Nel paese delle impunità, ogni peccatore ha il suo santo protettore… Ne esistono per tutti i gusti e per tutte le appartenenze. Ed i ladri non fanno certo eccezione, essendo la categoria numerosa. Perché il delitto paga (in Italia più che altrove), soprattutto quando lo spudorato ladrone ha pure il privilegio di ‘lavorare’ (si fa per dire) nel pubblico impiego e meglio ancora nelle Poste, nella presunzione di inamovibilità e massimamente nella pretesa di intoccabilità.
P.R. è un ladrone di 58 anni, pizzicato nell’ormai lontano 31 Agosto del 2012 a fregarsi i soldi direttamente nella cassaforte dell’Ufficio postale di Vasto, in Viale Giulio Cesare, trasformato nel suo personale bancomat privato e pronto uso. Come impiegato, aveva direttamente a disposizione le chiavi della cassaforte, per poter attingere liberamente al malloppo. Il ladrone tiene alla roba più ancora che alla ‘famiglia’; la Porsche Cayenne costa e poi ci sono tanti piccoli sfizi da levarsi col peculio altrui. Perché dunque non servirsi delle disponibilità di Posta Impresa (la sua)?!? Il prelievo andava avanti da tempo… e vista la pesca fortunata il nostro ladrone al terzo tentativo si porta via altri 15.000 euro dalla cassa. Finalmente viene beccato e denunciato. Dal momento che anche la feccia è innocente fino a conclusione del procedimento penale, P.R. viene saggiamente trasferito e poi sospeso dal servizio su decisione della direzione Poste, a seguito alle misure cautelari disposte dal magistrato, ed in attesa della sentenza definitiva da parte dell’autorità giudiziaria: l’unica legittimata a sancire la colpevolezza dell’inquisito.
Siccome i ladri hanno anche la faccia come il culo, P.R. che nel frattempo si muove indisturbato con una denuncia a piede libero (e senza che gli sovvenga mai l’idea di restituire il maltolto) fa subito ricorso per essere riammesso in servizio, mobilitando ben due avvocati per la bisogna. Vince l’appello e viene reintegrato. Mal incolse alle Poste, perché il ladrone non pago prevede ancora una volta di ricorrere e questa volta per il “demansionamento”, giacché il tapino è stato quanto meno tenuto lontano dal maneggiare i contanti, ben conoscendo il vizietto di siffatta ‘risorsa’ modello. Nel frattempo (ed è il 22/08/16) il reato viene derubricato da “peculato” ad “appropriazione indebita”, P.R. viene giudicato colpevole e condannato ad un anno e nove mesi, ovviamente con sospensione immediata della pena. A questo punto, l’amministrazione delle Poste può finalmente licenziare senza indugio il ladrone conclamato e condannato (seppur in primo grado). Come dicevamo, anche i ladri hanno il loro santo patrono. E l’angelo custode di P.R. si chiama Ilaria Pozzo, magistrata del lavoro, che ordina l’immediato reintegro a lavoro e nelle precedenti mansioni svolte, col pagamento di tutti gli stipendi arretrati e delle spese legali a carico dell’ente Poste.

Per la scrupolosa magistra, lo scandalo non sono cinque anni per addivenire a sentenza, ma il fatto che le Poste non abbiamo licenziato da subito il ladrone impenitente. Insomma, se P.R. fosse stato licenziato a procedimento giudiziario ancora aperto e senza addivenire a sentenza, il licenziamento preventivo si sarebbe configurato come arbitrario e quindi come abuso. Essendo P.R. stato cacciato via soltanto dopo l’emissione di una sentenza di colpevolezza, che ne certifica le responsabilità penali (senza altri inconvenienti in termini pratici), il licenziamento è comunque illegittimo perché, stando all’interpretazione della illuminata giudice, “la contestazione formale è irrimediabilmente tardiva” (!?). L’avvocato, soddisfatto, parla di “principio di civiltà” rispristinato e tutela del “diritto al lavoro” (o di rubare?). Il ladrone sentitamente ringrazia. E noi ringraziamo la giudice Ilaria Pozzo, per così fulgido esempio di giustizia applicata nella ritrovata “certezza della pena”, sancendo l’imprescindibile diritto del P.R. di poter continuare a rubare impunemente. È rassicurante sapere che in Italia abbiamo magistrati così, capaci di regalarci una variante kafkiana del teatro dell’assurdo. Sono soddisfazioni, che giovano alla reputazione della categoria.
