del mondo diventasse più democratico, ma non si aspettano questo, e soprattutto non pensano che sia compito degli Stati Uniti imbarcarsi in un’impresa così impegnativa per favorire tale processo. Il nucleo di questa dottrina consiste nella celebrazione dei caratteri unici e impareggiabili della società americana, valori che vanno difesi principalmente all’interno, non all’estero.
Essa è in contrasto con la tendenza hamiltoniana e con quella wilsoniana, da sempre predominanti fra i massimi esponenti della politica estera americana; e travalica le frontiere ideologiche e politiche, annoverando fra i suoi sostenitori, ad esempio, sia Ralph Nader che Pat Buchanan. Non è dunque circoscritta alla sinistra, tant’è vero che a livello istituzionale potrebbe trovare il suo più convinto portavoce nel Cato Institute. I jeffersoniani hanno a cuore le libertà civili tenute tradizionalmente in alta considerazione negli Stati Uniti e sono favorevoli a una limitazione dell’intervento pubblico nella vita dei cittadini allo scopo di salvaguardare questi diritti. Né vedono di buon occhio uno stretto rapporto fra grandi imprese e governo sia in politica interna che in quella estera.
[…] I jeffersoniani sono gli stalinisti della situazione, che puntano sulla «democrazia in un solo paese», poiché ritengono già difficile salvaguardarla in patria, e sono molto scettici sulla possibilità di esportarla con successo all’estero. I jeffersoniani cercano di difendere le prerogative del Congresso in politica estera, poiché guardano con profondo sospetto gli instancabili tentativi dell’esecutivo di espandere i poteri del governo federale. Ma oltre ad essere restii ad assecondare questa tendenza, sono ancor più avversi a cedere la sovranità ad istituzioni internazionali inaffidabili quali l’ONU e la NATO. E sono quasi sempre recalcitranti a firmare trattati che limitino la libertà d’azione dell’America in campo internazionale. Per loro la guerra è un flagello, poiché quasi invariabilmente porta a un’estensione dei poteri del governo federale, spesso per cause di dubbio valore. Onde evitarla, bisogna dunque circoscrivere il più possibile la sfera degli interessi americani, così da limitare al massimo i possibili contenziosi con altri Stati.»
“Quello che gli europei non capiscono di noi”
di David M. DICKEY e John C. Hulsman
Limes (20/06/2004)
Ma se Donald Trump è pessimo, Hillary Clinton è persino peggiore. O, se preferite, è la versione fotogenica della stessa merda.
Nella candidata ‘democratica’ si ritrovano tutte le tradizionali tendenze della “democrazia wilsoniana”, che poi con le sue presunzioni missionarie è una forma di interventismo estremo dalle venature neo-coloniali e solitamente velato da eleganti eufemismi tipo “il diritto all’ingerenza umanitaria”, che nell’Era dei Bush si trasforma più apertamente in “esportazione della democrazia” in ottemperanza a quelle influenze “hamiltoniane” che sono maggioritarie nel neo-conservatorismo repubblicano e che pure ritornano nella politica estera propugnata dai coniugi Clinton.
«Diversamente da quella jeffersoniana o jacksoniana, la tradizione hamiltoniana è uno dei capisaldi delle teste d’uovo della politica estera americana. Come nel caso delle altre due tendenze repubblicane, i suoi seguaci condividono un punto di vista basato sull’interesse nazionale, nella ferma convinzione che anche gli Stati Uniti devono agire tenendo conto delle loro risorse. E, contrariamente alle due scuole di pensiero sopra menzionate, hanno molto a cuore il benessere del paese, in quanto ritengono che la potenza economica sia almeno altrettanto importante di quella politica e militare. E che gli scambi commerciali e l’interdipendenza creino le condizioni per la pace nel mondo. Al pari dei fondatori dell’Unione, riconoscono che l’umanità è avida e litigiosa e ritengono che un equilibrio di forze, sia pur moralmente difficile da accettare, sia il miglior mezzo per difendere gli interessi americani.
La loro preoccupazione principale è l’ascesa di una potenza rivale egemone, per cui considerano che i benefici derivanti dagli scambi commerciali internazionali siano un mezzo efficace per far accettare agli altri paesi il predominio americano, condividendo la prosperità economica. Come i wilsoniani, anch’essi sono favorevoli all’uso delle istituzioni internazionali, ma solo perché convinti che ciò consenta all’America di stabilire le regole cui la comunità internazionale dovrà attenersi. Non per caso, furono favorevoli agli accordi che diedero vita alle istituzioni finanziarie di Bretton Woods (come la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale), proprio perché furono soprattutto gli americani a formularne gli statuti costitutivi. Per analoghe ragioni, gli hamiltoniani sono fortemente favorevoli alla partecipazione dell’America alla Nato, in quanto essa rimane la forza predominante nel mondo multilaterale, dotata di un costante sostegno da parte degli alleati. Il loro motto è dunque: chi fissa le regole del gioco vince. Anche se rimangono internazionalisti fin tanto che questa posizione torna a vantaggio degli interessi degli Stati Uniti.»
“Quello che gli europei non capiscono di noi”
di David M. DICKEY e John C. Hulsman
Limes (20/06/2004)
Il supercafone col riporto che pare appena uscito da una spaghettata con Tony Soprano è il Facciatosta assolutamente speculare a questa versione femminile del Dottor Sottile, perché entrambi sembrano usciti da una commedia di Ben Jonson, dove la farsa può declinare rapidamente in tragedia.
