Immolata sull’altare di famiglia in nome della causa leghista, l’ingombrante Rosi Mauro è la vittima designata della propria intraprendenza. D’altronde, il donnone tuttofare di Casa Bossi possiede tutti i requisiti ottimali (terrona.. vecchia.. brutta) per fungere da capro espiatorio ideale, nella stagione delle purghe all’interno della verde nomenklatura. Incompetenza, ignoranza, amoralità, rozzezza… non fanno testo: nell’immaginario padano sono titoli di merito e motivo di vanto. E la resa dei conti tra i gelosi gerarchi della padania assomiglia tanto ad una vendetta privata, consumata dal paziente Roberto Maroni che, a parti ribaltate, ha preteso e ottenuto la testa della “Nera”, ovvero la Kali pugliese, inopinatamente rimasta strangolata dal suo stesso “cerchio magico”. La rapida liquidazione della rivale, e le modalità di epurazione, ricordano i vecchi autodafé della tradizione inquisitoria, con richiesta di contrizione e pubblica umiliazione. Ci mancava solo l’allestimento del rogo con sfilata in ceppi e la rappresentazione sarebbe stata completa. Cacciata via in malomodo la Rosi Mauro, estromesso di fatto il clan Bossi, già si avviano al termine le frettolose ‘pulizie di primavera’, mentre l’ambizioso Bobo affila le armi prima del redde rationem finale, in attesa della ‘notte dei lunghi coltelli’ che sancirà la sua vittoria contro la Vecchia Guardia… E pazienza se non è dato sapere quanti soldi siano stati movimentati e quale sia l’entità (e la provenienza) dei capitali riciclati all’estero, con triangolazioni bancarie assai sospette. Pazienza per lo storno sistematico dei finanziamenti pubblici verso canali oscuri. Pazienza per i rapporti intrattenuti con personaggi opachi, legati alla malavita organizzata. Pazienza per l’interessato coinvolgimento con le cosche della ‘ndrangheta calabrese, attraverso gli offici della famiglia criminale dei De Stefano. Pazienza ci siano indagini in corso che coinvolgono una mezza dozzina di procure lungo tutta la Penisola, compresa la direzione investigativa dell’antimafia. Come da solenne annuncio, le pulizie sono (quasi) finite… Si torna a rubare!
Tra le varie esibizioni folkloristiche con le quali il fenomeno Lega ci ha abituato in questi lunghi anni, parallelamente alla passione per le lauree farlocche, un capitolo a parte merita la corte dei miracoli convenuta al cenacolo occulto del “Cerchio Magico” bossiano, fatto di apprendisti stregoni, mitologie celtico-pagane, rituali etenisti tra ampolle fluviali ed alambicchi, insieme a tutto quell’armamentario mistico-esoterico di produzione casereccia che si potrebbe definire come stregoneria della padania. Se l’elemento mitopoietico, intriso di simbologie magiche, sembra non essere mai stato del tutto estraneo ai movimenti di massa incentrati su un’elite chiusa e sull’indiscutibilità del Capo assoluto, riguardo alla teurgia leghista, sarebbe inutile cercare improbabili analogie con le leggende nere del misticismo nazista. E non è certo il caso di scomodare gli studi di Carlo Ginzburg, per spiegare le pratiche segrete nel clan allargato dei Bossi dove le pagliacciate negromantiche, più che al substrato di credenze popolari della cultura rurale, attingono a pieno titolo all’amoralità congenita di una cricca strapaesana, approdata alle luci dorate di una ribalta fatta di soldi facili ed esercizio spregiudicato del potere. Si tratta di un’enorme live-fiction sull’avidità familistica e la crassa ignoranza di una realtà tribale, che giustamente ricorre alle superstizioni ed ai riti di una cultura pre-moderna, attingendo dal presente solo il gusto pacchiano del parvenu arricchito per l’esibizione della ‘roba’ e del nuovo status acquisito per clientela. È chiaro che nella totale anomalia parassitaria di fortune piovute dal cielo, contro ogni presupposto logico e di merito, tra i diretti miracolati sia forte la convinzione che ciò avvenga per una sorta di intercessione soprannaturale… C’è infatti qualcosa di ‘magico’ (di satanico), che sfugge ad ogni interpretazione razionale su come perfette nullità, quali sono coloro che galleggiano in abbondanza nel verde calderone del sabba leghista, possano aver ottenuto così tanto a dispetto del loro infimo livello umano e morale. Non stupisce dunque il ricorso alla “magia”, che nella cristianissima Bossi’s Family sembra essere ben più di un hobby spregiudicato. E, come tutti sanno, cos’altro è il famoso “cerchio magico” se non un rituale di protezione e di evocazione?!? Nella fattispecie, sembra coincidere con il cordone sanitario costruito