Archivio per Nord Africa

UNITED BOMBER

Posted in Masters of Universe, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 6 settembre 2013 by Sendivogius

Hellblazer - Pandemonium

Qualcuno di voi si ricorda del sig. Iyad Allawi?
Fondatore della Intesa Nazionale Irachena, sedicente capo dell’opposizione democratica in esilio, è stato l’inutile idiota pescato dalla CIA e sponsorizzato dal Dipartimento di Stato statunitense, per rappresentare quella solida democrazia che è l’Iraq pacificato dal dopo-invasione.
Peraltro si trattava di un uomo di paglia di seconda scelta, giacché inizialmente tutte le preferenze erano state accordate a tale Ahmed Chalabi ed al suo fantomatico Congresso Nazionale Iracheno (INC), la cui influenza e radicamento nella realtà irachena era tale quanto un pinguino può essere rappresentativo della fauna sub-sahariana.
Ahmed Chalabi Accreditatissimo presso l’amministrazione Bush, viene presentato come un eroe della democrazia (secondo il modello petrolifero-coloniale dei neocon) e definito contro ogni sprezzo del ridicolo il “George Washington dell’Iraq”, aggiungendo la farsa alla tragedia. Chalabi è in realtà un noto bancarottiere, truffatore internazionale, nonché mitomane conclamato, doppiogiochista e sospetto spione al soldo degli ayatollah iraniani, senza alcun seguito politico o legame con l’opposizione anti-saddamita in Iraq. Al contempo, l’INC è una protuberanza personale del furbo avventuriero levantino, che la usa per rastrellare (e mettersi in tasca) le decine di milioni di dollari destinati alla ricostruzione nel dopoguerra iracheno. Verrà subito nominato Ministro del Petrolio dai “Liberatori”, nel nuovo Iraq trasformato in colonia da estrazione.
IraqiFreedom-XD’altronde, Ahmed Chalabi è stato anche colui che ha prodotto le prove ‘inoppugnabili’ sui legami del regime laico ed ultra-nazionalista dei baathisti di Bagdhad con gli integralisti transnazionali di Al-Quaeda. Più facile che un cobra e una mangusta convivano insieme nella stessa tana. Altresì, sempre Chalabi è la fonte ‘incontrovertibile’ che a suo tempo fornì le Colin Powellcartucce esplosive alla famosa “smoking gun”, creando la strampalata favoletta sui laboratori mobili per la produzione delle “armi di distruzione di massa”, montati dagli iracheni su tir in movimento, ed esposta al Consiglio di sicurezza dell’ONU con dovizia di particolari (05/02/93) da un Colin Powell senza alcuna ombra di imbarazzo.
Adesso, con dieci anni di distanza e di guerre infinite che dallo scacchiere mediorientale si trascinano senza soluzione di causa tra gli altipiani dell’Afghanistan e le valli dello Swat pakistano, la nuova amministrazione USA si prepara a trascinare nell’ennesimo conflitto una nazione che, con ogni evidenza, non riesce proprio a stare lontano dalla guerra.
Obiettivo di turno è la Siria dello stralunato Bashar al-Assad, nella convinzione che per alleviare le sofferenze della popolazione civile non ci sia niente di meglio che innaffiarla con una pioggia di bombe.
if you don't come to democracySe le motivazioni e le manovre che nel 2003 portarono alla seconda Guerra del Golfo furono oggetto di critiche serrate, l’operazione condotta all’epoca dall’amministrazione Bush rischia di apparire addirittura un capolavoro politico e diplomatico, a paragone della raffazzonatissima strategia messa frettolosamente in piedi da O’Banana e dai bravi ragazzi del suo groupthink, dopo i conclamati successi in Libia ed Egitto.
Il mio amico GheddafiIl contestatissimo Bush jr, in flagrante violazione delle disposizioni ONU, riuscì comunque a mettere insieme una “coalizione di volenterosi” con una cinquantina di paesi compiacenti.
O'BananaIl presidente “Hope & Change”, premio Nobel alle intenzioni per la pace, e attuale commander in chief della nazione più guerrafondaia del pianeta si accinge ad attaccare la Siria, ovviamente senza mandato ONU, con l’apporto delle due principali ex potenze coloniali della regione: una recalcitrante Gran Bretagna e la fanfaronesca Francia del ‘socialista’ Hollande.
Inoltre, l’intervento militare è fortissimamente caldeggiato da noti baluardi democratici, oltremodo famosi per la difesa dei diritti umani, come quel campione della laicità e della libertà religiosa che è l’Arabia Saudita. All’atto pratico, i diretti beneficiari dell’attacco saranno i simpatici tagliagole barbuti delle formazioni salafite: gli affidabili “ribelli” che combattono per l’instaurazione della sharia e si dedicano alla caccia delle minoranze (a partire dai cristiani) in tutti i territori ‘liberati’, che finora ci hanno deliziato col solito corollario di decapitazioni, mutilazione dei prigionieri, e (davvero ci mancavano!) atti di cannibalismo immortalati nei loro filmini amatoriali orgogliosamente caricati su internet.
L’America dei neocon, traumatizzata dagli attentati del 9/11, pensò comunque di dover fornire le “prove” a legittimazione del proprio intervento armato, spendendosi nella pantomima dei mobile production facilities for WMD all’ONU.