Come in ogni rappresentazione che si rispetti, serve un villain che non deve essere convincente bensì connivente, coi suoi tratti caricaturali assolutamente esasperati… Insomma una
specie di mascherone kabuki che si agita davanti ai fondali di cartapesta, per impressionare il pubblico ed attirare i “pavoncelli da mettere allo spiedo“. Ma alla fine è il Dottor Sottile che fa la differenza e rende possibile l’inganno…
Homepage
ROMAGEDDON (III) – Panem et Cichorium
Posted in Roma mon amour with tags Costume, Democristiani, DS, Elezioni, Francesco Rutelli, fuffa, Gazebo, Ignazio Marino, Italia, Liberthalia, Margherita, Matteo Renzi, Partito Radicale, PD, Politica, Primarie, Roberto Giachetti, Roma, Sindaco di Roma on 11 marzo 2016 by Sendivogius
Appassionanti come una pantegana agonizzante all’imbocco di un tombino, utili come un herpes genitale, si conclude finalmente la farsa indegna delle primarie all’italiana. O per meglio dire, si macera nei suoi stessi liquami questa loro variante improvvisata ad cazzum dell’originale USA, subito riadattata alle solide tradizioni italiche, divenendo lo specchio di vizi antichissimi: clientelismo elettorale, compravendita del voto di scambio, e galvanizzazione del notabilato locale, con la riesumazione degli antichi cacicchi democristiani resuscitati nei cimiteri viventi del partito bestemmia, con tanto di “party raiding” annesso ed espanso all’ibrido nostrano.
Importate a suo tempo da Water l’Amerikano (a Roma), quello che non ha mai superato l’infantile complesso di identificazione con l’oggetto mitologico dei suoi scimmiottamenti, le ‘primaries’ de Noantri servivano soprattutto a far sentire politicamente partecipi, e socialmente aggregati, una massa di boccaloni intruppati dietro ad un seggio improvvisato per giocare alle elezioni per finta, nell’illusione di scegliersi il proprio candidato versando un piccolo obolo.
Poi è arrivata la buffonata on line della Casaleggio Associati: un modo perfetto per incrementare i clic della congrega e fornire un intrattenimento esclusivo per i selezionatissimi followers della setta digitale.
E ovviamente, da buon ultimo, in un contorno ceronato di pompette e pompXXX (vabbé! Ci siamo capiti), non poteva mancare il Pornonano (o quel che ne rimane) col suo candidato unico su modello plebiscitario.
Il problema invece non si pone minimamente per quello sbavante cinghialotto della pedemontana che si fa chiamare Matteo Salvini: emblematico caso mediatico di parassita in conto pubblico, dalla ciarliera inutilità ambulante, col suo codazzo di fobici psicopatici a mano armata. Ma qui siamo nell’ambito degli argomenti intoccabili, non foss’altro perché trattare delle deiezioni salviniane è un po’ come strizzare la diarrea sperando che diventi solida, nell’invariabilità di sostanza.
In tempi di aspiranti reucci e ducetti d’accatto con le fregole decisioniste, che si agitano nel pentolone vuoto di vacue promesse e propaganda all’ingrosso, il rituale farlocco delle primarie serve innanzitutto per simulare una qualche investitura ‘democratica’ ai proconsoli su nomina del Capo, con città da occupare prima ancora che amministrare, e galvanizzare truppe sempre più raccogliticce. Non è un caso che nei gazebo semivuoti, i candidati ‘scelti’ provengano tutti dalla corte del Piccolo Principe fiorentino, nella totale sicurezza della loro designazione, senza sorprese (brogli inclusi) proprio come da copione.
Il caso Roma parla da sé. Tra i moltissimi problemi oggettivi, la città ne aveva uno massimamente soggettivo…
Nella rete di alleanze trasversali, intrecci di interessi privati e consorterie politiche, l’organigramma renziano passa attraverso l’occupazione fisica del potere, cominciando dalle grandi città, dove il radicamento sociale della sua corte di provincia è minimo. Roma costituisce il pezzo pregiato della scacchiera; il controllo della Capitale è il passepartout fondamentale per accedere alle profane stanze della Curia vaticana ed ai salotti che contano, dove si muove quel generone capitolino che al chiuso dei propri circoli sportivi già sogna la grande greppia delle olimpiadi. È ovvio che al netto delle criticità, con tutti i suoi limiti (e non erano pochi), un alieno incontrollabile come Ignazio Marino era, prima ancora che un problema, un intralcio da eliminare quanto prima. Come rimuovere un sindaco sgradito, per sostituirlo con un proprio ubbidiente replicante?!? Be’ innanzitutto si soffoca un’amministrazione comunale, negandogli i trasferimenti dovuti e lesinandogli al minimo i fondi per la conduzione ordinaria, salvo poi gridare alla paralisi istituzionale di una gestione inefficiente e organizzare campagne a tambur battente sul “degrado” (che gli appassionati di questo sottogenere pulp li troverete sempre). Poi si tira dentro ad uno scandalo inesistente un sindaco logorato e scientificamente screditato da una campagna mediatica ostile, tanto per essere certi di stroncarne ogni velleità di resistenza ed infamarne la persona. Quindi si procede al commissariamento del sindaco legittimo, ma non prima di una character assassination pompata a livello virale sui giornaletti amici, peraltro in ottima compagnia con fascisti e grillini. E se proprio il sindaco non si vuole dimettere, si formalizzano privatamente le dimissioni della giunta dal notaio con un atto che non ha precedenti.
D’altronde, il Pittibullo di Pontassieve voleva un suo fedelissimo da mettere alla guida della Capitale. Detto-Fatto. E siccome tutti i pianeti ruotano attorno al Re Sole, niente devo oscurare l’astro nascente del Bambino Matteo che evidentemente non aveva a disposizione niente di meglio che un Roberto Giachetti, da candidare a sindaco della città. Lo stesso che fino al Dicembre del 2015 ha spergiurato di non volersi mai e poi mai candidare, in ossequio al valore della coerenza che segna la rispettabilità della politica italiana.