attorno al Capo malato, quasi a sigillarne il carisma nella preservazione di un potere esclusivo e tutto personalizzato, sotto la sorveglianza vigile (e interessata) di intraprendenti megere… C’è Manuela Marrone, la fattucchiera di Gemonio, che nella villa di famiglia sembrerebbe addirittura aver ricavato una sorta di ‘antro della strega’, con centinaia di libri di magia e testi sull’occulto… C’è il prediletto figliol prodigo, Renzo il Trota, affidato alle cure di Monica Rizzi: la ragioniera della Valcamonica che si crede psicologa, devota a S.Dorotea ed all’Astrologia; che combatte gli avversari a colpi di malocchio. Per la bisogna, si serve del formidabile aiuto della cartomante e sensitiva Adriana Sossi, in contatto medianico con un extraterrestre della galassia di Orion (!!). Per i suoi preziosi servigi, la maga di Orion ha ottenuto un più concreto impiego in regione Lombardia, come responsabile della rassegna stampa. Se non è magia questa… Poi vabbé! C’è l’onnipresente Rosy Mauro, nel ruolo di demone domestico; soprannominata “Mamma Ebe”, è la santona laica di Casa Bossi. Semi (?) analfabeta, si compra diploma e laurea in Svizzera, per lei e per l’amante, addebitando le spese al partito. La formazione è importante. Si ignora se insieme al Trota abbia usufruito degli sconti comitiva: prendi tre e paghi due. Il terzo beneficiato dalla pioggia di titoli (e non solo) è Piero Moscagiuro, in arte Pier Mosca: cantante di intrattenimento padano, che può vantare tra i suoi successi discografici l’indimenticabile “Cooly Noody” (leggi: ‘culi nudi’). Moscagiuro, poliziotto in aspettativa con licenza di terza media, è ufficiosamente l’amante di Rosi la Nera… Il nostro eroe è invero un uomo coraggiosissimo con propensione all’orrido. E pur tuttavia la relazione (che parrebbe giustamente pagata a peso d’oro) ha dato i suoi frutti, visto che Pier Mosca è stato assunto come assistente personale al Senato della Repubblica, per poter seguire la sua nera e ingombrante metà anche a Roma. C’è da chiedersi se non si tratti forse di un rituale di magia sessuale, in bilico tra gli arcani di Kremmerz e Crowley. Se noi fossimo degli appassionati cultori del complotto globale in salsa luciferiana (e non lo siamo), dovremmo credere che le sorti stesse della Lega, indissolubilmente legate a quelle dei Bossi, siano condizionate da specifiche congiunzioni astrali e precisi influssi magici. A volerli proprio cercare, i richiami esoterici neanche mancherebbero… Oltre alla presenza fisica del “cerchio magico”, lo stesso simbolo del fantomatico ‘Sole delle Alpi’ (inesistente nella tradizione celtica) sembra piuttosto stilizzato sulla falsariga del cosiddetto “Sigillo di Salomone”, dal nome del mitico re stregone dell’Antico Testamento. Si tratta di una delle infinite varianti del Pentacolo di protezione, contenuti nei formulari di alta magia, dedicati in prevalenza alla pratica delle arti nere (Goetia), e conosciuti come Grimoires. Sono trattati di demonologia composti in gran parte tra il ‘500 ed il ‘600, che comprendono raccolte di formule magiche per evocazioni, elenchi delle gerarchie infernali ed angeliche insieme al modo per assicurarsene i servigi, esorcismi di protezione e preparazione di talismani. Per puro divertissement, abbiamo fatto un giochino; abbiamo sovrapposto il simbolo tanto caro ai ‘padani’ al mistico “sigillo di Salomone”…. E questo è il risultato: Sempre per gioco, noterete che il simbolo stilizzato della Lega è con i suoi bracci e le sei punte è riadattabile a molti dei sigilli descritti nel famigerato Lemegeton Clavicula Salomonis (conosciuto anche come “Chiave minore di Salomone”), come il cosiddetto Pentacolo di Lilith: Bisogna anche dire che rientra nell’ambito dei sigilli di protezione ed incantesimi di evocazione angelica, contenuti nella quarta sezione del Lemegeton e che va sotto il nome di “Almadel” il quale, ad onor del vero (per chi crede a ‘sta roba), riporta pratiche di ‘magia bianca’. Non male comunque per chi si erge a paladino della “Cristianità”, brandendo il crocifisso come una clava. Tuttavia, conoscendo il livello culturale che contraddistingue simili esemplari da sagra, riesce difficile pensare che Lady Bossi ed il resto dello scalcinato cenacolo possa aver mai letto un grimorio. Ammesso che sappiano cosa sia. Al massimo, le nuove streghe della padania si dilettano in talismani e amuleti portafortuna, tarocchi e oroscopi, passando per la lettura dei fondi di caffé. Sembra quasi di essere in un film di Lino Banfi: Occhio, Malocchio, prezzemolo e finocchio!
