Archivio per Oriente

L’ennemi intérieur

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 novembre 2015 by Sendivogius

Architettura islamica in Iran

«Caro mondo musulmano,
[…]  Ti vedo in una condizione di miseria e di sofferenza che mi rende tremendamente triste, ma che rende ancora più duro il mio giudizio di filosofo! Questo poiché vedo che stai mettendo al mondo un mostro che preferisce essere chiamato Stato islamico e al quale qualcuno preferisce dare il nome di demonio: DAESH. La cosa peggiore è che ti vedo perdere il tuo tempo e il tuo onore, rifiutando di riconoscere che questo l’hai fatto nascere tu, è frutto dei tuoi vagabondaggi, delle tue contraddizioni, della tua interminabile scissione tra passato e presente, della tua duratura incapacità a trovare un posto nella civiltà umana.
daesh (isis)Che cosa dici davanti a questo mostro? Qual è il tuo discorso? Tu urli “Non sono io!”, “Non è l’Islam”. Rifiuti che i crimini commessi da questo mostro siano commessi sotto tuo nome (hashtag #NotInMyName). Sei indignato davanti ad una tale mostruosità, insorgi quando il mostro usurpa la tua identità, e hai sicuramente ragione di farlo. È indispensabile che davanti al mondo proclami, ad alta voce che l’islam denuncia le barbarie. Ma è assolutamente insufficiente! Poiché tu ti rifugi nel riflesso dell’autodifesa senza assumerti anche, e soprattutto, la responsabilità dell’autocritica. Ti accontenti d’indignarti, quando invece questo momento storico sarebbe stata un’occasione incredibile per rimetterti in discussione! E come sempre, tu accusi invece di prenderti la tua responsabilità: “Smettetela, voi occidentali e tutti voi nemici dell’Islam, di associarci a questo mostro! Il terrorismo non è l’islam, il vero islam, l’islam buono che non vuole la guerra, ma la pace!”.
Islam (2)Sento questo grido di rivolta che sale dentro di te e ti capisco, oh mio caro mondo musulmano. […] Ma dalla mia posizione distante, vedo anche qualcos’altro, qualcosa che tu non riesci a vedere o che non vuoi vedere… E questo suscita in me una domanda, La grande domanda: perché questo mostro ti ha rubato il volto? Perché questo mostro ignobile ha scelto il tuo viso e non un altro? Perché ha preso la maschera dell’islam e non un’altra? La verità è che dietro quest’immagine del mostro si nasconde un immenso problema che tu non sembri pronto a guardare in faccia. Tuttavia è necessario, è necessario che tu abbia il coraggio.
Daesh - Lezioni di decollazioneQuesto problema è quello delle radici del male. Da dove provengono i crimini di questo cosi detto “Stato islamico”? Te lo dirò, amico mio. E questo non ti farà piacere, ma è mio dovere di filosofo. Le radici di questo male che oggi ti ruba il volto risiedono in te, il mostro è uscito dal tuo ventre, il cancro è nel tuo corpo. E cosi tanti nuovi mostri, peggiori di questi, usciranno ancora dal tuo ventre malato, fintanto che tu ti rifiuterai di guardare in faccia questa verità e che impiegherai del tempo a ammettere e ad attaccare finalmente questa radice del male!
daeshAnche gli intellettuali occidentali, quando dico loro questo, lo vedono con difficoltà: la maggior parte ha talmente dimenticato che cos’è la potenza della religione, nel bene e nel male sulla vita e sulla morte, che mi dicono ” no, il problema del mondo musulmano non è l’islam, non è la religione ma la politica, la storia, l’economia, etc.”. Vivono in società cosi secolarizzate che non si ricordano per niente che la religione può essere il cuore del reattore di una civilizzazione umana! E che nel domani il futuro dell’umanità passerà, non soltanto attraverso la risoluzione della crisi finanziaria e economica, ma in maniera più essenziale anche attraverso la risoluzione della crisi spirituale che attraversa tutta la nostra umanità, senza precedenti! Sapremo unirci tutti, a livello planetario, per affrontare questa sfida fondamentale? La natura spirituale dell’uomo ha paura del vuoto, e se non trova nulla di nuovo per riempirlo lo farà domani con delle religioni sempre più inadatte al presente e si metteranno quindi a produrre dei mostri, come fa l’islam attualmente.
Islam[…] Nella Umma ci sono delle donne e degli uomini civilizzati che sostengono l’idea di un futuro spirituale per l’essere umano. Ma questi uomini non sono ancora abbastanza numerosi e la loro parola non è ancora cosi potente. Onoro la lucidità e il coraggio di tutti loro, i quali hanno capito perfettamente che la nascita dei mostri terroristici dal nome di Al Qaida, Al Nusra, AQMI o dello “Stato islamico” è il risultato della condizione generale della profonda malattia del mondo musulmano. Hanno capito bene che risiedono là, su di un immenso corpo malato, i sintomi più gravi e più visibili delle seguenti malattie croniche: incapacità di istituire delle democrazie durature nelle quali la libertà di coscienza sui dogmi della religione, è riconosciuta come un diritto morale e politico; prigione morale e sociale di una religione dogmatica, idiomatica e ogni tanto totalitaria; fatiche croniche nel migliorare la condizione delle donne riguardo a uguaglianza, responsabilità e libertà; incapacità di distinguere a sufficienza il potere politico dal suo controllo da parte dell’autorità religiosa; incapacità d’istituire un rispetto, una tolleranza e un vero riconoscimento del pluralismo religioso e delle minorità religiose.
Tolleranza islamicaSarebbe pertanto tutto ciò un errore dell’Occidente? Quanto tempo prezioso, quanti anni cruciali perderai ancora, o mio caro mondo musulmano, a causa di questa accusa stupida alla quale tu stesso non credi più e dietro alla quale ti nascondi per continuare a mentire a te stesso? Se ti critico in modo cosi severo non è perché sono un filosofo “occidentale”, ma perché sono uno tra i tuoi figli consapevoli di tutto ciò che hai perduto, della grandezza sbiadita da cosi tanto tempo che è diventata un mito!
Sergio ToppiIn particolare dal XVIII secolo, è giunto il momento di confessartelo insomma, sei stato incapace di rispondere alla sfida dell’Occidente. O ti sei rifugiato nel passato in modo infantile e mortificato, con l’intollerante e cupa regressione del wahabismo la quale continua a fare dei danni praticamente ovunque all’interno dei tuoi confini, un wahabismo che tu diffondi a partire dai tuoi luoghi santi dell’Arabia Saudita come un cancro che partirebbe anch’esso dal tuo cuore. Oppure hai seguito il peggio di questo Occidente, producendo com’esso dei nazionalismi e un modernismo che è caricatura della modernità, voglio parlare di questa frenesia di consumo o meglio ancora di questo sviluppo tecnologico incoerente insieme ai loro arcaismi religiosi, che rende le tue ricchissime “élites” del Golfo soltanto delle vittime consenzienti della malattia oramai mondiale che è il culto del dio denaro.
WahabismeChe cos’hai di ammirevole oggi, amico mio? Che cosa rimane in te che sia degno di suscitare il rispetto e l’ammirazione degli altri popoli e civiltà della Terra? Dove sono le tue persone sagge? Hai ancora una saggezza da proporre al mondo? Dove sono i tuoi grandi uomini, chi sono i tuoi Mandela, i tuoi Gandhi, chi sono i tuoi Aung San Suu Kyi? Dove sono i tuoi grandi pensatori, i tuoi intellettuali i cui libri dovrebbero essere letti nel mondo intero come al tempo in cui i matematici e i filosofi arabi e persiani facevano riferimento dall’India alla Spagna? In realtà sei diventato cosi debole, cosi impotente dietro la certezza che risiede sempre in te…..