O’Banana ed il suo staff invece si guardano bene dal presentare, e tanto meno dall’esporre pubblicamente, le indiscutibili informazioni sull’uso indiscriminato di armi chimiche da parte del famigerato regime siriano. In tal modo non si corre il rischio di venire smentiti, o di fare incresciose figure come quella fatta all’epoca dallo zelante Colin Powell.
Nel 2013 come nel 2003, il referente naturale dell’amministrazione USA è un evanescente “Consiglio” dell’opposizione in esilio, di cui non si sa assolutamente nulla e di cui si ignorano totalmente gli interlocutori e le reali influenze.
democracy coming soonSarà meglio invece sorvolare sulle ipocrite giustificazioni all’ennesima “guerra umanitaria”. La motivazione ufficiale con la quale O’Banana sta cercando di ammansire un’opinione pubblica sempre più scettica, in soldoni, è: “in Siria è stata violata la linea rossa con l’uso delle armi chimiche”. A dire il vero, finora l’uso conclamato dei gas asfissianti è stato attribuito con una certa soglia di sicurezza ai sedicenti “ribelli”, che in Afghanistan ed in Iraq vengono chiamati “terroristi” ma che in Siria tornano utili come i talebani nella guerra contro i sovietici. La cosiddetta “linea rossa” era già stata violata a maggio, senza che l’amministrazione USA si sia impensierita troppo: non era il sanguinario regime di Assad ad aver premuto il bottone e dunque tanto valeva fare finta di nulla. Del resto, era già avvenuto nel 2009, quando Tsahal non si faceva certo remore ad usare il fosforo bianco su Gaza (la città più densamente affollata al mondo); tra gli obiettivi, la scuola dove aveva sede l’agenzia ONU per i rifugiati ed il principale ospedale della città. All’epoca gli USA intervennero eccome, con assoluta prontezza, per mettere il veto ad ogni risoluzione di condanna per i crimini di guerra perpetrati dal comando militare israeliano.
D’altra parte, armi chimiche sono state utilizzate dallo USArmy durante la cosiddetta battaglia di Falluja. Proiettili all’uranio impoverito (il miglior modo per liberarsi delle scorie radioattive) sono stati sparacchiati senza riserva un po’ ovunque: dalla Bosnia al Kosovo, e per tutto l’Iraq.
Su quali presupposti etici, il Paese che detiene il più grande arsenale di armi chimiche e batteriologiche del pianeta; l’unico che abbia mai usato la bomba atomica, nuclearizzando un paio di città; lo stesso che ha scaricato tonnellate di Napalm sui villaggi vietnamiti, inondando le campagne con il famigerato Agente Orange… si permetta di ergersi a giudice morale è cosa ben curiosa. In quanto a crimini di guerra, la più grande democrazia del mondo li ha perpetrati praticamente tutti, nella più assoluta impunità.
VietnamI tentennamenti di Obama, che si è infilato da solo in un cul-de-sac coi controfiocchi, sono stati sprezzantemente liquidati da un certo Bill Clinton come “vigliaccheria”. È certo prova di grande coraggio invece lanciare missili dal largo delle coste siriane, in acque internazionali, mentre si sta al sicuro a migliaia di chilometri dal teatro delle operazioni. Mr Clinton è lo stesso presidente (“democratico”) che nel 1998 i missili li lanciò su un deposito di medicinali in Sudan, scambiato per una fabbrica di armi chimiche, a dimostrazione di una politica particolarmente intelligente e coraggiosa.
Attualmente il problema si chiama Iran, divenuto senza colpo ferire una macropotenza regionale, dopo la scomparsa dei suoi principali nemici alle frontiere: l’Iraq di Saddam Hussein ad ovest ed il regime feudale dei talebani in Afghanistan, per provvidenziale intervento USA su entrambe i fronti di guerra. Abbattere il regime degli Assad in Siria, priverebbe Teheran di un prezioso alleato e ne ridimensionerebbe l’influenza nella regione, rassicurando i falchi della destra israeliana.
Insomma, parlare a nuora (Siria) affinché suocera (Iran) intenda . In fondo è da oltre un decennio che al Pentagono si studia una possibile guerra con gli eredi di Serse… Oramai non se ne fa mistero neppure nell’industria dell’intrattenimento: da film come “300” a videogame come “Battlefield”.
Battlefield 3La scomparsa di uno dei pochi stati laici del Medio Oriente, con la creazione dell’ennesima ierocrazia di ispirazione wahabita, dove scorrazzano indisturbati gruppi di jihadisti armati fino ai denti che premono contro il fragilissimo Libano, e si incuneano nel bel mezzo di Stati amici come la Giordania ed Israele, con l’Egitto ridotto ad una polveriera pronta ad esplodere, denota invece una lungimiranza fuori dal comune. Straordinaria se si pensa che per ottenere l’eccezionale risultato, si vanno a pestare i piedi pure a superpotenze come la Russia e la Cina, irrompendo a suon di bombe in un paese da sempre sotto la loro influenza geopolitica.
Ma oramai Mr President mica può perdere la faccia. E dunque comincino i fuochi d’artificio!

