Archivio per Potere

MEMENTO

Posted in Kulturkampf, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , on 20 marzo 2023 by Sendivogius

Notiziona stagionata della settimana: la sedicente Corte Penale Internazionale (per gli amici, “CPI”), su richiesta dell’Ucraina (che non riconosce la CPI), con sommo compiacimento USA (che non riconoscono la CPI), ha incriminato per presunti “crimini di guerra”, il presidente della Federazione Russa (che non riconosce la CPI). Si tratta del super-villain Vladimir Putin, in arte “The Butcher”: personaggio da fumetto pulp che dovrebbe essere già deceduto da tempo, per svariati malanni diagnosticati a distanza per mezzo stampa.

Dalle parti di Kiev, è invece tutto irreprensibile: tipo quello che cita Adolf Eichmann, per invocare lo “sterminio dei bambini russi” [QUI]; o lo stimato avvocato costituzionalista, esperto in diritto umanitario, e medico che ordinava l’evirazione dei feriti russi catturati [QUI], e altre goliardate così. No, non sono mica nazisti. E quello della CPI non è esattamente Strabismo di Venere.
Un altro macellaio, ben più che conclamato, presiede il Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, col record di violazione dei diritti medesimi, nonché il “ricorso endemico” alla tortura tra le varie cosette che contraddistinguono il Rinascimeno Saudita magnificato dal Renzie d’Arabia.

Ma vabbé! Si tratta di quisquiglie insignificanti, che non scuotono minimamente l’ipocrisia monumentale del cosiddetto “Occidente” (una propaggine coloniale dell’impero americano).
 A parte il piccolo dettaglio che il principe Bin-Salman non risulta minimamente inquisito dalla CPI per le sue pratiche tipicamente rinascimentali, alla Corte Penale Internazionale dell’Aja deve essere sfuggita l’incriminazione di almeno qualche centinaio di dittatorelli sparsi per il mondo, in massima parte intronizzati col beneplacito occidentale (perché saranno anche dei figli di puttana, ma sono pur sempre i ‘nostri’ dittatori), insieme ai loro sponsor e protettori ‘democratici’, che ne garantiscono la sopravvivenza politica e permanenza al potere, con buona pace di quei “diritti umani” validi a targhe alterne.
Se l’incriminazione di Vladimir Putin ha un qualche valore minimamente morale, assieme all’uso assolutamente strumentale della CPI che si presta a certi giochetti, accanto al cattivone di tutte le Russie, sul banco degli imputati per chiamata in correità dovrebbero sedere almeno una dozzina di presidenti degli Stati Uniti, tra cui la family dei Bush al gran completo, accompagnata dalla banda di neo-cons che pretendevano di ridisegnare l’ordine mondiale a propria immagine e somiglianza, con l’avvento di un nuovo secolo americano.
A 20 anni esatti della scellerata invasione dell’Iraq e dall’inizio delle guerre umanitarie (l’istituzionalizzazione di una bugia, nella certezza di farla franca), si dovrebbe avere la decenza di ricordare ed il pudore di risparmiarci lezioncine morali di diritto internazionale.
 Strano che si permetta (ancora) ad un Domenico Quirico (che finalmente ha scoperto come menzogne e propaganda siano soprattutto ‘democratiche’) di ricordare l’infame impresa sulle paginette del quotidiano più fanaticamente atlantista, tra le sturmtruppen di invasati che invocano la terza guerra mondiale, e l’avvento di angeli vendicatori con tempeste di fuoco nella mistica dello sterminio, sbavando il loro furore guerriero sui divanetti dei tank show d’assalto.

“Iraq, 20 anni senza un perché”

L’invasione americana e inglese del 20 marzo 2003 si basava su prove false e ora sappiamo che menzogna e propaganda sono anche democratiche

«Le guerre sono quasi sempre mancanza di un perché, non hanno alcun significato, sono soltanto confusione e paura. Venti anni fa (le 23.30 ora di Washington, le 5. 30 ora di Baghdad), iniziò la invasione dell’Iraq da parte degli americani e degli inglesi. Il perché era semplicemente, desolatamente una gigantesca deliberata, pianificata, bugia. A ingannarci non fu Saddam, il dittatore, solo l’ultima delle canaglie psicopatiche del Novecento. Da lui con mani e sogni sporchi di sangue che altro potevamo aspettarci? Eravamo vigili, sospettosi con lui. Ci ingannò una democrazia, anzi la Democrazia, e ci incamminammo verso la peggiore delle catastrofi, la catastrofe morale. Con l’America eravamo fiduciosi, inermi, anche ad avere nari sottili non sentivamo odore di zolfo. Una avvelenata propaganda ci corruppe. Siamo entrati da allora in una epoca di liquidazione, di dissoluzione. Quella guerra ha distrutto molto, uomini sentimenti valori, non siamo stati in grado di ricostruire granché. E dopo venti anni siamo di nuovo in guerra. Incapaci di distinguere ormai verità e bugie.
Erano passati solo pochi minuti dalla scadenza dell’ultimatum: il presidente Bush aveva dato poche ore di tempo a Saddam Hussein per lasciare l’Iraq. In perfetto orario gli aerei americani iniziarono a colpire Baghdad per mostrare a Saddam, subito, che non era più invulnerabile. Guardavamo la CNN: ecco un’altra delle città che si smembrano davanti a noi, nei loro mattatoi. Poche ore dopo missili iracheni colpirono a caso il territorio del Kuwait. I soldati americani indossarono frettolosamente le maschera antigas e i completi per la guerra chimica. Già. L’angoscia per le micidiali armi chimiche del Rais… Precauzione inutile. Nessuno dei comandanti aveva spiegato loro che l’esistenza di quelle armi faceva parte della Grande Bugia.
Sugli schermi delle televisioni irachene apparve il dittatore: arrogante, violento come al solito. Per promettere “la vittoria” e “la gloria”, inveendo contro “gli invasori diabolici” e “i sionisti”. L’operazione si chiamava “Libertà per l’Iraq’’. Bush in un discorso alla nazione disse: “Ai soldati americani che vanno a combattere per noi dico buona fortuna e che dio vi protegga”.
Venti anni dopo che serve rievocare quella guerra: le avanzate rapide verso Bassora, Baghdad, Tikrit, le colonne dei soldati di Saddam in fuga calcinate dalle bombe al fosforo, la statua del dittatore trascinata al suolo con la faccia verso il cielo, qualche teppista iracheno che si avvicina, incerto, per sputare sul simbolo del dittatore e ingraziarsi i marines, tutti gli altri che osservano da lontano? Restano in silenzio. Un sintomo. Un segno. Ciò che si deve rievocare, scrupolosamente, bugia dopo bugia, senza dimenticar nulla è come ci ingannarono. Bush e i suoi sgangherati apostoli del Nuovo Ordine Globale. Che cosa era? Un violento, immorale, ipocrita imperialismo del caos, fatto di invasioni illegali, prepotenze diplomatiche, saccheggi economici, menzogne umanitarie.
Ripensiamo al tempo che precedette quel 30 marzo: le torri che crollano, i tre aerei trasformati in missili Cruise dal genio terrorista e suicida di Bin Laden, il patriottismo americano che vibra, in tutte le città le bandierine che sventolano senza posa dai finestrini di tutte le auto, dalle radio ossessiva la canzone di Tom Keith, il peana dei marines che prendono a calci nel sedere i cattivi di tutto il mondo: “… Perché è così che siamo fatti/così sono gli americani… “. E ancora: sul New York Times , la bibbia quotidiana dei ‘’liberal’’, i bugiardi servizi di Judith Miller sulle armi di distruzione di massa irachene “pronte all’impiego nel giro di 45 minuti!” diamine! È provato… lo giura anche Blair, il servizievole maggiordomo inglese. Thomas Friedman, a colpi di editoriali, garantiva che perfino la pace “impossibile’’ in Medio Oriente sarebbe arrivata come effetto collaterale, miracoloso alla fine di quella guerra.
Ah! Se avessimo ascoltato l’undici settembre, le torri ancora fumavano di morte, Rumsfeld al Pentagono già annunciava che bisognava attaccare non solo l’Afghanistan ma anche l’Iraq: “Quanto risulta dagli attentati alle torri gemelle deve consentirci di colpire oltre che Bin Laden anche Saddam. Dateci dentro di brutto, raccogliete tutto. Indicazioni che si legano agli attacchi ma anche quelle che non vanno bene”.
E sì, si diedero proprio da fare di brutto. Cheney, il vicepresidente, a garantire che in Niger c’erano le prove dell’acquisto dell’uranio da parte di Saddam per costruire l’atomica. Confermava, guarda guarda, Rasmussen premier danese: a Baghdad hanno l’atomica. Paziente passò all’incasso nel 2009: segretario generale della Nato. Vien da pensare a qualcun altro… fu la macchinazione perfetta, sfrontata, selvaggia di come anche in una democrazia si può inventare una guerra ancor più efficacemente che nelle tirannidi. Al segretario di Stato Colin Powell spettò la recita finale, in una seduta del Consiglio di sicurezza. Annunciò che avrebbe comunicato ciò che gli Usa sapevano sulle armi di distruzioni di massa e sulla partecipazione dell’Iraq ad attività terroristiche. Poi brandì davanti alle telecamere una provetta piena di polverina bianca.
Presiedeva la seduta il ministro degli Esteri tedesco Joscha Fischer. Lui sapeva che quella prova era una menzogna spudorata. Perché la fonte americana aveva solo un nome: il dottor ingegner Rafid al Janabi, un iracheno che per ottenere rifugio in Germania aveva fatto sensazionali rivelazioni ai servizi tedeschi: che in Iraq c’erano truppe già pronte a impiegare le armi chimiche nascoste alle ispezioni dell’Onu. I servizi avevano facilmente accertato che era un bugiardo, per di più un bugiardo mediocre. Berlino aveva avvertito gli americani. Ma “Cuverball’’, il suo nome in codice, era la principale fonte delle rivelazioni di Powell. Attese il 2005 il segretario di Stato per dire che quella recita lo “addolorava ancora”.
Non tutti si fecero ingannare. Chirac rifiutò di partecipare ritagliandosi un posto onorevole nella Storia. Le piazze si riempirono di manifestanti contro la guerra americana. E fu, purtroppo, l’ultima volta. Il 24 marzo furono consegnati gli Oscar e vinse, con metafisica indifferenza alla tristezza dei tempi, una commedia dal titolo “Chicago”. Molte star si vestirono austeramente di nero, qualcuno esibì perfino la spilla con la colomba della pace. Il regista Michael Moore accusò Bush di raccontar bugie: «Si vergogni!», gridò.
Il primo maggio sul ponte della portaerei Lincoln Bush proclamò la vittoria. Un anno dopo molti dei soldati che avevano “vinto’’ erano di nuovo in Iraq: cadevano nelle imboscate, venivano bombardati feriti mutilati uccisi come se nulla fosse accaduto. A Washington intanto annunciavano che in un anno il Paese sarebbe stato ricostruito. Mentire alla fine ti lega come una corda sempre più stretta. Non ti puoi fermare.
Saddam è stato impiccato, i mediocri e pericolosi ideologi della semplicità manichea dell’impero americano sono degli ex in pensione o sono morti. Ma da quella bugia è balzato fuori il disordine in cui viviamo, il califfato totalitario in Iraq e la guerra in Ucraina.
Dopo il 2003 non è più possibile dare un limite cronologico alle guerre, fissare un inizio con la sua proclamazione e la fine con la vittoria e la sottomissione dello sconfitto. La guerra in Iraq era iniziata sotto Bush padre, sospesa con l’embargo sotto Clinton e ripresa sotto Bush junior e non è ancora finita. Se un tempo la pace era lo scopo della guerra la bugia ci ha fatto scoprire che la guerra è diventata lo scopo della pace. Infettati dalla constatazione che menzogna e propaganda sono anche democratiche, è ormai impossibile dire: non possiamo immaginare che…»

Noi in realtà l’abbiamo sembre immaginato benissimo… Colpa di quella cosa brutta che chiamano “complessità” e che mal si abbina con l’elmetto d’ordinanza.

