Archivio per Studenti
La bona sòla
Posted in Kulturkampf with tags Costituzione, Cultura, David Cameron, Democrazia, Europa, Governo Renzi, Impresa, Insegnamento, Istruzione, Italia, Libertà, Liberthalia, Matteo Renzi, Neo-liberismo, Padroni, PD, Preside allenatore, Riforma della scuola, Scuola, Società, Studenti on 6 Maggio 2015 by SendivogiusEra il 01/04/15, quando il piccolo principe di Rignano in gita a Londra, durante uno dei suoi soliti tour promozionali, incontrò il suo omologo britannico: quel David Cameron con cui condivide ciccia e fuffa, a dimostrazione di quanto determinati didimi vadano sempre a coppia. Come un Pesce d’Aprile andato a male, il lezzo dell’abboccamento ha avuto un ritorno lungo a tanfo crescente…
Repressione è Civiltà
Posted in A volte ritornano, Ossessioni Securitarie with tags Alfredo Mantovano, Fascismo, Fascisti, Filippo Ascierto, Gian Maria Volonté, Gianni Alemanno, Ignazio La Russa, Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, Liberthalia, Maurizio Gasparri, Movimento studentesco, Ordine pubblico, Potere, Repressione, Studenti on 20 dicembre 2010 by Sendivogius
Passano gli anni, ma certe abitudini proprio non cambiano… Incapaci di gestire le tensioni sociali, impermeabili alla discussione, sono allergici all’idea stessa che possa esistere una qualche forma di dissenso. Disagio giovanile, disoccupazione cronica, nuove povertà, immobilismo sociale, crisi di rappresentatività, emarginazione e questione generazionale… tutto si riduce ad un problema di ordine pubblico, circoscritta ad emergenza securitaria, nella negazione ostinata e boriosa di ogni altra ragione o riconoscimento; ben attenti a non diffondere il contagio. La società, fuori dai mutualismi clientelari del potere, è potenzialmente qualcosa di criminale e dunque da controllare. Il dialogo è debolezza. Il confronto è sempre qualcosa di meramente muscolare, funzionale a rinsaldare i rapporti di forza.
Dinanzi agli effetti devastanti di una crisi (questa sì) davvero epocale, non conoscono altre parole che non siano: censura; leggi speciali; schedature di massa; rastrellamenti; arresti preventivi…
Dai tempi di Bava Beccaris, ripropongono sempre la stessa ricetta: REPRESSIONE.
L’avevamo già allegato in passato [QUI] ma la visione meritava di essere riproposta.
“Non dormano tranquilli, perché noi li andremo a prendere uno per uno. Uno per uno!”
Filippo Ascierto, ex responsabile ‘sicurezza’ di AN
(05/08/2001)
“Siamo in presenza di una violenza vergognosa che non ha dignità politica. È una violenza che merita solo una parola: repressione”
Maurizio Sacconi
(14/12/2010)
“I danni provocati alla città e la gravità degli scontri richiedono ben altra fermezza nel giudizio della magistratura sui presunti responsabili di questi reati. Non è minimizzando la gravità di questi fatti che si dà il giusto segnale per contrastare il diffondersi della violenza politica nella nostra città mentre è evidente che queste persone hanno dimostrato, soprattutto in un momento di grande tensione sociale quale quello che stiamo vivendo, di essere soggetti pericolosi per la collettività”
Gianni Alemanno
(15/12/2010)
“Vigliacchi! Fifoni! Incapaci! Criminali”
Ignazio La Russa, rivolgendosi agli studenti
(16/12/2010)
“Il Daspo è un istituto che sta dando ottima prova per le manifestazioni sportive (…) La sua estensione alle manifestazioni di piazza permette di contare su uno strumento in più sul piano della prevenzione quando il processo si è risolto in una presa in giro; quindi di avere un di più sul piano della repressione, allorché si accerti che il daspo è stato violato, e conoscere preventivamente, e non sulla base di mere informative, i soggetti da tenere distanti dalla piazza”
Alfredo Mantovano
(17/12/2010)
“Qui serve una vasta e decisa azione preventiva. Si sa chi c’è dietro la violenza scoppiata a Roma. Tutti i centri sociali i cui nomi sono ben noti città per città. La sinistra, per coprire i violenti, ha mentito parlando di infiltrati. Bugie! Per non far vivere all’Italia nuove stagioni di terrore occorre agire con immediatezza. Chi protesta in modo pacifico e democratico va diviso dai vasti gruppi di violenti criminali che costellano l’area della sinistra. Solo un deciso intervento può difendere l’Italia.”
Maurizio Gasparri
(19/12/2010)
È come se fossimo pervasi da una strana sensazione di déjà vu… qualcosa di antico eppure mai superato. È come una presenza fastidiosa e persistente, che si ripropone in forme sempre nuove pur mantenendo intatto il disgusto originale, per il tanfo rimasto immutato… Che si tratti di fascismo?!?
Brucia Roma
Posted in Roma mon amour with tags Diritto al Futuro, Giovani, Giustizia, Liberthalia, Manifestazione di Roma, Piazza del Popolo, Proteste, Roma, Studenti on 15 dicembre 2010 by Sendivogius
In Italia esiste una generazione bella e dannata, vezzeggiata e umiliata, schiacciata dall’indifferenza…
Parliamo dei “Giovani”: i grandi assenti della cosiddetta narrazione collettiva. Gli esclusi per eccellenza in un Paese che certo non li ama, soprattutto non li degna della benché minima considerazione. Un’intera generazione, condannata al limbo perenne di un’esistenza sotterranea, fatta di lavoretti precari e scuole fatiscenti. Defraudata di tutto: dai diritti al lavoro, dal reddito alla pensione…
Una generazione alla quale è stato negato il Futuro ed alla quale viene ora rubata persino la Speranza.
Parliamo di milioni di ragazze e ragazzi, completamente privi di ogni rappresentanza istituzionale; confinati nell’invisibilità sociale; sospinti ai margini più estremi di un sistema che li esclude da tutto, ma non esita a consumarli, mortificandone senza ritegno le pur immense potenzialità.