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MIRABILIA

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , on 26 agosto 2011 by Sendivogius

Mentre la lunga parabola del colonnello Gheddafi si avvia finalmente alla fine, con un epilogo ancora incerto, in un mondo contemporaneo tormentato da fantomatici “conflitti di civiltà”, crucisignati bergamaschi con spadone e usbergo ed altri patetici imbecilli in tenuta da combattimento, segnaliamo all’attenzione dei nostri stimatissimi lettori una nuova lettura ‘d’epoca’, per una prospettiva differente e dalle venature esotiche, nella comprensione del presente attraverso l’affresco di un passato scomparso…
Tra storie di battaglie e di feroci corsari barbareschi, in un panorama agitato dalle nuove guerre di religione, è forse interessante aprire una finestra alternativa su Tripoli e sulla società libica, nell’ordinarietà della sua quotidianità pre-coloniale di una realtà complessa e assai lontana da certi stereotipi, oggi tanto alla moda tra gli ostensori dello “scontro di civiltà”…

Nel 1816 la casa editrice Sonzogno pubblicava in Italia le memorie di viaggio di un certo Alì Bey, pio pellegrino musulmano in viaggio verso la Mecca, che partendo dal Marocco percorreva tutto il Nord-Africa e le isole greche dell’Egeo, passando per la Siria e la Palestina, prima di approdare sulle coste dell’Arabia. Nel suo resoconto, Alì Bey offre un algido ritratto delle terre attraversate, con una peculiarità assoluta: si occupa di aspetti considerati secondari, scevro da ogni giudizio morale (eccetto che sulla pessima amministrazione ottomana), valutazioni razzistiche e fanatismi religiosi, offrendoci un ritratto forse edulcorato ma assai vivido del Mediterraneo islamico.
 Un piccolo dettaglio: il vero nome del ‘siriano’ Alì Bey era in realtà Domingo Francisco Jordi Badía y Leblich.
Straordinaria figura autodidatta di orientalista, esploratore e avventuriero poliglotta, Badía y Leblich era nato a Barcellona nel 1767 da madre belga e padre aragonese.
Appassionato di fisica e scienze matematiche, storia naturale e filosofia, nel 1778 si trasferisce dalla Catalogna dapprima ad Almeria e poi in Andalusia, dove il padre ha ottenuto un incarico come funzionario regio. Nell’antica provincia moresca, il ragazzo si interessa alla storia ed alla cultura araba, apprendendone la lingua ed i costumi talmente bene che nel 1799 il suo talento viene notato da Manuel Godoy, onnipotente primo ministro di re Carlo IV, che lo prende sotto la sua protezione e lo presenta all’orientalista valenziano Simón de Rojas Clemente, col quale stabilisce una solida amicizia. Insieme pianificano una spedizione scientifica e geografica in Marocco, finanziata dalla Corona spagnola. Domingo Badía y Leblich, dovrà trasformarsi in Ali Bey al-Abbasi: un ricco marcante discendente dall’antica dinastia dei califfi Abbasidi. I documenti, opportunamente falsificati e redatti in arabo antico, che attestano la fantasiosa genealogia, aprono ad Alì Bey porte inaspettate ed i massimi favori delle elite dominanti che lo credono un discendente del Profeta.
Scopo della missione è preparare un colpo di stato in Marocco, per facilitare la conquista spagnola del paese, fornendo informazioni indispensabile sulla geografia della regione maghrebina.
Nonostante l’abbandono del progetto iniziale, Ali Bey (alias Domingo Badia) resta attivo come spia per tutta l’area mediorientale (dal 1803 al 1807), dapprima alle dipendenze dirette del ministro Godoy al quale invia dispacci e informazioni riservate, e poi per conto dei francesi dopo l’invasione della Spagna da parte delle armate napoleoniche. Il suo travestimento è così riuscito, a tal punto da essere uno dei primi occidentali a penetrare nel recinto sacro della Mecca e vedere la Pietra Nera.
Accolto con tutti gli onori dopo il suo ritorno in Europa, divenne uno dei più importanti e famosi esploratori di tutto l’Occidente. Morì nel 1818 nei pressi di Damasco in Siria, probabilmente per un attacco di dissenteria, dopo aver intrapreso un nuovo avventuroso viaggio in incognito nelle terre asiatiche dei turchi ottomani.