Islam (1)Hai scelto di considerare che Mohammed fosse profeta e re. Hai scelto di definire l’islam una religione politica, sociale, morale che deve regnare come un tiranno tanto sullo Stato quanto sulla vita civile, tanto per strada e in casa quanto all’interno di ciascuna coscienza. Hai scelto di credere e d’imporre che l’Islam significa sottomissione quando invece il Corano stesso proclama che “non c’è costrizione nella religione” (La ikraha fi Dîn). Tu hai fatto del suo Richiamo alla libertà l’impero della costrizione! Come può una civiltà tradire il suo testo sacro, fino a questo punto? Penso che sia il momento, nella civilizzazione dell’islam, di istituire questa libertà spirituale, la più sublime e difficile di tutte, al posto di tutte le leggi inventate da generazioni di teologici!
toppi-tarots-04[…] Troppi credenti hanno talmente interiorizzato una cultura della sottomissione alla tradizione e ai “maestri della religione” (imams, muftis, shouyoukhs, etc.), che non capiscono neanche che si parla loro di libertà spirituale e non ammettono che si osi parlare loro di scelte personali a proposito dei “pilastri” dell’islam. Tutto ciò costituisce per loro una “linea rossa”, qualcosa di troppo sacro perché possano dare alla loro coscienza il permesso di rimetterlo in discussione! E ce ne sono tante di queste famiglie, di queste società musulmane nelle quali tale confusione tra spiritualità e servitù è radicata nelle loro menti dalla più giovane età e nelle quali l’educazione spirituale è talmente misera che tutto quello che riguarda la religione, in un modo o nell’altro, rimane pertanto qualcosa su cui non si discute!
Foto ricordoAdesso questo non è sicuramente imposto dal terrorismo di qualche pazzo, da qualche gruppo di fanatici inviati dallo Stato islamico. No, questo problema è infinitamente più profondo e infinitamente più vasto! Ma chi lo vedrà e chi lo pronuncerà? Chi vuole ascoltarlo? C’è silenzio a questo proposito nel mondo musulmano e nei media occidentali si sente solo più parlare di questi specialisti del terrorismo che aumentano giorno dopo giorno la miopia generale! Bisogna fare in modo che tu, amico mio, non ti illuda credendo e facendo credere che quando si finirà con il terrorismo islamico, l’islam avrà risolto i suoi problemi! Poiché tutto quello che ho evocato, una religione tirannica, dogmatica, letteraria, formalista, maschilista, conservatrice, regressista, è troppo spesso, non sempre, ma troppo spesso, l’islam ordinario, l’islam quotidiano che soffre e fa soffrire troppe coscienze, l’islam della tradizione e del passato, l’islam deformato da tutti coloro i quali lo utilizzano politicamente, l’islam che riesce ancora a mettere a tacere le Primavere arabe e la voce di tutti i giovani che chiedono qualcos’altro. Allora quando farai la tua vera rivoluzione?
niqab[…] Sicuramente nel tuo immenso territorio ci sono degli isolotti di libertà spirituale: delle famiglie che trasmettono un islam di tolleranza, di scelta personale, di approfondimento spirituale; dei contesti sociali nei quali la gabbia della prigione religiosa si è aperta o semi-aperta; dei luoghi in cui l’islam da ancora il meglio di sé che corrisponde ad una cultura della condivisione, dell’onore, della ricerca di sapere e una spiritualità alla ricerca di questo luogo sacro dove s’incontrano l’essere umano e la realtà ultima chiamata Allah. In Terra islamica e ovunque nelle comunità musulmane del mondo ci sono delle coscienze forti e libere, ma esse sono condannate a vivere la loro libertà senza certezza, senza riconoscenza di un diritto veritiero, lasciate a loro rischio e pericolo di fronte al controllo comunitario o addirittura talvolta di fronte alla polizia religiosa. Fino ad ora non è mai stato riconosciuto il diritto di dire “Io scelgo il mio islam”, “Ho il mio proprio rapporto con l’islam” da parte dell’ “islam officiale” di coloro che hanno una dignità. Questi ultimi invece si ostinano a imporre che “la dottrina dell’islam è unica” e che “l’obbedienza ai pilastri dell’islam è la sola soluzione”.
Egyptian SalafistQuesto rifiuto del diritto alla libertà religiosa è una delle fonti del dolore di cui tu soffri, o mio caro amico mondo musulmano, uno dei ventri oscuri dove crescono i mostri che fai infuriare da qualche anno davanti ai volti spaventati del mondo intero. Poiché questa religione del fare impone una violenza insostenibile interamente a tutte le tue società. Questa rinchiude sempre troppe delle tue figlie e tutti i tuoi figli in una gabbia di un Bene e di un Male, di un lecito (halâl) e di un illecito (harâm) che nessuno sceglie ma che tutti subiscono. Imprigiona le volontà, condiziona gli spiriti, impedisce o ostacola qualsiasi scelta di vita personale. In troppi dei tuoi paesi tu associ ancora religione e violenza, contro le donne, contro i “cattivi credenti”, contro le minoranze cristiane o altre, contro i pensatori e gli spiriti liberi, contro i ribelli, in modo tale da arrivare a confondere questa religione e questa violenza , tra i più squilibrati e i più fragili dei tuoi figli, nella mostruosità del jihad!
jihadPertanto, ti prego, non ti stupire, non fare più finta di stupirti che dei demoni come il cosiddetto Stato islamico ti abbiano rubato il volto! Poiché i mostri e i demoni rubano solo i volti già deformi a causa di troppe smorfie! E se vuoi sapere come fare per non mettere più al mondo tali mostri, te lo dirò. È allo stesso tempo semplice e molto difficile. Devi iniziare dal riformare tutta l’educazione che fornisci ai tuoi bambini, è necessario che tu riformi ciascuna delle tue scuola, ciascuno dei tuoi luoghi di sapere e di potere. È necessario che le riformi per dirigerle secondo dei principi universali (anche se non sei il solo a non rispettarli o a persistere nella loro ignoranza): la libertà di coscienza, la democrazia, la tolleranza e il diritto di cittadinanza per ogni diversità nella visione del mondo e nelle credenze, l’uguaglianza dei sessi e l’emancipazione delle donne sotto tutela maschile, la riflessione e la cultura critica del religioso nelle università, la letteratura, i media. Non puoi più tornare indietro, non puoi più fare di meno di tutto ciò! Non puoi più fare meno della rivoluzione spirituale la più completa! È il solo modo per te per non mettere più al mondo tali mostri e se non lo fai sarai ben presto distrutto dalla potenza della distruzione. Quando avrai correttamente portato a termine questo compito colossale, invece che rifugiarti ancora nella malafede e nell’accecamento volontario, allora più nessun mostro spregevole potrà venire a rubarti il volto.
All'asilo del califfo[…] Non sarei mai stato cosi severo in questa lettera se non credessi in te. Come si dice in francese: “Chi ama profondamente, castiga bene”. Al contrario, tutti coloro i quali non sono abbastanza severi con te attualmente, che ti scusano sempre, che ti voglio considerare sempre una vittima, o che non vedono la tua responsabilità in quello che ti accade, tutti loro in realtà non ti fanno del bene! Credo in te, credo nel tuo contributo nel fare del nostro pianeta un universo più umano e allo stesso tempo più spirituale! Salâm, che la pace sia in te