Parliamo dei ‘famosi’ giovani: i pesci esotici dalle abitudini eccentriche, che fuori dagli acquari controllati del “Grande Fratello” e dal finto zoo della De Filippi nessuno vuole davvero. Parliamo di coloro che non trovano mai spazio nei grandi discorsi di quei nani politici, trincerati nei loro “sacri palazzi istituzionali”: un potere alieno e borioso, chiuso nel recinto blindato di un isolamento surreale, rigorosamente separato dai sudditi.
Né ai giovani viene data alcuna possibilità di parola. Sono quelli ai quali, se fanno troppe domande, se si agitano troppo, ripetono sempre che: sei troppo giovane per… devi ancora fare esperienza… ai miei tempi IO al posto tuo… Tu cosa?!? Tu che cazzo avrai fatto mai?!? Dati gli attuali risultati, vista l’eredità in lascito… Non avete più titoli, né autorevolezza per darci lezioni. Solo l’autoritarismo dei parassiti che invocano la repressione come una benedizione: l’estrema unzione di un potere senza più alcuna legittimazione sociale. Leggete [QUI]… dove un porco discetta di “onore”…
Eravamo ragazzi e ci dicevano: “Studiate, sennò non sarete nessuno nella vita”
Dopo aver studiato, ci dissero: “Ma non lo sapete che la laurea non serve a niente? Avreste fatto meglio a imparare un mestiere!” Lo imparammo.
Dopo averlo imparato, ci dissero: “Che peccato però, tutto quello studio per finire a fare un mestiere?” Ci convinsero e lasciammo perdere.
Quando lasciammo perdere, rimanemmo senza un centesimo.
Ricominciammo a sperare, disperati.
Prima eravamo troppo giovani e senza esperienza, ma dopo pochissimo tempo eravamo già troppo grandi, con troppa esperienza e troppi titoli.
Finalmente trovammo un lavoro, a contratto: ferie non pagate, zero malattie, zero tredicesime, zero tfr, zero sindacati, zero diritti. Lottammo per difendere quel non lavoro.
Non facemmo figli – per senso di responsabilità – e crescemmo.
Così ci dissero, dall’alto dei loro lavori trovati facilmente negli anni ‘60, con uno straccio di diploma o la licenza media, quando si vinceva facile davvero: “Siete dei bamboccioni, non volete crescere e mettere su famiglia!” E intanto, pagavamo le loro pensioni, mentre dicevamo per sempre addio alle nostre.
Ci riproducemmo e ci dissero: “Ma come, senza una sicurezza, né un lavoro con un contratto sicuro, fate figli? Siete degli irresponsabili!”
A quel punto, non potevamo mica ucciderli.
Così emigrammo. Andammo altrove, alla ricerca di un angolo sicuro nel mondo, lo trovammo, ci sentimmo bene. Ci sentimmo finalmente a casa.
Ma un giorno, quando meno ce lo aspettavamo, il “Sistema Italia” fallì e tutti si ritrovarono col culo per terra.
Allora ci dissero: “Ma perchè non avete fatto nulla per impedirlo?”
A quel punto, non potemmo che rispondere: “Andatevene affanculo!”
(Breve storia di una generazione)
Può allora capitare che il rancore così a lungo accumulato, diventi una risorsa per chi ormai ha poco o nulla da perdere… Può accadere che la rassegnazione si trasformi in rabbia… che l’indignazione travalichi la sopportazione… A volte succede persino che la pazienza finisca..!
Con la scusa della “Crisi”, della nuova “recessione globale”, abbiamo così assistito ad una interessante sperimentazione economica: socialismo reale per banche e grandi corporation, foraggiate con miliardi di euro dagli Stati (soldi coi quali continuano poi a speculare scommettendo sul default dei loro stessi salvatori); invece, macelleria sociale all’insegna dell’ultra-liberismo più estremo per quanto riguarda tutti gli altri.
In Italia poi, ci dicono che stiamo pagando l’enorme debito pubblico accumulato soprattutto durante la gestione allegra degli spensierati anni ’80.
I ragazzi che ieri protestavano nel centro della Capitale all’epoca non erano nemmeno nati; tutti gli altri frequentavano a malapena le scuole elementari. Però saranno gli unici a pagare: con lo smantellamento dell’Istruzione Pubblica; la mercificazione delle Università; con contratti infami, dagli stipendi e dai diritti dimezzati. Senza alcuna copertura in caso di perdita del lavoro, verseranno contributi per pensioni che non riceveranno.
Così, per gli errori del passato, pagano le generazioni future. Il salatissimo conto di chi si è abbuffato viene addebitato quasi interamente a chi, lontanto dalla tavola, non ha toccato nemmeno una briciola! Sacrifici a senso unico: a chi tutto e a chi niente, in nome della salvaguardia dei “diritti acquisiti” non più condivisi ma esclusivi. Strano, perché a me hanno insegnato che i diritti sono universali; quando si differenziano per età, censo, o sesso, si chiamano “privilegi”. I diritti non si comprimono, semmai si estendono. Negare le stesse tutele, a parità di condizioni di lavoro e di obblighi, si chiama discriminazione. E le ingiustizie si combattono, non si avvallano con accordi separati!
Ieri questa rabbia troppo a lungo repressa si è incontrata con la freschezza coraggiosa e terribile dei vent’anni.
Ribellarsi è giusto.
E Cossiga se ne andò all’Inferno
Posted in Stupor Mundi with tags Aldo Moro, Autonomia Operaia, Bologna, Ciro Cirillo, Francesco Cossiga, Giorgiana Masi, Gladio, Italia, Liberthalia, Loggia P2, Movimento del 77, Partito Comunista, Partito Radicale, PCI, Picconatore, Pierfrancesco Lorusso, Presidente della Repubblica, Repressione, Studenti on 18 agosto 2010 by Sendivogius
”La verità è che la menzogna, ben più della verità è all’origine della vita, perché se gli uomini si sono evoluti è stato solo grazie alla loro capacità di mentire agli altri e a sé stessi”
Tuttavia, più che le menzogne, sono le verità non dette, surrogate dalle esternazioni salaci di un professionista della provocazione, a caratterizzare la vita e le ‘opere’ di Francesco Cossiga: presidente emerito, e dimissionario, della Repubblica; l’Intransigente; il Picconatore; il Gladiatore; il KoSSiga, massacratore di studenti; il guerriero anticomunista più amato dal PCI… È stato altresì l’uomo dei misteri della “Ragion di Stato”, tutta democristiana, e delle mezze rivelazioni, sputate con l’irruenza mordace di chi ha fatto del primato di una certa politica una scelta non negoziabile.
