Archivio per Unione Europea
(114) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Danilo Toninelli, Governo Conte, Imbecilli, Italia, Lega, Liberthalia, Luigi Di Maio, M5S, Matteo Salvini, Politica, Società, UE, Unione Europea on 2 settembre 2018 by SendivogiusUn ministro (uno non a caso) che impedisce ad una nave militare, italiana, della Guardia Costiera, italiana, lo sbarco in un porto, italiano, violando una mezza dozzina di convenzioni internazionali (che se non funzionano si possono anche cambiare, ma in quel caso spetterebbe a Governo e Parlamento farlo), per mettere un’Europa cinica e bara (ma non ineluttabile come il destino) dinanzi a fatto compiuto e farne implodere le ipocrisie e gli egoismi nella (pessima) gestione della questione migratoria (francamente diventata ben più del prodromo di una “emergenza democratica”). E nel farlo non cerca la prova di forza con una nave straniera, per non creare l’incidente diplomatico, ma lo fa a scanso di ripercussioni internazionali con un pattugliatore d’altura della Marina italiana, come se alla inefficientissima UE potesse fregare qualcosa di una vicenda che in tal modo è stata subito circoscritta ad una bega da cortile, tutta interna alla politica italica. Perché anche il più paludato dei tecnoburocrati europei accetterebbe mai di trattare sotto ricatto. E la farsa è andata avanti per un bel pezzo, fino all’implicita figura di merda dello stesso ministro e (vice)premier che, dinanzi all’evidente e prevedibilissimo fallimento, ha dovuto poi far sbarcare tutti gli immigrati presenti a bordo della nave U.Diciotti, accordandosi con lo Stato Vaticano che ovviamente li ha ‘accolti’ in Italia.
[23 Agosto] «Messaggio da parte della Lega Abruzzo: se toccate il Capitano vi veniamo a prendere sotto casa… occhio!!!»
[10 Agosto] «È terribile il messaggio che è passato che un bambino non vaccinato è un bambino portatore de che? De che? Io quand’ero piccola, che c’avevo poco a poco un cugino che c’aveva una malattia esantematica facevamo la processione a casa di mio cugino, perché così la zia se sgrugnava tutti e sette i nipoti, così tutti e sette i nipoti c’avevano la patologia e se l’erano levata dalle palle. Funzionava così la vita mia.»
[24 Agosto] «Se una limitazione della libertà, che in astratto può sembrare un sequestro, viene posta in essere per adempiere un dovere, è come se si scriminasse il reato »
[23 Agosto] «Se la vicenda dei migranti continua ad essere in mano a Salvini è giunto il momento di pensare alla lotta di popolo armato.»
[20 Agosto] «Qualche giorno di mare con la famiglia con l’occhio sempre vigile su ciò che accade in Italia. Ma tutti gli eroi della #guardiacostiera, dai vertici fino all’ultimo dei suoi uomini, come vedete, sono sempre con me. Anzi, li tengo sempre in… testa.»
[21 Agosto] «Di Maio e Salvini sono due persone molto diverse tra di loro ma hanno una nota in comune: sono politicamente molto intelligenti anche perché non agiscono sulla base di umori transeunti o di mere inclinazioni temperamentali. Inoltre non si lasciano condizionare da incrostazioni “relazionali”.»
[17 Agosto] «Fuori dalla paura c’è un sole bellissimo. Noi possiamo aiutarti ad uscirne e a trovare quello che hai sempre desiderato. #coraggio #felicità #amore.»
[21 Agosto] «È stato rimosso stamattina il materasso abbandonato in viale Filarete a Tor Pignattara da una coppia colta sul fatto e videoregistrata con il cellulare da un cittadino che, come la maggioranza dei romani, ha a cuore il decoro della città»
[29 Agosto] «Dobbiamo trovare alternative non cruente per contenere la popolazione dei topi a Roma. Penso a un bando per individuare prodotti sterilizzanti da ingerire.»
[17 Agosto] «Se volete restare sempre informati sulla mia attività politica potete farlo anche fuori dai social, usando #Telegram riceverete dei semplici messaggi chat. Nell’immagine trovate come fare per installare tutto e magari farlo anche sui telefoni di amici e parenti consenzienti. #M5S.»
Fear of the Dark
Posted in Muro del Pianto with tags Alessandra Daniele, Alessandro Giglioli, Costituzione, Democrazia, Der Spiegel, Elezioni, Europa, Günther Oettinger, Istituzioni, Italia, Jan Fleischhauer, Liberthalia, Luigi Di Maio, Mercati, Neo-nazionalismo, Politica, Popolo, Populismo, Repubblica Italiana, Sergio Mattarella, Sovranismo, Spread, UE, Unione Europea on 29 Maggio 2018 by SendivogiusCosa NON fare per contrastare il “populismo sovranista” ed il “neo-nazionalismo” primatista?!?