Esperto in cambio multiplo di casacche, il Robertino nazionale ha praticamente attraversato mezzo arco istituzionale: Partito Radicale, Verdi, Margherita, PD… sempre irrilevante come i suoi scioperi della fame per le cause più improbabili: la calendarizzazione della legge sul conflitto di interessi; lo svolgimento dell’assemblea costituente del partito; per la legge elettorale… e così via digiunando, secondo i rigori della dieta “radicale” da cui proviene.
L’esperienza lui la racconta così:
«Nel 2002 ho affiancato Marco Pannella nello sciopero della sete per sollecitare il Parlamento a ripristinare il plenum della Corte Costituzionale attraverso l’elezione dei due giudici mancanti; o quando nel 2004 ho digiunato per un mese per ottenere la calendarizzazione, a distanza di anni, del ddl Frattini sul conflitto di interessi (a dispetto delle promesse elettorali che lo volevano risolto in 100 giorni), o quando ancora mi sono battuto contro la paralisi di quattro mesi in cui si è trovato il Parlamento, ancora una volta, nell’elezione di due membri della Consulta.
Nel 2007 la prospettiva del Partito democratico inteso come forza progressista a vocazione maggioritaria che nascesse sulle ceneri dei due grandi partiti della Prima Repubblica e che, al contempo, li superasse con la creazione di una realtà politica nuova, moderna, riformista e slegata dalle vecchie ideologie mi ha affascinato da subito. Al punto da impegnarmi in prima persona, di fronte agli ostacoli e ai ritardi che hanno accompagnato questa esperienza prima che vedesse la luce, intraprendendo uno sciopero della fame per sollecitare gli organi dirigenti del Pd ad indicare una data certa per l’Assemblea Costituente (e nel 2008 con l’obiettivo di ottenere una formale deliberazione della data per lo svolgimento delle primarie a Roma).»
Fedele al principio del capo, facile agli innamoramenti ad personam piuttosto che agli ideali; è l’arlecchino indisponente alla costante ricerca di un padrone da servire. Per questo sfoglia tutto il cucuzzaro disponibile, senza mai spostarsi dall’alveo romano: c’è l’immancabile Marco Pannella (il feticcio da cui tutto ha avuto inizio), poi l’infatuazione passeggera per Walter Veltroni, salvo trasferirsi con armi e bagagli alla corte del renzismo militante. Ma è con Francesco Rutelli (ex radicale pure lui), in arte Er Cicoria e già Piacione, che Roberto Giachetti spicca il grande balzo verso la ribalta nazionale, facendo la sua fortuna con la fusione fredda tra ex Margherita e DS (i più che defunti “Democratici di Sinistra“), caso più unico che raro in cui un partito con numeri da prefisso telefonico riesce a fagocitare il partito più grande, incistando i suoi troppi generali senza truppe in ogni poltrona disponibile e stravolgendo completamente la natura del gruppo maggioritario, risplasmandolo a propria immagine e somiglianza. In natura si hanno pochi esempi per spiegare una simile trasformazione: i virus ed il cancro.
Cooptato al governo insieme a tutto il resto dei Cicoria-Boys e gli infiniti petali della Margherita, tra ex radicali folgorati sulla via di Damasco e camaleonti democristiani, Roberto Giachetti mette solide radici per la sua carriera come capo-gabinetto del Rutelli Sindaco, durante il pernicioso Giubileo del 2000 che ha portato alla ribalta altri incredibili fenomeni come l’inarrivabile Guido Bertolaso, salvo mettere in giro la leggenda che sarebbe sgradito alle gerarchie d’Oltretevere.
Quando non è troppo impegnato a reggere il drappo regale dei suoi capi-bastone, il nostro promettente Robertino scambia il cazzeggio organizzato per impegno politico, seguendo il principio dello “stare in mezzo alla gente”:
«Nel luglio del 2008, anche per tastare l’umore della gente sulla prospettiva politica verso cui ci si avviava, ho messo insieme a un gruppo di ragazzi l’iniziativa “Salite a bordo” e siamo saliti su un pulmino che ha attraversato l’Italia più nascosta, quella dei borghi e dei paesi di mille anime, e dopo un viaggio di due mesi è nata l’Associazione CarpeDem, un progetto mirato alla creazione di una rete di scambio di opinioni ed idee sulla politica e sulla società, con l’occhio rivolto al Partito Democratico e con l’obiettivo di dare un contributo diverso ed innovativo ai modi e alle forme della partecipazione.
E’ stato quello un periodo intenso ed impegnativo (anche perché fare avanti e indietro con Roma per stare in Aula ad organizzare un gruppo di più di 200 persone lo è necessariamente!) ma resta fra i più belli della mia esperienza politica e soprattutto umana. Sono felice di averlo fatto, lo rifarei domani, so di averlo fatto “sdoppiandomi” con il mio parallelo ruolo in Aula ma credo onestamente di non aver trascurato nulla dei miei impegni parlamentari e di questo sono contento.
Nel 2008, sulla scorta delle tante persone conosciute per quella strada e per non disperdere questo straordinario patrimonio umano e civico, come Associazione ho lanciato un corso di formazione sui generis, giocato sul titolo Formazione in corso, una sorta di formazione “al contrario” e al contempo il primo format televisivo del Pd, in cui questi giovani hanno avuto la possibilità di confrontarsi con i principali protagonisti dei vari settori della società in maniera paritetica, gestendo direttamente le varie giornate attraverso domande dirette e senza filtri, realizzando schede video con dati e statistiche, elaborando e producendo documenti in piena autonomia. In parallelo ho promosso e “sponsorizzato” una lista di giovanissimi alle comunali di Roma nel 2008 con il relativo format tv Fammisentirelavoce.