Quello che di Cossiga non si poteva accettare da vivo, e che non si riesce a perdonare da morto, è stato il suo ergersi ad oracolo danzante, castigatore e moralizzatore di un sistema del quale è stato parte integrante e dal quale, specialmente negli ultimi anni, ha più volte finto di distaccarsi con l’assunzione fittizia di responsabilità, declinate in progressione per moto auto-assolutorio. Ad essere insopportabile era quel gusto narcisistico della polemica referenziale, nell’appagante indulgenza di sé, che sorvolava volentieri sulle sue gravi responsabilità personali per muovere assalti all’arma bianca, brandendo il piccone del risolutore, con divertita irruenza e parole taglienti come lame, dal cinico esibizionismo verbale. E in questo modo appagare nell’anticonformismo di soliloqui sprezzanti, e ricercatamente provocatori, le bramosie celebrative di un Ego smisurato, nella demistificazione della sostanza, dove la sfrontatezza delle reiterate invettive presidenziali sfocia spesso nell’offesa gratuita verso coloro che di determinate decisioni politiche portano un pesante tributo di sangue.
La sostanza è che Cossiga è stato un protagonista della politica italiana, assolutamente organico al Potere, articolato nelle sue forme più repressive e violente, sempre rivendicate con malcelato orgoglio e sottile compiacimento, dove i (pochi) dubbi non hanno mai lasciato spazio ad alcun pentimento in chi, con ogni evidenza, si credeva esente da colpe gravi.
E questo risulta ancora più insopportabile per uno che, vuoi per scelta vuoi per ventura, si è ritrovato a gestire (male quando non malissimo) alcuni dei più delicati incarichi di governo in momenti difficilissimi della storia repubblicana, che (dati gli esiti) avrebbero richiesto un maggior pudore nel loquace presidente dimissionato. Ma la convinzione di essere una specie di immacolato era talmente radicata in Cossiga, da fargli credere di aver diritto ad un posto speciale nell’empireo dei giusti ed un posto riservato in Paradiso.
Una passione antica per i servizi segreti e di sicurezza, conduce infatti quest’ennesimo Grande Statista nei gorghi oscuri delle Leggi straordinarie, nella creazione di corpi speciali, nella difesa di organizzazioni segrete paramilitari, sempre sul filo sottile della legalità costituzionale. L’ordine pubblico, nella visione manichea dei blocchi contrapposti, è inteso dal Cossiga ministro come cristallizzazione immutabile dell’esistente, nella preservazione dello statu quo democristiano, con un’unica finalità: controllare, reprimere, e in caso sopprimere, ogni movimento spontaneo che esuli dal gioco partitocratico delle elite dominanti. È una convinzione che Cossiga persegue con convinzione e cinica determinazione, nel corso della sua carriera istituzionale.
Soprattutto, sembra quasi che l’esistenza di Francesco Cossiga sia stata caratterizzata da una sorta di odio viscerale nei confronti dei giovani e contro ogni forma di idealismo anarcoide, non veicolato nella forma partito. Istanze giovanili e studenti sono infatti l’oggetto prediletto del disprezzo di un uomo nato vecchio (come quasi tutti i professionisti della politica), che non ha mai vissuto una vera giovinezza, imbalsamata nelle grisaglie del potere perseguito e praticato, in una società irreggimentata in una concezione da caserma.
Durante il III° Governo Andreotti, che gode dell’appoggio esterno del PCI di Berlinguer, in una delle tante brillanti tattiche che condurranno la sinistra italiana all’autodistruzione, Francesco Cossiga è Ministro dell’Interno (12/02/1976 – 11/05/1978).
L’11 Marzo 1977, lo studente universitario Pierfrancesco Lorusso viene ucciso dai Carabinieri durante la rivolta studentesca di Bologna, nata durante la protesta contro un’assemblea degli integralisti di ‘Comunione e Liberazione’ all’interno della facoltà di Medicina dell’università felsinea.
Per il ministro Cossiga si tratta di un’ottima occasione per “dare una lezione” agli studenti e stroncare i movimenti dell’ultrasinistra extraparlamentare (in particolare, Autonomia Operaia e Lotta Continua).
«E la disposizione che avevo dato alla Polizia era: se sono operai, giratevi dall’altra parte; se sono studenti, picchiate tosto e giusto»
Il PCI naturalmente si schiera a favore della repressione più brutale, per far bella figura coi moderati e spazzare via ogni possibile “concorrente”.
Rassicurato dall’acquiescenza del Parlamento, il ministro mobilita persino gli M-113: veicoli cingolati da combattimento per il trasporto truppe, in dotazione all’Esercito, e mitragliatrici pesanti.
Il risultato fu che le frange più estreme del ‘movimento’ optarono per la lotta armata, vista come l’unica scelta possibile contro la repressione dello Stato ed il totale autismo degli organi di rappresentanza parlamentare.
Il dubbio deve aver sfiorato anche l’energico Cossiga, perché anni dopo dichiarerà in un’intervista al Corriere della Sera (25/01/07):
«Ho uno scrupolo. Io ho stroncato definitivamente l’autonomia: mandando i blindati a travolgere i cancelli dell’università di Roma e rioccuparla dopo la cacciata di Lama; poi inviando a Bologna, dopo la morte di Lorusso, i blindati dei Carabinieri con le mitragliatrici, accolti dagli applausi dei comunisti bolognesi. Tollerammo ancora il convegno di Settembre; poi demmo l’ultima spazzolata, e l’autonomia finì. Ma la chiusura di quello sfogatoio spostò molti verso le Brigate rosse e Prima Linea»
Il 12 Maggio 1977, il copione di ripete a Roma dove viene uccisa la 19enne Giorgiana Masi durante una manifestazione non autorizzata del Partito Radicale, intento a raccogliere le firme per l’abrogazione (tra gli altri) dei reati di opinione, previsti dal vecchio codice Rocco di stesura fascista, e delle leggi speciali di Polizia. Da sottolineare che per disposizione ministeriale dello stesso Cossiga, il divieto di manifestare era stato imposto a tutti i partiti o movimenti esterni all’arco costituzionale (cioè senza una rappresentanza in Parlamento). La tattica utilizzata dalla Polizia diventerà una prassi consolidata: infiltrazione di agenti provocatori nel corteo, poliziotti in borghese che sparano ad altezza uomo tra la folla. Ai pistoleri con la divisa, si aggiungono anche i vigili della Polizia Municipale di Roma, ai quali il sindaco Alemanno ha recentemente restituito l’arma.