TRIPOLI DI BARBARIA
 «Tripoli di Barbaria vien detto Tarabla dagli abitanti; ed è una città assai più bella di qualunque del regno di Marocco: è posta in riva al mare, e le sue strade sono diritte, ed abbastanza larghe. Le case regolarmente fabbricate sono quasi tutte bianche. L’architettura s’accosta assai più all’europea che all’araba; ed in ispecial modo le porte quasi tutte d’ordine toscano, i cortili con colonne di pietra ed archi di ottimo stile invece degli arabi acuti che vedonsi a Marocco. I fabbricati di pietra seno frequentissimi, e vedonsi pure alcuni marmi fini ne’ cortili, nelle porte, nelle scale, e nelle moschee. Le case hanno finestre verso strada, cosa non praticata a Marocco, ma per altro sono sempre chiuse da fitte griglie.
Osservai nelle case di Tripoli un’usanza assai singolare; cioè, che in quasi tutte le camere per lo più lunghe e strette, trovasi a ciascheduna delle due estremità un palco di tavole press’a poco alto quattro piedi dal suolo, sopra il quale si ascende per angusti scalini. Questi rialti hanno una balaustrata, ed alcuni ornamenti di legno, e si va sotto ai medesimi per una piccola porta. Esaminando quale potesse essere lo scopo di questa singolare disposizione, trovai che ogni camera poteva contenere le masserizie complete di una donna, poichè sopra l’uno collocasi il letto, sull’altro gli arredi de’ fanciulli; sotto di uno si pone il vassellame e le altre cose occorrenti al pranzo, e sotto l’altro gli altri effetti della famiglia. Questa distribuzione lascia in mezzo alla sala il luogo necessario per ricevere le visite; ed un uomo in una casa, o in un appartamento composto di tre o quattro camere, può tenere tre o quattro donne con tutte le comodità possibili, ed affatto indipendenti le une dalle altre. Tripoli non ha fontane nè fiumi; e gli abitanti bevono l’acqua che cade dal cielo conservata entro le cisterne, di cui ne è provveduta ogni casa: per i bagni, per le abluzioni, ed altri usi, valgonsi dall’acqua salsa dei pozzi.
La peste distrusse gran parte della popolazione; e vedonsi ancora molte case rovinate in conseguenza di quel flagello che mandò sotterra molte intere famiglie. Di presente il numero degli abitanti può calcolarsi di dodici in quindici mila.»

