La regola aurea del perfetto venditore consiste nell’identificazione totale col prodotto che si intende piazzare sul mercato; perché l’entusiasmo, se ben convogliato, può essere contagioso e indurre il cliente all’acquisto. A quel punto, ciò che compri non è la merce in quanto tale (un lavorato di plastica e metallo), ma il feticcio di un immaginario desiderante, che si espande tramite la declamazione virtuale di quella che in fondo è una suggestione in vendita, nell’appagamento di un bisogno indotto. Nel marketing applicato alla politica, a compensazione di un’abissale assenza di contenuti, la figura del ‘venditore’ e del ‘leader’ coincidono in una sostanziale adesione di ruoli, funzionale alla vendita di un prodotto elettorale in cui ciò che conta non è quasi mai il contenuto, ma l’involucro che avviluppa la confezione, con le sue promesse e la sua carica di aspettative, prima del disvelamento del “pacco”. In fondo, si tratta di una recita strutturata, dove i meccanismi della televendita diventano gli strumenti universali di una politica spettacolo, per la veicolazione di messaggi resi indistinguibili da una promozione commerciale. La passione è solo una rappresentazione scenica della stessa, secondo le necessità di copione che regolano gli atti dell’esibizione. Non vi è alcuna tensione ideale. La caparbia determinazione, con cui vengono declamate in un mirabolante turbine di annunci le incredibili potenzialità del prodotto, è la stessa di un piazzista di pentole che ogni volta rilancia l’offerta, arricchendo il set in promozione con gadget di contorno da abbinare alla vendita. L’importante è l’esposizione della marchetta, procrastinata avanti nell’indeterminatezza di un tempo sospeso sul vuoto delle attese, ma surrogato da un crescendo di aspettative per incentivare l’acquisto dell’intero stock per corrispondenza. A scatola chiusa e con recesso limitato al prossimo giro elettorale. Nella concentrazione personalistica del potere, incentrata nella promozione costante del leader, l’ingrediente predominante è il suo narcisismo: l’unico elemento di cui non difetta mai e che dispensa in abbondanza nel compiacimento di se medesimo. Attraverso una sostanziale identificazione di ruoli perfettamente sovrapponibili l’uno con l’altro, tanto da diventare indistinguibili tra loro, il piazzista convive con l’istrione ed entrambi fanno il paio al cialtrone, che nella preponderanza dell’idiota in politica nell’ansia di distinguersi dalla nutrita concorrenza ama assumere le vesti del “leader”, l’uomo solo al comando, che poi in Italia costituisce l’ennesima variante di una vecchia gloria nazionale: il Cazzaro di successo. L’alternanza è anagrafica, ma il prodotto è sempre quello; possibilmente riadattato alla moda del momento. Cambia solo la data di scadenza, mediante contraffazione dell’etichetta di un prodotto già avariato di suo. Come per l’Omino di burro che guida i ciuchini nel Paese dei Balocchi, quando ci si accorge dell’inganno è sempre troppo tardi. Al grande incanto delle promesse elettorali e degli spauracchi a buon mercato abbondano gli imprenditori della paura, che battono i borghi di provincia agitando cappi e pistole, insieme agli specialisti dell’indignazione prezzolata un tanto al chilo in conto ka$ta. Tuttavia, la figura più amata resta indubbiamente quella del venditore di favole, il piazzista dei sogni a buon mercato, fatti della stessa sostanza delle illusioni e racchiusi dentro un gessato troppo attillato, dietro una paresi facciale contratta in sorriso permanente a 36 denti. Perché il vero cazzaro professionista è come un giocatore di poker: rilancia di mano in mano, raddoppiando la posta, finché qualcuno non decide di vedere il bluff. Fisicamente simili come due uova di pasqua fuori stagione, entrambi strizzati in abiti troppo stretti sui chili in eccesso, il faccione lievitato a dismisura nell’indifferenziata espressione beota dai tratti porcini, sono i gemelli diversi della politica italiana, il Vecchio ed il Giovane in Wonderland.
Ma se il Papi della Patria era un imbonitore di sogni, il suo emulo fiorentino è sostanzialmente un venditore di se stesso. Nella sua insuperata carriera ventennale, il Pornonano ha dominato la scena promettendo milioni di posti di lavoro, declamando risultati ‘epocali’, le new towns, e disegnando “grandi opere” coi pennarelli colorati sui tabelloni allestiti nel salottino di Vespa, dei quali rimangono solo le coreografie di cartapesta, i piloni arrugginiti ed una voragine di miliardi spariti nelle tasche dei soliti noti. Invece, nella grande narrazione renziana, non vi sono evocazioni riconducibili ad immagini certe e definite. Abbondano piuttosto i continui riferimenti a termini vacui nella loro ambiguità onnicomprensiva: le mitiche “riforme”, la “speranza”, il “futuro”, il “cambiamento”… un carosello di termini vuoti, nell’indefinitezza che ne contraddistingue i contenuti. Tutto si riduce ad una concentrazione spasmodica dei poteri istituzionali, che vengono ridisegnati in funzione monocratica, nel costante svuotamento degli organismi di controllo intesi come intoppo decisionale. Il Bambino Matteo vive sostanzialmente di grandi annunci, ma l’unico prodotto che promuova davvero è sé medesimo, nel perseguimento del potere in quanto tale: strabordante come la sua obesità crescente, in una bulimia che si fa palpabile a tal punto da assurgere a dimensione fisica del personaggio, misura e fine di tutte le cose. È la metafora di un ego incontenibile, che ha fatto di merce e venditore un unico articolo di fede.
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«…conto su pochi lettori e ambisco a poche approvazioni. Se questi pensieri non piaceranno a nessuno, non potranno che essere cattivi, ma se dovessero piacere a tutti li considererei detestabili…»
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«Riempi i loro crani di dati non combustibili, imbottiscili di “fatti” al punto che non si possano più muovere tanto sono pieni, ma sicuri di essere “veramente bene informati”. Dopo di che avranno la certezza di pensare, la sensazione di movimento, quando in realtà son fermi come un macigno. E saranno felici, perché fatti di questo genere sono sempre gli stessi. Non dar loro niente di scivoloso e ambiguo come la filosofia o la sociologia affinché possano pescare con questi ami fatti ch’è meglio restino dove si trovano. Con ami simili, pescheranno la malinconia e la tristezza»
(R.Bradbury – “Fahrenheit 451”)
«Nel sogno c’è sempre qualcosa di assurdo e confuso, non ci si libera mai della vaga sensazione ch’è tutto falso, che un bel momento ci si dovrà svegliare»
(D.Buzzati – “Il Deserto dei Tartari”)
«Un sogno è una scrittura, e molte scritture non sono altro che sogni…»
(U.Eco – “Il Nome della Rosa”)
«…Scrivere non è niente più di un sogno che porta consiglio»
(J.L.Borges)
“Io non sono mai stato un giornalista professionista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni manutengoli.”
(A.Gramsci - 'Lettere dal carcere')
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza, se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero degno di ogni più scandalosa ricerca”
(P.P.Pasolini)
“Nulla potrebbe essere più irragionevole che dare potere al popolo, privandolo tuttavia dell’informazione senza la quale si commettono gli abusi di potere. Un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che procura l’informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”
(J. MADISON - 4 Agosto 1822. Lettera a W.T. Barry)
“Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.”
(Joseph Pulitzer)
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