L’Italia è una repubblica fondata sulla famiglia. La propria. In questo, Nord e Sud sono davvero uniti, nella greppia, tutti a tavola insieme appassionatamente! Pensavamo di averle già viste tutte col tesoriere della Margherita, l’abruzzese Luigi Lusi, il predone dei due mondi che si è fregato più di 20 milioni di euro dalle casse del partito (ma la cifra è per difetto) ad insaputa dei vertici ‘margheriti’. Lusi è uno che accumula immobili come fossero vacche; pasteggia a caviale e si fa pesare l’oro del Volga col bilancino, prima di ingozzarsi a sbafo coi soldi altrui… Uno capace di giustificare gli ammanchi, riportando in bilancio quasi 534 mila euro di spesa per “sito internet, assistenza tecnica e manutenzione sistema informatico”, manco fosse il server della NASA. Ma certo la saga familistica della Lega Ladrona non ha paragoni! D’altronde, la Lega ci aveva già regalato pagine esilaranti di psicopatologia collettiva: con le sue mitologie neo-völkisch, elmi cornuti e spadoni di latta; con le sue prove tecniche di nazismo applicato e le sue milizie verde-camiciate; coi suoi ubriachi da bar posti ai vertici delle Istituzioni nazionali e locali; con l’ignoranza abissale dei suoi massimi dirigenti; con la creazione di una sedicente repubblichetta secessionista della cassoeula, ricalcata sui confini dell’infame Repubblica Sociale di Salò… Naturalmente, con un simile campionario a disposizione, la Lega si è rivelata un’idea di successo, raggrumando milioni di voti tra i bifolchi delle valli alpine, sparsi per gli infiniti Borgo Citrullo della pedemontana e riuniti in adorazione messianica attorno ad Umberto the Boss, il celebroleso di Pontida che volle farsi re e per la bisogna si inventò un suo reame chiamandolo padania. Coerentemente, ci hanno regalato alcuni dei peggiori politicanti degli ultimi 100 anni, che rabbiosi e famelici sono calati nelle stanze del potere romano, arraffando e mangiando a più non posso, salvo poi sputare nel piatto della grande abbuffata e starnazzare davanti alle tivvù, con quella parlata stopposa di chi sembra ciancicare le parole, facendo i gargarismi con una pallina da ping pong in bocca. Che la Lega fosse un dominio personale della famiglia Bossi, e gestito come una proprietà privata nelle disponibilità del Capo, lo avevamo capito da un pezzo. Che fosse un possedimento feudale a trasmissione ereditaria era evidente, con il Trota travestito da delfino e una valanga di soldi pubblici a tenere in piedi l’intera struttura in cartapesta. Che fosse anche il bankomat di famiglia e funzionasse come una specie di ‘ndrina calabrese, a conduzione paramafiosa, lo sospettavamo… Ma l’ascesa e caduta del clan Bossi, con la sfilata degli esemplari di famigghia, è uno spettacolo degno di un bestiario medioevale! È la fiera dei freaks, convenuti nel “Cerchio Magico” dei Ladroni padani di lotta e di governo, con al centro l’Umberto assurto al ruolo di scemo del villaggio: il babbeo che si fa riparare il tetto del villone di Gemonio, naturalmente pure lui a sua insaputa; che si fa coglionare dal figlio scemo, piazzato con un posto in regione Lombardia, che gli frega i soldi dalla cassa per comprarsi il macchinone, mentre falsifica il libretto degli esami universitari. E quella delle lauree finte sembra essere una vera passione per i verdi padão, per questo branco di volgari cialtroni analfabeti, miracolati contro ogni merito… Umberto Bossi, che ottiene il diploma come perito per corrispondenza, e per anni millanta alla prima moglie di essere medico, uscendo di casa la mattina con tanto di borsa del dottore per meglio sostenere la finzione e sterzare subito verso il primo bar disponibile girando l’angolo. Poi ci sono i figlioli prodighi alla casa del padre: Roberto Libertà, ormai noto alle cronache come “er Candeggina”. E soprattutto Renzo Bossi, universalmente conosciuto come Il Trota, e finito sulla griglia per le sue bocciature multiple alla maturità… i sospetti sul diploma (e la patente di guida) comprati… fedele ad una intelligenza davvero ‘ittica’. Avviato alla carriera di consigliere regionale, è stato affidato alle cure di Monica Rizzi, meglio nota come “Monica della Valcamonica”, che tanto per non cambiare si spaccia per psicologa senza aver mai conseguito il titolo. E tra le matriarche di Casa Bossi come dimenticare mammà? Manuela Marrone, il mastino siciliano addetto alla sistemazione della prole. Nonché Rosi Mauro, la badante pugliese a capo del sedicente ‘sindacato padano’ che colleziona più ville in Sardegna che iscritti. Una piccola parentesi a parte meritano invece i tesorieri della Lega… Francesco Belsito, il tesoriere della Lega, ex autista ed ex buttafuori nei locali notturni della riviera ligure, con due lauree farlocche comprate on line a Malta, e in virtù di simili competenze piazzato come vice-presidente di FINCANTIERI che infatti oggi rischia il collasso. Francesco Belsito è il successore dell’incredibile Maurizio Balocchi, già esperto in acquisizioni di appartamenti Enasarco a canone agevolato a Roma e nell’assunzione clientelare dei famigli alla Presidenza del Consiglio e nella Corte dei Conti. Infatti, la Capitale è dai leghisti disprezzatissima a parole, ma amatissima per i privilegi. Della serie, hic manebimus optime. Soprattutto, Maurizio Balocchi ha fatto parte del CdA della Credieuronord, la banca della Lega, chiusa per fallimento nel 2006 [QUI] dopo aver dilapidato i risparmi investiti da migliaia di minchioni padani, con la fronte troppo cotta dal Sole delle Alpi. Ma, già nel 2001, Balocchi era rimasto scottato dal mega-crack (10 miliardi di lire) per realizzazione di un villaggio vacanze in Croazia, pomposamente chiamato “Il Paradiso di Bossi” e rivelatosi un inferno per gli sprovveduti investitori. D’altra parte, Balocchi era a sua volta succeduto ad Alessandro Patelli che in piena tangentopoli, mentre i leghisti agitano i cappi in Parlamento, si fa pagare una mazzetta da 200 milioni di vecchie lire nell’ambito del maxi-scandalo ENIMONT. La cosa incredibile è che questa montagna di letame con velleità secessioniste è andata accumulandosi per oltre venti anni, prima di franare addosso a queste fameliche macchiette in affari, travestiti da guerrieri celti. Di certo (non) ci mancheranno.