[…] E proprio sulla scorta di questo impegno totalizzante sui banchi di Montecitorio mi è venuta l’idea di raccontare in modo rapido e sintetico l’attività settimanale in Aula, attraverso un canale YouTube dedicato, con brevi resoconti trasformatisi in una sorta di rubrica chiamata “Pillole da Montecitorio”. Contestualmente ho iniziato a sperimentare e ad apprezzare la funzione dei social networks, in particolare facebook e twitter grazie ai quali posso interagire e confrontarmi sui temi piu diversi, non soltanto quelli legati all’attività politica e parlamentare.»
Per il resto, è lecito temere che quest’uomo nella vita non abbia mai fatto un beato cazzo, nella condizione privilegiata di chi non ha mai dovuto lavorare e nell’assoluta assenza di una qualsivoglia competenza degna di una qualche menzione.
Due cose colpiscono nella splendida narrazione dell’onorevole candidato Giachetti: “le 200 persone da organizzare”, si riferisce alla sua attività di vicepresidente (dimissionato) della Camera, ed i 9.250 miserabili euri raccolti finora dai suoi sostenitori per la campagna elettorale da aspirante sindaco.
Una candidatura che buca. Come una bolla di sapone.
Homepage
ROMAGEDDON
Posted in Roma mon amour with tags Beppe Grillo, Comunarie, Costume, Elezioni, Gianroberto Casaleggio, Liberthalia, M5S, Michele Prospero, Mirella Cece, MoVimento 5 stelle, MoVimento Cinque Stelle, Nuovismo, Paola Taverna, Roma, Società, Società civile on 18 febbraio 2016 by SendivogiusLa senatrice Paola Taverna, la My Fair Lady de Tor Bella, in una di quelle inconfondibili esternazioni che contraddistinguono la non-logica del non-partito, denuncia l’esistenza di un “complotto per far vincere il Movimento 5 Stelle” (!?!) alle prossime elezioni comunali di Roma. L’eclatante rivelazione la si può trovare anche QUI. Ed è quanto di meglio la nostra Eliza Doolittle de’Noantri riesce a sfornare, quando non è troppo impegnata a fornire particolari su ciò che a suo dire sembrerebbe riuscirle meglio, mentre si scambia utili suggerimenti su come ottimizzare certi esercizi orali con quell’altra principessina Sissi del partito bestemmia…
La raffinata senatrice, com’è noto, ha più di qualche problema con la lingua italiana e quindi eventuali fraintendimenti nascono dalla sua evidente difficoltà nel declinare concetti di senso compiuto. Ma che un partito (non definito tale) si presenti con lo scopo implicito di perdere le elezioni, è un obiettivo che non si era mai prefissata nemmeno la mitica Mirella Cece ai tempi gloriosi dei suoi “Teocrati Cristiani Cattolici Ecclesiastici”, riuniti sotto gli stendardi della Lista Sacro Romano Impero Liberale Cattolico.
Nella sua psicopatologia della vita quotidiana, Sigmund Freud descrive il “lapsus” come il fenomeno che meglio di ogni altro fornisce gli elementi per interpretare il funzionamento psichico, permettendo di cogliere gli aspetti di una realtà nascosta nelle pieghe dell’inconscio.
Se ci si candida per perdere, ne consegue che l’attività politica del M5S non consiste nel proporsi come alternativa per governare (tanto se ne è incapaci), ma nell’impedire agli altri di farlo per poi gridare allo sfascio, organizzando veri e propri sabotaggi istituzionali, implicitamente finalizzati alla paralisi del Paese in un distopico culto del caos. Così poi Casaleggio può finalmente giocare al cavaliere dell’Apocalisse, travestito da Gengis Khan sopra un cavallino a dondolo, in attesa dell’avvento di Gaia a movimentare le serate malinconiche dell’orsetto Gianroberto…
E magari “Gaia” fosse il nome d’arte di un’entreneuse! Almeno le “puttanate” avrebbero un qualche risvolto pratico, invece di essere la mitopoiesi politica di un’allucinazione condivisa nei non-luoghi virtuali di un blog, per una militanza a portata di clic, tra banner pubblicitari e prevendite biglietti per i comizi a pagamento del “capo politico”, con gli estremi on line del suo C/C personale per versamenti al “MoVimento”.
Poi certo bisogna pur far giocare i bambini della setta digitale e dare loro l’impressione di contare qualcosa. Per questo esistono le “comunarie” per la scelta dei candidati, graziosamente concesse agli adepti di stretta osservanza, quelli col bollino cinque stelle in fronte, rigorosamente “certificati” dalla Casaleggio Associati.
E siccome amministrare Roma costituisce ormai un’impresa quasi impossibile, secondo le regole stringenti del moVimento (di mouse), un deficiente vale l’altro nella solita carrellata di casi umani allo sbaraglio. Cosa spinga poi persone apparentemente normali a sottoporsi ad una specie di “confessionale” da Grande Fratello, con imbarazzanti filmini di auto-presentazione da caricare in rete a peritura memoria di una minchioneria senza speranza di redenzione, resta un mistero (buffo?) dove il disagio psicologico si assomma alla prevalenza del cretino iperconnesso nella sua dimensione digitale.
Delle candidature, ovvero (per meglio dire) delle caricature a 5 patacche, girano ormai da tempo dei cammei dedicati con le selezioni più rappresentative di questi scampoli di “società civile” strappati al giusto anonimato delle loro esistenze.
