Potere al Popolo

Asura's Wrath - by Klem Kanthesis

«Sul trono, s’era seduto un proletario dalla barba nera, con la camicia sbottonata sul petto e l’aria ilare e stupita d’un fantoccio. Altri s’accalcavano sulla pedana per mettersi al suo posto.
“Ecco il grande mito – disse Hussonnet – il popolo sovrano!”
Il trono, sollevato a forza di braccia, attraversò ondeggiando tutta la sala.
“Perdinci, guarda come beccheggia il vascello dello Stato, sballottato su un mare in tempesta… Che danza frenetica!”
Fu trascinato fino alla finestra e da lì, in mezzo ad una selva di fichi, scaraventato fuori.
“Povero vecchio Stato!” Commentò Hussonnet seguendone il tonfo in giardino, dove subito fu raccolto, portato a spasso fino alla Bastiglia, dato alle fiamme.
Esplose allora una gioia frenetica, come se al posto lasciato vuoto dal trono fosse comparso un avvenire di felicità senza limiti; e il popolo, meno per vendicarsi che per un’affermazione di possesso, si diede a frantumare specchi, lacerare i tendaggi, fare a pezzi i lampadari, i candelabri, i tavoli, le sedie, gli sgabelli, tutta la mobilia; persino le collezioni di disegni, i fiori ricamati. Ottenuta la vittoria, bisognava pur divertirsi!
(…) Poi il furore si fece cupo. Una curiosità oscena spingeva la gente a frugare nei salottini, negli spogliatoi, in tutti gli angoli, ad aprire tutti i cassetti. Avanzi di galera affondavano il braccio nelle lenzuola delle principesse, ci si rotolavano sopra per consolarsi di non averle tra le grinfie. Altri, dai visi ancora più sinistri, vagavano in silenzio alla ricerca di qualcosa da rubare, ma c’era ancora troppa gente attorno.
(…) In anticamera, una puttana era dritta sopra un mucchio di panni in posa di statua della Libertà; immobile, con gli occhi spalancati, faceva paura.
Fuori non fecero in tempo a far tre passi che s’imbatterono in un plotone di guardie municipali in bassa uniforme, i quali togliendosi il berretto salutarono il popolo con un profondo inchino.
(…) Il palazzo traboccava di gente. Nel cortile avevano dato fuoco a sette cataste; attraverso le finestre volavano giù pianoforti, cassettoni, orologi a pendolo. Dalle pompe antincendio l’acqua schizzava fino ai tetti; alcuni figuri si industriavano di tagliarne i tubi a colpi di sciabola. Federico voleva indurre uno studente a intervenire; lo studente non capì; sembrava, d’altronde, un perfetto imbecille. Tutt’intorno, lungo le due gallerie, la plebaglia s’era impadronita delle cantine e s’abbandonava ad una ebbrezza immonda. Il vino scorreva a ruscelli, ci si sguazzava coi piedi. I crapuloni vociavano confusamente, mentre s’abbeveravano vacillando dai cocci di bottiglia.
“Andiamocene via,” – disse Hussonnet – “il tuo popolo mi disgusta”.
“Che importa?” – disse Federico – “Io lo trovo sublime, il popolo”.»