Ad ogni modo, è lo stesso Cossiga a spiegarci la tecnica nei dettagli, consegnandoci un’efficace ricetta democratica, o almeno quello che lui intende per democrazia:
«Maroni dovrebbe fare quel che feci io quand’ero ministro dell’Interno. In primo luogo, lasciare perdere gli studenti dei licei, perchè pensi a cosa succederebbe se un ragazzino rimanesse ucciso o gravemente ferito… Lasciarli fare. Ritirare le forze di Polizia dalle strade e dalle Università, infiltrare il movimento con agenti provocatori pronti a tutto, e lasciare che per una decina di giorni i manifestanti devastino i negozi, diano fuoco alle macchine e mettano a ferro e fuoco le città. Dopo di che, forti del consenso popolare, il suono delle sirene delle ambulanze dovrà sovrastare quello delle auto di Polizia e Carabinieri. Nel senso che le forze dell’ordine non dovrebbero avere pietà e mandarli tutti in ospedale. Non arrestarli, che tanto poi i magistrati li rimetterebbero subito in libertà, ma picchiarli e picchiare anche quei docenti che li fomentano. Soprattutto i docenti. Non dico quelli anziani, certo, ma le maestre ragazzine sì… questa è la ricetta democratica: spegnere la fiamma prima che divampi l’incendio.»
(24 Ottobre 2008, in merito alle proteste studentesche sulla riforma Gelmini)
Ogni riferimento ai fatti di Genova (Luglio 2001) è puramente casuale…
Per ribadire meglio il concetto, il presidente emerito, preso dall’incontenibile nostalgia dei bei tempi che furono, chiarisce il pensiero sulle colonne de La Repubblica:
«Un’efficace politica dell’ordine pubblico deve basarsi su un vasto consenso popolare, e il consenso si forma sulla paura, non verso le forze di polizia, ma verso i manifestanti […] L’ideale sarebbe che di queste manifestazioni fosse vittima un passante, meglio un vecchio, una donna o un bambino, rimanendo ferito da qualche colpo di arma da fuoco sparato dai dimostranti: basterebbe una ferita lieve, ma meglio sarebbe se fosse grave, ma senza pericolo per la vita.
Io aspetterei ancora un po’ e solo dopo che la situazione si aggravasse e colonne di studenti con militanti dei centri sociali, al canto di Bella Ciao, devastassero strade, negozi, infrastrutture pubbliche e aggredissero forze di polizia in tenuta ordinaria e non antisommossa e ferissero qualcuno di loro, anche uccidendolo, farei intervenire massicciamente e pesantemente le forze dell’ordine contro i manifestanti.»
(Dalla lettera aperta alle forze dell’ordine dell’8 novembre 2008; citato in “I consigli di Cossiga”, la Repubblica, 08/11/08)
Ultimamente, questa specie di mamutones sardo travestito da Bava Beccaris ha dichiarato di aver sempre saputo l’identità di chi ha assassinato la giovane Giorgiana Masi, ma siccome sono passati tanti anni e si tratta di un buon padre di famiglia sarà mica il caso di rovinargli la vita proprio ora?!? Perciò silenzio totale, con buona pace di chi quella vita l’ha persa nel fiore degli anni senza mai capirne il perché. Anzi sì! Perché Cossiga voleva giocare alla guerra contro i sovversivi ed ergersi a salvatore della Patria.
Il 1978 è l’anno del sequestro e dell’omicidio di Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse. Tra i massimi sostenitori della “linea della fermezza”, Cossiga rivendica lucidamente di aver determinato la condanna a morte di Moro, rifiutando ogni compromesso o minima possibilità di accordo coi sequestratori.
Qualche anno (1981) ed il fronte della fermezza si discioglie come neve a Ferragosto, con un collettivo calo di braghe, nel caso di Ciro Cirillo: assessore ai Lavori Pubblici per la Regione Campania. Ciò che non si fa per il presidente della DC, Aldo Moro, lo si fa per un oscuro assessore democristiano. Per l’occasione, non ci si fa scrupolo a mobilitare pure camorristi e piduisti. Cirillo verrà rilasciato col pagamento di un riscatto, dopo 3 mesi di prigionia.
Nel 1979, Cossiga diventa presidente del Consiglio (04/08/1979 – 18/10/1980) in uno dei più infausti governi della Repubblica.
Il 27 Giugno 1980 viene abbattuto il DC-9 ITAVIA sopra i cieli di Ustica. È nota l’interminabile serie di depistaggi, insabbiamenti, morti sospette di testimoni chiave, occultamento di prove, che hanno visto coinvolti militari, servizi di sicurezza e intelligence di mezzo mondo, senza che i sempre lungimiranti politici italici muovessero un solo ditino.
Il 2 Agosto 1980 è il giorno terribile della strage alla Stazione di Bologna. Per il Governo Cossiga e la Polizia le cause sono assolutamente accidentali, attribuibili allo scoppio di una caldaia difettosa.
Della strage di Bologna ci siamo già occupati QUI.
Successivamente, nominato Presidente della Repubblica, il 15/03/1991 Francesco Cossiga decide che la matrice della strage non è “fascista” e si affretta a chiedere scusa ai diretti interessati ed eredi del MSI, chiedendo che la lapide commemorativa delle vittime venga corretta. È evidente che in tutti gli anni precedenti (e successivi) il presidente Cossiga non abbia mai ritenuto necessario rivolgere invece le sue scuse ai familiari degli 85 morti e degli oltre 200 feriti, per 30 anni di “segreti di Stato”, depistaggi, omissioni, e silenzi portati avanti dai vertici dei servizi segreti dell’epoca, che una ipocrita vulgata vorrebbe deviati.
Si scoprirà che tutti gli alti ufficiali del SISMI, massimamente coinvolti nella manipolazione delle indagini, sono affiliati alla Loggia P2. Naturalmente, Cossiga ha qualcosa da dire anche su questo:
«Io non so se alcune persone che sono state messe nelle liste ci fossero o no, io ho detto semplicemente che alcune di quelle persone le conosco, sono dei grandi galantuomini e per i servizi che hanno reso, essendo io al governo del Paese, sono dei patrioti.»