Abdennour BidarAbdennour Bidar
(15/10/2014)
Lettera aperta al
mondo musulmano
(trad. Stella Punzo)

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Oriente e Occidente (II)

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 agosto 2015 by Sendivogius

Raffaello Sanzio - 'Scuola di Atene'

«Anis si era dunque ribattezzato “Rushdie” in onore di Ibn AverroesRushd, colui che in Occidente è noto come Averroè, il filosofo arabo-spagnolo di Cordoba del XII secolo che era diventato il “qadi”, o giudice, di Siviglia, traduttore e commentatore celebrato delle opere di Aristotele. Suo figlio portò quel nome per due decenni prima di rendersi conto che il padre, un vero studioso dell’islam a cui però mancava completamente la fede religiosa, lo aveva scelto perché di Ibn Rushd ammirava le argomentazioni razionalistiche all’avanguardia nei confronti degli islamici che, ai suoi tempi, tendevano a interpretare le scritture in modo strettamente letterale.
teologo-arabo[…] Dalla tomba, suo padre gli aveva consegnato un vessillo sotto il quale era pronto a lottare, il vessillo di Ibn Rushd, ossia dell’intelletto, dell’argomentazione, dell’analisi e del progresso, per la libertà della filosofia e dell’insegnamento dai ceppi della teologia, per la ragione umana contro la cieca fede, la sottomissione, l’accettazione prona e l’immobilismo. Nessuno vuole andare in guerra, ma se ti ci trovi in mezzo, che almeno sia una guerra giusta, per le cose più importanti che ci sono al mondo, e allora potresti anche chiamarti “Rushdie”, se dovessi andare a combatterla, e collocarti laddove ti ha messo tuo padre, nel solco della tradizione del grande aristotelico, Averroè, Abuˉ ’l-Walˉıd Muhammad ibn Ahmad ibn Rushd.
Abuˉ ’l-Walˉıd Muhammad ibn Ahmad ibn Rushd[…] Anis era un senza Dio, il che è ancora considerato una condizione scioccante negli Stati Uniti, sebbene sia tutt’altro che eccezionale in Europa, e completamente incomprensibile nella maggior parte del resto del mondo, dove la sola idea di “non credere” è difficile persino da formulare. Ma era esattamente ciò che era: un ateo che però sapeva molto di Dio e ci pensava spesso. Le origini dell’islam lo affascinavano poiché erano le uniche a essere storicamente documentate tra le grandi religioni del mondo, e perché il Profeta non era una leggenda glorificata da “evangelisti” che avevano scritto cento o più anni dopo la vita e la morte dell’uomo reale, né un piatto riscaldato da quell’eccezionale proselitista che era stato san Paolo per un facile consumo globale, ma piuttosto un uomo dalla vita ampiamente certificata, di cui si conoscevano bene le condizioni economiche e di censo, vissuto in un’epoca di profondi cambiamenti sociali, un orfano diventato mercante Al-Qurandi successo dalle tendenze mistiche, che un giorno, sul monte Hira vicino alla Mecca, aveva visto l’arcangelo Gabriele stagliarsi all’orizzonte riempiendo la volta celeste e istruendolo su come “recitare” e pertanto creare a poco a poco il testo della “Recitazione salmodiata”, al-Qur’an, il Corano.
Anis aveva tramandato al figlio la convinzione che la nascita dell’islam fosse affascinante proprio perché si era verificata “dentro la storia”, e che, in quanto tale, non poteva che essere stata influenzata dagli eventi, dalle pressioni e dalle idee circolanti al tempo della sua creazione; e che storicizzare l’accaduto, cercare di capire come una grande idea potesse essere modellata da quelle diverse forze, era di fatto l’unico approccio possibile all’argomento; e che si poteva considerare Maometto un autentico mistico – così come si può accettare che Giovanna GABRIEL - Far from Graced’Arco abbia realmente sentito delle voci o che la Rivelazione di san Giovanni riporti effettivamente l’esperienza “reale” di un’anima tormentata – senza necessariamente stimare come vero che, se qualcuno fosse stato accanto a lui quel giorno sul monte Hira, avrebbe assistito a sua volta all’apparizione dell’arcangelo.
La rivelazione doveva essere intesa come un evento interiore, individuale, non come una realtà oggettiva, e la parola rivelata andava indagata come ogni altro testo, usando tutti gli strumenti critici a disposizione, letterari, storici, psicologici, linguistici e sociologici. In breve, il testo doveva essere considerato come un artefatto umano e, in quanto tale, preda della fallibilità e dell’imperfezione degli uomini.
Il critico americano Randall Jarrell, con una frase diventata famosa, ha definito il romanzo come “un lungo scritto con qualcosa di sbagliato dentro”. Ecco, Anis Rushdie pensava di sapere cosa ci fosse di sbagliato nel Corano: alcuni passaggi sembravano sconnessi.
MaomettoSecondo la tradizione, Maometto, che era forse analfabeta, quando scese dalla montagna cominciò a recitare e chiunque appartenesse alla sua più stretta cerchia e gli fosse vicino in quel momento trascrisse le sue parole su quanto aveva sottomano: pergamena, pietra, pelle, foglie, e talvolta, si dice, persino ossa. Questi brani furono conservati in un forziere custodito nella sua abitazione fino alla sua morte, quando i compagni si riunirono per stabilire la corretta sequenza della rivelazione, ed è alla loro risolutezza che dobbiamo il testo del Corano diventato canonico. Per poterlo considerare “perfetto”, il lettore è chiamato a credere che: a) l’arcangelo abbia riferito la Parola di Dio senza alcuna imprecisione, il che è del tutto ammissibile dal momento che si presume che gli arcangeli siano immuni da refusi; b) il Profeta, o, come preferiva chiamarsi, il Messaggero, si sia ricordato le parole dell’arcangelo con assoluta precisione; c) le frettolose trascrizioni dei compagni, buttate giù nel corso di una rivelazione durata ventitré anni, siano parimenti esenti da errori; d) quando essi si riunirono per disporre il testo nella sua forma definitiva, la loro memoria collettiva della corretta sequenza fosse a sua volta perfetta.
Quraysh Anis Rushdie era riluttante a contestare le proposizioni a), b) e c). La d), invece, gli risultava più difficile da digerire, perché, come facilmente si accorge chiunque legga il Corano, parecchie sure, o capitoli, contengono profonde discontinuità, cosicché un argomento è lasciato cadere d’un tratto, senza preavviso apparente, per poi magari essere ripreso inaspettatamente più avanti, all’interno di una sura che fino a quel momento riguardava tutt’altro. Anis coltivò a lungo il desiderio di ricomporre quelle discontinuità per poter così giungere a un testo che fosse più chiaro e più facile da leggere. Non si trattava di un piano segreto o nascosto, tutt’altro, ne discuteva apertamente con gli amici anche a cena. Non c’era nessun brivido in quell’impresa, nessuna sensazione che essa potesse costituire un pericolo. Forse i tempi erano diversi, e un’idea del genere poteva essere sostenuta senza temere ritorsioni; o forse le persone al corrente erano davvero meritevoli di fiducia; o semplicemente Anis era soltanto un eccentrico inoffensivo. Fatto sta che quello studioso revisionista crebbe i suoi figli in un’atmosfera di indagine libera e aperta, senza divieti, senza tabù. Tutto, persino le sacre scritture, poteva essere vagliato e, almeno potenzialmente, migliorato

Salman RushdieSalman Rushdie
Joseph Anton
Mondadori, 2012

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ORIENTE E OCCIDENTE

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 16 marzo 2015 by Sendivogius

Scontro tra cavalieri arabi e crociati

Nella (s)fortunata vulgata dello “scontro di civiltà”, che descrive l’Oriente e l’Occidente come due blocchi monolitici irriducibilmente contrapposti nella loro inconciliabile diversità, si rispolverano conflitti e contrapposizioni antiche, esasperate dall’urticante brutalità della guerra siriana e delle sue nefaste ramificazioni mesopotamiche, all’insegna del più bieco fanatismo. E, nelle esasperazioni estreme del tempo presente, si finisce col dimenticare come attraverso il costante attrito di forze contrapposte, lo scontro violento presupponesse anche l’incontro tra due mondi profondamente diversi, che non si capivano, diffidavano l’uno dell’altro, ma nonostante tutto interagivano pur nella reciproca alterità, fra tregue d’armi, scambi commerciali, e persino commistioni culturali che lo stato di guerra permanente pure non escludeva mai del tutto.
La carica di Yaqut il GrossoIn tale prospettiva, è dunque interessante (ri)scoprire Usama ibn Munqidh: personaggio intrigante e spregiudicato quanto basta, vissuto nel periodo che va dalla presa di Gerusalemme alla riconquista della città ad opera di Ṣalāḥ al-Dīn.
images Poco conosciuto al di fuori degli ambienti specializzati di orientalistica, Usama ibn Munqidh fu diplomatico, dotto islamico, cortigiano, avventuriero e spia nella turbolenta Siria del XII° secolo. “Osama”, il cui nome per esteso era Majd al-Dīn Usāma ibn Murshid ibn Alī ibn Munqidh al-Kināni, è stato anche uno scrittore arguto, capace di mescolare il serio ed il faceto nelle memorie di una vita lunghissima, anche secondo i nostri criteri attuali (10/07/1095–24/11/1188), per una storia in chiaroscuro dove nulla è mai ciò che sembra.
crusadersLa sua intensa attività diplomatica lo portò ad interagire con gli europei trapiantati in Terrasanta, che egli chiamava indistintamente “Franchi”, reputandoli poco più che rozzi barbari, ma dai quali era incuriosito come dinanzi ad un fenomeno esotico, non mancando mai di fornire un ritratto colorito e beffardo degli stessi…

chirurgo arabo«Il signore di Munàitira scrisse a mio zio chiedendogli di mandare un medico per curare certi suoi compagni malati e quegli mandò un medico cristiano a nome Thabit. Il medico, dopo nemmeno dieci giorni, fu di ritorno. Noi gli dicemmo “Hai fatto presto a curare questi malati!”. Lui spiegò “Mi presentarono un uomo con un ascesso alla gamba e una donna con una consunzione. Feci un impiastro al cavaliere e l’ascesso si aprì e migliorò. Prescrissi una dieta alla donna, migliorandone il temperamento. Quand’ecco arrivare un medico franco. Affermò che non fossi in grado di curarli, e domandò al cavaliere ‘Vuoi morire con due gambe o vivere con una?’, Cavaliere in TerrasantaAvendo quello risposto che preferiva vivere con una sola gamba, ordinò: ‘Conducetemi un cavaliere gagliardo e un’ascia tagliente!’. Vennero cavaliere ed ascia, ed io ero lì presente. Colui adagiò la gamba su un ceppo di legno e disse al cavaliere ‘Dagli giù un gran colpo di ascia che la tronchi netto!’. E quello sotto i miei occhi la colpì d’un primo colpo e, non essendosi troncata, d’un secondo colpo. Il midollo della gamba schizzò via, e il paziente morì all’istante. Esaminata poi la donna, affermarono che avesse un demonio nella testa, innamoratosi di lei. medieval-doctor-cutting-open-a-patients-everettOrdinarono che le si tagliassero i capelli per renderla meno attraente. E quella tornò a mangiare i loro cibi, e la malattia le aumentò. ‘Il diavolo le è entrato nella testa!’, sentenziò colui. Preso il rasoio le aprì la testa a croce, asportandone il cervello fino a farle apparire l’osso del capo che colui strofinò col sale, e la donna, all’istante, morì. A questo punto domandai se avessero ancora bisogno di me. Risposero di no e io me ne andai via, dopo aver imparato della loro medicina quel che prima ignoravo.”»