Superato il naturale disgusto per questi grassi trogloditi del razzismo padano, è penosamente istruttivo seguire le deprimenti sagre paesane dell’etnonazionalismo leghista coi suoi revival völkisch, dai battesimi pagani di riccioluti bimbi ario-padani con ampolle fluviali ai colifecali. Oramai, è persino inutile discettare sull’ossimoro istituzionale di un partito-stato di matrice neo-nazista (ma dall’ossatura leninista) che invoca apertamente la secessione e milizie in armi, ma che da oltre una decade occupa stabilmente le stanze del potere, coi flaccidi sederoni dei suoi Oberführer da strapazzo pervicacemente incollati alle poltrone di governo, pronti a grufolare in tutte le greppie disponibili dei pubblici appalti. È parossistico ascoltare le intemerate di tre ministri della Repubblica italiana, che discettano di Padania e guerre secessioniste; che considerano l’esposizione della bandiera nazionale, nel 150° dell’Unificazione, come una intollerabile “provocazione”. Si tratta di membri (nel senso più anatomico del termine) di governo che parlano di “perdita di democrazia”, ben protetti però da cordoni di polizia e carabinieri (italiani) che manganellano a sangue e chiedono i documenti a chi osa esporre il tricolore e tutelare la coscienza civica nazionale. Evidentemente, la sbirraglia fascistizzata (diretta dal leghista Maroni agli Interni) trova molti più elementi di contiguità coi nazisti della “padania”, piuttosto che con l’Italia democratica. È persino imbarazzante assistere all’involuzione nepotista del clan Bossi-Marone, che considera il partito alla stregua di una proprietà personale (roba di famiglia), da trasmettere in eredità ai rampolli della casata in successione dinastica, come nella peggior tradizione del più becero familismo di impronta meridionale. È patetico il declino fisico e mentale dell’Umberto senex, sempre più rincitrullito e sempre più moscio, che ormai si esprime solo con pernacchie e grugniti incomprensibili, ostentando ditini medi alzati al cielo e pugnetti spastici menati al vento. L’uomo del Nord, che odia i “terroni” e che predica la secessione dal Sud, è in realtà ridotto a docile strumento nelle mani intriganti di due matrone borboniche: la siciliana Manuela Marone, moglie e matriarca preoccupata di sistemare la numerosa prole (alla faccia della meritocrazia!); Rosi Mauro, la badante pugliese che accudisce il vecchio polmone. Parliamo di un vegliardo cerebroleso che condivide con l’altro suo degno e plastificato didimo di governo, insieme alle disastrose scelte politiche, le medesime cadute nel cesso di casa e le stesse considerazioni sul Paese che inesorabilmente stanno conducendo allo sfascio… “L’Italia attuale è uno schifo” gorgheggia l’impavido senatùr, attorniato da una platea di casi umani sfuggiti ai centri di igiene mentale; “L’Italia è un paese di merda” aveva già delirato il pornomane che, tra orge e ruberie, la governa a tempo perso. Con ogni evidenza, a nessuno dei due è passato per le loro menti bacate il fatto che entrambi governino il paese in questione da quasi dieci anni ininterrotti. E dunque, se l’Italia fa schifo, molto hanno contribuito nel renderla tale. Se di “paese di merda” si tratta, quanto meno è una condizione che molto riflette la loro impronta e la loro immagine, nel fondamentale apporto all’azione di governo. Forse è un problema di stimoli… Sarebbe ora di tirare lo sciacquone e aprire le finestre, facendo cambiare l’aria!
I prodotti della giurisprudenza parlamentare (le raffazzonatissime leggi di politici semi-analfabeti) sono famosi per la sciatteria espositiva e per l’inesplicabilità linguistica di una prosa ostica, che fa dell’incomprensibilità del testo una missione. Tuttavia, il DDL 1905, la cosiddetta Riforma Gelmini, sembra davvero battere tutti i suoi predecessori… Almeno è questa l’impressione che si ricava dalla bozza di testo (già approvata dal Senato il 29/07/2010) ed ora in dirittura d’arrivo finale, a tappe forzate e tempi contingentati. A tal proposito, è davvero irresistibile la leghista Rosi Mauro: la badante di Bossi, ragioniera e improvvisata vicepresidente al Senato, che smista gli emendamenti alla stessa velocità con cui si prezza il pescato al mercato del pesce all’ingrosso.
Nel Disegno di Legge governativo (firmato dalla Gelmini, ma scritto da Tremonti) si parla di “consigli di amministrazione”, “collegi dei revisori contabili”, “sostenibilità di bilancio”, “obiettivi strategici”… come nei prospetti delle mission aziendali… senza che MAI venga nominato il termine “Cultura”. Eppure le disposizioni riguardano l’insegnamento e la formazione universitaria.