Infatti, seppur cattolicissimo, Cossiga ha sempre avuto una grande passione per le organizzazioni segrete e per la massoneria. Perciò, quando nel 1990 un giovane magistrato siciliano osa indagare sulle notorie connessioni che sull’isola (e non solo) intercorrono tra mafia e massoneria, il Presidente sbotta furente:
«Possiamo continuare con questo tabù, che poi significa che ogni ragazzino che ha vinto il concorso ritiene di dover esercitare l’azione penale a diritto e a rovescio, come gli pare e gli piace, senza rispondere a nessuno? … Non è possibile che si creda che un ragazzino, solo perché ha fatto il concorso di diritto romano, sia in grado di condurre indagini complesse contro la mafia e il traffico di droga. Questa è un’autentica sciocchezza! A questo ragazzino io non gli affiderei nemmeno l’amministrazione di una casa terrena, come si dice in Sardegna, una casa a un piano con una sola finestra, che è anche la porta.»
Il “giudice ragazzino” si chiama Rosario Livatino, ha 38anni e verrà assassinato dalla Stidda agrigentina il 21 Settembre 1990.
Dal buio del suo nuraghe, non risulta che Cossiga abbia trovato altre parole per dire l’unica cosa possibile: “Perdonami, sono davvero una vecchia merda.”
Poi ci sarebbe la lunga vicenda inerente la struttura Gladio e Stay Behind, che determineranno le dimissioni di Cossiga dalla Presidenza della Repubblica, non prima di aver glorificato questo gruppo di patrioti specializzato nell’addestramento clandestino di bombaroli e nel rifornimento di armi ed esplosivo, passati sottobanco a gruppi neo-fascisti ed eversivi di estrema destra in nome della santa crociata contro il comunismo: 40 anni di strategia della tensione, passando per Peteano…
In effetti, ci mancheranno le elucubrazioni incensatorie del Cossiga pensiero.
Chissà che giù agli Inferi non le trovino divertenti…
Il sugo della storia
Posted in Muro del Pianto with tags Alessandro Manzoni, Conflitto generazionale, Curzio Maltese, Disoccupazione, Futuro, Giovani, Istruzione, Lavoro, Liberthalia, Potere, Precariato, Promessi sposi, Scuola, Studenti, Vecchi on 5 luglio 2010 by SendivogiusSono molti gli Autori che leggiamo, più o meno volentieri, ma pochi (per i nostri gusti) posseggono l’incisività e la capacità proiettiva di un Curzio Maltese, capace di incidere là dove la carne si incista nel marcio della cancrena:
«Ma perché questi ragazzi non si ribellano? A chi serve andare avanti così? Essere giovani in Italia significa ormai rinunciare alla dignità di vivere. Il lavoro, quando c’è, fa schifo, è precario e sottopagato. Ma sempre più spesso non c’è. Gli hanno raccontato che con la flessibilità non vi sarebbe stata disoccupazione e se la sono bevuta, incredibilmente, hanno condiviso il finto liberismo dei padroni e sono diventati schiavi. Il risultato è che un giovane su tre è disoccupato. Comunque anche i fortunati, si fa per dire, con lo stipendio non riescono a mantenersi e devono pescare nella borsetta di mammà, come cantava Carosone. Ora si berranno pure la favola che la colpa di tutto è dei lavoratori più anziani, dei loro diritti acquisiti. Ma quei diritti le generazioni precedenti se li sono conquistati al prezzo di lotte durissime, mica abboccando alle balle dei presidenti di Confindustria o dei miliardari prestati alla politica.
L’Italia è un Paese di vecchi che odiano i giovani e le donne. Ma giovani e donne votano per una classe dirigente di uomini vecchi e quindi il cerchio si chiude. Il progressivo rimbecillimento della nazione si compie senza conflitti generazionali.
Da giovane detestavo chi parlava di “giovani”, senza distinguere, perché i “giovani” naturalmente non esistono come categoria. Eppure quanto avviene da noi nel rapporto tra generazioni merita attenzione, perché non accade altrove. Non esiste un Paese europeo dove il governo passa tagliare fondi all’istruzione senza provocare rivolte di piazza. I giovani europei sanno benissimo che l’unica speranza di avere un futuro nel mondo globalizzato consiste nel ricevere una buona formazione in scuole e università di eccellenza. Ora da noi le scuole pubbliche non hanno i soldi per la carta nei cessi e le università se la battono nella classifiche internazionali con l’Africa. Ebbene il governo demolisce quel poco che rimane e studenti stanno zitti e buoni. Ad aspettare che cosa? Un lavoretto per l’estate ed un altro per l’autunno? A prendersela con gli immigrati? In Italia non esiste sostegno ai giovani disoccupati; non esiste una politica della casa per le giovani coppie. Tutto è delegato a mamma e papà. Vi sta bene? Si fa davvero fatica a capirvi. Certo tutta quella televisione assunta fin dalla prima infanzia deve aver fatto parecchio male.
Ma, insomma, ragazzi svegliatevi, non fidatevi di delegare a qualche furbastro la protesta, scendete in piazza, fate qualcosa, arrangiatevi. Oppure smettetela di arrangiarvi. Che cosa avete da perdere?»Curzio Maltese
(02/07/2010)
L’Italia è soprattutto un Paese di finti ricchi che vivono nel terrore di sembrare poveri.
Di conseguenza, i diretti interessati fanno di tutto per nasconderlo. Ogni loro sforzo è concentrato nell’allinearsi al conformismo al ribasso dell’informe “gruppo dei pari”, attraverso le illusioni di una grande mistificazione. Questo è il Paese dove il precario con contratto a progetto si definisce consulente. La telefonista dei call center, costretta ad aprirsi la partita IVA, si fa chiamare libera professionista. Il piazzista porta-a-porta è agente monomandatario e la stagista addetta alle fotocopie sogna di diventare assistant.
Salvo rare eccezioni, si tratta di persone occupate in lavori a scadenza che detestano; che percepiscono paghe pessime, insufficienti a pagare gli affitti o i mutui dei loculi in cui vivono. Per questo, appena possono, corrono nel centro commerciale più vicino per fare incetta di stronzate inutili, magari acquistate a rate. Sono i feticci da esibire durante i tristissimi rituali crepuscolari dello spritz: la variante cool dell’antico cicchetto del nonno.