Homepage

The Fine Art of Propaganda

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , on 14 marzo 2023 by Sendivogius

«La propaganda si basa sui simboli per raggiungere il suo fine: la manipolazione degli atteggiamenti collettivi.
Sono così grandi le resistenze psicologiche alla guerra nelle nazioni moderne, che ogni guerra deve apparire come una guerra di difesa contro un aggressore minaccioso e omicida. Non ci deve essere ambiguità su chi il pubblico debba odiare. La colpa e l’innocenza devono essere stabilite geograficamente. E tutte le colpe devono essere dall’altra parte della frontiera.
Una regola utile per suscitare odio è, se all’inizio non si adirano, usare un’atrocità. È stata impiegata con successo invariabile in ogni conflitto conosciuto dall’uomo. A differenza del pacifista, che sostiene che tutte le guerre sono brutali, la storia delle atrocità implica che la guerra è brutale solo se praticata dal nemico

Harold Dwight Lasswell
“Tecniche di Propaganda nella Prima Guerra Mondiale” (1927)

  La Propaganda, e massimamente la propaganda di guerra, è uno strumento di manipolazione psicologica a cui un potere organizzato e strutturato ricorre, per convincere le persone comuni a fare ciò che normalmente non farebbero mai.
Soprattutto, è uno strumento flessibile che si adatta alle circostanze per veicolare i suoi messaggi, adattandoli alla sensibilità del pubblico per meglio permearne la dimensione emotiva.
La Propaganda non interpreta la realtà, la destruttura per creare una narrazione parallela. E lo fa, tramite l’iniezione costante e crescente di stimoli primari, onde divellere le eventuali resistenze critiche, o inibire la confutazione empirica. Genera costrutti emozionali e non si preoccupa di doverli dimostrare: se funzionano si persiste nella riproposizione martellante degli stessi, altrimenti se ne inventano di nuovi. Nel suo complesso, la Propaganda pone in essere una serie di distorsioni cognitive eterodirette, volte a plasmare l’immaginario collettivo attraverso una rappresentazione caricaturale della realtà, senza mai entrare nella sostanza. Se sottoposta a revisione critica, non regge il confronto. Per questo aborre la complessità, pur essendo essa stessa un organismo complesso nella variabilità delle tecniche di condizionamento.
Per la Propaganda, nessuna falsità messa in circolazione sarà mai tanto grande da sembrare assurda, se funzionale allo scopo da raggiungere. Più è grande la bugia, più estesa sarà la rete di falsificazioni collaterali, per un’opera capillare di destrutturazione dell’elemento fattuale, reso irrilevante ai fini dell’efficacia del messaggio. Più ramificata sarà la menzogna e più risulterà convincente in assenza di contestazione. E proprio in questo si misura la sua efficacia: non quanto essa sia credibile, ma quanto pervasiva risulterà essere la sua diffusione, tanto da sembrare ‘vera’. La pubblica credulità è la dimensione del suo essere; l’auto-referenzialità è l’impalcatura sulla quale si regge; il ricorso alla mistificazione sistematica è la misura della sua amoralità.
Non è nemmeno un’invenzione recente. Forme di propaganda, o comunque riconoscibili come tale, sono sempre esistite fin dall’antichità, probabilmente ancor prima della Guerra del Peloponneso narrata nelle pagine magistrali di un Tucidide, rivelandosi spesso impresa retorica di raffinatissimo impatto intellettuale. Ma è essenzialmente con l’avvento dell’Età Contemporanea, che la propaganda assurge alle forme strutturali che le sono consone e con le quali viene di solito identificata, per metodologia e prassi, nelle sue espressioni più sguaiate e volgari, seguendo spesso un’iperbole parossistica volta ad alimentare una sorta di isteria diffusa su eccitazione di massa, per la propagazione del messaggio.

“Le guerre offrono un ambiente ideale per i media: gli istinti più bassi come l’odio e la violenza che sono normalmente repressi possono essere facilmente liberati e stimolati. Pertanto, la sete di sensazioni della stampa si unisce all’obiettivo del governo di mobilitare il fronte interno e influenzare i paesi neutrali. L’impatto della propaganda commerciale è alto poiché le storie di atrocità si vendono bene in tempo di guerra. Giornalisti e intellettuali spesso sostengono le istituzioni ufficiali di propaganda. Quindi la propaganda non funziona solo dall’alto verso il basso, ma viene anche potenziata dal basso verso l’alto.
[…] La propaganda alleata si è concentrata su questo diffondendo e illustrando “storie dell’orrore” di donne violentate e civili brutalmente assassinati che erano adatte a demonizzare i tedeschi. Così, i poster delle atrocità alleate ritraevano i tedeschi come bestie, mostravano scene estreme di violenza così come soldati tedeschi stupidi e maligni che si muovevano attraverso i paesi, saccheggiando, bruciando e uccidendo.
[…] I motivi di molti manifesti e caricature francesi erano assetati di sangue o avevano caratteristiche pornografiche. Le immagini di donne violentate e bambini mutilati sono il risultato di un’ossessione per la violenza e la sessualità diffusa dalla fine del XIX secolo. Tali rappresentazioni delle vittime, tuttavia, derivavano principalmente dalla fantasia dei contemporanei, poiché principalmente gli uomini erano le vittime.”

Steffen Bruendel

Se le sue espressioni ‘moderne’ iniziano a prendere corpo e sostanza secondo il tessuto attuale già durante la Guerra di Crimea (1853-1856), è con la Prima Guerra Mondiale che la propaganda raggiunge il suo apice nell’uso spregiudicato e più truculento della stessa, divenendo vera e propria “scienza” con tanto di tecniche specifiche ed uffici specializzati per la sua inoculazione velenosa, come esemplarmente illustrato dal barone Arthur Ponsonby nella sua opera più famosa, “Menzogne in tempo di guerra” (1928), dove viene riportata un’ampia casistica di falsità che furono messe in circolazione durante la prima guerra mondiale dagli organi di propaganda delle potenze alleate (Russia, Francia, Italia, Gran Bretagna ed USA) contro gli Imperi Centrali. Perché senza bugie e falsificazioni che esacerbino ad arte gli animi, non vi sarebbe alcuna ragione né volontà a proseguire il conflitto, alimentando l’odio.
Per infiammare le masse alla guerra ed al contempo negare ogni responsabilità nella stessa, è necessario “rappresentare il nemico come un pericoloso disturbatore della pace e il più terribile nemico dell’umanità”.

«Se riduci la menzogna a un sistema scientifico, mettila su spessa e pesante; con grande sforzo e finanze sufficienti…. puoi ingannare a lungo intere nazioni e spingerle al massacro per cause verso le quali on hanno il minimo interesse. Lo abbiamo visto a sufficienza durante l’ultima guerra, e lo vedremo nella prossima.
[…] In guerra, il ricorso alla menzogna viene riconosciuto come un’arma estremamente utile. Ed ogni paese la usa per ingannare piuttosto deliberatamente il proprio popolo, per attrarre quanti si professano neutrali, e per ingannare il nemico. Le masse ignoranti ed innocenti di ogni paese non hanno alcuna consapevolezza di come vengano ingannati sul momento. E solo quando sarà tutto finito, qua e là le menzogne verranno scoperte e denunciate. Come è sempre avvenuto in passato, una volta raggiunto l’effetto desiderato, non ci saranno problemi ad indagare sui fatti ed a ristabilire la verità.
[…] Le autorità di ogni paese fanno, e anzi devono, ricorrere a questa pratica per, in primo luogo, giustificarsi dipingendo il nemico come un criminale puro; e in secondo luogo, per infiammare la passione popolare, abbastanza da assicurarsi reclute per la continuazione della guerra.
Non possono permettersi di dire la verità. In alcuni casi, bisogna ammetterlo, nell’immediato non sanno nemmeno quale sia la verità

Arthur Ponsonby
Falsehood in War-Time: Propaganda Lies of the First World War

In prospettiva, la cosiddetta “propaganda delle atrocità” costituisce infatti un ottimo surrogato di sicura efficacia, nell’estetica necrofila dell’orrore, elevato a voyeurismo pornografico di guerra.

«La Press House era l’infaticabile geyser che sputava incessantemente falsi rapporti di guerra e notizie fittizie dalle retrovie e dal davanti, le calunnie più vili e brutali degli avversari, le stupefacenti finzioni di atti infami loro attribuiti. Il veleno insidioso ma efficace così diffuso ha ingannato e infettato una schiera di persone ben intenzionate ma non sofisticate… Durante la guerra la menzogna divenne una virtù patriottica. Ci è stato imposto dal governo e dal censore, e per il pericolo di perdere la guerra considerata una necessità; inoltre, mentire era redditizio e spesso pubblicamente onorato. Inutile negare il successo della menzogna, che utilizzò la Stampa come il miglior mezzo di una diffusione estesa e rapida. Gli sforzi maggiori sono stati fatti per bollare ogni parola dei nemici come menzogna e ogni nostra menzogna come verità assoluta


Ovviamente al Nemico, meglio se disumanizzato nella sua irriducibile alterità fuori dal consesso della Civiltà e del Diritto, non può essere riconosciuta alcuna attenuante né giustificazione, perché nulla deve incrinare la narrazione bellica nella sua manichea rappresentazione, altrimenti verrebbero meno le ragioni per poter proseguire il conflitto stesso. Ogni ragione concessa al “nemico” viene vissuta come un intollerabile cedimento del fronte interno. E dunque non è ammissibile, altrimenti si solleverebbero dubbi sull’azione stessa di quei governi che hanno perseguito l’opzione bellica, come se fosse l’unica possibile, sabotando ogni negoziazione per la sospensione del conflitto.