LA POPOLAZIONE
«Questa popolazione è composta di Mori, di Turchi, e di Giudei: e perché da prima il governo era assolutamente Turco, gli abitanti sono più civilizzati che a Marocco. La seta ed i metalli preziosi s’impiegano negli abiti; e la corte si mantiene con estremo lusso. La maggior parte degli abitanti conosce e parla diverse lingue Europee, e lo stesso Pascià parla l’italiano: ciò che a Marocco risguarderebbesi come un peccato più o meno grave.
La società vi è pure più sincera, e più libera che a Marocco; i Consoli Europei mi visitavano frequentemente, e nessuno se ne formalizzava. I rinnegati Europei possono ottenervi avanzamento, ed elevarsi alle prime cariche dello stato: l’ammiraglio o capo della marina Tripolitana è un inglese che sposò una parente del pascià. Gli schiavi cristiani sono ben trattati, hanno il permesso di servire ai particolari, corrispondendo parte dei loro profitti al governo.
Il sovrano di Tripoli conserva ancora il titolo di Pascià, perchè da prima quel paese era governato da un Pascià mandato di tre in tre anni dal gran Signore. Questi efimeri comandanti non altro vedendo nei loro firmani che un mezzo di spogliare inpunemente gli abitanti, si resero in modo insoffribili che questi massacrarono l’ultimo Pascià mandato dalla Porta.
Dopo tale rivoluzione accaduta circa ottant’anni sono, scelsero per loro principe Sidi Hhamet Caramanli nativo della Caramania, che fu il fondatore della regnante dinastia. In seguito a Sidi Hhamet suo figliuolo Sidi Ali padre dell’attuale sovrano montò sul trono; ma obbligato da alcune rivoluzioni ad abbandonare la patria, riparossi a Tunisi. Il figlio di Sidi Ali chiamato Sidi Hhamet, come suo avo, prese le redini del governo. Era questi un uomo vizioso, le di cui malvage qualità gli costarono il trono e la vita; e gli succedette Sidi Youssouf, suo fratello, oggi regnante.
Sidi Youssouf, ossia sig. Giuseppe è un uomo di bella presenza di circa quarant’anni. Non è privo di spirito, parla assai bene l’italiano, ama il fasto, la magnificenza, e si mantiene dignitosamente senza trascurare d’essere manieroso e gentile. Sono ormai dieci anni e mezzo che occupa il trono, ed il popolo si mostra di lui contento.
Sidi Youssouf non ha che due consorti propriamente tali: una delle quali sua cugina e bianca, gli ha già dati tre figli e tre figlie; e l’altra è una negra, da cui ebbe un maschio e due femmine. Tiene molte schiave negre, ma veruna bianca. Spiega tutto il lusso e la magnificenza negli abiti delle sue donne, e negli arredi delle loro abitazioni. I figli del pascià assumono il titolo di Bey, e l’uno di essi ha il mio nome Ali-Bey; ma quando dicesi soltanto Bey, intendesi per antonomasia il primogenito, che è di già conosciuto erede del trono.
Fui assicurato che le rendite del pascià non ammontano ad un milione di franchi all’anno.
Il portiere interno del palazzo è uno schiavo negro; e sonovi più di quaranta schiavi cristiani tutti italiani pel servizio interno
L’ESERCITO E LA MARINA
 «I principali impiegati sono l’hasnadàr, ossia tesoriere, il guardian bàchi capo e maggiorduomo di palazzo, il Kiàhia, luogotenente del Pascià, il quale occupa un magnifico sofà nel vestibulo; poi il secondo Kiàhia, cinque ministri incaricati di diversi rami d’amministrazione, l’agà de’ Turchi, ed il generale della cavalleria araba. La guardia del Pascià è composta di trecento Turchi, e di cento mammaluchi a cavallo.
Ad eccezione delle guardie, il Pascià non mantiene verun’altra truppa regolata in attività. Allorchè deve sostenere qualche guerra, aduna le tribù arabe che si presentano colle loro bandiere o stendardi in sul davanti; e può in tale circostanza mettere in piedi dieci mila cavalli, e quaranta mila pedoni.
Abbiamo già detto che l’ammiraglio del Pascià è un rinnegato inglese ammogliato con una sua parente. Le sue forze marittime consistono ne’ seguenti legni.

 1. Fregata o corvetta di cannoni N.° 28
 1. Idem di 16
 3. Sciabecchi di 10 cannoni ciascuno 30
 1. Saica di 8
 2. Galeoni di sei cadauno 12
 1. Piccolo sciabecco di 4
 1. battello di 1
 1. Galeotta di 4

In tutto 11 bastimenti, e cannoni N. 103
A quest’epoca si fabbricavano due altri galeoni, lo che formerà un totale di 13 bastimenti armati. Tripoli contiene sei moschee del primo ordine con torri, e sei mosche e minori. Magnifica veramente è la grande moschea, e di elegante architettura: il tetto tutto formato di cupolette viene sostenuto da sedici maestose colonne doriche di un bel marmo grigio, che mi fu detto essere state prese sopra un bastimento cristiano. Fu fabbricata dall’avo di Sidi Youssouf.»