 Gustave Flaubert
 “L’educazione sentimentale”
Garzanti, 1966

Servir-le-peuple Che cos’è il Popolo?
Parola vaga, presuppone un concetto astratto in forma estensiva. Nella sua forma ibrida, si carica delle valenze che gruppi di singoli o circoli culturali (nel senso antropologico del termine e più o meno intellettualizzati) attribuiscono ad una espressione di per se neutra.
Deprivato di ogni componente critica o particolarismo al suo interno, e quindi esaltato come un conglomerato sociale sostanzialmente omogeneo, nella negazione di ogni componente ‘classista’ al suo interno, il “Popolo” si presenta soprattutto come una massa amorfa che si attiva per stimolo, su istinti quasi sempre incontrollati. Preso nel suo complesso senza complessità, è un’entità manipolabile tramite il ricorso reiterato a suggestioni di massa, che risponde a pulsioni ancestrali sapientemente solleticate. Perché, come ebbe a scrivere Umberto Eco in un suo articolo in tempi non sospetti (Marzo 2005): il popolo profondo, diffidente verso ogni critica e riforma delle tradizioni, è brodo di coltura di tutte le derive poujadistiche che si alimentano degli istinti incontrollati dell’elettorato meno criticamente educato.
Nelle sue degenerazioni peggiori, si nutre di esclusività, assolutizza il consenso, e nell’ansia di conformismo elide le differenze soffocando il dissenso, inteso come minaccia alla sua presunta coesione interna (che poi è fedeltà incondizionata ai vertici).
State pur certi che ogni tiranno, demagogo, despota o cialtrone, dirà sempre di agire in nome e per conto del popolo, quale eccezionale interprete della sua volontà. E troverà milioni di imbecilli pronti a seguirlo.
Permetteteci dunque qualche piccola ‘provocazione’…
Quasi sempre evocato a sproposito, quasi mai sovrano, il ricorso all’elemento popolare risulta più strumentale che sostanziale. È il “Potere” a legittimare l’esercizio di se medesimo in nome del “Popolo”; assai difficilmente si verifica il contrario. Non è un caso che i regimi dispotici o totalitari abbiano sempre privilegiato il richiamo ideale al “popolo”… Per antonomasia, sono ‘popolari’ le repubbliche cinese e nord-coreana.
DAUMCom’è noto, per la propaganda nazista il termine “popolo” (volk) aveva Adolf Hitlerun’importanza fondamentale, costituendo un binomio inscindibile con il suo Capo naturale in un entroterra precostituito (“Ein Volk, ein Reich, ein Führer”), il cui cardine risiedeva per l’appunto nella comunità di popolo (Volksgemeinschaft) dove le differenze si elidono nel principio di ubbidienza e fedeltà.
Mussolini sul triciclo E un rapporto tutto speciale con il popolo aveva Benito Mussolini, che dalle pagine del suo principale organo di informazione, Il Popolo d’Italia, lo blandisce e lo esalta (mentre nell’intimo lo disprezza), venendone ricambiato con entusiasmo.

«In realtà il “popolo” come espressione di una sola volontà ed eguali sentimenti, forza quasi naturale che incarna la morale e la storia, non esiste. Esistono i cittadini che hanno idee diverse e il regime democratico consiste nello stabilire che governa chi ottiene consensi dalla maggioranza dei cittadini. Non dal popolo, da una maggioranza che talora può essere dovuta non al computo delle cifre ma alla distribuzione dei voti in un sistema elettorale.
Gli eletti rappresentano i cittadini, proporzionalmente, in parlamento. Ma il paese non è fatto del solo parlamento. Ci sono un’infinità di “corpi intermedi”, che vanno dai poteri industriali all’esercito, dagli ordini professionali alla stampa e via dicendo, e nella maggioranza dei casi si tratta di persone che agiscono in base a concorso.
people(…) Appellarsi invece al “popolo” significa costruire un figmento: siccome il popolo in quanto tale non esiste, il populista è colui che si crea un’immagine virtuale della volontà popolare. Mussolini lo faceva radunando cento o duecentomila persone in Piazza Venezia che lo acclamavano e che, come attori, svolgevano la parte del popolo. Altri possono creare l’immagine del consenso popolare giocando sui sondaggi, o semplicemente evocando il fantasma di un “popolo”. Così facendo il populista identifica i propri progetti con la volontà del popolo e poi, se ci riesce (e sovente ci riesce) trasforma in quel popolo che lui ha inventato una buona porzione di cittadini, affascinati da una immagine virtuale nella quale finiscono per identificarsi.
Questi sono i rischi del populismo, che abbiamo riconosciuto e paventato quando si manifestava in altri paesi, ma che curiosamente non avventiamo appieno quando inizia a imporsi a casa nostra.»