La selezione completa dei fenomeni la trovate naturalmente QUI, fintanto che non verranno (purtroppo!) rimossi. Se possibile, il resto degli aspiranti “portavoce” è persino peggio, in questa variante paraolimpica di giochi senza frontiere per eleggere il più grullo nel marchesato del Grillo. Sorvolando sul professore negazionista, a dimostrazione del degrado culturale in cui versano gli atenei italiani e di come una laurea non costituisca un antidoto all’idiozia, nello scorrere i profili si nota subito una interessante preponderanza di ex militari e forzati dell’ordine, un nutrito pattuglione di dipendenti provenienti da quel modello di efficienza e valorizzazione “meritocratica” che è Alitalia, molti impiegati comunali, insieme ad una marea di imprenditori (“gestisco un punto vendita tabacchi“), dirigenti e manager (o sedicenti tali), palesemente a disagio davanti ad una webcam, quando non in aperta difficoltà, che si presentano in un profluvio di banalità, frasi fatte, desolanti ovvietà, e qualche sbrodolamento narcisistico di chi evidentemente sopravvaluta di molto la propria importanza. Partono tutti più o meno bene, ma poi collassano subito dopo il primo paio di battute (il pezzo forte del copione).
C’è quello che si impappina dopo appena 20 secondi…
C’è l’ex consigliere che si vorrebbe ricandidare per “cambiare la città, perché il cambiamento è insito nel movimento… ehhh perché ognuno di noi ci assomigliamo per questa idea di cambiamento… per ehhhh portare avanti questo progetto del cambiamento“ (!!). Effetto “Ecce Bombo“ assicurato (faccio cose.. vedo gente)…
C’è l’altro talmente imbarazzato e contrito, a tal punto da farsi venire l’orticaria in piena presentazione, stringendosi sempre più nelle spalle e nascondendosi il viso.
C’è l’attiVista, nato a Rrrroma che vive a Rrrroma e si candida per Rrrroma, perché “fa la donazione del sangue“ (anche chi scrive, ma non per questo..), perché “ha partecipato a tante attività territoriali pulendo strade abbandonate“ (che per l’appunto in quanto abbandonate non vengono pulite) e perché, testuale, ha un progetto “per la trasformazione degli fritti e olio in scatola(tonno) per la trasformazione in saponette”.
Eppoi c’è lui, il nostro preferito in assoluto: Renato Borgognoni, imprenditore, manager, consulente, inventore a tempo perso, ma soprattutto “tirchio”. In realtà è sublime!
Poi c’è quello che ovviamente non tollera più il degrado evidente “alla luce di tutti quanti“ ed opera nella “piena consapevolezza della competenze maturate come funzionario pubblico“ (è geometra!) che lo hanno portato a conoscere “i livelli istituzionali ed il funzionamento della pubblica amministrazione“. Modesto!
Ma c’è anche la candidata che dinanzi a tanta tensione dialettica, con la voce tremante, riesce a trattenere a stento una crisi di pianto.
Per ritornare al lapsus originale della senatrice Taverna, il vero dramma (per la città) sarebbe fargliele vincere davvero le elezioni. Altro che “complotto”!
Se non si trattasse di gente mediamente ricompresa in un arco di età dai 40 ai 60 anni, ricordano quei vecchi spot con nugoli di ragazzini ai quali viene chiesto cosa vogliano fare da grandi, ricevendone le risposte più strampalate. E purtroppo per loro, questi sono fin troppo cresciutelli..!
Insomma, a ben vedere, ce n’è davvero per tutti i gusti…
«Il non-partito di Grillo cerca di aggregare un movimento di protesta radicale che accoglie sotto il mito della ribellione intransigente tutte le infinite microfisiche della rivolta che con la crisi si erano accese in ogni angolo della penisola de-industrializzata. Il non-partito dei “cittadini punto e basta”, l’apriscatole che con un semplice click esclude ogni delega politica nelle arcane istituzioni della rappresentanza, deve in realtà accettare supinamente le strategie delle alleanze che nessuno ha discusso prima oppure rassegnarsi ad uscire dal gruppo. Il movimento della iperdemocrazia, che tutto riconduce ad infinite pratiche dialogiche, in cui “uno vale uno” ed i tempi biblici della consultazione scacciano l’onore di ogni decisione controversa, ha delle zone oscure. Che prende le decisioni rilevanti è sempre il capo, sottratto allo sguardo indiscreto di tutti gli altri soci. Il capo vale molto più di uno, le sue mosse sono imponderabili e non richiedono nessuna trasparenza. Le scelte cruciali (come in tutti i poteri tradizionali, le organizzazioni, le imprese, le burocrazie, le gerarchie civili e religiose) sono dettate da mere ragioni di opportunità, di urgenza, di discrezionalità, di arbitrio. La illusoria trasparenza della rete, che nelle pratiche di demagogia virtuale auspica la necessaria soppressione dei partiti, convive con l’opacità del comando in centri privati inestricabili e sottratti a ogni pubblica visibilità. Come nei vecchi organismi di comando verticale, anche nei nuovissimi poteri falsamente orizzontali che decide in ultima istanza può trascendere ogni collegialità, ogni confronto, ogni dialogo, ogni giustificazione, ogni critica. Il capo decide senza motivi discutibili in pubblico. Ogni suo post va solo eseguito. Nessuno può valutare le ragioni e gli scopi di un suo monologo. Solo un analista ingenuo può pensare che la sostanza del non-partito grillino sia nelle singole proposte emerse in un comizio spettacolo, molte delle quali così generiche da acchiappare il consenso di tutti, nella sensazione di partecipazione all’evento con un semplice atto di cliccare un nome.