«Quando sento la parola ‘cultura’ tolgo la sicura alla mia Browning!»
Hanns Johst “Schlageter” Atto I; scena 1 (1933)
Inflazionato è invece il ricorso a “meritocrazia” che fa capolino ogni due righe, alla stregua di un feticcio auto-rassicurante. Tanto le parole non costano nulla, altrimenti non si capirebbe come la Maria Stella possa essere diventata ministro: caso estremo, ma non isolato, nel governo del fottere presso la Casa del Papi. Eppure, almeno sotto certi aspetti, la ‘riforma Gelmini’ potrebbe persino essere un’ottima legge contro sprechi, inefficienze e favoritismi clientelari, con spunti interessanti per la gestione ottimale di società di capitali ed aziende municipalizzate del Comune di Roma, come l’ATAC e (meglio ancora!) l’AMA, se l’oggetto in questione non fosse però l’Università pubblica la cui gestione viene equiparata in tutto e per tutto a quella di un’impresa privata. E davvero non si capacità la Maria Gelmini superstar di tanta ostilità e tali proteste da parte di chi l’università (con tutte le sue carenze) la vive:
«I baroni, attraverso alcuni studenti, tentano di bloccare una riforma che rende l’Università italiana finalmente meritocratica, che pone fine al malcostume di parentopoli, che blocca la proliferazione di sedi distaccate inutili e di corsi di laurea attivati solo per assegnare cattedre ai soliti noti.»
M.S.Gelmini (25/11/2010)
Infatti, tra i maggiori estimatori del ddl c’è il rettore dell’Università La Sapienza di Roma (il più grande ateneo d’Europa, come pomposamente viene chiamato), l’assai chiacchierato prof. Frati: “il ministro Gelmini ha fatto una riforma straordinaria” (18/11/2010).
ONORE AL MERITO Se c’è uno che incarna i vizi e le furbizie del baronato accademico, questo è proprio Luigi Frati: un uomo che ha fatto del nepotismo familiare molto più di un’arte, nella quale è maestro indiscusso. Laureato all’Università Cattolica del Sacro Cuore, è stato per anni il collettore politico tra potere democristiano e mondo baronale accademico, con incursioni nel grande policlinico universitario della Capitale: il disastrato Umberto I. A tali rapporti andrebbero poi aggiunti i suoi legami con le multinazionali farmaceutiche… Nominato a soli 40 anni vicepresidente del Consiglio Universitario Nazionale, l’organismo che gestisce i concorsi per l’assegnazione delle cattedre, il giovanissimo (per gli standard italiani) Frati ne approfitta per costruire una rete fittissima di clientele e relazioni, che sono alla base del suo potere personale. Si tratta di un sistema talmente articolato e complesso da essere chiamato “Modello Frati” e che vale la pena di conoscere meglio, leggendo QUI. Di conseguenza, da docente, Luigi Frati è diventato preside di facoltà ed infine rettore (03/10/2010). Inutile dire che conserva tutte le cariche; tanto che, a prescindere dai suoi meriti scientifici, il prof. Frati continua a guadagnarsi numerosi articoli sui principali quotidiani nazionali. Ad esempio: QUI. Professore di Patologia generale alla facoltà di Medicina, Luigi Frati da 18 anni è anche preside della medesima facoltà che considera un suo feudo personale, tanto da usare l’Aula Magna come sala di nozze per il matrimonio della figlia Paola (14/11/2004), opportunamente nominata professoressa ordinaria di Medicina Legale, con una laurea in giurisprudenza. Ma nell’Ateneo del magnifico rettore Luigi Frati hanno trovato opportuno collocamento anche il secondogenito Giacomo (classe 1974) e Luciana Rita Angeletti (in Frati). Naturalmente non poteva mancare il cognato: Pietro Angeletti.
«Giacomo Frati, laureato in medicina, ha vinto il concorso da ricercatore nella facoltà paterna. Mentre la moglie, Luciana Rita Angeletti, ha fatto una carriera-lampo. Alla fine degli anni Ottanta era una semplice professoressa di lettere in una scuola superiore. Nel 1995 la ritroviamo nella facoltà del marito addirittura come professore ordinario di Storia della medicina. Anche suo fratello, Pietro Ubaldo Angeletti, insegnava patologia a Perugia, la stessa facoltà dove Frati iniziò la sua ascesa universitaria. Il cognato (morto negli anni Novanta) è stata una figura importante soprattutto perché era l’amministratore della filiale italiana della multinazionale farmaceutica Merck Sharp & Dohme.»