«Un governo che abbia deciso di intraprendere la via terribile e pericolosa della guerra…. non può permettersi di ammettere, e in nessun caso di riconoscere, neanche la minima ragione o diritto al popolo che ha deciso di combattere. I fatti devono essere distorti, le circostanze rilevanti nascoste, e la rappresentazione del nemico a tinte fosche persuaderà la gente che il proprio governo è senza colpe, la propria causa è giusta, e che l’indiscutibile malvagità del nemico è stata dimostrata oltre ogni dubbio. Un momento di riflessione direbbe a qualsiasi persona ragionevole, che un pregiudizio così evidente non può assolutamente rappresentare la verità. Ma nell’immediato la riflessione non è consentita; le bugie vengono diffuse con grande rapidità. La massa irriflessiva le accetta e con la sua eccitazione influenza gli altri. La quantità di sciocchezze che passano sotto il nome di patriottismo in tempo di guerra in tutti i paesi è sufficiente a far arrossire tutte le persone oneste

Per lo stesso motivo, onde non incrinare lo sforzo bellico e la volontà di proseguire la guerra (sia essa per procura o meno),

 «Non si deve mai permettere alle persone di perdersi d’animo; quindi le vittorie devono essere esagerate e le sconfitte, se proprio non possono essere non nascoste, almeno minimizzate, e lo stimolo dell’indignazione, dell’orrore e dell’odio deve essere assiduamente e continuamente pompato nell’animo pubblico mediante la “propaganda”.
[…] Qualsiasi tentativo di dubitare o negare anche la storia più fantastica deve essere condannato immediatamente come antipatriottico, se non traditore. Ciò consente campo libero per la rapida diffusione delle menzogne. Se fossero usate solo per ingannare il nemico nel gioco della guerra, non varrebbe la pena di preoccuparsene. Ma, poiché lo scopo della maggior parte di esse è quello di alimentare l’indignazione e indurre il fiore della giovinezza del paese a essere pronto al sacrificio supremo, diventa una cosa seria. Parlarne, dunque, può essere utile, anche se la guerra è terminata, a svelare l’inganno, l’ipocrisia e l’imbroglio da cui tutte le guerre traggono linfa vitale, e a rivelare gli espedienti esasperati e volgari che da tempo sono adoperati, per impedire che la povera gente ignorante sia consapevole del vero significato della guerra

Lord Ponsonby scriveva circa un secolo fa, ma le sue considerazioni possono essere benissimo valevoli per il presente, in tutta la loro sconcertante ancorché desolante attualità, nella reiterazione dei medesimi meccanismi di manipolazione e disinformazione, insieme alla compiacenza e soprattutto alla complicità interessata di un intero sistema mediatico, allineato a precise dinamiche di potere delle quali è parte integrante.
Riprendendo le tesi espresse da Arthur Ponsonby, in tempi assai più recenti (2001), Anne Morelli, storica e ricercatrice italo-belga, ne ha sintetizzato le osservazioni per ricavarne “dieci principi elementari”, analizzando e mettendo in luce i principi ricorrenti, alla base delle tecniche essenziali della propaganda di guerra.

1. Non vogliamo la guerra
(stiamo solo difendendo noi stessi!)

Arthur Ponsonby aveva già notato che gli statisti di tutti i paesi, prima di dichiarare la guerra o nel momento stesso di tale dichiarazione, assicuravano sempre solennemente in via preliminare che non volevano la guerra.
La guerra non è mai desiderata, raramente è vista come positiva dalla popolazione. Con l’avvento delle nostre democrazie, il consenso della popolazione diventa essenziale, quindi non bisogna volere la guerra ed essere pacifisti nel cuore. A differenza del Medioevo, quando l’opinione della popolazione aveva poca importanza e la questione sociale non era sostanziale.
[…] Se tutti i capi di stato e di governo sono animati da un simile desiderio di pace, ci si può naturalmente chiedere innocentemente perché, a volte (e anche spesso), le guerre scoppiano tutte uguali? Ma il secondo principio risponde a questa domanda.

2. La parte avversa è l’unica responsabile della guerra

Questo secondo principio deriva dal fatto che ogni parte sostiene di essere stata costretta a dichiarare guerra per evitare che l’altra distrugga i nostri valori, metta in pericolo le nostre libertà o addirittura ci distrugga completamente. È dunque l’aporia di una guerra per porre fine alle guerre. Ci porta quasi alla mitica frase di George Orwell: “La guerra è pace”.
Così, gli Stati Uniti sono stati “costretti” ad andare in guerra contro l’Iraq, il che non ha lasciato loro altra scelta. Stiamo quindi solo “reagendo”, difendendoci dalle provocazioni del nemico che è interamente responsabile della guerra che verrà.
Così, Daladier nel suo “appello alla nazione” – ignorando le responsabilità francesi nella situazione creata dal Trattato di Versailles – assicurava il 3 settembre 1939: la Germania aveva già rifiutato di rispondere a tutti gli uomini di cuore le cui voci si erano alzate negli ultimi tempi in favore della pace mondiale. Siamo in guerra perché ci è stata imposta.
Ribbentrop giustificò la guerra contro la Polonia in questi termini: “Il Führer non vuole la guerra. Lo farà solo a malincuore. Ma la decisione per la guerra o la pace non dipende da lui. Dipende dalla Polonia. Su alcune questioni di interesse vitale per il Reich, la Polonia deve cedere e soddisfare richieste alle quali non possiamo rinunciare. Se si rifiuta di farlo, la responsabilità di un conflitto ricadrà su di lei, non sulla Germania”.
Durante la guerra del Golfo, Le Soir del 9 gennaio 1991 affermava anche: “La pace che tutti vogliono più di ogni altra cosa non può essere costruita su semplici concessioni a un atto di pirateria. (…) La palla è essenzialmente, va detto, nel campo dell’Iraq. 
Lo stesso vale per la guerra in Iraq. Prima dell’inizio della guerra, Le Parisien ha pubblicato un titolo il 12 settembre 2002: “Come Saddam si prepara alla guerra”.

“Ci si dichiara costretti a fare la guerra a causa dell’avversario che non ha rispettato i trattati, o ha aggredito un paese. È il nemico che deve portare l’intera responsabilità del conflitto.”

3. Il leader del campo avversario ha il volto del diavolo (o “il brutto”)

“Non si può odiare un gruppo umano nel suo insieme, anche se viene presentato come un nemico. È quindi più efficace concentrare questo odio del nemico sul leader avversario. Il nemico avrà così un volto e questo volto sarà ovviamente odioso”.
“Il vincitore si presenterà sempre (vedi Bush o Blair recentemente) come un pacifista che ama la conciliazione ma è spinto alla guerra dal campo avverso. Questo campo avverso è naturalmente guidato da un pazzo, un mostro (Milosevic, Bin Laden, Saddam Hussein, …) che ci sfida e dal quale l’umanità deve essere liberata”.
La prima operazione di una campagna di demonizzazione è dunque quella di ridurre un paese a un solo uomo. Agire come se nessuno vivesse in Iraq, come se solo Saddam Hussein, la sua “temibile” Guardia Repubblicana e le sue “terribili” armi di distruzione di massa vivessero lì.
Personalizzare il conflitto in questo modo è molto tipico di una certa concezione della storia, che sarebbe fatta da “eroi”, opera di grandi personaggi.
[…] Così, l’avversario è qualificato da tutti i mali possibili. Dal suo aspetto fisico alle sue abitudini sessuali…. Questo tipo di demonizzazione non è usato solo per la propaganda di guerra (come tutti gli altri principi).
Per esempio, Pierre Bourdieu ha riferito che negli Stati Uniti, alcuni professori universitari, stufi della popolarità di Michel Foucault nei loro college, hanno scritto una serie di libri sulla vita intima dell’autore. Così, Michel Foucault, l’”omosessuale masochista e pazzo” aveva pratiche “innaturali”, “scandalose” e “inaccettabili”. In questo modo, non c’è bisogno di discutere il pensiero dell’autore o i discorsi di un politico, ma di confutarlo sui giudizi morali sulle cosiddette pratiche dell’individuo.

“Il nemico deve avere un volto e questo volto sarà quello del capo avversario chiaramente ributtante. La guerra sarà dunque contro il volto di Saddam, di Milosević, di Ahmadinejad, di Gheddafi … Occorre dimostrare che questo personaggio è immondo, un folle, un barbaro, un criminale, un macellaio, un perturbatore della pace, un nemico dell’umanità, da lui deriva tutto il male possibile.”

4. Stiamo difendendo una nobile causa, non interessi particolari
(la nostra causa è nobile e disinteressata)

Gli obiettivi economici e geopolitici della guerra devono essere mascherati da valori ideali, moralmente giusti e legittimi.
[…] Infatti, nelle nostre società moderne, a differenza di Luigi XIV, una guerra può essere condotta solo con un certo consenso della popolazione. Gramsci aveva già mostrato come l’egemonia culturale e il consenso siano indispensabili per il potere. Questo consenso sarà facilmente acquisito se la popolazione crede che la sua libertà, la sua vita, il suo onore dipendano da questa guerra.
Gli obiettivi della prima guerra mondiale, per esempio, possono essere riassunti in tre punti:

per schiacciare il militarismo
per difendere le piccole nazioni
per preparare il mondo alla democrazia.

Questi obiettivi molto onorevoli sono stati poi copiati quasi alla lettera alla vigilia di ogni conflitto, anche se hanno poco o niente a che fare con i suoi obiettivi reali.
“Dobbiamo convincere l’opinione pubblica che noi – a differenza dei nostri nemici – facciamo la guerra per motivi infinitamente onorevoli”.
“Nel caso della guerra della NATO contro la Jugoslavia, troviamo la stessa discrepanza tra gli obiettivi ufficiali e non dichiarati del conflitto. Ufficialmente, la NATO è intervenuta per preservare il carattere multietnico del Kosovo, per impedire il maltrattamento delle minoranze, per imporre la democrazia e per mettere fine al dittatore. È difendere la sacra causa dei diritti umani. Alla fine della guerra, non solo si vede che nessuno di questi obiettivi è stato raggiunto, che siamo lontani da una società multietnica e che la violenza contro le minoranze – questa volta serbi e rom – è un fatto quotidiano, ma anche che gli obiettivi economici e geopolitici della guerra, che non erano mai stati menzionati, sono stati raggiunti”.
Questo principio implica il suo corollario, il nemico è un mostro assetato di sangue che rappresenta la società della barbarie.
Il nemico provoca consapevolmente atrocità, e se noi commettiamo errori è involontariamente
Le storie di atrocità del nemico sono una parte essenziale della propaganda di guerra. Questo non vuol dire, naturalmente, che le atrocità non avvengano durante le guerre. Al contrario, omicidio, rapina a mano armata, incendio doloso, saccheggio e stupro sembrano essere piuttosto – purtroppo – ricorrenti nella storia delle guerre. Ma far credere che solo il nemico commette tali atrocità, e che il nostro esercito è amato dalla popolazione, è un esercito “umanitario”.
Ma la propaganda di guerra raramente si ferma lì, non accontentandosi degli stupri e dei saccheggi esistenti, è più spesso necessario creare atrocità “inumane” per incarnare nel nemico l’alter-ego di Hitler (Hitlerosevic, …). Possiamo quindi affiancare diversi passaggi di guerre diverse senza trovare grandi differenze.
[…] Il quinto principio della propaganda di guerra è che solo il nemico commette atrocità, la nostra parte può solo commettere “errori”.
Durante la guerra contro la Jugoslavia, la propaganda della NATO ha reso popolare il termine “danni collaterali” e ha presentato come tali i bombardamenti sulle popolazioni civili e sugli ospedali, che, secondo le fonti, hanno causato tra 1.200 e 5.000 vittime. Il bombardamento dell’ambasciata cinese, di un convoglio di rifugiati albanesi, o di un treno che passa su un ponte è stato quindi un “errore”. Il nemico non sbaglia, ma commette consapevolmente il male.
Per concludere con una citazione di Jean-Claude Guillebaud: “Eravamo diventati, noi giornalisti, senza volerlo, una specie di mercanti dell’orrore e i nostri articoli dovevano commuovere, raramente spiegare.”