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This entry was posted on 21 settembre 2017 at 17:23 and is filed under Muro del Pianto with tags Costume, Cronaca, Giustizia, Ilaria Pozzo, Italia, Ladri, Liberthalia, Magistratura, Poste Italiane, Vasto. You can follow any responses to this entry through the RSS 2.0 feed.
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22 settembre 2017 a 01:19
Beh, sai come si dice, “le vie del signore sono infinite”. Decisamente il ladruncolo è nato con la camicia, non è da tutti rispondere delle proprie malfatte a magistrati che interpretano il codice in maniera “creativa”.
Non è il primo caso, non sarà l’ultimo. Tante sentenze rasentano il limite della pazzia, alcune sono venute agli onori della cronaca, altre sono passate del tutte inosservate.
Nell’immaginario collettivo, un reato accertato, porta ad una condanna certa. Di conseguenza ci si aspetta che il neo Arsenio Lupin, se non in galera almeno venga mandato a pascolare con sonori calcioni nel lato “B”. E invece no! Basta un giudice più o meno incapace per stravolgere completamente il concetto di giustizia. E come diceva qualcuno prima di me “la domanda sorge spontanea” Chi giudica il giudice? Non certo il Csm in tutt’altre faccende affaccendato. Resto speranzoso in attesa di risposta…
Con cordialità 🙂
22 settembre 2017 a 15:26
Peraltro, la dott.ssa Pozzo avrebbe pure fama di magistrato ‘severo’ e di una certa intransigenza…
Il suo ragionamento logico è (in)eccepibile: dinanzi ad una fattispecie concreta di reato, il reo (non ancora giudicato colpevole) andava punito subito e cacciato via di conseguenza. L’ingiunzione di riammissione al lavoro da parte delle stesso Tribunale di cui la Pozzo fa parte, dopo la sospensione cautelativa che pure le Poste avevano predisposto, evidentemente è stata considerata del tutto irrilevante ai fini del mancato licenziamento.
Non essendo stato cacciato subito, secondo la Pozzo, non può essere rimosso neanche dopo, predisponendo l’immediato reintegro in organico. Col paradosso che le Poste dovranno pagare gli stipendi arretrati, mentre il ladro non dovrà restituire la somma rubata alle stesse, necessitando una nuova causa, immagino ‘civile’, per la quantificazione del danno.
Nella sua ansia di giustizia (formale) la Pozzo è eccezionale: sospesa la pena, se ne svuota tanto il valore ‘deterrente’, tanto quello ‘rieducativo’, sancendo l’impunibilità del reato.
Il problema è che sulla falsariga di queste illuminate sentenze (che non interpretano ma distorcono il diritto) scaturiscono reazioni concrete: smantellamento dei diritti sociali e cancellazione dell’Art.18 (facendo passare il principio che “tutela ladri e fannulloni”), sceriffi col cappio e ronde coi forconi con la speculazione (tutta politica) delle paure della ggggente, che giustamente non prende bene il danno e pure la beffa di vedersi i colpevoli in circolazione dopo nemmeno 24h dal fattaccio.
E’ vero che i parlamentari votano spesso leggi ad cazzum, ma è pure vero che molta magistratura le interpreta ed applica ancor peggio.
Ovviamente, caro Franco, la cordialità è sempre ricambiata e con rinnovato piacere.