L’AMMINISTRAZIONE E I COMMERCI
 «Le moschee possedono case e terreni provvenienti da donazioni volontarie: queste entrate servono al mantenimento dei ministri e degli altri impiegati nelle cose del culto.
Il muftì è il capo della religione, e l’interprete della legge. Stan sotto di lui due kadì, uno per gl’Individui del rito ehanefi, l’altro per quello del rito maleki.
La composizione dei tribunali del muftì e delkadi è veramente una istituzione rispettabile. Questi giudici sono incorruttibili, e tutti i loro ministri sono mantenuti coi proventi delle moschee.
Sonovi in Tripoli tre prigioni, una per i Turchi, e due per i Mori, ma sono male governate ed i prigionieri sono obbligati a mantenersi del proprio, o col prodotto della carità pubblica.
I negozianti e gli oziosi sogliono riunirsi in un caffè; ed il basso popolo in due altri d’un ordine inferiore. Da pertutto vi si prende il caffè senza zuccaro.
Vi sono pure alcune taverne ove si vendono vini e liquori dai Mussulmani medessimi, che non si fanno scrupolo di beverne ancor essi malgrado la proibizione della legge. Questo ramo di pubblica entrata produceva all’erario centomila franchi.
Il mercato è assai ben provveduto, ed i viveri si vendono a prezzi moderati. Vi si trovano eccellente pane e carni, non così i legumi. I Tripolitani fanno il couscoussou meno fino che a Marocco; essi usano molti altri grani, alcuni de’ quali provengono dall’interno dell’Affrica. Il paese produce l’olio necessario al suo consumo.
La terra è comune come a Marocco, purché non sia circondata da qualsiasi siepe; e trovansi varj abitanti che possiedono quindici ed anche venti poderi chiusi; e mi fu detto averne uno bellissimo il Pascià.
Mancando acque correnti s’innaffiano i giardini coll’acqua salmastra de’ pozzi, che si attigne con una macchina posta in moto dai muli.
I Giudei che hanno in Tripoli tre sinagoghe sono assai meglio trattati che a Marocco. Sono circa due mila che vestono alla musulmana, e solo la berretta, e le pantofole devono essere nere, ed il turbante ordinariamente turchino. Si contano fra questi circa trenta famiglie ricchissime, gli altri sono artigiani, orefici ec. Il commercio d’Europa è quasi tutto nelle loro mani: essi corrispondono principalmente con Marsiglia, Livorno, Venezia, Trieste e Malta. Vi sono pure alcuni negozianti mori tra i quali Sidi Mehemet Degàiz primo ministro del Pascià, che ha fama d’avere in circolazione un milione di franchi.
Se sono sincere le notizie che ho potuto raccogliere, la bilancia del commercio di Tripoli coll’Europa è a suo vantaggio, perchè le esportazioni eccedono d’un terzo il valore delle importazioni; ma il suo commercio col Levante e coll’interno dell’Affrica conguaglia i vantaggi di quello d’Europa. Riunirò altrove le particolarità del commercio di questa città con quello degli altri paesi.
Le misure ed i pesi che vi si adoperano sono inesatti come a Marocco, tanto per la grossolana loro forma che per mancanza d’un tipo originale.»
GLI EUROPEI E LA CHIESA
 «Gli Europei sono a Tripoli assai ben veduti, e rispettati. Oltre gli agenti delle diverse potenze d’Europa, eravi allora un negoziante Francese, fratello del Console, uno Spagnuolo fabbricatore di navi, un medico Maltese, ed un orologiajo Svizzero.
I Cristiani vi hanno una cappella ufficiata da quattro monaci del terz’ordine di Roma. È cosa assai singolare che questi monaci hanno nella loro cappella una campana, il di cui suono si fa udire ogni giorno in tutti gli angoli della città. Questa chiesupola è mantenuta cogl’incerti, colle donazioni, e con una pensione della corte di Roma.»

I POVERI
 «In così vasta estensione del regno di Tripoli non si contano che due milioni d’abitanti, perchè la maggior parie del paese è deserto, e tranne gli abitanti della capitale, gli altri sono poveri e sventurati Arabi. L’autorità del governo sul paese è così poco rispettata, che niuno, se non è Arabo, può viaggiare a qualche distanza senza andare in carovana, o fortemente scortato; altrimenti sarebbe infallibilmente derubato, o assassinato.
Gli abitanti di Soàkem, di Fezzan e di Guddemes che sono tributarj di Tripoli, tengonsi in corrispondenza cogli abitanti dell’interno dell’Affrica.
Il sovrano di Fezzan viene riconosciuto dal bascià di Tripoli sotto il nome di Scheik di Fezzan. I Fezzanesi sono neri grigi, poveri, ma di un carattere assai dolce. A Tripoli s’impiegano ne’ più piccoli esercizj.»