6. Il nemico usa armi non autorizzate

Questo principio è il corollario del precedente. “Non solo non commettiamo atrocità, ma facciamo la guerra in modo cavalleresco, rispettando – come se fosse un gioco, certamente duro ma virile! – le regole”.
Così, durante la prima guerra mondiale, la controversia infuriò sull’uso del gas asfissiante. Ogni parte ha accusato l’altra di aver iniziato ad usarli. Anche se entrambe le parti avevano usato il gas ed entrambe lo avevano studiato, era un riflesso simbolico della guerra “inumana”. È quindi opportuno dare la colpa al nemico. È in un certo senso l’arma “disonesta”, l’arma degli ingannatori.

7. Noi subiamo poche perdite, quelle del nemico sono enormi

Con rare eccezioni, gli esseri umani preferiscono generalmente unirsi alle cause vittoriose. In guerra, il sostegno pubblico dipende quindi dal risultato apparente del conflitto. Se i risultati non sono buoni, la propaganda dovrà nascondere le nostre perdite ed esagerare quelle del nemico”.
Già durante la prima guerra mondiale, dopo un mese dall’inizio delle operazioni, le perdite ammontavano a 313.000 morti. Ma lo stato maggiore francese non ammise mai la perdita di un cavallo e non pubblicò la lista dei nomi dei morti.
Ne è un esempio la recente guerra in Iraq, dove è stata vietata la pubblicazione di foto delle bare dei soldati americani sulla stampa. Le perdite del nemico, d’altra parte, sono enormi, il loro esercito non resiste. “Da entrambe le parti questa informazione ha sollevato il morale delle truppe e ha persuaso l’opinione pubblica dell’utilità del conflitto.

8. Artisti e intellettuali sostengono la nostra causa

Nella prima guerra mondiale, con poche eccezioni, gli intellettuali hanno sostenuto in modo schiacciante la propria parte. Ogni belligerante poteva in gran parte contare sull’appoggio di pittori, poeti e musicisti che sostenevano la causa del loro paese con iniziative nel loro campo.
[In Kosovo] I caricaturisti furono messi al lavoro per giustificare la guerra e ritrarre il “macellaio” e le sue atrocità, mentre altri artisti lavoravano, macchina fotografica alla mano, per produrre documenti edificanti sui rifugiati, sempre accuratamente presi dalle file albanesi, e scelti per assomigliare il più possibile al pubblico a cui si rivolgevano, come questo bel bambino biondo dallo sguardo nostalgico, che doveva evocare le vittime albanesi. Possiamo quindi vedere i “manifesti” svilupparsi ovunque. […] Questi “collettivi” di intellettuali, artisti e uomini di spicco cominciarono così a legittimare l’azione del potere politico in carica.

9. La nostra causa è sacra

Questo criterio può essere preso in due sensi, sia letteralmente che in senso generale. In senso letterale, la guerra è quindi una crociata, quindi la volontà è divina. Non si può sfuggire alla volontà di Dio, ma solo realizzarla. Questo discorso ha riacquistato grande importanza dall’arrivo al potere di George Bush Jr. e con lui tutta una serie di ultraconservatori fondamentalisti. Così la guerra in Iraq è stata vista come una crociata contro l’”Asse del Male”, una lotta del “bene” contro il “male”. Era nostro dovere “dare” la democrazia all’Iraq, essendo la democrazia un dono della volontà divina. Così fare la guerra è realizzare la volontà divina. Le scelte politiche assumono un carattere biblico che cancella ogni realtà sociale ed economica. I riferimenti a Dio sono sempre stati numerosi (In God We Trust, God Save the Queen, Gott mit Uns, …) e servono a legittimare senza appello le azioni del sovrano.

10. Chi mette in dubbio la nostra propaganda è un traditore

Quest’ultimo principio è il corollario di tutti i precedenti: chiunque metta in discussione uno qualsiasi dei principi di cui sopra è necessariamente un collaboratore del nemico. Così, la visione dei media è limitata ai due campi sopra menzionati. Il campo del bene, della volontà divina, e il campo del male, dei dittatori. Così, si è “per o contro” il male.
[…] Sta quindi diventando impossibile sollevare un’opinione dissidente senza essere linciati dai media. Il pluralismo d’opinione non esiste più, è ridotto a niente, ogni opposizione al governo è messa a tacere e screditata da argomenti fasulli. Questo stesso argomento è stato applicato di nuovo durante la guerra in Iraq, anche se l’opinione internazionale era più divisa, quindi era meno sentito. Ma essere contro la guerra è essere per Saddam Hussein… Lo stesso schema è stato applicato in un contesto completamente diverso, che era il referendum sulla costituzione europea: “essere contro la costituzione è essere contro l’Europa!

Ora, applicate i Dieci Principi alla situazione attuale… Non vi sarà affatto difficile notare come questi aderiscano alla perfezione all’attuale guerra in Ucraina, per un copione già visto, assolutamente replicabile e sovrapponibile nella sua inquietante complementarità. E quanto nefasta sia questa grottesca coazione a ripetere.

Homepage

Letture del tempo presente (VII)

Posted in Kulturkampf, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , on 24 ottobre 2020 by Sendivogius

«Ecco, secondo un regolamento della fine del secolo Diciassettesimo, le precauzioni da prendere quando la peste si manifestava in una città.
Prima di tutto una rigorosa divisione spaziale in settori: chiusura, beninteso, della città e del «territorio agricolo» circostante, interdizione di uscirne sotto pena della vita, uccisione di tutti gli animali randagi; suddivisione della città in quartieri separati, dove viene istituito il potere di un intendente. Ogni strada è posta sotto l’autorità di un sindaco, che ne ha la sorveglianza; se la lasciasse, sarebbe punito con la morte. Il giorno designato, si ordina che ciascuno si chiuda nella propria casa: proibizione di uscirne sotto pena della vita. Il sindaco va di persona a chiudere, dall’esterno, la porta di ogni casa; porta con sé la chiave, che rimette all’intendente di quartiere; questi la conserva fino alla fine della quarantena. Ogni famiglia avrà fatto le sue provviste, ma per il vino e il pane saranno state preparate, tra la strada e l’interno delle case, delle piccole condutture in legno, che permetteranno di fornire a ciascuno la sua razione, senza che vi sia comunicazione tra fornitori e abitanti; per la carne, il pesce, le verdure, saranno utilizzate delle carrucole e delle ceste. Se sarà assolutamente necessario uscire di casa, lo si farà uno alla volta, ed evitando ogni incontro. Non circolano che gli intendenti, i sindaci, i soldati della guardia e, anche tra le cose infette, da un cadavere all’altro, i “corvi” che è indifferente abbandonare alla morte: sono “persone da poco che trasportano i malati, interrano i morti, puliscono e fanno molti servizi vili e abbietti”. Spazio tagliato con esattezza, immobile, coagulato. Ciascuno è stivato al suo posto. E se si muove, ne va della vita, contagio o punizione.
L’ispezione funziona senza posa. Il controllo è ovunque all’erta: “Un considerevole corpo di milizia, comandato da buoni ufficiali e gente per bene”, corpi di guardia alle porte, al palazzo comunale ed in ogni quartiere, per rendere l’obbedienza della popolazione più pronta e l’autorità dei magistrati più assoluta, “come anche per sorvegliare tutti i disordini, ruberie, saccheggi”. Alle porte, posti di sorveglianza; a capo delle strade sentinelle.
Ogni giorno, l’intendente visita il quartiere di cui è responsabile, si informa se i sindaci adempiono ai loro compiti, se gli abitanti hanno da lamentarsene; sorvegliano “le loro azioni”. Ogni giorno, anche il sindaco passa per la strada di cui è responsabile; si ferma davanti ad ogni casa; fa mettere tutti gli abitanti alle finestre (quelli che abitassero nella corte si vedranno assegnare una finestra sulla strada dove nessun altro all’infuori di loro potrà mostrarsi); chiama ciascuno per nome; si informa dello stato di tutti, uno per uno – “nel caso che gli abitanti saranno obbligati a dire la verità, sotto pena della vita”; se qualcuno non si presenterà alla finestra, il sindaco ne chiederà le ragioni: “In questo modo scoprirà facilmente se si dia ricetto a morti o ad ammalati”.
Ciascuno chiuso nella sua gabbia, ciascuno alla sua finestra, rispondendo al proprio nome, mostrandosi quando glielo si chiede: è la grande rivista dei vivi e dei morti.
Questa sorveglianza si basa su un sistema di registrazione permanente: rapporti dei sindaci agli intendenti, degli intendenti agli scabini o al sindaco della città. All’inizio della “serrata”, viene stabilito il ruolo di tutti gli abitanti presenti nella città, uno per uno; vi si riporta “il nome, l’età, il sesso, senza eccezione di condizione”: un esemplare per l’intendente del quartiere, un secondo nell’ufficio comunale, un altro per il sindaco della strada, perché possa fare l’appello giornaliero. Tutto ciò che viene osservato nel corso delle visite – morti, malattie, reclami, irregolarità – viene annotato, trasmesso agli intendenti e ai magistrati. Questi sovrintendono alle cure mediche; da loro viene designato un medico responsabile; nessun altro sanitario può curare, nessun farmacista preparare i medicamenti, nessun confessore visitare un malato, senza aver ricevuto da lui una autorizzazione scritta “per evitare che si dia ricetto e si curino, all’insaputa del magistrato dei malati contagiosi”. Il rapporto di ciascun individuo con la propria malattia e con la propria morte, passa per le istanze del potere, la registrazione che esse ne fanno, le decisioni che esse prendono.
Cinque o sei giorni dopo l’inizio della quarantena, si procede alla disinfezione delle case, una per una. Si fanno uscire tutti gli abitanti; in ogni stanza si sollevano o si sospendono «i mobili e le merci»; si spargono delle essenze; si fanno bruciare dopo aver chiuso con cura le finestre, le porte e perfino i buchi delle serrature, che vengono riempiti di cera. Infine, si chiude la casa intera, mentre si consumano le essenze; come all’ingresso, si perquisiscono i profumatori «in presenza degli abitanti della casa, per vedere se essi non abbiano, uscendo, qualcosa che non avessero entrando». Quattro ore dopo, gli abitanti possono rientrare in casa.
Questo spazio chiuso, tagliato con esattezza, sorvegliato in ogni suo punto, in cui gli individui sono inseriti in un posto fisso, in cui i minimi movimenti sono controllati e tutti gli avvenimenti registrati, in cui un ininterrotto lavoro di scritturazione collega il centro alla periferia, in cui il potere si esercita senza interruzioni, secondo una figura gerarchica continua, in cui ogni individuo è costantemente reperito, esaminato e distribuito tra i vivi, gli ammalati, i morti – tutto ciò costituisce un modello compatto di dispositivo disciplinare. Alla peste risponde l’ordine: la sua funzione è di risolvere tutte le confusioni: quella della malattia, che si trasmette quando i corpi si mescolano; quella del male che si moltiplica quando la paura e la morte cancellano gli interdetti. Esso prescrive a ciascuno il suo posto, a ciascuno il suo corpo, a ciascuno la sua malattia e la sua morte, a ciascuno il suo bene per effetto di un potere onnipresente e onniscente che si suddivide, lui stesso, in modo regolare e ininterrotto fino alla determinazione finale dell’individuo, di ciò che lo caratterizza, di ciò che gli appartiene, di ciò che gli accade. Contro la peste che è miscuglio, la disciplina fa valere il suo potere che è di analisi. Ci fu intorno alla peste, tutta una finzione letteraria di festa: le leggi sospese, gli interdetti tolti, la frenesia del tempo che passa, i corpi che si allacciano irrispettosamente, gli individui che si smascherano, che abbandonano la loro identità statutaria e l’aspetto sotto cui li si riconosceva, lasciando apparire una tutt’altra verità. Ma ci fu anche un sogno politico della peste, che era esattamente l’inverso: non la festa collettiva, ma le divisioni rigorose; non le leggi trasgredite, ma la penetrazione, fin dentro ai più sottili dettagli della esistenza, del regolamento – e intermediario era una gerarchia completa garante del funzionamento capillare del potere; non le maschere messe e tolte, ma l’assegnazione a ciascuno del suo «vero» nome, del suo «vero» posto, del suo «vero» corpo, della sua «vera» malattia. La peste come forma, insieme reale e immaginaria, del disordine ha come correlativo medico e politico la disciplina. Dietro i dispositivi disciplinari si legge l’ossessione dei «contagi», della peste, delle rivolte, dei crimini, del vagabondaggio, delle diserzioni, delle persone che appaiono e scompaiono, vivono e muoiono nel disordine.
Se è vero che la lebbra ha suscitato i rituali di esclusione, che hanno fornito fino ad un certo punto il modello e quasi la forma generale della grande Carcerazione, la peste ha suscitato gli schemi disciplinari. Piuttosto che la divisione massiccia e binaria tra gli uni e gli altri, essa richiama separazioni multiple, distribuzioni individualizzanti, una organizzazione in profondità di sorveglianze e di controlli, una intensificazione ed una ramificazione del potere.  