“Il Barone Frati” Primo Di Nicola & Marco Lillo L’Espresso (12/01/2007)
Notizia dell’ultima ora è la nomina di Giacomo Frati a docente ordinario. Coerentemente, Luigi Frati è un altro di quelli che si riempie la bocca di “meritocrazia”, con una faccia di tolla difficilmente eguagliabile neanche dal più spericolato degli spergiuri. Un altro a cui la riforma Gelmini sembra piacere molto è il rettore dell’Università Roma-2 di Tor Vergata, il prof. Renato Lauro:
«Non approvare la riforma dell’università sarebbe un passo indietro gravissimo. Non si potrebbero fare concorsi e non ci sarebbe la riduzione dei tagli» (02/12/2010)
Medico personale di Angelo Balducci, il magnifico Lauro appartiene alla nutrita schiera di quelli che tengono famiglia. Pertanto ha piazzato nella “sua” università la moglie, il figlio e pure un paio di nipoti…dalla Sicilia con ardore! L’ultima assunta, in extremis prima dell’approvazione del ddl, è Paola Rogliani: la moglie del figlio Davide. Alla vicenda Il Corriere della Sera dedica una gustosa intervista: QUI, mentre Il Messaggero di Roma lo affonda con un’altra bordata micidiale in onore dell’ennesima parentopoli romana (QUI).
L’ATENEO AZIENDA E del resto perché la riforma non dovrebbe piacere ai rettori degli atenei?!? Con l’approvazione del ddl infatti i rettori si vedranno trasformati praticamente in supermanager (il cui mandato avrà un max. di 8 anni) con poteri quasi illimitati e la possibilità diretta di gestire fondi e appalti universitari, con gli istituti collegati. Il valore culturale diventa secondario; la formazione didattica una variabile dipendente. Gli atenei in tutto e per tutto si configurano come società private e come tali organizzate:
Art. 2 (Organi e articolazione interna delle università)
Le università statali, nel quadro del complessivo processo di riordino della pubblica amministrazione, provvedono, entro sei mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, a modificare i propri statuti in materia di organi (…) secondo princìpi di semplificazione, efficienza ed efficacia, con l’osservanza dei seguenti vincoli e criteri direttivi: a) previsione dei seguenti organi: 1) rettore; 2) senato accademico; 3) consiglio di amministrazione; 4) collegio dei revisori dei conti; 5) nucleo di valutazione; b) attribuzione al rettore della rappresentanza legale dell’università e delle funzioni di indirizzo, di iniziativa e di coordinamento delle attività scientifiche e didattiche; della responsabilità del perseguimento delle finalità dell’università secondo criteri di qualità e nel rispetto dei princìpi di efficacia, efficienza, trasparenza e meritocrazia; della funzione di proposta del documento di programmazione strategica triennale di ateneo.
Tra le novità c’è l’introduzione di un vero e proprio CdA aziendale che affianca ed integra le competenze del senato accademico, con mansioni pressoché equipollenti ed una inevitabile sovrapposizione di ruoli. Tra i compiti del Consiglio di Amministrazione rientrano altresì: le funzioni di indirizzo strategico; l’approvazione della programmazione finanziaria annuale e triennale del personale (in pratica le spese per il pagamento degli stipendi); vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività (i saldi di bilancio); la competenza a deliberare l’attivazione o soppressione di corsi e sedi; Quest’ultima costituisce una grave ingerenza nei confronti del Senato accademico e della libera didattica, a maggior ragione che il CdA non è un organo elettivo e nulla ha a che vedere con la ricerca.
Il Consiglio di Amministrazione I membri del CdA, per un massimo di 11 componenti (compreso il rettore ed una rappresentanza degli studenti) viene reclutato:
“mediante avvisi pubblici, tra personalità italiane o straniere in possesso di comprovata competenza in campo gestionale ovvero di un’esperienza professionale di alto livello; non appartenenza ai ruoli dell’ateneo”
Se è vero che il nuovo CdA si occuperà prevalentemente di amministrazione contabile e gestione di bilancio, escludendo quindi docenti e personale accademico, è anche vero che può mettere bocca sull’organizzazione e sull’offerta didattica, decidendo la chiusura di istituti e corsi, utilizzando come unico parametro la contabilità finanziaria. In questa prospettiva, ne consegue che istituti di eccellenza come ad esempio “Lingue Orientali”… “Semiologia”… “Filosofia ermeneutica”… che non vantano certo migliaia di iscritti, potranno essere chiusi per una mera questione di calcolo. Per evitare i conflitti di interesse, si ricorre alla competenza di esperti “esterni”, ma il rettore dell’ateneo può diventare presidente del CdA, come se fosse immune da interessi particolari (e personali). Un controsenso che piace molto (come è ovvio) ai diretti interessati. La svolta aziendalistica viene ulteriormente rafforzata dalla:
“sostituzione della figura del direttore amministrativo con la figura del direttore generale, da scegliere tra personalità di elevata qualificazione professionale e comprovata esperienza pluriennale con funzioni dirigenziali; conferimento da parte del consiglio di amministrazione, su proposta del rettore, dell’incarico di direttore generale, regolato con contratto di lavoro a tempo determinato di diritto privato di durata non superiore a quattro anni rinnovabile”
Nell’ideologia efficientista che pervade la ‘riforma’ null’altro interessa all’infuori dell’esperienza dirigenziale del direttore che del resto dovrà occuparsi“della complessiva gestione e organizzazione dei servizi, delle risorse strumentali e del personale tecnico-amministrativo dell’ateneo”. È interessante invece notare come il rettore universitario, ormai avviato all’onnipotenza, può scegliersi altresì il direttore generale oltre a presiedere il CdA.