 Francesco Gabrieli
 “Storici arabi delle crociate
Einaudi, 2002

Crociato feritoUsama reputa i “Franchi” poco più che rozzi barbari stranieri, ma al contempo ne era incuriosito. E a tratti non riesce a nascondere persino una certa ammirazione, tra episodi singolari, aneddoti edificanti, e storie probabilmente inventate di sana pianta, contenuti nella sua opera più conosciuta: il Kitāb al-I῾tibār, il “il Libro della Riflessione” o anche “Libro degli ammaestramenti con gli esempi”, da cui si possono trarre gustosi bozzetti di vita quotidiana.

Crusade - di Xavier e Dufaux«Ci sono fra i Franchi alcuni che, stabilitisi nel paese, hanno preso a vivere familiarmente coi musulmani e costoro sono migliori di quelli che sono ancor freschi dei loro luoghi d’origine; ma quei primi sono un’eccezione, che non può far regola. A questo proposito, mandai una volta un amico per una faccenda ad Antiochia, il cui capo era Todros ibn as-Safi [ovvero Teodoro Sofiano, un greco cristiano], mio amico, che aveva laggiù autorità. Questi disse un giorno all’amico mio: “Mi ha invitato un mio amico franco; tu vieni con me, per vedere il loro costume”. Andai con lui, raccontava l’amico, e venimmo alla casa di un cavaliere di quelli antichi, venuti con la prima spedizione dei Franchi. Costui, ritiratosi dall’ufficio e dal servizio, aveva in Antiochia una proprietà dei cui reddito viveva. Fece venire una bella tavola, con cibi quanto mai puliti e appetitosi. Visto che mi astenevo dal mangiare disse: “Mangia pure di buon animo, ché io non mangio del cibo dei Franchi, ma ho delle cuoche egiziane, e mangio solo di quel che cucinano loro: carne di maiale in casa mia non ne entra!”.
banchetto araboMangiai, pur stando in guardia, e ce ne andammo. Passavo più tardi dal mercato, quando una donna franca mi si attaccò proferendo nella loro barbara lingua parole per me incomprensibili. Si raccolse attorno a noi una folla di Franchi, e io mi ritenni spacciato: quand’ecco venire innanzi quel cavaliere, che vistomi si avvicinò e disse a quella donna “Che ci hai con questo musulmano?”.
“Questo – rispose colei – ha ucciso mio fratello Urso”, il quale Urso era un cavaliere di Apamea, che era stato ucciso da un soldato di Hamàt.
bataille-croiaes-a-cheval-arabes-francsEd egli le gridò: “Questo è un borghese, cioè un mercante, che non fa la guerra, né sta là dove la fanno”.
Gridò poi alla gente adunatasi, e quelli si dispersero, e mi prese per mano: così quell’aver mangiato alla sua tavola ebbe per effetto di salvarmi la vita

 Usâma Ibn Munqiah
Libro dell’ammaestramento con gli esempi

TemplareQuello che emerge, tra storielle più o meno credibili, è comunque un quadro di relazioni continue e rapporti quasi affabili con il ‘nemico’, nonostante le feroci dinamiche della guerra di religione in corso. Usama frequenta regolarmente i “Franchi” stanziati nella regione ed intrattiene ottime relazioni coi Templari, che chiama persino “amici” nelle sue memorie…

«Quando visitai Gerusalemme, entrai nella moschea Al-Aqsa, che era occupata dai Templari, miei amici. A fianco c’era una piccola moschea che i Franchi avevano trasformato in chiesa. I Templari mi assegnarono questa piccola moschea per recitarvi le mie preghiere. Un giorno vi entrai e glorificai Dio. Ero immerso nella mia preghiera, allorché un Franco balzò su di me, mi afferrò e girò il mio viso verso l’oriente dicendo: “Ecco come si prega!” Una folla di Templari si precipitò su di lui, lo afferrò e lo buttò fuori. Poi si scusarono con me dicendo: “È uno straniero che è arrivato questi ultimi giorni dai paesi dei Franchi e non ha mai visto pregare alcuno che non sia girato verso l’oriente”

 Usâma Ibn Munqiah
Libro dell’ammaestramento con gli esempi

Shayzar Strettamente imparentato con la tribù araba dei Banu Mundiqh, emiri di Shayzar, l’intraprendente Osama apparteneva alla dinastia dei Munqidhidi che dalla loro roccaforte di Shayzar controllavano parte della Siria nord-occidentale. I Banu Mundiqh, dal canto loro, avevano acquistato senza colpo ferire la cittadella fortificata, messa in vendita dal vescovo che l’amministrava per conto dell’imperatore Basilio IIbizantino Basilio II Bulgaroktonos (lo sterminatore di bulgari), così chiamato perché dopo aver sconfitto una imponente armata bulgara nelle gole di Kleidion, sui monti della Belasica, aveva rispedito indietro i prigionieri (circa 14.000 uomini) nella loro capitale di Prilep, non prima di averli fatti accecare tramite abbacinamento.
The Chronicle of Ioannis Skylitzis - Bulagar DefeatAl contempo, è significativo ricordare come lo zio di Usama, l’emiro Izz ad-Din al-Dawla, durante la prima crociata avesse rifornito di provviste e cavalli gli invasori europei in marcia verso Gerusalemme.
Levante - Anno 1135 Costretti come sono a barcamenarsi nella stretta dei principati cristiani di Antiochia ed Edessa, della Contea di Tripoli e dell’Impero bizantino, mantenendo la propria autonomia rispetto all’ingombrante ingerenza dei turchi selgiuchidi ed alle incursioni dei Nizariti del Veglio della Montagna (la Setta degli Assassini), dagli emiri della piccola Shayzar il giovane Osama impara l’arte dell’intrigo e della diplomazia che non lo salveranno comunque dall’esilio. Quindi inizia a districarsi tra le varie signorie islamiche che si disputano il Levante: dagli atabeg turchi di Mosul, Aleppo e Damasco, fino ai Fatimidi del Cairo, mettendosi da Atabegprigioniero al servizio di Zengi e di suo figlio Nur al-Din (meglio conosciuto nelle cronache occidentali come Nuraddino, ovvero Norandino), quindi col grande Saladino, prendendo parte a più cospirazioni dalle quali esce sempre indenne. Dalla somma delle sue esperienze, Usama ricava il materiale per le sue opere, in linea coi richiami moralistici ed edificanti della letteratura “adab.
Assassins-MAP-LGLe frequentazioni coi cavalieri cristiani ed i rapporti coi principati latini non incideranno mai troppo sui pregiudizi di Usama, che sostanzialmente considera i “Franchi” gente umorale, abituata ad agire d’istinto ed imprevedibile, privi di una vera moralità ed incapaci di gelosia, eppure eccezionalmente valorosi in battaglia.