[…]  La città appestata, tutta percorsa da gerarchie, sorveglianze, controlli, scritturazioni, la città immobilizzata nel funzionamento di un potere estensivo che preme in modo distinto su tutti i corpi individuali – è l’utopia della città perfettamente governata.
La peste (almeno quella che resta allo stato di previsione) è la prova nel corso della quale si può definire idealmente l’esercizio del potere disciplinare. Per far funzionare secondo la teoria pura i diritti e le leggi, i giuristi si ponevano immaginariamente allo stato di natura; per veder funzionare le discipline perfette, i governanti postulavano lo stato di peste.
[…]
Il “Panopticon” funziona come una sorta di laboratorio del potere. Grazie ai suoi meccanismi di osservazione, guadagna in efficacia e in capacità di penetrazione nel comportamento degli uomini; un accrescimento di sapere viene a istituirsi su tutte le avanzate del potere, e scopre oggetti da conoscere su tutte le superfici dove questo si esercita.
Città appestata, stabilimento panoptico; le differenze sono importanti. Esse segnano, a un secolo e mezzo di distanza, le trasformazioni del programma disciplinare. Nel primo caso, una situazione d’eccezione: contro un male straordinario, si erge il potere; esso si rende ovunque presente e visibile; inventa nuovi ingranaggi; ripartisce, immobilizza, incasella; costruisce per un certo tempo ciò che è contemporaneamente la controcittà e la società perfetta; impone un funzionamento ideale, ma che si riconduce in fin dei conti, come il male che combatte, al semplice dualismo vita-morte: ciò che si muove porta la morte, si uccide ciò che si muove. Il “Panopticon”, al contrario, deve essere inteso come un modello generalizzabile di funzionamento; un modo per definire i rapporti del potere con la vita quotidiana degli uomini.
[…]
Ogni volta che si avrà a che fare con una molteplicità di individui cui si dovrà imporre un compito o una condotta, lo schema panoptico potrà essere utilizzato.
[…]
Il “Panopticon” perspicacemente predisposto in modo che un sorvegliante possa, d’un colpo d’occhio, osservare tanti diversi individui, permette anche a tutti di venire a sorvegliare il meno importante tra i sorveglianti. La macchina per vedere è una sorta di camera oscura da cui spiare gli individui; essa diviene un edificio trasparente dove l’esercizio del potere è controllabile dall’intera società.
Lo schema panoptico, senza attenuarsi né perdere alcuna delle sue proprietà, è destinato a diffondersi nel corpo sociale; la sua vocazione è divenirvi funzione generalizzata. La città appestata forniva un modello disciplinare eccezionale: perfetto, ma assolutamente violento; alla malattia apportatrice di morte, il potere opponeva la sua perpetua minaccia di morte; la vita vi era ridotta all’espressione più semplice; era, contro il potere della morte,l’esercizio minuzioso del diritto di spada. Il “Panopticon” al contrario gioca un ruolo di amplificazione: se organizza il potere, se vuole renderlo più economico e più efficace, non è per il potere stesso, né per la salvezza immediata di una società minacciata: si tratta di rendere più forti le forze sociali – aumentare la produzione, sviluppare l’economia, diffondere l’istruzione, elevare il livello della moralità pubblica; far crescere e moltiplicare.»

Michel Foucault
“Il Panoptismo”
(da “Sorvegliare e Punire”; Cap.III)
Einaudi, 1976

Homepage

Modello Ungherese

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , on 31 marzo 2020 by Sendivogius

Una “scelta rispettabile”
Chiusura del Parlamento a tempo indeterminato. Sospensione della Costituzione e dello “Stato di diritto”, con l’accorpamento di tutti i poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) nelle mani del Primo Ministro, che ora potrà legiferare esclusivamente tramite decretazione illimitata, con la possibilità di cancellare o modificare a propria totale discrezione le leggi vigenti, senza nemmeno doversi prendere più il disturbo di informare le Camere (chiuse), con tutte quelle inutili pastoie parlamentari.

Interdizione di ogni attività autonoma della Magistratura, che non sia indirizzata o controllata dall’Esecutivo, con l’istituzione de facto di tribunali speciali su nomina governativa.
Limitazione (ulteriore) della libertà di stampa, già ridotta a grancassa governativa, con carcerazione fino a cinque anni per chiunque diffonda notizie non conformi a quelle propagandate dal Governo.
Imposizione del coprifuoco su tutto il territorio nazionale, fintanto che il premier/sovrano assoluto non deciderà la fine dell’emergenza, se e quando vorrà; ovvero non dovesse decretarne una totalmente nuova da prolungare all’infinito, insieme ai suoi “poteri speciali”.
Per quella distopia monetarista di ragionieri contabili che chiamano UE, avere una dittatura nel proprio consesso non suscita alcun rigetto, fintanto che la cosa non incide sui sacri parametri fondati sul dogma del 3%. E l’Ungheria è solo l’ultima ciliegina sulla torta di uno schifo senza eguali.
Per LVI è una “scelta democratica”. Anche le Leggi fascistissime lo erano.
Lì, in Ungheria, abbiamo una maggioranza di nostalgici di Horthy e delle Croci Frecciate di Szàlasi; qui un ginepraio di aspiranti duci, con contorno di fasci e simpatizzanti hitleriani. Identico disprezzo per la Democrazia.
Quindi in linea di principio, per coerenza, anche il nostro mussolini di ghisa dovrebbe attenersi al medesimo führerprinzip, che contraddistingue i poteri dittatoriali dell’Amico Viktor, invece di sollevare una polemica (LVI o per interposta persona) ogni 45 secondi, su qualunque provvedimento emanato o non preso dal governo del solito Giuseppi, per caso Presidente del Consiglio, colpevole di non telefonargli ogni 20 minuti e farsi dettare da LVI l’agenda, gridando alla lesione dei diritti parlamentari. Giocare a rilancia e raddoppia con soldi che non ci sono, contro qualsiasi stanziamento fondi venga presentato dall’Esecutivo. Promulgare contro-ordinanze a livello locale, sollevando conflitti di competenza, in parallelo a quelle governative in sabotaggio delle stesse.
Mandare in tv ogni cinque minuti i suoi assessori (complimentoni al buongusto del tizio che propone la sua candidatura a sindaco di Milano, durante il bodycount serale, perché ha aumentato i like su F/B), nonché “governatori”, a bullarsi dei loro eclatanti risultati (i 7.000 morti della sola Lombardia, che si crede uno stato indipendente, stanno lì a confermarlo in tutta evidenza), contro la solita inerzia del governo.
Per carità! Tutto legittimo. Fa parte del “gioco democratico” ed è quanto di meglio riesce a LVI e ad i suoi camerati con camicia verde, in sbavante astinenza da “pieni poteri”. Un po’ come i nazisti ai tempi della Repubblica di Weimar.
Perché a nessuno piace la dittatura, se poi non può fare il dittatore e travestirsi da pagliaccio gallonato.