L’importante è che siano trendy, hi-tech…
Perché nel non-essere collettivo l’importante è apparire, omogenei alla massa dove la forma è sostanza.
È questo il Paese dove il “potere” va coccolato, vezzeggiato, assecondato, non disturbato e mai contestato, giacché il padrone di oggi può diventare il patrono di domani, nel ciclo di clientele che preludono all’eterno ritorno al sempre uguale.
Forse è per questo che nelle nostre scuole il romanticismo stucchevole di Alessandro Manzoni è elevato a caposaldo della letteratura italiana, con la sua visione accomodante e soprattutto innocua. Perché la Storia deve soprattutto rassicurare ed essere confermata nella sua immutabilità. Va servita secondo tradizione e col ‘sugo’ ribollito fino ad essere indigesto:
“Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire. – Ho imparato, – diceva, – a non mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lì d’intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d’aver pensato quel che possa nascere -. E cent’altre cose.
(…) Insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia.”Alessandro Manzoni
“I promessi sposi”
Cap. XXXVIII
Il Moschettiere del Re
Posted in Stupor Mundi with tags Al Qaeda, CSM, Decreto Gelmini, Democrazia, Dichiarazioni, Fabrizio Cicchitto, Futuristi, Giovani, La Sapienza, Legge Gasparri, Manifesti, Maurizio Gasparri, Ministro delle Comunicazioni, Multa, Obama, PD, PdL, Piazza Navona, Portavoce, Questura, RAI, Roma, Santoro, Senato, Silvio Berlusconi, Sinistra, Stato Italiano, Studenti, UE, Università, USA on 9 novembre 2008 by Sendivogius
“A Roma in queste ore campeggiano manifesti firmati dal Pd con la mia foto e su scritto ‘vergogna’. E’ uno stile più da Brigate Rosse che da partito democratico. Indicare un obiettivo con una foto in un momento in cui nelle piazze ci sono tensioni è irresponsabile. Sono più stupito che preoccupato da questi allievi di Goebbels e Stalin”
(Maurizio Gasparri, Capogruppo PdL al Senato)
Infatti l’indignato Gasparri si attiene ai rigori della tradizione: lui è fedele solo alla memoria del Duce quale modello d’ispirazione, giacché “Il fascismo non è la parentesi oscura della storia” (2002).
Tra i nostalgici del glabro Mascellone, l’incontenibile Gasparri è solito distinguersi per i suoi preziosi contributi alla dialettica democratica e per l’attenta sensibilità che da sempre tempera la sua infiammante verbosità. Moralizzatore tra i moralizzatori, è finalmente pronto a colmare un antico trittico mussoliniano, rimasto troppo a lungo incompiuto, tra le sbiadite figure di Achille Starace “il cretino obbediente” e Giovanni Giuriati “l’austero fesso”. Purtroppo, Maurizio Gasparri non è austero né obbediente e, come tutti i dipendenti troppo zelanti, tende a strafare. Avvezzo alla mannaia più che al fioretto, la sua spada è la lingua che proprio non riesce a tener ferma. Instancabile imperversa con la persistenza molesta di uno sciame di zanzare. Esteta dell’invettiva, il Gasparri-pensiero travolge ogni ramo dello scibile come un torrente in piena, scorrendo in libertà con un profluvio di parole che sembra non conoscere limiti né pudori. Pronto ad esplodere fragoroso con la grazia di un peto ad un pranzo di gala, è l’ossesso indefesso dell’oltranzismo presenzialista. Nell’esercito dei portavoce a stipendio, è il mazziere che guida la fanfara dei cicisbei all’unto Cavalier serventi, insieme all’immarcescibile Fabrizio Cicchitto suo alter ego alla Camera.
Indimenticato Sottosegretario agli Interni nel 1994, Gasparri dà il meglio di sé nel 2004 quando, in qualità di Ministro delle Comunicazioni, regala a padron Silvio (ed al Paese tutto) la sua omonima legge. Vagliata con procedura di infrazione alle regole comunitarie, la Legge Gasparri è stata bocciata dalla bolscevica Unione Europea (alla quale l’Italia ancora aderisce), per l’occupazione abusiva delle frequenze di Stato da parte di Rete 4. La stessa UE, a luglio 2007 dà 2 mesi di tempo all’Italia per correggere le presunte storture della legge Gasparri sulla parte relativa al digitale terrestre. La richiesta di proroga del governo italiano è stata respinta, ciò vuol dire che con le regole in vigore lo Stato Italiano (e cioè noi tutti) dovrà pagare, a partire da gennaio 2009 e con effetto retroattivo al 2006, una multa di 300-400 mila euro al giorno. La stima iniziale di questa sanzione è tra 328,5 e 438 milioni di Euro. Non che la cosa abbia suscitato grandi preoccupazioni nel successivo governo Prodi o nella sua scalcinata maggioranza. E meno che mai nel Democratic Party de’ Noantri.
Coerentemente, declassato a capogrullo al Senato, Maurizio Gasparri invita a non pagare il canone RAI “che impedisce la libertà e la democrazia”. Uomo del fare, promette l’avvio di “una campagna contro la Rai delle guardie rosse che ha avuto un comportamente inaccettabile e che dovrà essere immediatamente stroncata dai vertici dell’azienda” (24 Ottobre 2008 – Agi).
Oggetto dell’indignazione del Gasparri furioso è lo “stalinista” Santoro, reo di aver impedito il solito comizietto dell’ennesimo replicante del verbo berlusconiano, il solo realmente consentito (oltre, naturalmente, ai dispacci dei questurini: la voce della libertà).
