Archivio per Ali Bey al-Abbasi

MIRABILIA

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 26 agosto 2011 by Sendivogius

Mentre la lunga parabola del colonnello Gheddafi si avvia finalmente alla fine, con un epilogo ancora incerto, in un mondo contemporaneo tormentato da fantomatici “conflitti di civiltà”, crucisignati bergamaschi con spadone e usbergo ed altri patetici imbecilli in tenuta da combattimento, segnaliamo all’attenzione dei nostri stimatissimi lettori una nuova lettura ‘d’epoca’, per una prospettiva differente e dalle venature esotiche, nella comprensione del presente attraverso l’affresco di un passato scomparso…
Tra storie di battaglie e di feroci corsari barbareschi, in un panorama agitato dalle nuove guerre di religione, è forse interessante aprire una finestra alternativa su Tripoli e sulla società libica, nell’ordinarietà della sua quotidianità pre-coloniale di una realtà complessa e assai lontana da certi stereotipi, oggi tanto alla moda tra gli ostensori dello “scontro di civiltà”…

Nel 1816 la casa editrice Sonzogno pubblicava in Italia le memorie di viaggio di un certo Alì Bey, pio pellegrino musulmano in viaggio verso la Mecca, che partendo dal Marocco percorreva tutto il Nord-Africa e le isole greche dell’Egeo, passando per la Siria e la Palestina, prima di approdare sulle coste dell’Arabia. Nel suo resoconto, Alì Bey offre un algido ritratto delle terre attraversate, con una peculiarità assoluta: si occupa di aspetti considerati secondari, scevro da ogni giudizio morale (eccetto che sulla pessima amministrazione ottomana), valutazioni razzistiche e fanatismi religiosi, offrendoci un ritratto forse edulcorato ma assai vivido del Mediterraneo islamico.
 Un piccolo dettaglio: il vero nome del ‘siriano’ Alì Bey era in realtà Domingo Francisco Jordi Badía y Leblich.
Straordinaria figura autodidatta di orientalista, esploratore e avventuriero poliglotta, Badía y Leblich era nato a Barcellona nel 1767 da madre belga e padre aragonese.
Appassionato di fisica e scienze matematiche, storia naturale e filosofia, nel 1778 si trasferisce dalla Catalogna dapprima ad Almeria e poi in Andalusia, dove il padre ha ottenuto un incarico come funzionario regio. Nell’antica provincia moresca, il ragazzo si interessa alla storia ed alla cultura araba, apprendendone la lingua ed i costumi talmente bene che nel 1799 il suo talento viene notato da Manuel Godoy, onnipotente primo ministro di re Carlo IV, che lo prende sotto la sua protezione e lo presenta all’orientalista valenziano Simón de Rojas Clemente, col quale stabilisce una solida amicizia. Insieme pianificano una spedizione scientifica e geografica in Marocco, finanziata dalla Corona spagnola. Domingo Badía y Leblich, dovrà trasformarsi in Ali Bey al-Abbasi: un ricco marcante discendente dall’antica dinastia dei califfi Abbasidi. I documenti, opportunamente falsificati e redatti in arabo antico, che attestano la fantasiosa genealogia, aprono ad Alì Bey porte inaspettate ed i massimi favori delle elite dominanti che lo credono un discendente del Profeta.
Scopo della missione è preparare un colpo di stato in Marocco, per facilitare la conquista spagnola del paese, fornendo informazioni indispensabile sulla geografia della regione maghrebina.
Nonostante l’abbandono del progetto iniziale, Ali Bey (alias Domingo Badia) resta attivo come spia per tutta l’area mediorientale (dal 1803 al 1807), dapprima alle dipendenze dirette del ministro Godoy al quale invia dispacci e informazioni riservate, e poi per conto dei francesi dopo l’invasione della Spagna da parte delle armate napoleoniche. Il suo travestimento è così riuscito, a tal punto da essere uno dei primi occidentali a penetrare nel recinto sacro della Mecca e vedere la Pietra Nera.
Accolto con tutti gli onori dopo il suo ritorno in Europa, divenne uno dei più importanti e famosi esploratori di tutto l’Occidente. Morì nel 1818 nei pressi di Damasco in Siria, probabilmente per un attacco di dissenteria, dopo aver intrapreso un nuovo avventuroso viaggio in incognito nelle terre asiatiche dei turchi ottomani.