fante bizantino«Presso i Franchi, non c’è ombra di senso dell’onore e gelosia. Se uno di loro va per la strada con la propria moglie e un altro lo incontra, questi prende per mano la donna e la tira in disparte, mentre il marito si allontana, aspettando che lei abbia finito di conversare. E se la fa troppo lunga, la lascia col suo interlocutore e se ne va!
Una mia diretta esperienza è questa: quando venni a Nablus, stavo in casa di un certo Mu’izz, la cui casa serviva d’albergo ai musulmani, con finestre che si aprivano sulla strada. Dall’altra parte della via c’era la casa di un ‘franco’ che vendeva del vino per conto dei mercanti: egli prendeva una bottiglia di vino e gli faceva pubblicità, annunciando “il tal mercante ha aperto una botte di questo vino; che ne volesse acquistare, si trova nel sito tal dei tali e io gli darò la primizia del vino che è in questa bottiglia”.
Ora costui, venuto un giorno a casa sua, trovò un uomo con sua moglie a letto.
gli amantiGli domandò: “Cos’è che ti ha fatto venir qui da mia moglie?”
“Ero stanco” rispose lui “e sono entrato qui a riposarmi”.
“E come mai sei entrato nel mio letto?”
“Ho trovato un letto fatto e mi sono messo a dormire”
“E questa donna dorme con te?”
“Il letto” rispose “è suo; potevo io impedirle di entrare nel suo letto?”
Al che il mercante concluse: “Se lo rifai un’altra volta litigheremo!”
E questa fu tutta la sua reazione e il massimo sfogo della sua gelosia.
turkish_bathUn altro caso consimile è questo, narratoci da un bagnino di Ma’arra di nome Salim, che stava in un bagno di mio padre: […] “Entrò nel bagno un cavaliere dei Franchi, ai quali non piace cingersi un panno alla vita: costui quindi allungò la mano e strappò via il panno dai fianchi e gettò via il perizoma. Così mi vide che da poco mi ero raso la zona del pube. “Salim!” esclamò; mi avvicinai a lui ed egli disse, stesa la mano sul mio pube: “Magnifico! Fai anche a me questo servizio!” e si distese supino sul dorso. Aveva in quel posto un vello lungo come la sua barba. Lo rasi, ed egli passatasi la mano, lo trovò bello liscio, e riprese: “Salim fai lo stesso alla Dama”, e ‘dama’ nella loro lingua vuol dire signora, cioè sua moglie. Ordinò quindi a un suo valletto: “Và a dire alla dama che venga”. Il valletto andò e tornò con lei, e la introdusse. Essa si distesa sul dorso ed egli disse: “Falle come hai fatto a me”. Io le rasai il vello e suo marito stava lì a guardarmi. E poi mi ringraziò e regalò secondo il mio servizio.
Guardate un po’ che contraddizione! Non hanno gelosia né senso dell’onore e al tempo stesso hanno tanto coraggio, che nasce di solito se non dal senso dell’onore e dal disdegno per ogni cosa malfatta

Rocca di ShayzarL’aneddoto surreale dimostra due cose: che Usama ibn Mundiqh era un gran cazzaro, il quale amava raccontare storielle a contenuto boccaccesco; e che gli europei, i “Franchi”, quando ne avevano la disponibilità, non disdegnavano affatto i piaceri del bagno e della toeletta.
BagnoIl Kitāb al-I῾tibār venne riscoperto in Europa solo nel 1880, grazie ad Hartwig Derenbourg che ne rinvenne il manoscritto nella biblioteca reale dell’Escorial di Madrid. Quindi venne successivamente tradotto e pubblicato in francese (1895) e poi in inglese (1930) ad opera dell’arabista Philip Hitti, che nella sua biografia di Usama non mancò di notare come il diplomatico siriano fosse intriso di sufismo di derivazione sciita e permeabile all’eresia ismaelita. Tra Esercito di Saladinole cronache di guerra, le campagne militari, le note autobiografiche e la grande passione per la caccia col falcone (che occupa una parte considerevole del libro), il Kitab è una delle poche opere musulmane a contenere un qualche interesse per lo stile di vita, i costumi ed il modo di pensare del nemico “crociato”, pur seppellendone l’interpretazione sotto uno spesso strato di pregiudizi e stereotipi. Perché l’Altro, nella sua diversità, è sempre più incivile, primitivo, illogico e amorale di quanto non sia l’ultimo dei miei.

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La Nevrosi del Convertito

Posted in Kulturkampf, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 ottobre 2014 by Sendivogius

Irshad Manji

Per quanto il fenomeno rientri tra gli effetti collaterali di ogni proselitismo religioso, lo zelo esibito e fanatico del neofita, integralizzato nei fondamenti assoluti della sua nuova fede, da solo non basta a spiegare i fatti di Ottawa, o gli exploit fai-da-te del monomaniaco lobotomizzato a colpi di tecno-jihad.
Explain the DifferenceIn realtà, la religione (qualunque essa sia) non costituisce mai un fine, ma è sempre il mezzo col quale gli psicotici danno libero sfogo alle loro Gli Isl'Amici e la Democraziafrustrazioni. Che poi sia una certa interpretazione dell’Islam, degenerato in perversione della mente, ad alimentare le turbe ossessive del momento, questa rappresenta soltanto un riflesso del degrado dei tempi. E ciò avviene soprattutto dinanzi al proliferare di disadattati sociali, variamente disturbati, neo-convertiti alla religione della pace: a mal vedere, l’unica che fa della guerra santa un atto fondante del proprio culto, inserendola nei doveri religiosi del ‘vero’ credente.

islamic-radicalsSobria manifestazione di Isl’Amici, perfettamente integrati nei paesi europei cha hanno l’indubbio piacere di ospitarne la presenza

Nei casi patologicamente più aggravati, sono quelli che per dimostrare quant’è profondo il rapporto coi “fratelli” acquisiti in Allah rinnegano ogni Gli Isl'Amici e la Democrazia (1)legame con la propria vita precedente, rigettata come “impura”. E che magari si sentono in dovere di immolarsi pubblicamente in azioni suicide, in modo da entrare nell’agognato mondo dei morti della Janna e poter così giacere ogni notte con dozzine di compiacenti fanciulle dagli occhi neri (le Urì), che riacquisiscono la verginità al termine di ogni amplesso, per tornare ad essere nuovamente deflorate (un tormento!) dall’ingrifato mujaheddin trapassato a miglior vita.

Life after Beth

E per questo smaniano per aggregarsi alle orde barbute dell’Isis, ed essere ricordati come martire del giorno tra gli isl’amici, reputando un preciso atto di devozione schiavizzare le donne dei nemici abbattuti, brutalizzare le popolazioni asservite, lapidare le adultere o scannare i prigionieri, per piacere a dio.
Siria - Vita quotidiana a RaqqaPer descrivere lo stato di dissonanza cognitiva, che contraddistingue un simile stato di alterazione compulsiva, in una delle sue opere più famose (pubblicata nel 1998), Naipaul parlava di “nevrosi primaria del convertito”.

Fedeli a Oltranza  «L’Islam è originariamente una religione araba; tutti i musulmani non arabi sono convertiti.
L’Islam non è solamente una questione di coscienza o di fede personale: ha aspirazioni imperialistiche. Il convertito cambia la sua visione del mondo, perché i luoghi santi sono in terra araba, perché la lingua sacra è l’arabo. Cambia pure la sua idea della storia: il convertito rinuncia alla propria e diventa, che gli piaccia o no, parte della storia araba. Quindi deve voltare le spalle a tutto ciò che gli è proprio. Lo sconvolgimento sociale che ne deriva è enorme e può protrarsi anche per mille anni, mentre l’atto di “voltare le spalle” deve essere ripetuto in continuazione. Di conseguenza gli uomini si creano immagini fantasiose di chi sono e cosa sono e nell’Islam dei paesi convertiti si insinua un elemento di nevrosi e di nichilismo. Da qui la facilità di tali paesi a infiammarsi.
[…] Può anche darsi che le grandi conversioni, delle nazioni o delle culture…. avvengano quando gli uomini non hanno più un’idea di sé, e non hanno i mezzi per capire e recuperare il passato. La crudeltà del fondamentalismo islamico è che permette solo a un popolo – gli arabi, il popolo originario del Profeta – di avere un passato e luoghi sacri, pellegrinaggi e onoranze alla terra. Questi luoghi sacri arabi diventano i luoghi sacri di tutti i popoli convertiti. I convertiti devono sbarazzarsi del proprio passato; a loro non si chiede altro che una fede purissima (se è mai possibile una cosa simile): Islam, sottomissione. La forma più intransigente di imperialismo

  V.S. Naipaul
FEDELI A OLTRANZA.
  Un viaggio tra i popoli convertiti all’Islam
Adelphi (Milano, 2001)

Naipaul Sir Vidiadhar Surajprasad Naipaul (questo il suo nome per intero!), “baronetto” di sua Maestà britannica (1990), Premio Nobel per la letteratura nel 2001, e un carattere impossibile, rientra a pieno titoli negli scrittori che si apprezzano per le proprie Luttwakopere (a noi capita la stesso con E.N.Luttwak), ma che mai si vorrebbero frequentare di persona.
Arrogante, indisponente, provocatoriamente altezzoso, sessista, insopportabile misantropo e rabbioso misogino, ma anche scrittore raffinatissimo e personaggio sofisticato, Naipaul è quanto di più prossimo alle parole che il regista Giuseppe Tornatore fa pronunciare ad Onoff/Depardieu, in uno dei suoi film più riusciti:

Una pura formalità«Non bisognerebbe mai incontrare i propri miti. Visti da vicino ti accorgi che hanno i foruncoli. Rischi di scoprire che le grandi opere che ti hanno fatto sognare tanto le hanno pensate stando seduti sul cesso, aspettando una scarica di diarrea

“Una pura formalità”
(1994)

Nonostante i difetti, Naipaul è una sorta di anemometro del vento fondamentalista, che ha saputo misurare con ampio anticipo, cogliendone la pressione laddove le correnti erano più forti ed il fenomeno meno investigato, nel sostanziale disinteresse di un Occidente, che evidentemente si reputava immune alla perturbazione integralista.
Gli Isl'Amici e la Democrazia (2)L’opera si struttura in quattro parti: Indonesia; Iran; Pakistan; Malesia. A suo modo, e con piglio quasi etnografico, Naipaul è tra i primi a mettere in luce il fuoco interiore che sembrano contraddistinguere società diverse, dalla struttura ancora feudale e frammentata nelle sue divisioni tribali. Tutte sono unite dalla comune ossessione per un ideale sempre più distorto e ancestrale di “purezza religiosa”, in una persistente nevrosi culturale e identitaria. A questa si accompagna un’incapacità cronica nel gestire le complessità della modernità, concepita dagli interessati più che altro come una crosta superficiale, a retaggio della colonizzazione britannica.
Oggi si tende, con una certa facilità, a liquidare il sedicente Stato islamico di Iraq e Levante come qualcosa di completamente estraneo alla tradizione musulmana, in quanto aberrazione della medesima. E se pessime sono le criminalizzazioni nella semplificazione generalizzata, nemmeno giovano le assoluzioni a priori, nella rimozione di peculiarità che, prima ancora che negate, andrebbero meglio confutate, onde prevenire i rischi.
I confini ideali del CaliffatoIn concomitanza con l’avvento dell’ISIS, vale la pena rileggere le pagine che Naipaul dedica al suo viaggio nel sub-condinente indiano e soprattutto al Pakistan (la Terra dei puri), che l’Autore dichiara evocativamente “fuori dalla mappa della storia”, e cogliere le differenze con l’ibrido mediorientale attualmente in fieri

British_soldiers_looting_Qaisar_Bagh_Lucknow«Il periodo britannico fu un periodo di rinascenza indù. Gli indù, soprattutto in Bengala, accolsero con favore la nuova scienza di stampo europeo e le istituzioni introdotte dai britannici. I musulmani, feriti dalla perdita del potere e in obbedienza a vecchi scrupoli religiosi, rimasero a guardare. Fra le due comunità si venne così a creare un divario intellettuale, che con l’indipendenza non ha fatto che approfondirsi. Ed è questo, ancor più della religione, che oggi, alla fine del ventesimo secolo, fa dell’India e del Pakistan due paesi decisamente diversi. L’India, con una classe intellettuale che cresce a passi da gigante, si espande in tutte le direzioni. Il Pakistan, che non fa altro che proclamare la fede e soltanto la fede, si ripiega sempre di più su se stesso.
hinduFu dall’insicurezza dei musulmani che nacque l’istanza di creare il Pakistan. E anche da un’idea della gloria passata, dall’immagine degli invasori che avevano fatto irruzione da nord-ovest, saccheggiando i templi dell’Indostan e imponendo la fede agli infedeli. Questa fantasia è tuttora viva, e per il musulmano convertito del subcontinente è l’origine della sua nevrosi, perché in tale fantasia dimentica ciò che è e diventa tutt’uno con l’invasore e il profanatore.
Riferendosi a un altro continente, è come se le popolazioni indigene del Messico e del Perù si schierassero con Cortés e Pizarro e gli spagnoli, in quanto portatori della vera fede.
Islamic invasion of indostan[…] Il nuovo Stato era nato in fretta e furia e non aveva un vero programma. Non poteva diventare la patria di tutti i musulmani del subcontinente; sarebbe stato impossibile. Di fatto, i musulmani destinati a rimanere in India erano più numerosi di quelli che avrebbero fatto parte del nuovo Stato islamico. Pareva piuttosto che, al di là e al di sopra di qualunque finalità politica, il nuovo Stato dovesse rappresentare il trionfo della fede, un paletto conficcato nel cuore del vecchio Indostan

 V.S. Naipaul
Fedeli a oltranza. Un viaggio tra i popoli convertiti all’Islam
Adelphi (Milano, 2001)

Per devoti e fanatici, unicamente preoccupati di non sembrare mai abbastanza “puri” e non compiacere a dovere l’iddio onninvadente, l’organizzazione delle strutture amministrative nella nuova entità religiosamente conforme è da sempre l’ultimo dei problemi…

«Nessuno aveva mai riflettuto davvero su cosa significasse amministrare il nuovo paese. Ci si aspettava che tutto discendesse naturalmente dal trionfo della fede.
[…] Le leggi procedurali ereditate dagli inglesi, i principali legislatori del subcontinente, furono modificate senza convinzione e con scarso senso pratico. Vennero aggiunte alcune appendici islamiche che spesso gli avvocati non riuscivano ad applicare in maniera coerente; e il sistema legale, già manipolato dai politici, diventò ancor più caotico. I diritti delle donne non furono più garantiti. L’adulterio divenne un delitto. Ciò significava che un uomo poteva sbarazzarsi della moglie accusandola di adulterio e mandandola in prigione.
[…] Sullo sfondo c’erano sempre i fondamentalisti che, nutriti prima dall’estasi della creazione del Pakistan e in seguito dalla parziale islamizzazione delle leggi, volevano riportare il paese sempre più indietro, al settimo secolo, al tempo del Profeta. La realizzazione di questo sogno era affidata a un programma fumoso quanto quello della creazione del Pakistan: soltanto una vaga visione di preghiere regolari e di punizioni coraniche, il taglio delle mani e dei piedi, l’imposizione del velo alle donne e, di fatto, la loro reclusione, la concessione agli uomini di diritti padronali su quattro donne alla volta, da usare e gettare a proprio piacimento. E in un modo o nell’altro, si credeva che, attraverso tutto questo, attraverso una società chiusa e devota in cui, secondo i dettami religiosi, avrebbero spadroneggiato uomini privi di istruzione, lo Stato si sarebbe legittimato e il potere si sarebbe affermato, come si era affermato agli albori dell’Islam.
Gli Isl'Amici e la Democrazia (3)La causa del Pakistan era stata sostenuta seriamente per la prima volta nel 1930 da un poeta, Muhammad Iqbal, in un discorso tenuto al convegno della Lega musulmana prima della divisione. Il tono del discorso è più civile e in apparenza più razionale degli slogan di strada del 1947, ma gli impulsi sono gli stessi. Iqbal apparteneva a una famiglia indù convertita di recente; e forse solo un neofita poteva esprimersi in quel modo.
L’Islam non è come il cristianesimo, afferma Iqbal. Non è una religione che coinvolge solo la coscienza individuale e la condotta privata. L’Islam comporta certi “princìpi legali” che, come tali, hanno “rilevanza civica” e creano un certo tipo di ordine sociale. L’«ideale religioso» non può essere disgiunto dall’ordine sociale. “Per un musulmano è impensabile la costituzione di un’entità politica su basi nazionali che comporti l’esclusione del principio islamico della solidarietà”. Nel 1930 un’entità politica nazionale significava uno Stato in tutto e per tutto indiano.
Muhammad Iqbal E’ stupefacente che un uomo dotato di ragione abbia fatto un discorso del genere nel Novecento. Ciò che Iqbal sostiene in maniera involuta è che i musulmani possono vivere soltanto insieme ad altri musulmani. A voler prendere alla lettera le sue parole, ciò implicherebbe che il mondo ideale, quello a cui bisogna aspirare, è un mondo puramente tribale, precisamente ripartito, con ciascuna tribù al suo posto. Un’idea del genere sarebbe stata giudicata stravagante

 V.S. Naipaul
“Fedeli a oltranza. Un viaggio tra i popoli convertiti all’Islam”
 Adelphi (Milano, 2001)

Come si può vedere, gli Isl’amici del Califfato levantino, e le loro intraprendenti matricole occidentali, folgorate sulla via di Raqqa, non hanno inventato proprio nulla.