[…] Toccare il volere del capo, contraddire il suo desiderio ultimo, significa annullare il movimento che si troverebbe all’improvviso senza più simbolo, nome, ragione costitutiva. Il fondamento del tutto regressivo del non-partito della purezza etica esibita in piazza risiede proprio qui, nel suo carattere di ultima istanza privato-proprietario che rende insignificante e sgradita l’opinione dissonante. Con il suo marketing dello sdegno assoluto e dei processi via blog, il movimento attira in modo strutturale pulsioni di estrema destra e di estrema sinistra, a conferma dello stato confusionale delle culture che accompagnano le dure congiunture della crisi italiana.
[…] La strategia dell’antipolitica postula la contestazione delle elite, che si ritrovano di colpo delegittimate in nome del ‘nuovo’ che non accetta alcuno spirito di compromesso. Il nuovismo che contrappone un genuino principio meritocratico a un ammuffito criterio partitocratico di solito apre le danze, mobilitando chi invoca degli spazi di agire sociali liberati dagli apparati logori della casta. Poi però compare chi propone di chiudere le operazioni con l’esibizione muscolare del populismo trionfante che celebra la riscoperta di arcane pratiche di dominio personale.»Michele Prospero
“Il nuovismo realizzato”
Edizioni Bordeaux (2015)
Homepage
REALITY
Posted in Kulturkampf, Stupor Mundi with tags Cultura, Democrazia, Donald Trump, Elezioni, Esteri, Furore, John Steinbeck, Letteratura, Liberthalia, Libri, Redneck, Società, USA on 19 gennaio 2016 by Sendivogius
Ogni qualvolta si ha la (s)ventura di assistere distrattamente a quella farsa allargata da esportazione, che va sotto il nome di “primarie” e che di norma precede le elezioni presidenziali in USA, col suo carosello di personaggi plastificati dalle improbabili acconciature cotonate, che si agitano in una pulp fiction per miliardari da reality plebeo, ci si chiede se davvero la democrazia non sia il “governo dei peggiori”, come senza ombra di dubbio amavano sostenere gli ‘antichi’…
Poi ci si rende conto che in realtà ci troviamo dinanzi ad una oligarchia timocratica su base censitaria, dove pochi clan dinastici si disputano all’asta il trono imperiale, messo in vendita al migliore offerente come nelle peggiori cronache da Basso Impero. E allora la prospettiva cambia, nella consapevolezza che si tratta di una costosa buffonata dalle gag imbarazzanti. Ovvero, la classica americanata. Di conseguenza, come in ogni sceneggiata, non possono mancare le macchiette grottesche che traggono compiacimento dall’esibizione della loro volgarità esasperata nei suoi tratti demenziali. Insomma, è l’immancabile villain dai risvolti caricaturali, che sembra uscito da una sceneggiatura atropinica di un Austin Powers riverniciato in bars and stars.
Tuttavia, per quanto abituati al peggio nelle sue esasperazioni più estreme, dovrebbe esserci un limite anche allo squallore, per un trash comunque sostenibile. E invece no! Anche perché sarebbe come tentare di separare un coprofilo dall’oggetto della sua passione. E ciò sarebbe impossibile, per la manifesta collateralità del soggetto interessato con l’elemento primario della sua perversione a rilascio naturale.
Per questo ci tocca bearci delle perfomance di Donald Trump, l’impresentabile Grizzly populista che furoreggia e spopola tra i
redneck: gli zotici villici analfabeti delle contee del Sud, sparpagliati in borghi di campagna dai nomi impronunciabili (Yoknapatawpha!!) e feticisticamente aggrappati come koala ai propri fucili; ovverosia i nostalgici dei fasti trapassati della Confederazione, quelli che
infilano un Lee in ogni nome e si beano delle gesta gloriose del generale Nathan B. Forrest al posto delle favole della buona notte.
Il fatto che questa variante supercafona di Flavio Briatore, con
una donnola morta plasticamente spalmata sul capoccione spellacchiato sia tra i più gettonati papabili alla presidenza degli Stati Uniti d’America, la dice lunga sulla natura democratica della Dreamland (oppure era Zombieland?!?).
Trump il Pupazzo. Può ripetere ben 17 frasi!
Per Aristotele, la demagogia non era altro che un sinonimo per indicare una cattiva democrazia. Tuttavia, sentire concionare questa parodia imbolsita di Biff Tannen a proposito di immigrazione, tradizione, e
valori amerikani, per un distopico ritorno al futuro carpenteriano, fa francamente ridere se non fosse drammatica nella sconcia esibizione di una coglioneria siderale. È chiaro che le letture di Trump non vadano oltre Mickey Mouse ed i fumetti di Superman. Quindi, a proposito di “cultura americana”, è ovvio che non abbia mai letto “Furore” di John Steinbeck; scrittore statunitense (e gigante mondiale della letteratura) del quale è lecito supporre ignori anche l’esistenza.
Praticamente, “Furore” è la storia di bifolchi arricchiti che a loro volta disprezzano altri bifolchi poveri, in una terra dove tutti (indistintamente) sono emigrati da qualche altro posto,
costruendo un sistema fondato sulla discriminazione (razziale, sociale, economica, politica) e sullo sfruttamento selvaggio. Peccato, perché un cafone abbrutito dal soldo facile come Trump avrebbe potuto trarre spunti interessanti per la sua campagna elettorale, insieme agli altri temi di punta che segnano il livello rasoterra dell’energumeno ripulito, tutti incentrati contro i chicanos. Manco fosse il senatore McLaughlin in “Machete”!