TRIPOLI DI BARBARIA
 «Tripoli di Barbaria vien detto Tarabla dagli abitanti; ed è una città assai più bella di qualunque del regno di Marocco: è posta in riva al mare, e le sue strade sono diritte, ed abbastanza larghe. Le case regolarmente fabbricate sono quasi tutte bianche. L’architettura s’accosta assai più all’europea che all’araba; ed in ispecial modo le porte quasi tutte d’ordine toscano, i cortili con colonne di pietra ed archi di ottimo stile invece degli arabi acuti che vedonsi a Marocco. I fabbricati di pietra seno frequentissimi, e vedonsi pure alcuni marmi fini ne’ cortili, nelle porte, nelle scale, e nelle moschee. Le case hanno finestre verso strada, cosa non praticata a Marocco, ma per altro sono sempre chiuse da fitte griglie.
Osservai nelle case di Tripoli un’usanza assai singolare; cioè, che in quasi tutte le camere per lo più lunghe e strette, trovasi a ciascheduna delle due estremità un palco di tavole press’a poco alto quattro piedi dal suolo, sopra il quale si ascende per angusti scalini. Questi rialti hanno una balaustrata, ed alcuni ornamenti di legno, e si va sotto ai medesimi per una piccola porta. Esaminando quale potesse essere lo scopo di questa singolare disposizione, trovai che ogni camera poteva contenere le masserizie complete di una donna, poichè sopra l’uno collocasi il letto, sull’altro gli arredi de’ fanciulli; sotto di uno si pone il vassellame e le altre cose occorrenti al pranzo, e sotto l’altro gli altri effetti della famiglia. Questa distribuzione lascia in mezzo alla sala il luogo necessario per ricevere le visite; ed un uomo in una casa, o in un appartamento composto di tre o quattro camere, può tenere tre o quattro donne con tutte le comodità possibili, ed affatto indipendenti le une dalle altre. Tripoli non ha fontane nè fiumi; e gli abitanti bevono l’acqua che cade dal cielo conservata entro le cisterne, di cui ne è provveduta ogni casa: per i bagni, per le abluzioni, ed altri usi, valgonsi dall’acqua salsa dei pozzi.
La peste distrusse gran parte della popolazione; e vedonsi ancora molte case rovinate in conseguenza di quel flagello che mandò sotterra molte intere famiglie. Di presente il numero degli abitanti può calcolarsi di dodici in quindici mila.»