Be’… per esempio, sintetizzando in maniera volutamente semplicistica ed un pochino brutale (nicchiamo allo spirito dei mala tempora): fregarsene del risultato elettorale e ‘nominare’ l’ennesimo “governo tecnico” pescato dal cilindro presidenziale, eletto da nessuno, meglio se infarcito con banchieri di estrazione fondomonetarista, e sostenuto unicamente da quei partiti (di minoranza) che le elezioni le hanno perse.
«Comunque vadano le elezioni, è già pronto un nuovo Governissimo di salvezza nazionale.
Un altro esecutivo formato da tecnici che nessuno ha votato, sostenuto da partiti che hanno perso le elezioni, e presieduto da una personalità istituzionale che sta sul cazzo anche alla sua famiglia.
Come ha detto Mario Draghi, in Italia c’è ancora il pilota automatico.
Tutto rimane uguale affinché tutto rimanga uguale.
Chiamarli gattopardi però sarebbe un complimento, il gattopardo è un nobile felino, questi sono bacherozzi. Frutto d’un incrocio genetico fra la blatta e il camaleonte. Blattopardi.»Alessandra Daniele
(04/02/2018)
Poi, giusto per rasserenare gli animi, conviene alimentare l’impressione di farsi dettare l’agenda politica dalle sempre disinteressate agenzie del rating internazionale e dagli eurotecnocrati di Strasburgo; meglio se facendosi trattare alla stregua di una colonia a libertà vigilata e sovranità limitata, al traino di una UE germanizzata e pronta a scatenare i suoi gauleiter contro i sudditi riottosi al nuovo Ordnung teutonico, nei Reichsgaue ribelli alla periferia dell’Impero.
Altra cosa da NON fare, perché la cosa comporta delle conseguenze, è lasciar intendere (magari per deficit di comunicazione e distorsione del messaggio) che questi possano sovrapporsi e sostituirsi alle Istituzioni democratiche, per un trasferimento della sovranità nazionale dal “popolo” ai “mercati”, assurti a nuovo organo costituzionale non riconosciuto ma esplicitamente vincolante. Peraltro senza che si intraveda, almeno per compensazione, alcuna contropartita tangibile che non sia la pedagogia dell’austerità e della punizione; almeno finché gli italiani non impareranno a votare come si deve. Meglio ancora: insistere sulla retorica dei “compiti a casa” e delle cicale latine, mantenute a sbafo dalla generosa Germania, che pagherebbe le gozzoviglie di un popolo antropologicamente votato al parassitismo per congenita propensione (razziale?). E per questo da rieducare, o tenere comunque sotto sorveglianza.
Nel dubbio, c’è sempre l’immancabile intervento (non richiesto) del solito tecnoburocrate tedesco, fondamentale come un ascesso perianale e tempestivo come una perdita radioattiva, a stroncare ogni corrispondenza residua per una Unione europea, che oramai suscita nella maggioranza degli italiani la simpatia di una raspa nel culo. L’ultimo di una serie diventata troppo lunga per essere ancora tollerata è il contributo del supercommissario ai bilanci (e di passaggio alle “risorse umane”), Günther Oettinger, che certo ha migliorato di molto la percezione diffusa che dell’Europa ormai si ha, insieme al profilo segaligno di questi arcigni maestrini del Rigore (in casa altrui) che conferiscono all’intera confezione un tocco quasi lombrosiano.
Ma prima c’era già stato l’articoletto su Der Spiegel, firmato dal solito Jan Fleischhauer, a stemperare le tensioni e dissipare la folata populista, in un concentrato di stereotipi e luoghi comuni estesi a tutti gli italiani indistintamente, che nemmeno nei cessi dei peggiori autogrill..!
Dalle parti della Deutschland che si crede über Alles, i nostri aspiranti castigatori sono un po’ così… o fanno la faccia cattiva da kapò, o (tagliati gli orripilanti baffoni Anni ’70) hanno il profilo sbarazzino, e pure un po’ da frocetto, del provocatore che si crede anche fighetto. Perché quanno ce vo’, ce vo’!
Se questo è il panorama “internazionale”, altro errore da non fare è cassare la scelta di un potenziale ministro, non in virtù del suo curriculum e dei suoi trascorsi personali, ma in merito alle sue idee in ambito squisitamente economico, in un processo alle intenzioni su base suppositiva. Come se le sue opinioni (accademiche) possano essere oggetto di veto preventivo, prima ancora che oggettivo su riscontro concreto. E’ vero che il Presidente Sergio Mattarella esercita i suoi poteri in osservanza dell’Art. 92 della Costituzione (“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”). E solo un imbecille come Giggino O’ Sarracino, imbalsamato nel suo eterno sorriso di plastica, poteva immaginare di sollevare una questione di “alto tradimento”, riguardo all’esercizio di una prerogativa assolutamente legittima.