 Umberto Eco
(Nov. 2003)

Nella sua apparente inclusività totalizzante, “popolo” è spesso un concetto esclusivo che ha bisogno di esibire la propria alterità contro terzi, ribadendo nell’uso dei suoi ostensori una supposta superiorità etica e morale…

Mussolini Mussolini amava appellarsi agli italiani, chiamandoli: Popolo di poeti, di artisti, di eroi, di santi, di navigatori, di trasmigratori. Con ogni evidenza, ignorava che la definizione poteva essere benissimo applicata, e a pieno titolo, anche alla più sperduta delle popolazioni polinesiane.

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13colonies Quando, intorno al 1775, le Tredici Colonie si sollevarono contro il dominio britannico, intenzionati com’erano a non pagare le tasse, un eterogeneo gruppo di immigrati olandesi e inglesi, pionieri provenienti dal Galles e dalla Scozia, coloni tedeschi della Pennsylvania (che non spiccicavano una parola della lingua di Shakespeare) si scoprirono improvvisamente essere “Popolo americano”; ovvero piccoli possidenti, mercanti di città e aristocratici farmers di campagna, che pretendevano di esprimere l’universalità delle istanze degli abitanti delle Colonie.
Erano “americani” non più di quanto non lo fossero le tribù Irochesi (che in America già ci vivevano da qualche migliaio di anni). E non meno di un francese del Quebec e della Louisiana, dei coloni ispano-messicani del Texas e l’Arizona, o un russo dell’Alaska.
Ed è lecito supporre che quando Thomas Jefferson declamava le libertà fondamentali dell’uomo non pensasse minimamente che queste fossero estensibili agli schiavi neri delle sue piantagioni. Evidentemente, gli africani non rientravano nel concetto di ‘popolo’.

Bane-fanart-batman-risesEssendo sostanzialmente il portatore passivo di istanze eterodirette, il “Popolo” spesso non è coerente né ponderato nelle sue azioni…
Mujik russo Il popolo russo, intriso com’è di misticismo e fatalismo atavico, amava lo Zar.
Ciò non impedirà a Nicola II di essere condannato a morte da un “Tribunale del popolo”, quindi fucilato con tutta la famiglia imperiale. Alla mattanza non sfugge la servitù domestica (che pure è composta a pieno titolo da figli del popolo): se l’ultimo zar viene freddato con un colpo alla fronte, per abbattere le cameriere i soldati usano le baionette.
Patrol_of_the_October_revolutionI Sanculotti di Dario Fo È popolo la folla di sanculotti scatenati che nel 1792, aizzati dai demagoghi di turno (che di lì a poco avrebbero perso letteralmente la testa), prendono d’assalto le prigioni di Parigi trucidando i prigionieri. E nel furore contro la “casta” dell’epoca, monsiuer le Peuple non trova niente di meglio che infierire sulla principessa di Lamballe, che viene praticamente macellata… Le cronache dell’epoca narrano di come un citoyen revolutionnaire si esibisse in parata con un paio di vistosi quanto posticci mustacchi, escissi dalle parti intime della sventurata signora. Ma si sa che i cronachisti amano le iperboli.
Stendardo sanfedistaSono “popolari” le selvagge milizie sanfediste del cardinale Ruffo che dalla Calabria risalgono la Penisola saccheggiando, stuprando e squartando, al grido di “Viva Maria!”.
I Lazzaroni napoletani massacrano i giacobiniE sempre dal ‘popolo’ provengono i brassardiers che nel marzo 1871 si dedicano con zelo sanguinario allo sterminio dei comunardi parigini, che del popolo pensavano di difendere i diritti in nome dell’eguaglianza e dell’emancipazione sociale.
18 Marzo 1871 - il massacro dei comunardiEd è proprio questo il punto: nell’ansia (tipicamente reazionaria) di rimuovere ogni aspirazione progressista, rivendicazione sociale, con le sue contraddizioni di classe, nell’assenza di differenze e di critica propositiva, ci si rifugia nella favoletta consolatoria della comunità nazionale, assediata dal nemico esterno e dai subdoli approfittatori che minacciano la concordia ordinum del popolo, incosciente perché senza Coscienza, riunito nella sua totalità contro i fantomatici “privilegi della casta” che è sempre altro rispetto a chi la vota.
Nella sua accezione onnicomprensiva, svuotata di senso concreto, la parola ‘popolo’ è aperta a tutte le declinazioni comprese le più improbabili: popolo del web… popolo di facebook… popolo delle partite iva… fino al parossistico “popolo delle libertà”, dove il termine ‘popolo’ è più che altro speculare a ‘gente’, quale presupposto palingenetico (gente che ama la gente).
In questo, il populismo è quanto mai funzionale alle ansie della gente che si crede popolo: offre soluzioni semplici a problemi complessi; è rassicurante nella sua facile accessibilità; è illusoriamente coinvolgente… Tocca corde radicate nel profondo dell’animo di una certa Italia e le fa vibrare, scatenando pulsioni sopite ma mai superate. Certamente più trasversali di quanto non si creda o si sia disposti ad ammettere.
Scusateci se scomodiamo un’altra volta Eco, attingendo dalle sue analisi. L’estratto selezionato serve a rendere l’idea ed è tratta da un’antologia di articoli pubblicati tra il 2000 ed il 2005 in: A passo di gambero; guerre calde e populismo mediatico. L’articolo in questione risale all’Aprile 2001; è dedicato al “modello propagandistico e nelle strategie e tattiche di lotta politica” dell’allora Polo delle Libertà, e analizza come in questo siano ravvisabili certi influssi riscontrabili nei gruppi extra-parlamentari del ’68.
Mutatis Mutandis, potrebbe benissimo essere riapplicato alla situazione attuale, per spiegare certe peculiarità strategiche del M5S e sul perché la sua attrattiva elettorale sia stata trasversale, attingendo consensi elettorali anche a sinistra:

«Del modello sessantottesco si ritrovano nel Polo molti elementi. Anzitutto, l’identificazione di un nemico molto più sottile degli Stati Uniti, come le multinazionali o la Trilaterale, denunciandone il complotto permanente. In secondo luogo il non concedere mai nulla all’avversario, demonizzarlo sempre, qualsiasi fossero le sue proposte, e quindi rifiutare il dialogo e il confronto (rifiutando ogni intervista di giornalisti costitutivamente servi del potere). Di qui la scelta di un Aventino permanente e dell’extra-parlamentarsimo. Questo rifiutarsi a qualsiasi compromesso era motivato dalla convinzione, reiterata a ogni momento, che la vittoria rivoluzionaria fosse imminente.
(…) La marcia verso la conquista del potere veniva sostenuta attraverso l’immagine trionfale di un volto carismatico, fosse esso quello del Che o della triade Lenin, Stalin, Mao Tse-Tung.
Beppe Grillo rappresentato come Lenin, il Che, Pancho VillaTutte queste potrebbero sembrare soltanto analogie, dovute al fatto che i comportamenti propagandistici si assomigliano tutti un poco, ma giova ricordare quanti transfughi e del vetero-comunismo e del ’68 siano confluiti nel Polo.
(…) Prestare orecchio a un rapporto con le masse appare particolarmente intelligente dal momento che nella geografia politica attuale il vero partito di massa è il Polo, che ha saputo individuare nel disfacimento sociologico delle masse pensate dal marxismo classico, le nuove masse, che non sono più caratterizzate dal censo bensì da una generica appartenenza comune all’universo dei valori massmediatici, e quindi non più sensibili al richiamo ideologico, bensì a un richiamo populista.
Il Polo si rivolge, attraverso la Lega, alla piccola borghesia poujadista del Nord; attraverso AN alle masse emarginate del Sud che da cinquant’anni votano per monarchici e neo-fascisti; e attraverso Forza Italia alla stessa classe lavoratrice di un tempo, che in gran parte ascende a livello di piccola borghesia, e di questa ha i timori per la minaccia che per i propri privilegi costituiscono i nuovi ‘lumpen’, e avanza le richiesta a cui può rispondere un partito che fa proprie le parole d’ordine di ogni movimento populista: la lotta contro la criminalità, la diminuzione della pressione fiscale, la difesa dal prepotere statale e dalla Capitale fonte di ogni male e corruzione, la severità ed il disprezzo verso ogni comportamento deviante.»