LA POPOLAZIONE
«Questa popolazione è composta di Mori, di Turchi, e di Giudei: e perché da prima il governo era assolutamente Turco, gli abitanti sono più civilizzati che a Marocco. La seta ed i metalli preziosi s’impiegano negli abiti; e la corte si mantiene con estremo lusso. La maggior parte degli abitanti conosce e parla diverse lingue Europee, e lo stesso Pascià parla l’italiano: ciò che a Marocco risguarderebbesi come un peccato più o meno grave.
La società vi è pure più sincera, e più libera che a Marocco; i Consoli Europei mi visitavano frequentemente, e nessuno se ne formalizzava. I rinnegati Europei possono ottenervi avanzamento, ed elevarsi alle prime cariche dello stato: l’ammiraglio o capo della marina Tripolitana è un inglese che sposò una parente del pascià. Gli schiavi cristiani sono ben trattati, hanno il permesso di servire ai particolari, corrispondendo parte dei loro profitti al governo.
Il sovrano di Tripoli conserva ancora il titolo di Pascià, perchè da prima quel paese era governato da un Pascià mandato di tre in tre anni dal gran Signore. Questi efimeri comandanti non altro vedendo nei loro firmani che un mezzo di spogliare inpunemente gli abitanti, si resero in modo insoffribili che questi massacrarono l’ultimo Pascià mandato dalla Porta.
Dopo tale rivoluzione accaduta circa ottant’anni sono, scelsero per loro principe Sidi Hhamet Caramanli nativo della Caramania, che fu il fondatore della regnante dinastia. In seguito a Sidi Hhamet suo figliuolo Sidi Ali padre dell’attuale sovrano montò sul trono; ma obbligato da alcune rivoluzioni ad abbandonare la patria, riparossi a Tunisi. Il figlio di Sidi Ali chiamato Sidi Hhamet, come suo avo, prese le redini del governo. Era questi un uomo vizioso, le di cui malvage qualità gli costarono il trono e la vita; e gli succedette Sidi Youssouf, suo fratello, oggi regnante.
Sidi Youssouf, ossia sig. Giuseppe è un uomo di bella presenza di circa quarant’anni. Non è privo di spirito, parla assai bene l’italiano, ama il fasto, la magnificenza, e si mantiene dignitosamente senza trascurare d’essere manieroso e gentile. Sono ormai dieci anni e mezzo che occupa il trono, ed il popolo si mostra di lui contento.
Sidi Youssouf non ha che due consorti propriamente tali: una delle quali sua cugina e bianca, gli ha già dati tre figli e tre figlie; e l’altra è una negra, da cui ebbe un maschio e due femmine. Tiene molte schiave negre, ma veruna bianca. Spiega tutto il lusso e la magnificenza negli abiti delle sue donne, e negli arredi delle loro abitazioni. I figli del pascià assumono il titolo di Bey, e l’uno di essi ha il mio nome Ali-Bey; ma quando dicesi soltanto Bey, intendesi per antonomasia il primogenito, che è di già conosciuto erede del trono.
Fui assicurato che le rendite del pascià non ammontano ad un milione di franchi all’anno.
Il portiere interno del palazzo è uno schiavo negro; e sonovi più di quaranta schiavi cristiani tutti italiani pel servizio interno
L’ESERCITO E LA MARINA
 «I principali impiegati sono l’hasnadàr, ossia tesoriere, il guardian bàchi capo e maggiorduomo di palazzo, il Kiàhia, luogotenente del Pascià, il quale occupa un magnifico sofà nel vestibulo; poi il secondo Kiàhia, cinque ministri incaricati di diversi rami d’amministrazione, l’agà de’ Turchi, ed il generale della cavalleria araba. La guardia del Pascià è composta di trecento Turchi, e di cento mammaluchi a cavallo.
Ad eccezione delle guardie, il Pascià non mantiene verun’altra truppa regolata in attività. Allorchè deve sostenere qualche guerra, aduna le tribù arabe che si presentano colle loro bandiere o stendardi in sul davanti; e può in tale circostanza mettere in piedi dieci mila cavalli, e quaranta mila pedoni.
Abbiamo già detto che l’ammiraglio del Pascià è un rinnegato inglese ammogliato con una sua parente. Le sue forze marittime consistono ne’ seguenti legni.

 1. Fregata o corvetta di cannoni N.° 28
 1. Idem di 16
 3. Sciabecchi di 10 cannoni ciascuno 30
 1. Saica di 8
 2. Galeoni di sei cadauno 12
 1. Piccolo sciabecco di 4
 1. battello di 1
 1. Galeotta di 4

In tutto 11 bastimenti, e cannoni N. 103
A quest’epoca si fabbricavano due altri galeoni, lo che formerà un totale di 13 bastimenti armati. Tripoli contiene sei moschee del primo ordine con torri, e sei mosche e minori. Magnifica veramente è la grande moschea, e di elegante architettura: il tetto tutto formato di cupolette viene sostenuto da sedici maestose colonne doriche di un bel marmo grigio, che mi fu detto essere state prese sopra un bastimento cristiano. Fu fabbricata dall’avo di Sidi Youssouf.»