Homepage

PIENI POTERI

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , on 22 marzo 2020 by Sendivogius

Un Presidente del Consiglio che a Parlamento chiuso annuncia una gigantesca limitazione delle libertà fondamentali e dei diritti di cittadinanza, che non ha precedenti, senza nemmeno avere un testo certo da presentare, un decreto definitivo, una serie di disposizioni chiare ed univoche, nonostante la larvata sospensione delle garanzie costituzionali. Ma intanto avoca su di sé tutti i processi decisionali e legislativi, con una concentrazione abnorme di potere che va ben oltre lo Stato d’eccezione, legittimato dal principio di necessità su emergenza condivisa (necessitas legem non habet). E lo fa attraverso un video notturno su Facebook, senza alcuna possibilità di porre domande (men che mai dubbi), per una stampa ammansita alla straordinarietà della situazione, e senza minimamente porsi il problema sull’opportunità istituzionale di convocare le opposizioni (o quantomeno interpellarne leaders e capigruppi). Ovvero, riunire le Camere al momento sospese come ogni altra attività parlamentare, per una concentrazione di potere assoluto e paradossalmente debolissimo, che non decide ma rinvia, decidendo di non decidere. Piuttosto dissimula; fa leva sul complesso di colpa, deresponsabilizzando se stesso. Scoperchia il vaso di Pandora, ma ha paura delle conseguenze. Eppur ne è attratto. Procede a tentoni, mentre oscilla, tentenna, scricchiola, sotto le pressioni dei corpi intermedi, delle istituzioni locali allo sbando, e di regioni che credono di essere stati indipendenti, in un conflitto di competenze che si sovrappongono e si confondono, dietro un cicciare ad libitum di ordinanze contrapposte, senza che ci sia mai una linea certa. E questo nonostante il ricorso alla decretazione d’urgenza, rimessa direttamente al Presidente del Consiglio e senza che nemmeno i suoi ministri ne siano del tutto informati, nella vacuità dei contenuti. È uno stillicidio a cadenza quotidiana di annunci… divieti o presunti tali, con eccezione sempre inclusa in deroga agli stessi… misure estreme, ma ad interpretazione flessibile e porose nella sostanza, che si susseguono inseguendo l’effetto mediatico di un consenso piacione e piagnone, mentre viaggiano sempre in ritardo rispetto all’urgenza, per una confusione sovrana, attraverso uno schizofrenico ripetersi di contraddizioni e tentennamenti, impeciati dal prossimo provvedimento draconiano. Per ora assistiamo ad una sfilza di superpoteri che neanche producono effetti tangibili, se non nella creazione di un monstrum giuridico che mette in discussione l’idea stessa di Libertà (la democrazia è già bella che andata) e che sarà assai difficile ricacciare nella tana e disarmare, una volta che l’emergenza sarà rientrata… non si sa come né quando… e bisognerà tornare ad una parvenza di normalità. Ammesso che lo si voglia. E che l’Eccezione non diventi piuttosto la regola.

Homepage

Rogue Nation

Posted in Masters of Universe, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , on 6 gennaio 2020 by Sendivogius

Qual’è il colmo di uno “stato canaglia”, che ama immaginare se stesso come la patria della democrazia?
Armare formazioni terroristiche, organizzare squadroni della morte e altri gruppi paramilitari clandestini, sovvertire ed appoggiare golpe militari contro i governi non graditi, per instaurare regimi dittatoriali sì, ma assai malleabili e disponibili verso gli interessi della superpotenza egemone, che con ogni evidenza trova nelle dittature militari il miglior strumento di controllo funzionale ai propri obiettivi di ‘democrazia’ esclusiva ed escludente. A tutt’oggi, la sedicente Land of Freedom resta il miglior interprete del pensiero di Carl Schmitt, mentre se ne fotte bellamente di ogni parvenza di diritto internazionale.
Destabilizzare l’intera regione mediorientale, organizzando guerre per procura (Siria), invadendo e trasformando stati sovrani in protettorati coloniali (Iraq), onde potersi impadronire delle risorse petrolifere. E pretendere di farsi rifondere i costi di 15 anni di occupazione militare, a meno di non incorrere in “enormi sanzioni” punitive, qualora il paese beneficiato osi chiedere timidamente di togliere il disturbo dopo aver tanto contribuito alla sua liberazione (4 milioni di sfollati; mezzo milione di morti; un paese lacerato e danni per miliardi di dollari).
Il ché rende chiarissime due cose:
1) Che il “Liberatore” non intende assolutamente levare le tende; se non di sua sponte, per decisione unilaterale e certo non concordata col Liberato.
2) Che il discorso si estende alle centinaia di basi militari sparse per tutto il pianeta da oltre mezzo secolo, nella galassia di ubbidienti “stati clienti” che ipocritamente chiama “alleati” e che impudicamente usa come potenziale prima linea del fronte, esponendoli ad ogni possibile rappresaglia e devastazione nell’esportazione della guerra. Gli stessi che all’occorrenza vengono omaggiati da dazi e sanzioni doganali, per dirimere questioni commerciali. Tra amici e partner alla pari si usa così. Un tempo la si chiamava diplomazia delle cannoniere, o anche politica del grosso bastone, da sempre una specialità tipicamente americana. Oggi i tempi sono indubbiamente cambiati…
Da noi, ad applaudire l’unilateralismo trumpiano, con le sue rodomontate machiste via twitter, resta solo quell’edizione italiana del Völkischer Beobachter che si fa chiamare “Libero”, per la raccolta liquami dell’italico ur-fascismo. Il prodotto vende sempre bene…

E ovviamente non poteva mancare l’ineffabile Matteo Salvini, il Capitan Mitraglia del fucile e rosario per tutti. Con ogni evidenza, tra nazisti ci si intende.
Poi, siccome i tempi richiedono un salto di qualità, ci sarebbe anche la propensione sempre più sfacciata nel programmare (al riparo da noiose pastoie legali) rapimenti a scopo di tortura (extraordinary rendition) dei potenziali oppositori politici; nonché organizzare, forte della più assoluta impunità, l’assassinio seriale di leader stranieri sgraditi (in questo, la dottrina israeliana ha fatto scuola), nella sfacciata arroganza del compiacimento omicida e nella libidine dello stesso.
Giusto per non farci mancare nulla, segue il minacciare “rappresaglie spropositate” in caso di (naturale) reazione; ovvero colpire (volutamente) obiettivi civili e siti culturali in spregio ad una mezza dozzina di convenzioni internazionali, quella di Ginevra in primis, circa la definizione di “crimini di guerra”.
Naturalmente, i “terroristi” sono tutti quanti gli altri, con buona pace dello stato di diritto ed almeno 200 anni di civiltà giuridica.

Homepage

LOTTI(z)Zar

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , on 19 giugno 2019 by Sendivogius

 Un ex sottosegretario di stato, neanche quarantenne, inquisito dai tribunali di mezza Italia, che tresca con esponenti della corrente più a destra della magistratura in riunioni carbonare, meglio se consumate nel segreto di anonime stanze d’albergo, per stabilire le nomine ai vertici di quelle stesse procure che indagano sul suo conto, ed intriga per rimuovere i giudici a lui sgraditi.
Una roba che in altri tempi avrebbe fatto gridare all’eversione dell’ordine costituzionale, con evocazioni allo scandalo della P2, ma che nell’orgia di potere del renzismo al governo, su incistazione democristiana di quello che un tempo fu il principale partito della sinistra italiana (prima dell’estinzione), deve essere sembrata pratica assolutamente normale ed aderente al nuovo corso, inaugurato dopo il trapianto di quel cancro democristiano chiamato “Margherita”, nel corpaccione rotto a tutti gli innesti di una sinistra che si credeva a vocazione maggioritaria, finendone fagocitata.
 Un nuovo segretario di partito, che in nome di quella stessa distorta visione unitaria, glissa sull’abnormità dell’intera vicenda, in perfetto stile moroteo, confidando che il clamore suscitato attorno ad uno dei petali più pregiati del cosiddetto Giglio Magico, l’inner circle del potere renziano, si esaurisca da sé, restituendo ai suoi affari l’intrigante camerlengo del Mefitico.
E invece di cacciarlo via a calci nelle palle, per l’ennesima figura di merda a gratis, percolata sopra a ciò che ancora resta di un partito già abbondantemente sputtanato di suo, il neo-segretario ne auspica l’autosospensione da tutti gli incarichi che non riveste più, non avendone attualmente nessuno. E lo ringrazia pure pubblicamente per l’alto senso di responsabilità dimostrato (!), dopo così sofferta scelta, per non sturbare troppo il Renzie’s Fan Club in astinenza da potere. Di questo passo, tra poco dovrà porgergli le scuse ufficiali e magari rendergli almeno un incarico di prestigio… Altrimenti potrebbero aversene a male gli ultimi irriducibili della banda fiorentina di greppia e di banca, già inferociti per essere stati estromessi dalla direzione di un partito che hanno contribuito a disintegrare, cancellandolo dalla geografia politica, fin dentro le sue roccaforti storiche considerate inespugnabili, mentre ora chiedono di essere valorizzati e ‘compensati’ dopo un simile disastro.
 E ciò avviene giusto negli stessi giorni nei quali a parole si celebra l’eredità morale di Enrico Berlinguer che forse, se fosse stato ancora vivo, a ‘sta gentaglia avrebbe pisciato addosso per schifo e disprezzo!

«I partiti di oggi sono soprattutto macchine di potere e di clientela; scarsa o mistificata conoscenza della vita e dei problemi della società, della gente; idee, ideali, programmi pochi o vaghi; sentimenti e passione civile, zero. Gestiscono interessi, i più disparati, i più contraddittori, talvolta anche loschi, comunque senza alcun rapporto con le esigenze e i bisogni umani emergenti, oppure distorcendoli, senza perseguire il bene comune. La loro stessa struttura organizzativa si è ormai conformata su questo modello, e non sono più organizzatori del popolo, formazioni che ne promuovono la maturazione civile e l’iniziativa: sono piuttosto federazioni di correnti, di camarille, ciascuna con un “boss” e dei “sotto-boss”.
I partiti hanno occupato lo Stato e tutte le sue istituzioni, a partire dal governo. Hanno occupato gli enti locali, gli enti di previdenza, le banche, le aziende pubbliche, gli istituti culturali, gli ospedali, le università, la Rai TV, alcuni grandi giornali. […] Tutte le “operazioni” che le diverse istituzioni e i loro attuali dirigenti sono chiamati a compiere vengono viste prevalentemente in funzione dell’interesse del partito o della corrente o del clan cui si deve la carica. Un credito bancario viene concesso se è utile a questo fine, se procura dei vantaggi e rapporti di clientela; un’autorizzazione amministrativa viene data, un appalto viene aggiudicato, una cattedra viene assegnata, un’attrezzatura di laboratorio viene finanziata, se i beneficiari fanno atto di fedeltà al partito che procura quei vantaggi, anche quando si tratta soltanto di riconoscimenti dovuti.
La questione morale non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello Stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche. Ma poi, quel che deve interessare veramente è la sorte del Paese. Se si continua in questo modo, in Italia la democrazia rischia di restringersi, non di allargarsi e svilupparsi: rischia di soffocare in una palude. Ma non è venuto il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio?»