Fondamentale per la riuscita del modello è l’attesa messianica di una distribuzione di beni e opportunità, secondo le aspettative di simpatizzanti e sostenitori, insieme all’abilità di saper cogliere determinate richieste…

«Quando si individuano nel proprio elettorato queste pulsioni profonde si è partito di massa e di ogni classico partito di massa si adottano parole d’ordine e tecniche d’assalto. E forse uno dei peccati originale della sinistra, oggi, è nel non saper accettare in pieno l’idea che il vero elettorato di un partito che si vuole riformista non è più fatto di masse popolari bensì di ceti emergenti e di professionisti del terziario.
(…) In realtà, le tecniche vetero-comuniste e sessantottesche vengono messe al servizio di un programma che può andare bene anche a molti strati della Confindustria, come in altri tempi è andato bene il programma corporativista. In ogni caso, avanti o popolo

 Umberto Eco
(Aprile 2001)

Come giustamente è stato osservato da critici acuti:

«Il fascismo è nato, esiste ed è continuamente reinventato e riutilizzato dai padroni proprio per offrire ai ceti medi proletarizzati un «falso evento» dopo l’altro, un falso bersaglio dopo l’altro, una finta rivoluzione dopo l’altra. Questo non succederebbe se la classe capitalistica considerasse i ceti medi per natura conservatori. Sa bene che, quando si proletarizzano e si impoveriscono, potrebbero «fare blocco» con gli operai e in generale coi lavoratori subordinati. Per impedire quest’alleanza, viene ogni volta scatenata una multiforme offensiva ideologica e propagandistica: ad esempio, si dice al piccolo borghese che il suo nemico sono i proletari «garantiti» e i sindacati, e al contempo, con il frame della «sicurezza», gli si dice che deve temere l’immigrato. Ma questo non basta, perché è un discorso tutto difensivo, ce ne vuole anche uno offensivo, «massimalista», pseudo-rivoluzionario. Oggi quel discorso è quello contro la «Ka$ta», e il suo massimo spacciatore è Grillo, che è un portatore – forse nemmeno del tutto consapevole – di un’ennesima variante di fascismo.
(…) Il paragone tra grillismo e fascismo è scivoloso, rischioso e difficile da maneggiare, ma inevitabile. Perché è la storia di questo paese, è la storia del difficile e controverso rapporto tra rabbia giusta e rancore distruttivo, tra rivoluzione e reazione.»

 Wu Ming
“Consigli per riconoscere la destra
 sotto qualunque maschera”

wuming L’attuale suggestione movimentista in realtà ricorre ad un archetipo antico e già collaudato con successo, che risponde ad un meccanismo strutturato su tre fasi: vittimismo; complottismo; provocazione.

«Il vittimismo è tecnica fondamentale. Ci sono stati anche esempi simpatici di vittimismo sistematico, come quello di Pannella che è riuscito per decenni ad occupare le prime posizioni nei media, dicendo che tacevano sistematicamente sulle sue iniziative. Ma il vittimismo è anche tipico di ogni populismo. Mussolini ha provocato con l’attacco all’Etiopia le sanzioni e poi ha giocato propagandisticamente sul complotto internazionale contro il nostro paese.
(…) Ogni prevaricazione deve essere giustificata dalla denuncia di una ingiustizia nei tuoi confronti. In definitiva, il vittimismo è una delle tante forme con cui un regime sostiene la coesione del proprio fronte interno (…) Ogni esaltazione populistica e nazionalistica presuppone la coltivazione di uno stato di continua frustrazione.
Non solo, il poter lamentare quotidianamente il complotto altrui permette di apparire sui media ogni giorno a denunciare l’avversario. Questa è tecnica antichissima, nota anche ai bambini: tu dai uno spintone al tuo compagno di banco, lui ti tira una pallina di carta e tu ti lamenti col maestro.
Un altro elemento di questa strategia è che, per creare provocazioni a catena, non devi parlare solo tu, bensì lasciare mano libera ai più dissennati dei tuoi collaboratori. Non serve passargli ordini, se li hai scelti bene partiranno per contro proprio, se non altro per emulare il capo. E più dissennate saranno le provocazioni meglio sarà. (…) La tecnica consiste nel lanciare la provocazione, smentirla il giorno dopo (“mi avete frainteso”) e lanciarne immediatamente un’altra

 Umberto Eco
 Micromega (Sett.2003)

Abbasso il popolo… Viva il Popolo!