In fondo, il nostro Donaldo dai capelli belli rappresenta solo
l’intermezzo comico, ovvero (se preferite) lo squallido interludio, prima della tempesta che sta per arrivare…
«Una volta la California apparteneva al Messico, e le terre ai Messicani; ma orde di straccioni americani irruppero nel paese. E così imperiosa era la loro fame di terra, che si impossessarono della terra di Sutter, della terra di Guerrero, la spezzettarono, si azzuffarono a vicenda per disputarsene le briciole, e munirono di cannoni i poderi così conquistati. Fabbricarono stalle e casolari, ararono i campi e procedettero alle semine. Così, stalle e casolari, campi e raccolti, costituirono titolo di possesso; e il possesso diventò proprietà. I Messicani, deboli e sazi, non avevano potuto opporsi all’invasione perché non v’era nulla al mondo che essi desiderassero con quella frenesia con cui gli invasori americani desideravano la terra. Poi, col tempo, i predoni non più considerati tali si dichiararono padroni, e i loro figlioli crebbero nel paese e procrearono altri figlioli. E non sentirono più la fame selvaggia, la fame mordente e lacerante della terra, dell’acqua e del buon cielo sovrastante, dell’erba che sboccia, delle radici che si gonfiano. Possedevano tutte queste cose così completamente, che non le desideravano più.
[…] Queste cose andarono perdute, e i raccolti cominciarono a venire valutati in termini di dollari, e la terra in termini di capitale più interessi. E i prodotti cominciarono a venir comprati e venduti prima delle semine. E allora le annate cattive, la siccità, l’inondazione, non furono più considerate come catastrofi, ma semplicemente come diminuzioni di profitto. E l’amore di quegli esseri umani risultò come intisichito dalla febbre del denaro, e la fierezza della stirpe si sgretolò in interessi; così che tutta quella popolazione risultò di individui che non erano più coloni, ma piccoli commercianti, o piccoli industriali, obbligati a vendere prima di produrre. E quelli fra essi che non si rivelarono bravi commercianti perdettero i loro poderi, che vennero assorbiti da chi invece si rivelò bravo commerciante. Per quanto bravo coltivatore, per quanto affezionato al suo campo, chi non era bravo commerciante non poteva mantenere le proprie posizioni. Così, con l’andar del tempo, i poderi passarono tutti in mano a uomini d’affari e andarono sempre aumentando di proporzioni, ma diminuendo di numero. Allora l’agricoltura stessa si trasformò in industria. E i proprietari imitarono, senza volerlo, Roma antica: importarono schiavi, pur senza chiamarli così: cinesi, giapponesi, messicani, filippini. Vivono di riso e fagioli, dicevano; hanno pochi bisogni. Di paghe alte, non saprebbero che farsene. Vedi come vivono, vedi cosa mangiano. E se si agitano, si fa presto a deportarli. E incessantemente i poderi aumentavano di proporzioni e diminuivano di numero; e per conseguenza diminuivano di numero anche i padroni. E i padroni picchiavano, terrorizzavano, affamavano i servi importati; sicché molti di questi tornarono donde erano venuti, e altri si ribellarono e furono uccisi o scacciati. I raccolti stessi subirono una metamorfosi. Il grano si vide soppiantare dagli alberi da frutta, le biade da ortaggi destinati ad alimentare l’universo intero: lattuga, cavolfiore, carciofo, patata; tutti prodotti che costringono l’essere umano a curvare la schiena. Per maneggiare la falce, l’aratro, il forcone, l’uomo sta in piedi; ma tra i filari dell’insalata o del cotone deve prostrarsi, o strisciare come un insetto, o camminare sui ginocchi come un penitente. E accadde che i proprietari non lavorarono più le loro terre. Coltivavano sulla carta; e dimenticarono l’odore della terra, il gusto tattile della zolla sbriciolata tra le mani; ricordarono solo che la possedevano, tennero presente solo la cifra dei guadagni che ne traevano o delle perdite che a causa di essa dovevano subire. E i latifondi presero proporzioni tali che il padrone non poteva nemmeno concepirne le dimensioni; erano così vasti che occorrevano battaglioni di contabili per rintracciare perdite e profitti, reggimenti di chimici per fecondare il terreno, brigate di intendenti per sorvegliare i servi proni tra i filari. E allora davvero l’agricoltore si mutò in bottegaio, fino al punto da tenere effettivamente bottega: pagava i suoi servi, e per rimborsarsi vendeva loro il cibo. E di lì a poco smise persino di pagarli, per risparmiare la spesa della contabilità. Il podere dava, a chi lo lavorava, il vitto a credito; e poteva accadere che un servo, il quale lavorava solo per sostentarsi, alla fine del lavoro scoprisse di essere in debito verso chi gli dava lavoro. E il padrone non solo non lavorava più la sua terra, ma molti di essi non avevano mai nemmeno vista la terra che possedevano. Ed ecco che, d’un tratto, nel Kansas e nell’Oklahoma, nel Texas e nel Nuovo Messico, nel Nevada e nell’Arkansas, le trattrici e la polvere si alleano per spodestare i coloni e cacciarli nel West. Ed ecco formarsi a apparire le carovane dei nomadi:ventimila, centomila, duecentomila. Varcando le montagne si riversano nelle ricche vallate: tutti affamati, inquieti come formiche in cerca di cibo, avidi di lavoro, di qualunque lavoro: sollevar pesi, spingere o tirare carichi, raccogliere, tagliare; qualunque cosa, per sostentarsi. I bambini hanno fame. Non abbiamo
dove vivere. No, non siamo forestieri, no! Da sette generazioni siamo americani; e prima si era irlandesi, scozzesi, inglesi, tedeschi, italiani. Uno dei nostri antenati ha combattuto nella rivoluzione, e tanti nella guerra civile. Americani, siamo, americani al cento per cento! Affamati; e risoluti. Avevano carezzato la speranza di trovare una casa, in California, ed ecco che trovano, dappertutto, solo odio. Okies: i padroni li odiano perché sanno di essere deboli al confronto degli Okies, d’essere ben nutriti al confronto degli Okies; e han tutti sentito dire dal nonno quanto sia facile, a chi è affamato e risoluto e armato, sottrarre la terra a chi è debole e sazio. E nelle città i negozianti odiano gli Okies perché gli Okies non hanno denaro da spendere; i banchieri odiano gli Okies perché sanno che non possono estorcerne nulla; e gli operai odiano gli Okies perché, affamati come sono, offrono i loro servizi per niente, e automaticamente il salario scende per tutti. E gli spodestati, nomadi, confluiscono e continuano a confluire in California: duecentocinquantamila, trecentomila. Dietro alle prime ondate, altre si formano e si accavallano, perché le trattrici non cessano di dilagare nei campi. Altre ondate di spodestati senza tetto: gente indurita, accanita, pericolosa. E se da una parte i Californiani ambiscono molte cose, come accumular sostanze, ascendere la scala sociale, concedersi svaghi e oggetti di lusso, dall’altra i nuovi barbari chiedono due cose sole: terra e nutrimento, che per loro sono una cosa sola.