La stessa sobrietà e ossequioso rispetto democratico si può naturalmente ravvisare nei confronti di tutti quei facinorosi irriducibili che si ostinano a manifestare contro l’intoccabile Decreto Gelmini: “Quanto sta accadendo a Roma e in tante altre città d’Italia è vergognoso”, precisando che “non si è mai vista contestazione più ridicola, più bugiarda, e più manovrata dai partiti”. Altro? Sì certo! Si tratta di provocatori “istigati dai mestatori del Partito Democratico” e con coraggio denuncia i “vergognosi episodi di intolleranza”. Ovviamente Gasparri non si riferisce ai bastonatori fascisti di Piazza Navona, ma a “questa sinistra delle menzogne e della violenza fisica e verbale” che si augura “sia definitivamente smascherata”. Presupponiamo che stia parlando della “natura criminogena della sinistra” (Ansa – 18 Ottobre 2008). Soprattutto non poteva mancare l’immancabile definizione di “coglioni” rivolta ai giovani contestatori, in omaggio allo stile aulico e raffinato del Cavaliere Nero di Arcore.
Del resto, Gasparri ha una predilezione particolare per il mondo accademico, il libero pensiero, ed il diritto di critica: “Dopo lo sconcio della Sapienza di Roma ci attendiamo che vengano assunte iniziative per allontanare dall’ateneo i professori ancora in servizio che hanno firmato quel vergognoso manifesto. Questa dimostrazione di intolleranza non può restare priva di conseguenze” (16/01/08 – in occasione dell’opposizione universitaria al monologo papale per l’inaugurazione dell’anno accademico). Uomo d’ordine, il democraticissimo Gasparri consiglia sempre la stessa ricetta: “Epurare”; “Reprimere”; “Rimuovere”; “Punire”.
Ma Gasparri è altresì padre responsabile e genitore amorevole, perciò è molto comprensivo nei confronti dei ragazzi di sinistra, vittime innocenti di “genitori sconsiderati”. Si tratta dei “figli intossicati da cattivi genitori dal cervello bruciato dalla droga e dalle bugie” (18 Ottobre ’08 – Ansa).
Uomo delle Istituzioni, è anche un attento cerimoniere di corte: “Il CSM è una cloaca!” (18 Luglio 2008 – Intervistato su Radio Radicale).
Perciò proprio non si capisce la barbarie leninista con cui è stato attaccato il raffinato Maurizio Gasparri. che in fondo aveva semplicemente alluso ad una presunta collusione del nuovo presidente USA (l’è un negher!) con i terroristi di Al Qaeda. Su tutte, riportiamo la solidarietà del compagno Cicchitto:
“Un manifesto incredibile con tanto di fotografia per indicare un bersaglio da colpire. Un manifesto di autentica barbarie che può provocare pericolosissime conseguenze. Il Pd deve solo vergognarsi e dovrebbe chiedere scusa”.
Nel 1296 Edoardo I Plantageneto, re d’Inghilterra, a chi gli faceva notare i rischi connessi con una guerra contro gli scozzesi, rispose: bon besoigne fait qy de merde se delivrer.
Non prendiamocela perciò col suscettibile Gasparri, La quantità delle sue dichiarazioni è inversamente proporzionale alla qualità dei contenuti, dove le idee (poche e confuse) si perdono in un chiasmo crescente, crepitando nel calderone ribollente dell’iperbole linguistica e della provocazione semantica in una cacofonia inesauribile di castronerie, rumorose esternazioni e imbarazzanti puntualizzazioni. Un trionfo futurista.
Perciò sarà il caso di salutare virilmente lo scoppiettante Maurizio Gasparri con un futuristico vaffanculo.
Lo Stato di Polizia
Posted in A volte ritornano with tags 25 Ottobre, Aldrovandi, Bolzaneto, Consenso, Cossiga, Decreti Legge, Democrazia, Dittatura, Eluana Englaro, Governo, Manifestazione Nazionale, Parlamento, PD, Polizia, Principio di Necessità, Rasman, Repressione, Silvio Berlusconi, Stampa, Stato di diritto, Stato di Polizia, Studenti on 24 ottobre 2008 by Sendivogius
“La lunga marcia verso il baratro”
Uno strano demone sembra agitare i desideri ed i furori di Silvio Berlusconi, il Cavaliere Oscuro e Nerissimo di questa Gotham volgare e strapaesana. Una titanica lotta tra passioni contrastanti, il cui unico risultato è la sconfitta della Ragione Democratica, che resta sostanzialmente estranea al suo Ego smisurato. C’è forse un trauma misterioso all’origine di un complesso d’inferiorità mai colmato: Berlusconi appare come divorato dalla patologica ricerca di riconoscimenti ed onori, del tributo plebiscitario, quasi travolto da un esibisionismo narcisista che straborda in un incontenibile Delirio di Onnipotenza.
Da tempo abbiamo imparato a conoscere le ambizioni smisurate del personaggio: eroe e specchio di un’Italietta deprimente nel suo qualunquismo, ma pur sempre maggioritaria; il prodotto viscerale di una “massa amorfa”, ma ben distinta, che si nutre delle fobie e delle irrazionalità della folla. La Paura come combustibile per la Fabbrica del Consenso (ne abbiamo già parlato in “Chi coltiva il seme di Phobos”). L’elezione come investitura totale. La designazione politica come incoronazione popolare e unzione regale, mentre l’esercizio della funzione pubblica viene trasfigurato in decisionismo paternalistico, tramite l’accorpamento dei poteri dello Stato regredito alla sua forma pre-moderna. Padre e Re della Nazione, trascende l’immanente per assurgere a Verbo incarnato nel sacro corpo dello Stato. L’Etat c’est moi! Ed è forte la sensazione che la Repubblica stia scivolando lungo una pericolosa involuzione autoritaria, perpetrata nell’indifferenza generale della cosiddetta “gente” raggrumata in un comun sentire volto al ribasso. Appendice propedeutica al potere del Re Taumaturgo.
Demiurgo e tautologo, l’Unto parla alla pancia di un elettorato deresponsabilizzato, ridotto a ruolo di plebe da compiacere. Ne eccita le fantasie e con illusioni ne soddisfa i bisogni primari, attraverso un inarrestabile processo regressivo e altresì di identificazione costante. Dalla Democrazia delle cittadinanze attive all’Oclocrazia di sudditi plaudenti, tra specialisti in querimonie e accattoni professionisti dello scambio clientelare. Riconoscerli è facile; esistono dei parametri su scala nazionale: vivono ossessionati dalla “roba”; hanno poche idee ma confuse; se gli parli di “valori” controllano subito le tasche per essere sicuri che qualcuno non glieli abbia fregati. Spesso non pagano le tasse, perché evadere è giusto (e se lo dice Lui…), perché tanto c’è il condono. Però i servizi pubblici li pretendono perfetti, confezionati su misura, e rigorosamente gratuiti! Piangono miseria, ma intanto accumulano denari ed elemosinano favori. Il loro mantra si chiama “Sicurezza”. Diffidano di tutti e di tutto; trincerati nel loro sterile orticello provinciale, vivono in perenne sindrome d’assedio.