Il Collegio dei Revisori contabili La composizione di un collegio di revisori dei conti è forse l’unica, vera, novità positiva della ‘riforma’ che prevede:
“un numero di tre componenti effettivi e due supplenti, di cui un membro effettivo, con funzioni di presidente, scelto tra i magistrati amministrativi e contabili e gli avvocati dello Stato; uno effettivo e uno supplente, designati dal Ministero dell’economia e delle finanze; uno effettivo e uno supplente scelti dal Ministero tra dirigenti e funzionari del Ministero stesso; nomina dei componenti con decreto rettorale; durata in carica per quattro anni; rinnovabilità dell’incarico per una sola volta e divieto di conferimento dello stesso a personale dipendente della medesima università; iscrizione di almeno due componenti al Registro dei revisori contabili.”
Il Nucleo di valutazione È questa l’entità che nelle intenzioni del Legislatore (Tremonti-Brunetta) dovrebbe espletare le funzioni di controllo e certificazione qualità. Un po’ come gli ispettori aziendali.
“Il nucleo di valutazione [sarà composto] con soggetti di elevata qualificazione professionale in prevalenza esterni all’ateneo; il coordinatore può essere individuato tra i professori di ruolo dell’ateneo”
Compito del coordinatore è la “verifica della qualità e dell’efficacia dell’offerta didattica”, insieme alla valutazione dell’attività di ricerca svolta nei singoli dipartimenti. La struttura di controllo si dovrebbe chiamare ANVUR: Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca. E naturalmente opererà “secondo criteri di qualità, trasparenza e promozione del merito, anche sulla base delle migliori esperienze diffuse a livello internazionale”. Peccato che il sedicente “nucleo di valutazione” sia in realtà una scatola vuota, ancora in fase di costituzione e senza che siano state ancora codificate le linee guida alle quali dovrebbe attenersi l’Agenzia per le sue valutazioni. L’ANVUR (ancora in fase di costituzione) dovrà attenersi dunque ad un sistema di valutazione dai criteri indefiniti (da stabilire ex post mediante decreto legislativo).
Senato accademico Per contenere le camarille baronali all’interno dell’università, il DDL vieta il cumulo delle cariche ai componenti del senato accademico (naturalmente con l’eccezione del rettore):
Divieto per i componenti del senato accademico e del consiglio di amministrazione di ricoprire altre cariche accademiche. Divieto di rivestire alcun incarico di natura politica per la durata del mandato (rettore incluso). Divieto di incarichi nel nucleo di valutazione o del collegio dei revisori dei conti di altre università italiane statali, non statali o telematiche; di svolgere funzioni inerenti alla programmazione, al finanziamento e alla valutazione delle attività universitarie nel Ministero e nell’ANVUR.
In compenso, tra i votanti passivi che contribuiscono all’elezione del Senato accademico vengono interdetti tutti gli studenti che abbiano superato il primo anno fuori corso. Perché la democrazia elettiva è una cosa bella, ma se ci partecipano in pochi è meglio.
Tu chiamala “meritocrazia” se vuoi… Con la scusa della “razionalizzazione dell’offerta formativa” (Art.3) invece si smantellano dipartimenti, si riducono facoltà e chiudono interi corsi di laurea, con una vera falcidia di ricercatori e personale a contratto. Questo perché l’accorpamento degli istituti e la fusione delle università comporta necessariamente un ridimensionamento del ‘personale’ che va razionalizzato (licenziato), esattamente come avviene nelle fusioni aziendali, a prescindere dalle competenze e dai ruoli. È naturale che ad essere tagliati via non saranno i vecchi “baroni” coi loro contratti blindati a tempo indeterminato, ma i giovani ricercatori precari coi loro contratti a tempo (e da fame) con inevitabili conseguenze a ribasso sulla ricerca e sull’attività didattica. Certo il provvedimento sarà fondamentale per bloccare la cosiddetta “fuga dei cervelli all’estero”. Ma abbiamo già visto come gli aspetti culturali e formativi siano tra le ultime preoccupazioni della ‘riforma’ Gelmini, il cui unico scopo è fare cassa e giustificare il blocco dei finanziamenti.
“La federazione ovvero la fusione ha luogo sulla base di un progetto contenente, in forma analitica, le motivazioni, gli obiettivi, le compatibilità finanziarie e logistiche, le proposte di riallocazione dell’organico e delle strutture in coerenza con gli obiettivi. (…) I fondi risultanti dai risparmi prodotti dalla realizzazione della federazione o fusione degli atenei possono restare nella disponibilità degli atenei stessi purché indicati nel progetto e approvati dal Ministero. (…) Le disposizioni si applicano anche a seguito dei processi di revisione e razionalizzazione dell’offerta formativa e della conseguente disattivazione dei corsi di studio universitari, delle facoltà e delle sedi universitarie decentrate.”
In tutto ciò, non si comprendono bene i vantaggi per gli studenti universitari, per i quali è però previsto un articolato programma di valorizzazione con l’istituzione di un “fondo per il merito” (Art.4) che contempla premi di studio e buoni, ma riservati solo agli iscritti del primo anno:
«È istituito presso il Ministero un fondo speciale, di seguito denominato “fondo”, finalizzato a promuovere l’eccellenza e il merito fra gli studenti individuati, per gli iscritti al primo anno, mediante prove nazionali standard e, per gli iscritti agli anni successivi, mediante criteri nazionali standard di valutazione.»