Ma è anche vero che il Presidente della Repubblica dovrebbe tenere a sua volta presente l’assunto fondamentale contenuto nell’Art.1 (“la sovranità appartiene al popolo”), limitando l’esercizio del diritto di veto nel caso vengano meno i presupposti contenuti nell’Art.54 della Costituzione, nel rispetto della volontà dell’elettorato, espressa in libere elezioni:
“Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”
Ed evitare così di cadere, per una scelta opinabile, nel trappolone abilmente orchestrato da un Matteo Salvini, per meri interessi di bottega elettorale… Non per niente, se il Presidente voleva tutelare gli interessi dei risparmiatori italiani, stando all’andamento dello spread, sembra aver finora ottenuto l’effetto contrario…
«In questa partita Di Maio si stava giocando tutto, Salvini no. Il leader leghista era in posizione win-win: vincente se partiva il governo con il ministro da lui voluto, vincente se si fosse arrivati alla rottura, perché pronto a fare bingo andando al voto. E infatti stasera, a Spoleto, in maniche di camicia e molto più rilassato del suo socio, Salvini era capace perfino di fare ironia, “potevano dircelo prima che non potevamo governare almeno non stavamo a far notte sul programma”.
E così si arrivati al crac, alla rottura. Non è servito il rassicurante comunicato domenicale dello stesso Savona, non è servito il bassissimo profilo tenuto dal premier incaricato Giuseppe Conte finito per sbaglio o vanità in un gioco molto più grande di lui.
Nella sua ricostruzione alla Sala della Vetrata, Mattarella è partito quasi con una excusatio non petita, sostenendo di avere fatto di tutto per lasciare che Lega e M5S arrivassero al loro governo, di avere aspettato i loro tempi, il loro “contratto”, le loro votazioni on line e ai gazebo, di avere anche superato “le perplessità per un premier non eletto” (frecciata pesante verso chi di questo slogan aveva fatto una bandiera), infine di avere accettato tutti i ministri proposti da Conte – cioè dai suoi azionisti. Tutti tranne uno.
Eccolo qui, l’ostacolo insormontabile, un signore ottuagenario dal curriculum senza fine e senza zone oscure, che però pensandosi fuori dai giochi da qualche anno aveva deciso di togliersi i sassolini dalle scarpe sull’euro, sulla sua architettura sbilenca, sul dominio tedesco, sulla necessità di rinegoziare molte cose comprese alcune di quelle che l’ortodossia di Bruxelles e Berlino considera non negoziabili, non oggetto di mediazioni.
E viene a mente un altro caso, un caso di tre anni fa probabilmente molto presente nell’animo di di Mattarella, da giorni. Il caso di Yanis Varoufakis, certo uomo di altra estrazione politica rispetto al governo gialloverde, eppure di idee così simili a Savona per quanto riguarda il giudizio su quest’Europa e sulla sua moneta, e quindi (come Savona) inaccettabile per Bruxelles e Berlino, che l’osteggiarono fino a chiudere i rubinetti dei bancomat a un intero Paese – e a ottenerne la testa.
No, Mattarella non è uomo della Troika, dei mercati, dei poteri forti europei, di Berlino e delle banche. Ma è cosciente che quei poteri esistono e soprattutto che sono capaci di mettere in ginocchio un Paese. Perché questa è la realtà, al momento. Una realtà atroce – e già in Grecia si era visto quanto violenta era stata l’imposizione su un governo eletto dal popolo, su un referendum in cui aveva votato il popolo. Ma una realtà fatta di condizioni oggettive.
Così l’Italia sta vivendo la questione fondamentale del presente, l’esternalizzazione del potere dalle democrazie nazionali ai vincoli economici internazionali.
Una questione in cui Di Maio e Salvini (piacciano o facciano orrore) hanno le loro fondate ragioni: abbiamo votato, si faccia come vogliono i cittadini; eppure le ragioni le ha anche Mattarella, non solo nell’esercizio delle indiscutibili prerogative che la Costituzione gli assegna ma anche nel merito, nel contenuto: no, oggi non si può fare come vogliono i partiti scelti dai cittadini perché se lo si fa andiamo tutti incontro a un massacro, com’è avvenuto in Grecia, e io come presidente ho appunto le prerogative costituzionali per provare a evitarlo.