“La società civile non esiste!” M. Thatcher, the iron lady, aveva ragione. Anche il nostro supereroe nazionale, il Cavaliere Nero di Arcore, lo sa bene e mette in pratica la lezione. Perciò, per quei pochi che ancora si indignano:
Inquieta il progressivo svuotamento dei poteri degli organismi di controllo e di garanzia istituzionale, ridotti a mere propaggini formali di un ordinamento piegato e conformato alle esigenze del sovrano. Eclatante è in tal senso la reiterazione dei provvedimenti ad personam nell’esclusivo beneficio di un unico soggetto, che stabilisce per legge il suo stato d’eccezione con una incredibile sospensione dello stato di diritto.
Preoccupa il ricorso esasperato alla decretazione d’urgenza, come normale prassi di governo secondo il principio di necessità, che (de facto) esautora il Parlamento delle sue prerogative. A tal proposito l’autonomia legislativa delle Camere sembra ledere le aspirazioni assolutistiche del regolo brianzolo, che infatti sollecita la modifica dei regolamenti parlamentari in senso restrittivo, nonostante disponga di una maggioranza schiacciante senza precedenti.
Sconcerta l’onnipresenza interventista in ambito economico e finanziario, come ad esempio l’immissione di enormi capitali pubblici nella crisi dell’Alitalia e del sistema bancario, con la collettivizzazione delle perdite, senza uno straccio di confronto parlamentare e senza che si conoscano in dettaglio gli oneri dell’intervento.
Imbarazza l’abdicazione dei principi laici e dei diritti individuali in nome di una contiguità di interessi col potere clericale, che in proposito continua a decidere l’agenda politica: sul Caso Englaro relativo al testamento biologico; sull’applicazione della Legge 194; sull’accesso alla cosiddetta “pillola del giorno dopo”; sulla libertà di ricerca medica (sperimentazione delle staminali); sull’ostracismo pubblico delle “coppie di fatto”; sulla preminenza dei valori religiosi…
Il tutto avviene con una concentrazione di poteri senza eguali, nell’impotente inerzia delle opposizioni. Eppure ciò sembra non bastare ancora all’insaziabile reuccio di Arcore che dal suo trono ammonisce, strepita, e poi smentisce, per ribadire l’indomani ciò che ha rinnegato soltanto ieri! Ha un consenso da regime (oltre il 60% dice Lui), eppure non si sente sicuro.
Minaccia pubblicamente quel poco che resta della libera informazione. E questo nonostante abbia la proprietà di media e testate giornalistiche, a cui si aggiunge la compiacenza di buona parte della stampa; sia uno dei tycoon editoriali più potenti del pianeta; disponga del controllo diretto (e indiretto) di sei reti televisive, tra cui una abusiva.
Con l’82% delle presenze televisive (tra governo, premier, e maggioranza) tuona contro l’eccessivo spazio concesso agli esponenti dell’opposizione parlamentare, arrivando ad inibire loro l’accesso alle TV pubbliche, e scatenando i suoi bastonatori in livrea qualora tale divieto non venga ottemperato secondo le volontà del sovrano.
Pretende di scegliersi pure chi abbia il privilegio di fargli opposizione e soprattutto come farla: i suoi detrattori il Re se li sceglie da solo, in una parvenza di finzione democratica. Ad esempio, la IdV non è di suo gradimento, pertanto ha deciso unilateralmente che si tratta di un “partito eversivo” da ostracizzare nel Parlamento e nella società. I presidenti delle Commissioni di Vigilanza, la cui nomina spetta da sempre all’opposizione, si eleggono solo se sono di suo gradimento.
Insofferente all’idea stessa che possa esistere una qualche forma di dissenso, Re Silvio ne relega la natura a problema di Ordine Pubblico, inteso come mera repressione poliziesca contro le offese alla sua sacra maestà. Convoca d’urgenza il suo Ministro della Polizia per decidere le ritorsioni contro gli studenti (per ora chiamati “facinorosi”, domani perseguiti come “sovversivi”?) che osano contestare gli insindacabili atti del monarca. Galvanizza gli organici di polizia, garantendo loro un arbitrio mai visto e una sostanziale impunità per eventuali abusi (vogliamo qui ricordare i massacri della scuola A.Diaz e di Bolzaneto? Gli omicidi legalizzati di Federico Aldrovandi, di Riccardo Rasman, di Aldo Bianzino, fino all’assassinio di Gabriele Sandri?). Svuota le caserme e riversa i militari per le pubbliche vie in nome della sicurezza nazionale.
Sconcertante è l’atteggiamento assunto dal Reuccio e la sua corte contro la manifestazione nazionale di sabato 25 Ottobre (una iniezione adrenalinica per l’esangue PD veltroniano), vissuta come un delitto di lesa maestà. Indecente è la pretesa di cancellare l’iniziativa, programmata con ben quattro mesi di anticipo, perché sarebbe contro il governo (!?!) e ne danneggerebbe l’immagine durante una delicata congiuntura internazionale. Invece, nel 2006, le sguaiate iniziative del Nano Nero contro i “brogli di Prodi” erano parte di un normale percorso democratico. Cosa pensa di fare l’indignato monarca? Provocare i manifestanti per giustificare la reazione? Soffocare la protesta a colpi di manganello e lacrimogeni speciali? Punire i “sovversivi/terroristi” nel chiuso delle celle di sicurezza come a Genova durante il G-8? Sparargli addosso come ai tempi di Cossiga, secondo gli insegnamenti di Bava Beccaris? In proposito, sarà bene ricordare che Gaetano Bresci partì dagli USA proprio per vendicare la strage milanese del 1898.
Siamo alla vigilia dello Stato di Polizia? Di un golpe bianco? Sarebbe lecito crederlo, se il cipiglio severo del decisionista non si perdesse tra le smentite reiterate e le fanfaronate istrioniche di un avanzo da avanspettacolo, promosso a dittatorello da repubblica bananiera.