Solo potere e clientele

Nel PD si vede che la lezione l’hanno assimilata benissimo.
E non si capisce bene che Berlinguer abbia letto Zingaretti (il politico, non l’attore), in attesa di decidere cosa fare finalmente da grande…

Homepage

PROSTITUTI

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , , on 12 novembre 2018 by Sendivogius

Nella sua monumentale opera dedicata alla propaganda del regime fascista durante il ventennio (“La fabbrica del consenso: fascismo e mass media”), Philip V. Cannistraro distingue tra propaganda di agitazione e propaganda di integrazione, intese come due fasi strettamente interconnesse per la costruzione del consenso, attraverso l’allineamento dei mezzi di informazione, nella progressiva fascistizzazione degli organi di stampa e conseguente compressione di ogni dissenso critico.
Integrazione ed Agitazione non seguono un percorso ordinario, ma sono interscambiabili e con una struttura dinamica. Quest’ultima varia a seconda della necessità cogente del momento ai fini della propaganda, che per essere davvero efficace deve essere innanzitutto ‘fluida’.
 La sbracata odierna di un Alessandro Di Battista (si parva licet) contro i soliti “giornalisti”, amabilmente chiamati “pennivendole puttane”, con tutta l’eleganza che contraddistingue l’eloquio gentile del personaggio in questione, potrebbe sembrare una forma di propaganda di agitazione, volta più che altro a fomentare la base fidelizzata di riferimento, particolarmente sensibile alle facili eccitazioni…
Tuttavia, a ben vedere, l’ennesima intemerata contro la stampa in generale (antica ossessione della setta a cinque stelle che li disprezza da sempre, parimente ricambiata) nasconde in realtà il senso di frustrazione di una propaganda che, al di fuori degli adepti di stretta osservanza, non buca; non raggiunge l’obiettivo prefissato, mancando sistematicamente il bersaglio. Si tratta del fallimento più evidente in termini mediatici di un movimento che è diventato ‘sistema’, ma che non riesce ad assorbire nella propaganda di integrazione le espressioni non allineate al nuovo assetto di potere di cui è espressione. E tanto meno riesce a modellare le coscienze, nella costruzione di un consenso allargato che penetri nella società, per riplasmarla dall’interno a propria immagine e somiglianza. Perciò, dove non funziona l’integrazione ritorna l’agitazione, che poi è rimestaggio torbido di livori e rancori di chi davvero crede che l’opinione pubblica si formi e possa essere eterodiretta da una piattaforma web. E per questo si rivolge ad un pubblico sempre più ristretto di analfabeti funzionali, nella spoliticizzazione crescente delle grandi masse del tutto indifferenti alla propaganda di agitazione.
Perché come ben sintetizzava il sociologo anarchico Jacques Ellul in un suo lontano studio sulla propaganda, già alla fine degli Anni ’60:

«Gli individui attivi nell’ambito della propaganda, sono nello stesso tempo soggetti e oggetti di propaganda e, costituendo quasi un circuito chiuso, non raggiungono la massa della popolazione e rinforzano in vitro opinioni estreme. La propaganda diventa allora una forma di autoconsumo. Si scelgono le notizie che possono alimentare la convinzione; le si elabora in modo che possano effettivamente servire per la propaganda; le si consuma nel gruppo venendo così fortificati nelle proprie convinzioni, mentre ci si distacca progressivamente da una massa che si vorrebbe raggiungere e convincere ma che si allontana sempre più, proprio nella misura in cui questa propaganda diventa più intensa.
Esiste tuttavia un modo attraverso cui il contatto avviene o dovrebbe avvenire: stabiliscono la relazione alcuni mezzi di comunicazione di massa, come quei giornali di larga informazione che prestano un’attenzione continua a questi movimenti e gruppi e riprendono questo tipo di propaganda; in effetti è solo in questo modo che accade qualcosa. Così, non può verificarsi una manifestazione di gruppi estremisti, per quanto ridotta, senza che immediatamente la grande stampa la riprenda e la ponga in primo piano, e lo stesso dicasi per certe emittenti radiotelevisive

In altri termini, i propagandisti come Di Battista (e tutta l’esaltata combriccola coltivata in provetta nei laboratori della Casaleggio Associati) hanno bisogno dei mass media per veicolare i propri messaggi (le idee sono un’altra cosa), attraverso i meccanismi di comunicazione mainstream; ben consapevoli che un messaggio, per essere davvero “virale” in assenza di reali contenuti, ha bisogno di essere propagato attraverso canali ufficiali più accessibili al grande pubblico. La polemica si traduce in realtà in un espediente per assicurarsi la visibilità. E per questo si autoalimenta in una escalation di provocazioni crescenti ed inversamente proporzionali ad ogni coerenza.
Parlare della doppia morale di questa setta di esaltati è assolutamente superfluo; sono gli stessi che ad ogni tintinnar di manette si presentavano in massa a conferenze di stampa autoconvocate, con tanto di arance in bella vista “in onore agli arrestati”, per reclamare le dimissioni coatte e l’arresto dei reprobi.

I parlamentari del M5s durante la conferenza in Campidoglio sugli arresti avvenuti al comune di Roma, 03 dicembre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

Quando un Di Battista, che davvero è convinto di essere un giornalista, mentre cerca di vendere un tanto al chilo i patetici reportage della sua lunghissima vacanza sudamericana nelle vesti di voyeur della misera altrui, parla di “pennivendoli” (facendo il verso a Giovanni Papini che il termine lo inventò) e di “prostituzione”, dal fondo del guazzabuglio di incoerenze e contraddizioni che ne contraddistinguono l’agire, sostanzialmente descrive se stesso nello specchio della propria inconsistenza.
Finora l’eccezionale risultato raggiunto è stato quello di essere scaricato persino dall’unico giornale ‘amico’ che ancora offriva il beneficio di una qualche credibilità a questa oscena banda di pagliacci, tanto da finire folgorati in un fulminante editoriale di Ferruccio Sansa, giornalista, che finalmente ha capito di quali umori sia fatto il fetido impasto da cui trae linfa la Setta del Grullo ed i suoi fanatici accoliti:

“Cari Di Maio e Di Battista, chi sono le puttane?”

«C’è soprattutto disprezzo in quella parola, “puttane”, usata da Di Battista. Per i giornalisti, ma anche per le prostitute. Per le persone in generale. Un modo di esprimersi misero e inadeguato. Prima ancora che grave. Non voglio difendere i giornalisti. Abbiamo le nostre colpe. Tanti sono stati servili in questi anni, invece che vigili. Hanno preferito la dipendenza alla libertà. Come gli italiani, del resto, che hanno osannato prima Berlusconi, poi Monti, poi Renzi e ora Salvini e Di Maio. Come la nostra classe politica peraltro. E qui verrebbe da fare qualche domanda al duo di statisti Di Maio-Di Battista.
Sono puttane solo i giornalisti o anche quelli che per anni hanno soltanto detto “sì”, piegando il capo agli ordini del grande capo?
Sono puttane solo i giornalisti oppure anche i politici che per tenersi una poltrona sotto le chiappe tacciono di fronte alle dichiarazioni razziste del loro alleato?
Sono puttane soltanto i giornalisti oppure anche chi dopo aver difeso a parole l’ambiente propone condoni per prendersi quattro voti?
Sono puttane solo i giornalisti oppure anche quelli che approfittano perfino delle tragedie come il ponte di Genova per cercare voti e consenso?
Sono puttane solo i giornalisti oppure anche quelli che dopo aver criticato per anni un politico vanno a scrivere libri per le sue case editrici?
Povere puttane, in fondo, usate per esprimere disprezzo. Almeno loro si sporcano le mani. Fanno un lavoro. Non stanno a pontificare dal Guatemala. Non governano un Paese con un curriculum che alla gente comune magari non basta per fare il corriere

Ferruccio Sansa
(11/11/18)

Il dramma (per noi) è che ora tocca loro pure governare… E non sanno nemmeno da che parte cominciare.

Homepage

 

MACERIE

Posted in Stupor Mundi with tags , , , , , , , , , on 20 agosto 2018 by Sendivogius

Se la metafora non fosse troppo irriguardosa, ci sarebbe da dire che sotto le macerie del Ponte Morandi c’è finito l’intero centrosinistra italiano monopolizzato dalla nefanda parentesi piddina e dalla sua fallimentare dirigenza di gggiovani invecchiati malissimo: pusillanimi, omertosi, inerti; in fuga permanente dalla realtà, lontani anni luce da quel “popolo” che ormai non aspirano più non solo a rappresentare, ma nemmeno ad interpretare. Ridotti come sono ad ectoplasmi, che parlano solo via facebook e twitter, dove innestano polemiche sterili per galvanizzare gli ultimi feticisti del partito, venendo peraltro sistematicamente massacrati sul posto, non sapendo padroneggiare nemmeno i rudimenti di base della comunicazione ‘social’, a tal punto da finirci loro sul banco degli imputati, dopo una difesa parossistica dell’inalienabile diritto (privato) dei concessionari autostradali, come libertà fondamentale dello Stato di diritto, nel principio di non colpevolezza. Che è come dire che se uno fa una strage, ammazzando (colposamente) 42 persone davanti a centinaia di testimoni, perché magari si è dimenticato di chiudere il gas mentre fumava seduto su una dozzina di bombole aperte, è innocente fino sentenza di condanna definitiva passata in giudicato. E fino ad allora non può essergli ascritta alcuna responsabilità. Quando le grandi battaglia di civiltà del “partito democratico” sono ridotte alla difesa del deposito in conto titoli degli azionisti di Atlantia (perché questa è la percezione che si è avuta), la stessa società che ancora dopo 24h dalla strage si preoccupava di rassicurare gli investitori, senza spendere una parola per le vittime, allora il disprezzo è conseguenza naturale e si capisce pure perché i resti di un partito putribondo siano invisi alla quasi totalità del paese.

“PONTI D’ORO”
di Alessandra Daniele
(19/08/2018)

 «La specie umana ha fatto anche cose buone. Lo dirà probabilmente chi verrà dopo di noi sulla terra, alieni, intelligenze artificiali, batteri evoluti. Non lo diranno delle opere d’arte delle quali siamo più fieri, affreschi, poemi, sinfonie che per loro avrebbero poco significato. Lo diranno delle infrastrutture che potranno essergli utili, ponti, strade, acquedotti.
Saranno però ponti, strade e acquedotti costruiti dall’Impero Romano, perché quelli della nostra era non solo non ci sopravviveranno, ma probabilmente ci uccideranno, crollandoci addosso.
Come il ponte Morandi di Genova, mal costruito fin dall’inizio, sottoposto da decenni a un traffico quattro volte superiore al previsto, e abbandonato a una manutenzione palesemente insufficiente. La prevenzione non è un’attività redditizia. Neanche la progettata variante della Gronda, che sarebbe pronta solo nel 2029, avrebbe evitato il crollo, a meno di fantascientifici effetti retroattivi. Chi oggi lo afferma è un cazzaro, o un renziano, cioè un cazzaro.
Se un ponte autostradale si sbriciola facendo una strage, la revoca delle concessioni alla Società Autostrade, e ai magliari a cui è stata regalata dall’Ulivo, è atto dovuto innanzitutto in base al principio di precauzione, il fatto è così intuitivo da essere stato intuito persino da Toninelli.
Non dalla stampa mainstream però, schierata compatta in difesa dei Benetton e dei loro affari d’oro, e più in lutto per il crollo in borsa del titolo Atlantia, che per quello del ponte.
Il fatto che il cosiddetto centrosinistra, invece di pretendere giustizia per le vittime, difenda a spada tratta su giornali e social i monopolisti miliardari che avevano assicurato che quel ponte sarebbe durato cent’anni, spiega perfettamente perché gli elettori italiani abbiano preferito votare letteralmente ‘chiunque altro’.
Se abbiamo un ministro dell’Interno che si fa i selfie coi fans ai funerali di Stato, è perché abbiamo un PD che, mentre ancora si estraevano cadaveri dalle macerie, chiedeva un’inchiesta alla Consob per tutelare gli interessi degli azionisti di Atlantia.
Il Movimento 5 Stelle ha fatto anche cose buone. Opporsi alle Grandi Opere dei pupi e dei pupari, e alle cementificazioni idrosolubili è una. La nazionalizzazione delle infrastrutture, di cui parla adesso un Di Maio insolitamente condivisibile, potrebbe essere un’altra, se non fosse soltanto l’ennesima promessa irrealizzabile, l’ennesima arma di distrazione di massa. La procedura è partita, vedremo dove arriverà.
E vedremo se anche lo Stato continuerà ad amministrare secondo le stesse logiche capitalistiche omicide dei privati.
Intanto Genova è spezzata a metà da una nuova zona rossa. I monconi del ponte zombie incombono sui palazzi e sui capannoni sottostanti, evacuati d’urgenza. Più di 600 sfollati, mentre le macerie ancora intasano il greto del torrente, minacciando di farlo esondare alle prossime piogge. E in Italia ci sono ancora centinaia di strutture sottoposte allo stesso rischio di crollo. In un paese che cade a pezzi, l’emergenza non è mai finita

Homepage

(112) Cazzata o Stronzata?