L’AMMINISTRAZIONE E I COMMERCI
 «Le moschee possedono case e terreni provvenienti da donazioni volontarie: queste entrate servono al mantenimento dei ministri e degli altri impiegati nelle cose del culto.
Il muftì è il capo della religione, e l’interprete della legge. Stan sotto di lui due kadì, uno per gl’Individui del rito ehanefi, l’altro per quello del rito maleki.
La composizione dei tribunali del muftì e delkadi è veramente una istituzione rispettabile. Questi giudici sono incorruttibili, e tutti i loro ministri sono mantenuti coi proventi delle moschee.
Sonovi in Tripoli tre prigioni, una per i Turchi, e due per i Mori, ma sono male governate ed i prigionieri sono obbligati a mantenersi del proprio, o col prodotto della carità pubblica.
I negozianti e gli oziosi sogliono riunirsi in un caffè; ed il basso popolo in due altri d’un ordine inferiore. Da pertutto vi si prende il caffè senza zuccaro.
Vi sono pure alcune taverne ove si vendono vini e liquori dai Mussulmani medessimi, che non si fanno scrupolo di beverne ancor essi malgrado la proibizione della legge. Questo ramo di pubblica entrata produceva all’erario centomila franchi.
Il mercato è assai ben provveduto, ed i viveri si vendono a prezzi moderati. Vi si trovano eccellente pane e carni, non così i legumi. I Tripolitani fanno il couscoussou meno fino che a Marocco; essi usano molti altri grani, alcuni de’ quali provengono dall’interno dell’Affrica. Il paese produce l’olio necessario al suo consumo.
La terra è comune come a Marocco, purché non sia circondata da qualsiasi siepe; e trovansi varj abitanti che possiedono quindici ed anche venti poderi chiusi; e mi fu detto averne uno bellissimo il Pascià.
Mancando acque correnti s’innaffiano i giardini coll’acqua salmastra de’ pozzi, che si attigne con una macchina posta in moto dai muli.
I Giudei che hanno in Tripoli tre sinagoghe sono assai meglio trattati che a Marocco. Sono circa due mila che vestono alla musulmana, e solo la berretta, e le pantofole devono essere nere, ed il turbante ordinariamente turchino. Si contano fra questi circa trenta famiglie ricchissime, gli altri sono artigiani, orefici ec. Il commercio d’Europa è quasi tutto nelle loro mani: essi corrispondono principalmente con Marsiglia, Livorno, Venezia, Trieste e Malta. Vi sono pure alcuni negozianti mori tra i quali Sidi Mehemet Degàiz primo ministro del Pascià, che ha fama d’avere in circolazione un milione di franchi.
Se sono sincere le notizie che ho potuto raccogliere, la bilancia del commercio di Tripoli coll’Europa è a suo vantaggio, perchè le esportazioni eccedono d’un terzo il valore delle importazioni; ma il suo commercio col Levante e coll’interno dell’Affrica conguaglia i vantaggi di quello d’Europa. Riunirò altrove le particolarità del commercio di questa città con quello degli altri paesi.
Le misure ed i pesi che vi si adoperano sono inesatti come a Marocco, tanto per la grossolana loro forma che per mancanza d’un tipo originale.»
GLI EUROPEI E LA CHIESA
 «Gli Europei sono a Tripoli assai ben veduti, e rispettati. Oltre gli agenti delle diverse potenze d’Europa, eravi allora un negoziante Francese, fratello del Console, uno Spagnuolo fabbricatore di navi, un medico Maltese, ed un orologiajo Svizzero.
I Cristiani vi hanno una cappella ufficiata da quattro monaci del terz’ordine di Roma. È cosa assai singolare che questi monaci hanno nella loro cappella una campana, il di cui suono si fa udire ogni giorno in tutti gli angoli della città. Questa chiesupola è mantenuta cogl’incerti, colle donazioni, e con una pensione della corte di Roma.»

I POVERI
 «In così vasta estensione del regno di Tripoli non si contano che due milioni d’abitanti, perchè la maggior parie del paese è deserto, e tranne gli abitanti della capitale, gli altri sono poveri e sventurati Arabi. L’autorità del governo sul paese è così poco rispettata, che niuno, se non è Arabo, può viaggiare a qualche distanza senza andare in carovana, o fortemente scortato; altrimenti sarebbe infallibilmente derubato, o assassinato.
Gli abitanti di Soàkem, di Fezzan e di Guddemes che sono tributarj di Tripoli, tengonsi in corrispondenza cogli abitanti dell’interno dell’Affrica.
Il sovrano di Fezzan viene riconosciuto dal bascià di Tripoli sotto il nome di Scheik di Fezzan. I Fezzanesi sono neri grigi, poveri, ma di un carattere assai dolce. A Tripoli s’impiegano ne’ più piccoli esercizj.»

Ali Bey al-Abbasi (Domingo Badia y Leblich)
Viaggi di Ali Bey al-Abbasi in Africa ed in Asia dall’anno 1803 a tutto il 1807  (CAP. XXI-Vol.II)
Sonzogno, 1816.

Oggi, mentre le nuove potenze occidentali si accalcano a ridosso della frontiera libica, per spartirsi le risorse del territorio col più sfacciato e palese approccio colonialista, c’è da chiedersi (retoricamente) cosa mai si sia mai spezzato in quell’equilibrio precario ma durevole che univa due mondi separati ma comunicanti.

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