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MIRABILIA

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 26 agosto 2011 by Sendivogius

Mentre la lunga parabola del colonnello Gheddafi si avvia finalmente alla fine, con un epilogo ancora incerto, in un mondo contemporaneo tormentato da fantomatici “conflitti di civiltà”, crucisignati bergamaschi con spadone e usbergo ed altri patetici imbecilli in tenuta da combattimento, segnaliamo all’attenzione dei nostri stimatissimi lettori una nuova lettura ‘d’epoca’, per una prospettiva differente e dalle venature esotiche, nella comprensione del presente attraverso l’affresco di un passato scomparso…
Tra storie di battaglie e di feroci corsari barbareschi, in un panorama agitato dalle nuove guerre di religione, è forse interessante aprire una finestra alternativa su Tripoli e sulla società libica, nell’ordinarietà della sua quotidianità pre-coloniale di una realtà complessa e assai lontana da certi stereotipi, oggi tanto alla moda tra gli ostensori dello “scontro di civiltà”…

Nel 1816 la casa editrice Sonzogno pubblicava in Italia le memorie di viaggio di un certo Alì Bey, pio pellegrino musulmano in viaggio verso la Mecca, che partendo dal Marocco percorreva tutto il Nord-Africa e le isole greche dell’Egeo, passando per la Siria e la Palestina, prima di approdare sulle coste dell’Arabia. Nel suo resoconto, Alì Bey offre un algido ritratto delle terre attraversate, con una peculiarità assoluta: si occupa di aspetti considerati secondari, scevro da ogni giudizio morale (eccetto che sulla pessima amministrazione ottomana), valutazioni razzistiche e fanatismi religiosi, offrendoci un ritratto forse edulcorato ma assai vivido del Mediterraneo islamico.
 Un piccolo dettaglio: il vero nome del ‘siriano’ Alì Bey era in realtà Domingo Francisco Jordi Badía y Leblich.
Straordinaria figura autodidatta di orientalista, esploratore e avventuriero poliglotta, Badía y Leblich era nato a Barcellona nel 1767 da madre belga e padre aragonese.
Appassionato di fisica e scienze matematiche, storia naturale e filosofia, nel 1778 si trasferisce dalla Catalogna dapprima ad Almeria e poi in Andalusia, dove il padre ha ottenuto un incarico come funzionario regio. Nell’antica provincia moresca, il ragazzo si interessa alla storia ed alla cultura araba, apprendendone la lingua ed i costumi talmente bene che nel 1799 il suo talento viene notato da Manuel Godoy, onnipotente primo ministro di re Carlo IV, che lo prende sotto la sua protezione e lo presenta all’orientalista valenziano Simón de Rojas Clemente, col quale stabilisce una solida amicizia. Insieme pianificano una spedizione scientifica e geografica in Marocco, finanziata dalla Corona spagnola. Domingo Badía y Leblich, dovrà trasformarsi in Ali Bey al-Abbasi: un ricco marcante discendente dall’antica dinastia dei califfi Abbasidi. I documenti, opportunamente falsificati e redatti in arabo antico, che attestano la fantasiosa genealogia, aprono ad Alì Bey porte inaspettate ed i massimi favori delle elite dominanti che lo credono un discendente del Profeta.
Scopo della missione è preparare un colpo di stato in Marocco, per facilitare la conquista spagnola del paese, fornendo informazioni indispensabile sulla geografia della regione maghrebina.
Nonostante l’abbandono del progetto iniziale, Ali Bey (alias Domingo Badia) resta attivo come spia per tutta l’area mediorientale (dal 1803 al 1807), dapprima alle dipendenze dirette del ministro Godoy al quale invia dispacci e informazioni riservate, e poi per conto dei francesi dopo l’invasione della Spagna da parte delle armate napoleoniche. Il suo travestimento è così riuscito, a tal punto da essere uno dei primi occidentali a penetrare nel recinto sacro della Mecca e vedere la Pietra Nera.
Accolto con tutti gli onori dopo il suo ritorno in Europa, divenne uno dei più importanti e famosi esploratori di tutto l’Occidente. Morì nel 1818 nei pressi di Damasco in Siria, probabilmente per un attacco di dissenteria, dopo aver intrapreso un nuovo avventuroso viaggio in incognito nelle terre asiatiche dei turchi ottomani.


TRIPOLI DI BARBARIA
 «Tripoli di Barbaria vien detto Tarabla dagli abitanti; ed è una città assai più bella di qualunque del regno di Marocco: è posta in riva al mare, e le sue strade sono diritte, ed abbastanza larghe. Le case regolarmente fabbricate sono quasi tutte bianche. L’architettura s’accosta assai più all’europea che all’araba; ed in ispecial modo le porte quasi tutte d’ordine toscano, i cortili con colonne di pietra ed archi di ottimo stile invece degli arabi acuti che vedonsi a Marocco. I fabbricati di pietra seno frequentissimi, e vedonsi pure alcuni marmi fini ne’ cortili, nelle porte, nelle scale, e nelle moschee. Le case hanno finestre verso strada, cosa non praticata a Marocco, ma per altro sono sempre chiuse da fitte griglie.
Osservai nelle case di Tripoli un’usanza assai singolare; cioè, che in quasi tutte le camere per lo più lunghe e strette, trovasi a ciascheduna delle due estremità un palco di tavole press’a poco alto quattro piedi dal suolo, sopra il quale si ascende per angusti scalini. Questi rialti hanno una balaustrata, ed alcuni ornamenti di legno, e si va sotto ai medesimi per una piccola porta. Esaminando quale potesse essere lo scopo di questa singolare disposizione, trovai che ogni camera poteva contenere le masserizie complete di una donna, poichè sopra l’uno collocasi il letto, sull’altro gli arredi de’ fanciulli; sotto di uno si pone il vassellame e le altre cose occorrenti al pranzo, e sotto l’altro gli altri effetti della famiglia. Questa distribuzione lascia in mezzo alla sala il luogo necessario per ricevere le visite; ed un uomo in una casa, o in un appartamento composto di tre o quattro camere, può tenere tre o quattro donne con tutte le comodità possibili, ed affatto indipendenti le une dalle altre. Tripoli non ha fontane nè fiumi; e gli abitanti bevono l’acqua che cade dal cielo conservata entro le cisterne, di cui ne è provveduta ogni casa: per i bagni, per le abluzioni, ed altri usi, valgonsi dall’acqua salsa dei pozzi.
La peste distrusse gran parte della popolazione; e vedonsi ancora molte case rovinate in conseguenza di quel flagello che mandò sotterra molte intere famiglie. Di presente il numero degli abitanti può calcolarsi di dodici in quindici mila.»