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9 Risposte to “Potere al Popolo”

  1. leggendo la citazione dei Wu Ming, mi è venuto in mente Battiato:
    “Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia, che crea falsi miti di progresso”

    • Ad essere sinceri, io ai “miti del progresso”… che nel mio immaginario è soprattutto sociale e culturale… ci credo davvero..:)
      Le barricate in piazza le farei soprattutto contro certa borghesia… quella piccola piccola, che cerca sempre le scorciatoie facili, le soluzioni semplici, nella grettezza rancorosa e reiterata della sua pusillanimità, nell’esibizione spudorata della sua ignoranza abissale e senza vergogna… Quella stessa piccola borghesia nevrotica e provinciale, in costante crisi di nervi, (cetomediume) che segue i rumori di pancia e che passa indistintamente da Mussolini a Craxi, da Bossi a Berlusconi, per arrivare a Grillo, auto-assolvendosi ogni volta per indulgenza plenaria.
      Per dirla con le parole dei Wu Ming:

      Il più grave problema di questo Paese, storicamente, è l’ignavia della piccola borghesia, che è la più becera d’Europa e oscilla perennemente tra l’indifferenza a tutto e la disponibilità a qualunque avventura autoritaria. Avventura «vicaria», naturalmente, vissuta per interposto Duce che sbraita. Giusto un brivido ogni tanto, per interrompere il tran tran, godersi l’endorfina e tornare al proprio posto.
      Finché non sente il dolore, l’italico cetomediume rimane apatico. Quando inizia a sentirlo, non sa dire cosa gli sia successo, blatera incoerentemente, dà la colpa ai primi falsi nemici che gli vengono agitati davanti (a scelta: i migranti, gli zingari, i comunisti, quelli che scioperano, gli ebrei…) e cerca un Uomo Forte che li combatta.
      In Italia come in poche altre nazioni, non c’è nulla di più facile che spingere l’impoverito a odiare il povero.

      E’ una brano tratto dall’articolo citato e che ho già usato… Ma trovo la citazione in questione troppo perfetta, per non ripeterla di nuovo..:)

      Sono le parole che Pasolini fa recitare ai suoi personaggi ne “La Ricotta”. Era il 1963 e da allora mi sembra le cose siano perfino peggiorate.

      • sì, sono assolutamente d’accordo: anche io detesto questa sottospecie di classe media, a metà fra borghesucci e parvenu, gente ignorante che persegue solo il proprio interesse – a volte consapevolmente, a volte addirittura credendo di agire per il bene del Paese in una sorta di autoassoluzione – ma il problema è: come far fronte a tutto ciò, dato che le radici di questa bassa umanità sono soprattutto nel background culturale?
        Credo che gran parte della società da noi descritta, anche se esistente da tempo immemore, sia stata plasmata ad esempio dalla televisione anni ’80: la stessa che ha prodotto Berlusconi, Grillo, Ricci ecc.
        Dunque servirebbe un “contrattacco” culturale, allo stesso modo, ma sappiamo che questo genere di risposte è lento e non sempre porta frutto…

        • A me sembra (e non immagini quanto io condivida le tue parole) che la tua ‘diagnosi’ sia semplicemente perfetta…
          Non solo hai chiarissime le cause del male, sapendone riconoscere magistralmente i sintomi, ma conosci anche la cura col suo vaccino fondamentale: studio, applicazione, e CULTURA.

          ma sappiamo che questo genere di risposte è lento e non sempre porta frutto…

          E ciò nonostante non possiamo far altro che tentare e ritentare ogni volta… Pessimismo dell’intelligenza; ottimismo della volontà.