Da dove trae l’università i finanziamenti per garantire i bonus agli “studenti meritevoli”? Ma è chiaro! Siccome lo Stato, coi ministeri competenti, non sgancia un centesimo si confida nel buon cuore dei “privati”.
«Il fondo è alimentato con versamenti effettuati a titolo spontaneo e solidale da privati, società, enti e fondazioni, anche vincolati, nel rispetto delle finalità del fondo, a specifici usi.»
(Art.4; comma VII)
«Il Ministero [dell’Università], di concerto con il Ministero dell’economia e delle finanze, promuove, anche con apposite convenzioni, il concorso dei privati e disciplina con proprio decreto di natura non regolamentare le modalità con cui i soggetti donatori possono partecipare allo sviluppo del fondo, anche costituendo, senza oneri per la finanza pubblica, un comitato consultivo formato da rappresentanti dei Ministeri e dei donatori.»
(Art.4; comma VIII)
L’unico risultato concreto è che non solo sarà impossibile calcolare l’entità reale delle erogazioni, ma che gli studenti (in assenza di fondi certi) vedranno messa in seria discussione anche l’assegnazione delle attuali borse di studio.
«Il Fondo può essere integrato dai singoli atenei anche con una quota dei proventi delle attività conto terzi ovvero con finanziamenti pubblici o privati. In tal caso, le università possono prevedere, con appositi regolamenti, compensi aggiuntivi per il personale docente e tecnico amministrativo che contribuisce all’acquisizione di commesse conto terzi ovvero di finanziamenti privati»
(Art.9 –Fondo per la premialità)
In pratica è l’ingresso dei famosi sponsor privati nei collegi universitari, che chiaramente non erogano finanziamenti disinteressati ed a tasso zero.
UNITÀ DI PRODUZIONE Lo studente cessa di esistere in quanto tale, per trasformarsi in una sorta di unità produttiva alla quale conferire un valore d’uso. Nell’Art.5, che stabilisce le deleghe in materia di interventi per la stabilità di bilancio e l’organizzazione degli atenei, si contempla pure:
«l’introduzione del costo standard unitario di formazione per studente in corso, calcolato secondo indici commisurati alle diverse tipologie dei corsi di studio e ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l’università, cui collegare l’attribuzione all’università di una percentuale della parte di fondo di finanziamento ordinario»
Dall’estremismo efficientista al mercato delle vacche! Invece per gli atenei in passivo di bilancio, come le regioni insolventi o le aziende in dissesto, verranno approntati dal Ministero dell’Economia appositi “piani di rientro finanziario”, fino alla disposizione del “commissariamento” delle università (di nomina governativa), alla faccia dell’autonomia…
Intendiamoci! Non è che la riforma sia del tutto priva di spunti interessanti ed in parte condivisibili. Non dimentichiamo certo che l’attuale sistema universitario con le sue carenze, gli sprechi, e le sacche parassitarie più o meno clientelari è quasi indifendibile. E crediamo nessuno voglia mantenere immutata la situazione attuale, che ottimale proprio non è. Ben venga dunque un tentativo di intervento che introduca una nuova disciplina dei rinnovi contrattuali e soprattutto un controllo più stringente su spese e gestioni di bilancio. Ben venga una riorganizzazione delle assunzioni e dei concorsi, che non sia però preclusiva, che contempli davvero una valorizzazione ed un’opportunità per i talenti migliori. E pur tuttavia la politica dei tagli indiscriminati, la leggenda metropolitana dei “Privati” che finanziano la Cultura e l’Università sopperendo alle carenze del “Pubblico”, le ‘sussidiarietà’ a tutto vantaggio delle strutture private senza alcuna contropartita, la parificazione delle università telematiche con l’incredibile caso del CEPU, sono aspetti quanto meno ambigui di una “riforma” blindata che non prevede verifiche né approfondimenti. L’ennesima prova muscolare di una compagine di potere che fa della provocazione una costante, criminalizza gli studenti (che della riforma sono parte integrante), e interpreta ogni possibile revisione o modifica al testo come un intollerabile cedimento dinanzi al ‘nemico’. Chi semina vento, raccoglie tempesta..!
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«…conto su pochi lettori e ambisco a poche approvazioni. Se questi pensieri non piaceranno a nessuno, non potranno che essere cattivi, ma se dovessero piacere a tutti li considererei detestabili…»
I commenti sono liberi, ma voi non ve ne approfittate o verrete trattati di conseguenza. E senza troppi complimenti.
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«Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione di movimento, quando in realtà son fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza»
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«Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare»
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«Un sogno è una scrittura, e molte scritture non sono altro che sogni…»
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«…Scrivere non è niente più di un sogno che porta consiglio»
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“Io non sono mai stato un giornalista professionista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni manutengoli.”
(A.Gramsci - 'Lettere dal carcere')
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza, se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero degno di ogni più scandalosa ricerca”
(P.P.Pasolini)
“Nulla potrebbe essere più irragionevole che dare potere al popolo, privandolo tuttavia dell’informazione senza la quale si commettono gli abusi di potere. Un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che procura l’informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”
(J. MADISON - 4 Agosto 1822. Lettera a W.T. Barry)
“Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.”
(Joseph Pulitzer)
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