LA POPOLAZIONE
«Questa popolazione è composta di Mori, di Turchi, e di Giudei: e perché da prima il governo era assolutamente Turco, gli abitanti sono più civilizzati che a Marocco. La seta ed i metalli preziosi s’impiegano negli abiti; e la corte si mantiene con estremo lusso. La maggior parte degli abitanti conosce e parla diverse lingue Europee, e lo stesso Pascià parla l’italiano: ciò che a Marocco risguarderebbesi come un peccato più o meno grave.
La società vi è pure più sincera, e più libera che a Marocco; i Consoli Europei mi visitavano frequentemente, e nessuno se ne formalizzava. I rinnegati Europei possono ottenervi avanzamento, ed elevarsi alle prime cariche dello stato: l’ammiraglio o capo della marina Tripolitana è un inglese che sposò una parente del pascià. Gli schiavi cristiani sono ben trattati, hanno il permesso di servire ai particolari, corrispondendo parte dei loro profitti al governo.
Il sovrano di Tripoli conserva ancora il titolo di Pascià, perchè da prima quel paese era governato da un Pascià mandato di tre in tre anni dal gran Signore. Questi efimeri comandanti non altro vedendo nei loro firmani che un mezzo di spogliare inpunemente gli abitanti, si resero in modo insoffribili che questi massacrarono l’ultimo Pascià mandato dalla Porta.
Dopo tale rivoluzione accaduta circa ottant’anni sono, scelsero per loro principe Sidi Hhamet Caramanli nativo della Caramania, che fu il fondatore della regnante dinastia. In seguito a Sidi Hhamet suo figliuolo Sidi Ali padre dell’attuale sovrano montò sul trono; ma obbligato da alcune rivoluzioni ad abbandonare la patria, riparossi a Tunisi. Il figlio di Sidi Ali chiamato Sidi Hhamet, come suo avo, prese le redini del governo. Era questi un uomo vizioso, le di cui malvage qualità gli costarono il trono e la vita; e gli succedette Sidi Youssouf, suo fratello, oggi regnante.
Sidi Youssouf, ossia sig. Giuseppe è un uomo di bella presenza di circa quarant’anni. Non è privo di spirito, parla assai bene l’italiano, ama il fasto, la magnificenza, e si mantiene dignitosamente senza trascurare d’essere manieroso e gentile. Sono ormai dieci anni e mezzo che occupa il trono, ed il popolo si mostra di lui contento.
Sidi Youssouf non ha che due consorti propriamente tali: una delle quali sua cugina e bianca, gli ha già dati tre figli e tre figlie; e l’altra è una negra, da cui ebbe un maschio e due femmine. Tiene molte schiave negre, ma veruna bianca. Spiega tutto il lusso e la magnificenza negli abiti delle sue donne, e negli arredi delle loro abitazioni. I figli del pascià assumono il titolo di Bey, e l’uno di essi ha il mio nome Ali-Bey; ma quando dicesi soltanto Bey, intendesi per antonomasia il primogenito, che è di già conosciuto erede del trono.
Fui assicurato che le rendite del pascià non ammontano ad un milione di franchi all’anno.
Il portiere interno del palazzo è uno schiavo negro; e sonovi più di quaranta schiavi cristiani tutti italiani pel servizio interno
L’ESERCITO E LA MARINA
 «I principali impiegati sono l’hasnadàr, ossia tesoriere, il guardian bàchi capo e maggiorduomo di palazzo, il Kiàhia, luogotenente del Pascià, il quale occupa un magnifico sofà nel vestibulo; poi il secondo Kiàhia, cinque ministri incaricati di diversi rami d’amministrazione, l’agà de’ Turchi, ed il generale della cavalleria araba. La guardia del Pascià è composta di trecento Turchi, e di cento mammaluchi a cavallo.
Ad eccezione delle guardie, il Pascià non mantiene verun’altra truppa regolata in attività. Allorchè deve sostenere qualche guerra, aduna le tribù arabe che si presentano colle loro bandiere o stendardi in sul davanti; e può in tale circostanza mettere in piedi dieci mila cavalli, e quaranta mila pedoni.
Abbiamo già detto che l’ammiraglio del Pascià è un rinnegato inglese ammogliato con una sua parente. Le sue forze marittime consistono ne’ seguenti legni.

 1. Fregata o corvetta di cannoni N.° 28
 1. Idem di 16
 3. Sciabecchi di 10 cannoni ciascuno 30
 1. Saica di 8
 2. Galeoni di sei cadauno 12
 1. Piccolo sciabecco di 4
 1. battello di 1
 1. Galeotta di 4

In tutto 11 bastimenti, e cannoni N. 103
A quest’epoca si fabbricavano due altri galeoni, lo che formerà un totale di 13 bastimenti armati. Tripoli contiene sei moschee del primo ordine con torri, e sei mosche e minori. Magnifica veramente è la grande moschea, e di elegante architettura: il tetto tutto formato di cupolette viene sostenuto da sedici maestose colonne doriche di un bel marmo grigio, che mi fu detto essere state prese sopra un bastimento cristiano. Fu fabbricata dall’avo di Sidi Youssouf.»

L’AMMINISTRAZIONE E I COMMERCI
 «Le moschee possedono case e terreni provvenienti da donazioni volontarie: queste entrate servono al mantenimento dei ministri e degli altri impiegati nelle cose del culto.
Il muftì è il capo della religione, e l’interprete della legge. Stan sotto di lui due kadì, uno per gl’Individui del rito ehanefi, l’altro per quello del rito maleki.
La composizione dei tribunali del muftì e delkadi è veramente una istituzione rispettabile. Questi giudici sono incorruttibili, e tutti i loro ministri sono mantenuti coi proventi delle moschee.
Sonovi in Tripoli tre prigioni, una per i Turchi, e due per i Mori, ma sono male governate ed i prigionieri sono obbligati a mantenersi del proprio, o col prodotto della carità pubblica.
I negozianti e gli oziosi sogliono riunirsi in un caffè; ed il basso popolo in due altri d’un ordine inferiore. Da pertutto vi si prende il caffè senza zuccaro.
Vi sono pure alcune taverne ove si vendono vini e liquori dai Mussulmani medessimi, che non si fanno scrupolo di beverne ancor essi malgrado la proibizione della legge. Questo ramo di pubblica entrata produceva all’erario centomila franchi.
Il mercato è assai ben provveduto, ed i viveri si vendono a prezzi moderati. Vi si trovano eccellente pane e carni, non così i legumi. I Tripolitani fanno il couscoussou meno fino che a Marocco; essi usano molti altri grani, alcuni de’ quali provengono dall’interno dell’Affrica. Il paese produce l’olio necessario al suo consumo.
La terra è comune come a Marocco, purché non sia circondata da qualsiasi siepe; e trovansi varj abitanti che possiedono quindici ed anche venti poderi chiusi; e mi fu detto averne uno bellissimo il Pascià.
Mancando acque correnti s’innaffiano i giardini coll’acqua salmastra de’ pozzi, che si attigne con una macchina posta in moto dai muli.
I Giudei che hanno in Tripoli tre sinagoghe sono assai meglio trattati che a Marocco. Sono circa due mila che vestono alla musulmana, e solo la berretta, e le pantofole devono essere nere, ed il turbante ordinariamente turchino. Si contano fra questi circa trenta famiglie ricchissime, gli altri sono artigiani, orefici ec. Il commercio d’Europa è quasi tutto nelle loro mani: essi corrispondono principalmente con Marsiglia, Livorno, Venezia, Trieste e Malta. Vi sono pure alcuni negozianti mori tra i quali Sidi Mehemet Degàiz primo ministro del Pascià, che ha fama d’avere in circolazione un milione di franchi.
Se sono sincere le notizie che ho potuto raccogliere, la bilancia del commercio di Tripoli coll’Europa è a suo vantaggio, perchè le esportazioni eccedono d’un terzo il valore delle importazioni; ma il suo commercio col Levante e coll’interno dell’Affrica conguaglia i vantaggi di quello d’Europa. Riunirò altrove le particolarità del commercio di questa città con quello degli altri paesi.
Le misure ed i pesi che vi si adoperano sono inesatti come a Marocco, tanto per la grossolana loro forma che per mancanza d’un tipo originale.»
GLI EUROPEI E LA CHIESA
 «Gli Europei sono a Tripoli assai ben veduti, e rispettati. Oltre gli agenti delle diverse potenze d’Europa, eravi allora un negoziante Francese, fratello del Console, uno Spagnuolo fabbricatore di navi, un medico Maltese, ed un orologiajo Svizzero.
I Cristiani vi hanno una cappella ufficiata da quattro monaci del terz’ordine di Roma. È cosa assai singolare che questi monaci hanno nella loro cappella una campana, il di cui suono si fa udire ogni giorno in tutti gli angoli della città. Questa chiesupola è mantenuta cogl’incerti, colle donazioni, e con una pensione della corte di Roma.»

I POVERI
 «In così vasta estensione del regno di Tripoli non si contano che due milioni d’abitanti, perchè la maggior parie del paese è deserto, e tranne gli abitanti della capitale, gli altri sono poveri e sventurati Arabi. L’autorità del governo sul paese è così poco rispettata, che niuno, se non è Arabo, può viaggiare a qualche distanza senza andare in carovana, o fortemente scortato; altrimenti sarebbe infallibilmente derubato, o assassinato.
Gli abitanti di Soàkem, di Fezzan e di Guddemes che sono tributarj di Tripoli, tengonsi in corrispondenza cogli abitanti dell’interno dell’Affrica.
Il sovrano di Fezzan viene riconosciuto dal bascià di Tripoli sotto il nome di Scheik di Fezzan. I Fezzanesi sono neri grigi, poveri, ma di un carattere assai dolce. A Tripoli s’impiegano ne’ più piccoli esercizj.»

Ali Bey al-Abbasi (Domingo Badia y Leblich)
Viaggi di Ali Bey al-Abbasi in Africa ed in Asia dall’anno 1803 a tutto il 1807  (CAP. XXI-Vol.II)
Sonzogno, 1816.

Oggi, mentre le nuove potenze occidentali si accalcano a ridosso della frontiera libica, per spartirsi le risorse del territorio col più sfacciato e palese approccio colonialista, c’è da chiedersi (retoricamente) cosa mai si sia mai spezzato in quell’equilibrio precario ma durevole che univa due mondi separati ma comunicanti.

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