  2. Il Ribelle Says:

    “La situazione in cui ci troviamo non è che la diretta conseguenza dell’adeguarsi degli italiani al motto fascista ‘Me ne frego’ e l’unico modo per uscirne, dunque, è cambiare la propria massima di vita, soppiantando l’indifferenza con ‘I care’”

    Da “Il Fatto Quotidiano” di Roberta Covelli

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/03/19/fascismo-autobiografia-di-nazione/534779/

    Condivido al 100%!

    • Toh! Qualcuno tra i redattori del “Fatto Quotidiano” ha scoperto in qualche polverosa biblioteca il dimenticato Socialismo liberale di Carlo Rosselli!
      Per chi ama la lettura dei testi originali, ne avevamo riportato ampie citazioni QUI e QUI.

      «Il fascismo va innestato sul sottosuolo italico, e allora si vede che esso esprime vizi profondi, debolezze latenti, miserie ahimè del nostro popolo, di tutto il nostro popolo.
      Non bisogna credere che Mussolini abbia trionfato solo per la forza bruta. La forza bruta, da sola, non trionfa mai. Ha trionfato perché ha toccato sapientemente certi tasti ai quali la psicologia media degli italiani era straordinariamente sensibile. Il fascismo è stato in certo senso l’autobiografia di una nazione che rinuncia alla lotta politica, che ha il culto dell’unanimità, che rifugge dall’eresia, che sogna il trionfo della facilità, della fiducia, dell’entusiasmo.
      Lottare contro il fascismo non significa dunque solo lottare contro una feroce e cieca reazione di classe, ma lottare contro un certo tipo di mentalità, di sensibilità, di tradizione italiana che sono proprie, purtroppo, inconsapevolmente proprie, di larghe correnti di popolo. Perciò la lotta è difficile e non può consistere in un semplice problema di meccanico rovesciamento del regime. È innanzitutto problema di educazione morale e politica nostra e altrui, dei nostri avversari soprattutto, in ogni caso di tutti gli italiani, indipendentemente da ogni divisione di classe

      Peccato che il giornalino di Travaglio & Co. abbia abbracciato come verità di fede i ringhi del Guru pentastallato, che di quella “mentalità” e “sottosuolo” ne è per inclinazione congenita il tipico prodotto. E dunque, folgorati sulla via del Grillo, non sappiano riconoscere i prodromi del populismo fascista neppure quando ce li hanno sotto il naso, tanto si è rovinato l’olfatto al tanfo incommensurabile della cloaca berlusconiana.

  3. Il Ribelle Says:

    concordo con quello che dici del “Giornalino” di Travaglio & Co. Addirittura più di una volta ho trovato dei falsi dati, manipolati a piacimento (specialmente quando c’era di mezzo il referendum sul nucleare) che a suo tempo mi hanno fatto storcere il naso. Ma anche altre cose meno eclatanti, specialmente in economia, con dati parziali e/o interpretati a pene di segugio….

    Detto questo però, sulla sinistra della testata on-line trovi i blogger che scrivono (che sono tanti e disparati) e ogni tanto qualche spunto interessante lo danno.

    mi sai dire qualcosa su questi Wu-Ming? (che suonano più come registi coreani che come scrittori). Che ne pensi del Romanzo “Q”. Hai trovato spunti interessanti? (io non lo ho letto ma tanti amici mi spronano a farlo…non sono amante dei romanzi sinceramente…)