Ali Bey al-Abbasi (Domingo Badia y Leblich)
Viaggi di Ali Bey al-Abbasi in Africa ed in Asia dall’anno 1803 a tutto il 1807  (CAP. XXI-Vol.II)
Sonzogno, 1816.

Oggi, mentre le nuove potenze occidentali si accalcano a ridosso della frontiera libica, per spartirsi le risorse del territorio col più sfacciato e palese approccio colonialista, c’è da chiedersi (retoricamente) cosa mai si sia mai spezzato in quell’equilibrio precario ma durevole che univa due mondi separati ma comunicanti.

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Non disturbate il genocida

Posted in Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 febbraio 2011 by Sendivogius

Dell’insana passione che il Nano delle Libertà sembra coltivare per i dittatori avevamo già parlato [QUI e ancora QUI]…
Del resto, il personaggio non è nuovo all’intreccio di amicizie pericolose. Pertanto, l’allucinato despota libico non costituisce certo un’eccezione, ma una regola diffusa nel solco inodore degli ‘affari’. Coerentemente, dinanzi ad una spietata repressione militare, almeno inizialmente, il campione brianzolo delle libertà non ha nulla da eccepire. E certo non intende per così poco disturbare l’amico Gheddafi, salvo virare coi consueti giri di valzer nel momento in cui le cataste di cadaveri intasano gli obitori e l’appoggio incondizionato al dittatore diventa difficilmente sostenibile. Specialmente se bombarda con l’aviazione le proprie città in rivolta.

Intendiamoci: dietro la facciata del biasimo ufficiale, tutti hanno fatto affari con Gheddafi ma nessuno aveva mai raggiunto i livelli di supina accondiscendenza, esibiti dallo statista di Arcore in pubbliche (e imbarazzanti) pagliacciate.
Anche il papa re aveva il suo boia, ma non per questo lo invitava nelle cerimonie ufficiali, tributandogli i massimi onori, con atto di sottomissione…
Questa diplomazia del focolare, che trova nell’imbalsamato Frattini The Mummy (ex maestro di sci per i rampolli della real casa) la sua massima espressione, ha pensato bene di assecondare i capricci di un personaggio assolutamente inaffidabile. Ci si è legati mani e piedi alle sorti di una delle più spietate dittature nordafricane, sposando in pieno le sorti di un despota sanguinario, responsabile di alcuni dei più odiosi eccidi terroristici che mai abbiano sconvolto l’Europa.
Senza curarsi troppo dei possibili risvolti futuri, il governo italiano si è piegato al giogo di una politica ricattatoria e ambigua, che sembra contraddistinguere le relazioni libiche. In tale contesto, gli interessi nazionali dell’Italia soggiacciono a quelli privati di pochi gruppi industriali legati all’apparato governativo, che per inciso presentano non poche analogie con le élite del potere descritte da Wright Mills.
Tuttavia, mai l’Italia aveva raggiunto un simile livello di irrilevanza internazionale, cancellata dalle agende estere che contano, e quindi restituita al suo ruolo di colonia americana, per di più relegata ai margini delle province dell’Impero.
In proposito i cablogrammi di wikileaks, tra le molte ovvietà, ci consegnano l’immagine di un paese da operetta, privo di qualsiasi visione strategica indipendente e di ampio respiro; senza una vera politica estera; completamente appiattito sui revanchismi mercantilistici e personali del piccolo monarca italico, ansioso di compiacere l’alleato statunitense oltre le stesse aspettative di Washington.
L’Italia detiene, per questioni storiche e geografiche, un ruolo di primo piano nello scacchiere del Mediterraneo. Un’accorta pianificazione geopolitica avrebbe richiesto la preparazione di un accurato piano di intermediazione sotterranea per una successione indolore, specialmente nel caso di un regime quarantennale come quello libico. La contingenza delle circostanze avrebbe dovuto suggerire lo studio di opzioni alternative, con l’apertura di nuovi canali di contatto con nuove figure maggiormente credibili, e soprattutto presentabili. Si sarebbe dovuta sondare la disponibilità dei gruppi tribali più influenti e stabilire una cooptazione dei clan più rappresentativi di una società beduina, imbrigliata nelle forme primitive di uno Stato padronale incardinato interamente sulla famiglia Gheddafi a tal punto da rischiare di scomparire con essa.
 In fin dei conti, in Libia la prima forma embrionale di uno stato pre-moderno prende forma durante le reggenze barbaresche del XVI secolo. A tal proposito, pessima era la fama dei pirati tripolini, tra tutti gli stati corsari della Barberia. Alle taifas guerriere dei mercanti-corsari subentra (nel 1912) l’amministrazione coloniale italiana che impianta gli innesti di uno Stato repressivo e discriminatorio, le cui strutture vengono sostanzialmente ereditate da Gheddafi nella sua palingenesi islamo-nazionalista dopo il golpe militare del 1969, senza mai mettere delle vere radici sociali e condivise. 
La possibile dissoluzione dello Stato libico creerebbe un pericoloso vuoto di potere, capace di destabilizzare l’intera area con effetti dirompenti:

a) L’esercito nazionale spezzettato in funzione delle solidarietà tribali e frazionato in fazioni contrapposte.
b) La regione Cirenaica di fatto indipendente, ma priva di risorse reali; magari rifornita di armi dall’Egitto intenzionato a diventare una micro-potenza regionale, contando sulla frammentazione libica.
c) La contrapposizione tra le province orientali e la Tripolitania, sempre più nel caos, col rais ed i suoi fedelissimi asserragliati nella capitale.
d) Le regioni sahariane dell’interno abbandonate a loro stesse, con presidi militari isolati e tagliati fuori dalle principali linee di rifornimento e vettovogliamento.
e) Squadracce disperate di mercenari allo sbando, senza via di fuga, e per questo resi folli dal terrore del linciaggio.
f) Lo squagliamento progressivo dell’intero apparato statale, magari sostituito da signorie armate, con l’apertura dell’immenso territorio libico ad ogni genere di traffico illecito.
g) Nel mezzo, masse di profughi che rimbalzano dai confini dell’Egitto a quelli della Tunisia (senza dimenticare la turbolenta Algeria), rischiando di travolgere il fragilissimo equilibrio dei due traballanti vicini sconquassati dalle rivolte e dalla crisi economica.

Dinanzi a simili prospettive, è vergognosa l’inconsistenza politica dell’Unione Europea, rattrappita dai suoi piccoli egoismi nazionali, dalle meschinerie ipocrite di cancellerie pesantemente compromesse coi regimi dei rais nordafricani, e per di più in drammatica crisi di credibilità presso il proprio elettorato. Al sostanziale fallimento delle strutture comunitarie, alla pletorica inutilità di organismi come Frontex, si aggiunge la totale l’assenza di un piano comune d’intervento di una UE che non perde occasione per dimostrare la sua perniciosa inutilità. È evidente infatti che alla sedicente “Unione” null’altro preme al di fuori del libero scambio delle merci, della sostanziale demolizione di ogni solidarietà sociale e welfare, ad esclusivo vantaggio del capitale finanziario e delle grandi banche d’affari.
Non merita commenti l’ONU che, con abbondante ritardo, si riunisce in consiglio per deplorare la repressione e invitando il colonnello Gheddafi al rispetto dei “diritti civili”, dando così prova di rara idiozia e pilatesco declino di ogni coinvolgimento.
È ovvio che, vista la totale assenza della comunità internazionale, il peso enorme della crisi libica ricadrà quasi interamente sulle spalle dell’Italia e dei Paesi nell’immediato più coinvolti (Malta!), che si ritroveranno a gestire l’emergenza in totale solitudine, in attesa di un possibile e (a questo punto) auspicabile intervento USA.

Vista l’inesistenza di referenti credibili, a maggior ragione l’Italia si sarebbe dovuta attivare autonomamente (e per tempo), rivendicando il suo ruolo di intermediatore fondamentale nel bacino mediterraneo. Invece, assistiamo ad un politica miope e priva di lungimiranza, contraddistinta dall’assoluta assenza di qualsiasi reale strategia d’intervento, da parte di un governo nel panico e che ora è costretto a correre ai ripari senza sapere bene dove mettere le mani. Il timore più grande sembra circoscritto in prevalenza verso l’ondata migratoria che, probabilmente, sarà assai più contenuta rispetto alle dimensioni “epocali”, paventate dal ministerume berlusconiano.
 La crisi dei regimi nordafricani, travolti da un dirompente effetto domino, sembra aver colto completamente impreparate la nostra diplomazia e la nostra intelligence, nel sostanziale disinteresse del governo in tutt’altro affaccendato, occupato com’è a garantire l’impunità del libidinoso rais nostrano che ora pensa si risolvere la crisi con un paio di telefonate.

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