[…] Se non li teniamo a bada, questi straccioni, s’impadroniscono di tutto il paese. Tutto il paese. Porci di forestieri. Va bene, parlano la nostra lingua, ma non sono come noi. Basta vedere come vivono, chi di noi si adatterebbe a vivere così? E a Hooverville, la sera, gli straccioni accoccolati.
[…] Trattarli senza pietà, dico io; o Dio sa cosa ci combinano. Gente più pericolosa dei negri del Sud. Se si metton d’accordo, nessuno li tiene più. Hai ben sentito quel ch’è successo a Lawrenceville. A Lawrenceville un poliziotto è dovuto ricorrere alla forza per scacciare un abusivo, e il ragazzo undicenne di questo straccione ha sparato, col fucile del babbo, e ha ucciso il poliziotto. Peggio dei serpenti, ti dico. Non bisogna lasciarli parlare, e se insistono, sparare senz’altro, sparare noi per primi. Se un marmocchio è capace di uccidere, cosa faranno gli adulti? L’unica è di mostrarsi più forti di loro. Trattarli da cani. Spaventarli. E se non si lasciano impressionare? Se si ribellano in tanti, e si mettono a sparare anche loro? Son tutti avvezzi a usare il fucile fin da bambini. Se non si lasciano impressionare? Se si organizzano in bande, chi li ferma più? Son tutti disperati, capisci; disperati che hanno provato la paura della fame, che è superiore a ogni altra. E di quando in quando, qua e là in tutta la California, le razzie: le irruzioni di agenti armati negli attendamenti degli abusivi. Via di qui! Ordine del Dipartimento dell’Igiene. Questo accampamento rappresenta un pericolo per la sanità pubblica.
[…] E i latifondisti, che si sanno destinati a perdere la terra in caso di rivolta organizzata, i grossi latifondisti che conoscono la storia, che hanno occhi per leggere la storia e intelligenza per capirla, sanno, conoscono benissimo il fatto fondamentale che quando la proprietà terriera si accumula nelle mani di pochi, va inesorabilmente perduta. E sanno anche quest’altro fatto, concomitante, che quando una maggioranza ha fame e freddo, essa finisce sempre col prendersi con la violenza ciò che le occorre. E sanno infine questo terzo fatto, meno evidente forse, ma sempre presente nel corso della storia: che cioè le repressioni servono solo a rinvigorire e a riunire tra loro i perseguitati. Ma i latifondisti preferiscono ignorare questi tre ammaestramenti della storia. La terra s’accumula sempre più nelle mani di pochi, il numero degli sfrattati continua ad aumentare, e tutti gli sforzi dei latifondisti continuano a orientarsi verso la repressione. Il denaro pubblico va speso in armamenti e in gas lacrimogeni per salvare la pelle dei latifondisti, e in spie, spie che hanno l’incarico di captare ogni minimo rumore di rivolta per poterla soffocare in tempo. I latifondisti preferiscono ignorare l’evoluzione dell’economia, e le premesse di tale evoluzione; considerano solo i mezzi atti a reprimere le rivolte, senza curarsi di sopprimere le cause determinanti. Le trattrici che gettano i coloni sul lastrico, le mastodontiche imprese di trasporto, le macchine che producono, tutto questo merita l’incondizionato appoggio dei latifondisti; e non importa se aumenta in modo spaventoso il numero delle famiglie sul lastrico, avide di qualche briciola degli sconfinati latifondi. I latifondisti formano associazioni per proteggersi, si riuniscono a discutere sui mezzi più efficaci per intimidire, soffocare,
uccidere. E si persuadono di non dover temere il pericolo principale, costituito dall’eventualità che i trecentomila trovino, fra di essi, un capo che sappia guidarli. Se ai trecentomila miserabili consentite la possibilità di contarsi, è inevitabile che essi conquisteranno la terra; e non v’è gas o mitragliatrice che possa fermarli. Così i latifondisti, che a causa del possesso dei latifondi divengono sempre più superuomini e al contempo sempre più disumani, corrono verso la propria distruzione, e senza avvedersene usano di ogni mezzo che a lungo andare finirà inesorabilmente col sopprimerli. Ogni espediente, ogni atto di violenza, ogni scorribanda in una Hooverville qualsiasi, ogni singolo sceriffo spaccone in un accampamento di straccioni, non fanno che procrastinare di qualche giorno l’alba fatale, rendendola inevitabile.»
John Steinbeck
“Furore”
Bompiani, 2013