    • A suo tempo, ho cominciato a leggere “Q”, dell’allora collettivo Luther Blisset (solo dopo ribatezzato Wu Ming), con parecchi (pre)giudizi ma comunque pungolato alla lettura da amici che lo reputavano strepitoso…
      Per i miei gusti letterari, non sono un grande lettore di romanzi… Quando ciò avviene, la scelta cade sui romanzi storici. E solitamente sono il più severo dei critici.
      “Q” non è un capolavoro, secondo me, per tutta una serie di motivi che sarebbe tedioso riportare. Tuttavia, una cosa è certa: gli Autori sanno scrivere (e bene!). Il romanzo è un gioco ad incastri (per nulla semplice) che mescola e rivisita con successo più generi (dal romanzo epistolare al feuilleton, dal racconto d’avventura all’opera militante, insieme a commistioni riprese dalla cinematografia) con situazioni, ambientazioni, personaggi e contesti mutevoli, che sostanzialmente ruotano attorno ad una Idea comune. L’intreccio è quindi speculare al messaggio.
      Sorvoliamo sul fatto che un lettore attento, scopre abbastanza in fretta la vera identità di “Q”… Sorvoliamo il fatto che (da appassionato) ho trovato un po’ approssimativa la resa romanzata delle dispute teologiche dell’epoca, con comparsate poco riuscite (a partire dai dialoghi) di Melantone… Questi sono aspetti circoscritti alla mia pignoleria.
      Il romanzo scorre che è un piacere e si legge tutto d’un fiato, scritto con uno stile accessibilissimo ma mai banale. Diventa appassionante e coinvolgente a partire dalla metà (superate le 200 pagine). Per dirla tutta, è una delle migliori opere letterarie degli ultimi 20 anni. E certo giganteggia senza competizione sui prodotti-spazzatura di certa editoria di massa.
      Insomma, “Q” merita di essere letto.
      Ne esiste persino un seguito, “Altai”, ma non è assolutamente all’altezza del primo romanzo.
      Tra le opere dei Wu Ming che ho avuto l’opportunità di leggere, a me è piaciuto moltissimo “Manituana” che invece pare abbia avuto pochi riscontri da pubblico e critica (italiana).
      Personalmente l’ho trovato splendido!

      Invece, sull’attività più propriamente militante dei Wu Ming, puoi dare un’occhiata QUI e soprattutto leggere Giap: la loro rivista on line [QUI].

  4. Chi si richiama al popolo,al proletariato spesso lo fa solo per i suoi interessi.Da Marx e Engels,a cui dei lavoratori non gliene poteva fregar di men,sopratutto al grosso industriale Engels,a Lenin,passando x Mussolini,Hitler o Stalin tutti hanno usato il mito del poppolo e del prolettariato,due categorie astratte e quasi metafisiche per come venivano e vengono presentate,basandosi sulla mitica liberazione della pindarica coscienza collettiva(la mente comune di cui parla anche Casaleggio)popolare o di classe(A,b,1,2 quale classe?) dopo la classica lotta manichea contro il male(il denaro per Marx,Lenin,Hitler e compagni,e sopratutto l’oro ebraico ,il simbolo della borghesia e del capitale globalizzato per i socialisti nazionalisti).Serviire il popolo,celebre slogan dei comunisti maoisti del 68,potere al popolo,altro slogan socialista usato da tutte le aree del socialismo(internazionalista,nazionalista,populista o nichilista)slogan che ancora riecheggiano nei salotti di certi professori universitari o di studenti amanti delle canzoni della Banda Bassoti,CCCP o Ska-p ,giusto il sabato quando si è bevuto e fumato erba molto,e per vaneggiare si filosofeggia un pò sulla santa e impenetrabile giustizia sociale,solo teorica naturalmente,mentre il popolo e gli operai ,idealizzati a mò di feticcio nelle fantasie(politiche si spera)della buona borghesia (statale o finanziaria eh)da 5000 euro al mese ,nella realtà da costoro vengon insultati:”servi del padrone”,vi dovete liberare,spaccate tutto e licenziatevi e armatevi per la rivoluzione” quando non son d’accordo con i rituali sindacali e i santini del buon Karl ,o Josef ,di turno.Ma poi arriva la maturità e si torna a ragionà con un pò di nostalgia per quei tempi in cui a mò di slogan da true rebbels con All Star,Lacoste e con stmpato nello zaino Nazis Gegen, si faceva carriera.Ma in fin dei conti,credere in qualcosa di irrazionale,avere una fede in questo mondo ci è indispensabile.C’è chi opta per le classiche religioni,chi per la setta o per Maroni,chi per Marx o la Peroni,chi per Benito e i compagnoni,chi per Bieber o Vasco,chi per Grillo o per Gandhi e così via.Libertà di fede e di pensiero x tutti/e Ciaooooo

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