Posted in Zì Baldone with tags , , , , , , , , , , , , , on 30 giugno 2018 by Sendivogius

Classifica GIUGNO 2018″

Ci voleva una boccata di aria fresca, dopo la lunga stagione di fritto misto, ripassato nella padella dorotea. Finalmente risorge un’Italia maschia e virile, dai mascelloni volitivi, le palle quadre, e la trippa al vento, che sa come imporsi all’estero, rivendicando il proprio ruolo in Europa e nel mondo contro le demoplutocrazie del perfido giudeo Soros.
Cosa ha ottenuto dunque il cazzutissimo esecutivo gialloverde nell’ultimo vertice bruxellese, dove si discuteva di questioni migratorie?!? Per riassumere in breve: un par de palle!
Fortunatamente per noi, gli impegni sottoscritti sono tutti al condizionale, nell’aleatorietà degli stessi, e non presuppongono alcun vincolo concreto nel doverli mettere in pratica. Altrimenti, l’Italia non solo diverrebbe l’hotspot d’Europa con l’obbligo di accogliere e trattenere ogni immigrato in arrivo dall’Africa (o qualsiasi altra parte del globo), ma si dovrebbe riprendere anche i “migranti economici” espulsi dal resto della UE, che verrebbero ricondotti al “paese di primo approdo” (cioè l’Italia). In concreto, da oggi il ricollocamento dei profughi avverrà solo su base volontaria. Se prima era obbligatorio e nessuno se li prendeva, figuriamoci adesso!
Per il momento, come unico risultato, ci sarebbe la stretta sulle attività di trasbordo delle ONG (e sarebbe pure ora, che davvero non se ne può più!), anche se non serviva un’autorizzazione europea per questo. Malta il divieto di attracco e rifornimento lo pratica già; il Governo italiano ha tirato fuori l’Art.83 del Codice di navigazione, per bloccare (ottimisticamente) il transito delle navi e limitare l’arrivo di una marea di gente che nessuno vuole né sa come sistemare. Perché la realtà (spiacevole o scomoda che sia) è comunque questa. Allo stesso modo, l’intolleranza nasce dalla mancanza di soluzione per un problema vissuto come oggettivo, ma che viene negato nella sua evidenza. E bisognerebbe prenderne atto, al netto di pietismi strumentali e stronzate che francamente non convincono più nessuno, ma indispettiscono tanto sono irritanti nella loro assurdità semantica.

“Ci pagano le pensioni!”

Poi c’è l’impegno, tutto generico, a stanziare mezzo miliardo di euro per l’Africa onde creare piani di sviluppo e contenere le migrazioni. Quando il problema inerente le ondate di profughi riguardava la Germania, vennero subito sganciati (sull’unghia!) 6 miliardi di euro da versare in tranche regolari alla Turchia, con le quali il sultano Erdogan ha consolidato il suo potere assoluto, affinché venissero bloccati i flussi. Da notare che i miliardi non sono stati pagati dai tedeschi (che avevano il problema in casa), bensì da tutti gli europei. Sottolineiamo: 6 miliardi per la Turchia (con 80 milioni di abitanti), 500 milioni per l’Africa, con oltre un miliardo di abitanti (1,2 mld) ripartiti per 54 nazioni. Nell’intermezzo, c’è Macron che ordina l’apertura dei porti italiani e spagnoli al flusso dei migranti e la realizzazione massiva di centri di accoglienza (sempre al di là delle Alpi). I confini francesi (così come i porti) invece rimarranno sigillati, nell’indisponibilità ad accogliere alcunché. È la solidarietà fatta col culo degli altri. Per il presidente francese pare sia una questione di principio.
La Spagna dell’abusivo Pedro Sanchez (l’ultimo dei camerieri sopravvissuti al Patto del Tortellino) si è subito dichiarata indisponibile; dopo l’accoglienza della nave Aquarius, ha già dato: 2700 operatori e una copertura mediatica di 700 giornalisti, per lo sbarco assisitito di 630 migranti, nelle stesse ore in cui l’Italia (egoista e vomitevole) ne faceva approdare quasi duemila, e senza tanti clamori, dopo averne accolti 650.000 in meno di cinque anni. Poi si lamentano che dilagano i nazionalpopulisti!
Una manna per Matteo Salvini, che parla di successone (immaginario) e può (questa volta a ragione) mettere a nudo la pletorica inutilità di una UE senza vergogna per le sue indecenze, costruendoci sopra una carriera politica. Perché un tweet al giorno leva ogni responsabilità di torno.
Ordunque, basta coi vecchi piazzisti di fuffa! Esaurito il tempo delle chiacchiere e dei compromessi, resta la propaganda, nella roboante magnificazione di sé. Da oggi, le cazzate assurgono ad una nuova dimensione “sovranista”, nel ritrovato orgoglio nazionalpopolare dell’Italietta restituita ai fasti retorici di regime.
A mal vedere, pare che la condizione prevalente della politica italiana sia incarnata nel disagio psichiatrico, tanto che per capire la personalità dei nostri sedicenti ‘statisti’ basterebbe sfogliare una copia del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders). Siamo così passati dal disturbo istrionico di personalità (Silvio Berlusconi), al disturbo narcisistico (Matteo Renzi), e infine col disturbo delirante (Matteo Salvini), mentre la loro interazione prevalente è il bullismo.
Perché è in termini clinici che va preso in considerazione il fenomeno. La Reductio ad Hitlerum non funziona. E non perché il Governo Salvini (Conte e Di Maio sono solo due comprimari di contorno) non abbia connotazioni di chiara impronta fascista.
Non funziona per il semplice motivo che una parte consistente dei suoi entusiastici sostenitori, fascisti lo sono già e se ne fanno apertamente vanto. Di conseguenza, non ne uscirebbero che ulteriormente galvanizzati dalle analogie.
Gli altri vivono in una sorta di esaltazione mistica, che segue sempre l’arrivo dell’omino della provvidenza in cui riporre aspettative spropositate per una dote di promesse illimitate.
Per paradosso, sottolineare i richiami al fascismo di una compagine governativa che tanto eccita i fanclub del grilloleghismo, finirebbe proprio per riabilitarne l’idea e legittimarne l’eredità.
E l’Opposizione allora?!? Sui cadaveri non infieriamo. Il “populismo” l’hanno creato e alimentato loro, quando erano al potere, governando da schifo e gestendo persino peggio la grande recessione economica. Quello che non si perdona loro è la sensazione di aver subito un grande tradimento collettivo, mentre gattonavano felici a braghe calate nei consessi europei a prendere ordini. Diversamente, non avremo avuto l’ascesa del cosiddetto “sovranismo”, che in fondo è una reazione di rigetto verso una classe politica semplicemente indegna, sostituita con un’altra di gran lunga peggiore.

Hit Parade del mese:

01. TRIONFI

[29 Giu.] «A Bruxelles abbiamo ottenuto il 70% delle nostre richieste.»
  (Matteo Salvini, il Diplomatico)

02. ASPETTATIVE

[21 Giu.] «Io mi aspetto già da domenica con i ballottaggi un segnale di ripresa del Pd. Primo perché i nostri candidati sono di gran lunga i migliori, i più affidabili. Secondo perché, forse per la prima volta nella nostra storia, c’è stata una attenuazione delle polemiche interne.
A Pietrasanta, Massa, Pisa con Paolo Gentiloni, piazze piene per i candidati sindaci del Pd in Toscana. Ho buone sensazioni per i ballottaggi del 24 giugno.»
  (Andrea Marcucci, il Renzianissimo)

03. PREVENZIONE

[22 Giu.] «Ritengo che 10 vaccini obbligatori siano inutili e in parecchi casi pericolosi, se non dannosi.»
(Matteo Salvini, il Virologo)

04. GENETICAMENTE COMPATIBILI

[02 Giu.] «Alleanze con la Lega? Fantascienza allo stato puro. I nostri programmi sono inconciliabili. Noi non faremo un’alleanza con la Lega. Sono culturalmente e geneticamente diversi, quindi è impossibile.»
(Roberto Fico, l’Ibridato)

05. ESECUZIONI GENTILI

[18 Mag.] «Cosa farei per questo governo? Mi vedrei bene capo della Polizia. Penso a Fouchet, ci vuole severità. Sì, è vero, tagliava le teste, ma adesso non c’è neanche più la ghigliottina. Mancava il garbo di far rotolare le teste su un tappetino pulito. E poi non disinfettavano mai la mannaia. Adesso bisogna far rotolare qualche testa.»
  (Mario Borghezio, il Boia)

06. IL PUPAZZO

[07 Giu.] «Il premier Conte padroneggia gli argomenti che tratta, è abituato a studiare molto. Lo definirei coraggioso, curioso, intelligente, competente.»
  (Alfonso Bonafede, Scopritore di talenti)

07. MORTO CHE PARLA

[11 Giu.] «Il PD deve cambiare da cima a fondo, ma la notizia della sua morte era fortemente esagerata.»
  (Paolo Gentiloni, il Sopravvissuto)

08. ONESTÀ!

[12 Giu.] «Lo stadio a Tor di Valle è sempre più vicino. Stiamo lavorando senza sosta per accorciare i tempi e realizzare questa grande opera che porterà nuovi posti di lavoro e migliorerà la vita nel quadrante sud della città»
  (Virginia Raggi, Disastro Capitale)

09. IL SUICIDIO DELLA SINISTRA

[27 Giu.] «Se in Toscana non ci fossero gli stranieri, che sono il 10%, la Toscana sarebbe un deserto di miseria.»
  (Enrico Rossi, Governatore del deserto)

10. ENORMI DISPONIBILITÀ

[29 Giu.] «Io credo in un campo di centrosinistra largo. In italia c’è una disponibilità enorme. E io mi propongo come una delle persone che può contribuire a questa rete.»
  (Paolo Gentiloni, il Disponibile)

Homepage