Quello che oggi in Italia è uno scontro istituzionale – purtroppo – rivela quindi la contraddizione più bruciante del nostro tempo, cioè la convivenza che si fa talvolta impossibile tra democrazie e libero mercato, dopo un secolo in cui si era pensato che solo nel libero mercato fiorissero le democrazie. E invece non è più così, non c’è più coincidenza tra i due sistemi, se mai c’è stata. Oggi le democrazie sono rinchiuse all’interno di Stati che non hanno più autonomia di scelta, che per garantire i risparmi dei cittadini devono rinunciare a se stessi.
A questa trappola epocale la reazione diffusa non può che essere il sovranismo, il neonazionalismo. E lo sarà o finché il capitalismo per paura inizierà a trattare o finché la democrazia non diventerà sovranazionale.»Alessandro Giglioli
“La trappola della democrazia nel mercato”
(27/05/2018)
Il bel risultato è la più grave crisi politica di tutta la storia repubblicana, per uno scontro istituzionale senza precedenti, che prefigura scenari da Repubblica di Weimar.
Sempre che votare serva ancora a qualcosa…
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GAME OVER!
Posted in Kulturkampf with tags Brexit, Esteri, Europa, Gran Bretagna, Inghilterra, Liberthalia, Matteo Renzi, UE, Unione Europea on 25 giugno 2016 by Sendivogius
E adesso cosa faranno i servi sciocchi delle tecnoburocrazie di Bruxelles, i sepolcri imbiancati dell’euromonetarismo psicopatico, i feticisti dello spread e gli spacciatori di titoli tossici, i professorini della pedagogia del castigo e le maestrine dei compiti a casa, quando scopriranno che l’apocalisse non comincia con la Brexit?!?
Cosa si inventeranno gli ossequienti gauleiter del neo-imperialismo tedesco coi suoi volenterosi carnefici incistati in parlamenti esautorati da ogni potere, i sacerdoti del Rigore consacrati all’Ordnung teutonico, gli incursori del turbo-capitalismo d’assalto, improvvisamente convertiti alle ragioni dell’esecrato “stato sociale” ed ora preoccupatissimi per la tenuta di quel welfare che aspiravano a demolire senza riserve, in ossequio agli spiriti animali del liberismo più estremo, dopo mesi di terrorismo mediatico e ciniche strumentalizzazioni che molto avevano eccitato i mercati azionari?!?
Cosa succederà quando i popoli europei cominceranno a sospettare che c’è vita oltre la UE (l’Europa è un’altra cosa), nell’evidente differenza che separa drasticamente chi rimane (la Grecia) e chi invece se ne va (la Gran Bretagna), non ritenendo più sostenibili le condizioni imposte da un’Unione dei Mercanti asservita alle oligarchie finanziarie?!?
Perché stavolta gli spauracchi agitati ad arte non hanno dissuaso milioni di cittadini britannici da quell’abuso di democrazia, che tanto irrita le oligarchie delle elite finanziarie coagulate nei consigli d’amministrazione delle megacorporation e nei board bancari dagli emolumenti stratosferici. Non sono bastati gli allarmismi, né il concentrato di minacce e ricatti che meglio di ogni altra indecenza rendono bene quale sia l’intima natura di questa “unione” forzosa, fondata sull’intimidazione costante dei contraenti, a dimostrazione che certi processi imposti sono tutt’altro che “irreversibili”.
E figuriamoci che tra i principali sostenitori del “remain” vi era la City londinese al gran completo e una vecchia merda intrigante come George Soros (che le agiografie vi descriveranno come “filantropo”): uno di quegli “speculatori senza volto” dei quali gli inglesi ricordano fin troppo bene il nome e cognome, nonché i preziosi contributi, non avendo la memoria cortissima degli italiani, a proposito di come è potuto esplodere il nostro debito pubblico… Un riassuntino esplicativo QUI.
Non ha convinto l’uso strumentale di catastrofismi annunciati, né i cretinismi retorici cuciti attorno all’immaginaria “Generazione Erasmus” di privilegiati figli di papà, ai quali vanno aggiunti gli infantilismi delle legioni di aspiranti lavapiatti attratti dal fumo di Londra.
Invece non saranno mai sbertucciati abbastanza, coi loro sondaggi farlocchi e le sue manipolazioni, i media di una informazione mainstream convertita a portavoce organica di un mondo parallelo asservito agli interessi economici di pochi gruppi privati; totalmente slegata da una realtà che ormai è geneticamente incapace di interpretare.
L’ultimo spauracchio di una lunga serie è ora l’annunciata “fine del Regno Unito” dilaniato dalle pulsioni secessioniste al suo interno e destinato allo smembramento, tale è l’irresistibile appeal che gli arcigni commissari della commissione di Strasburgo e le pletoriche burocrazie della UE esercitano su quanti si sentono travolti dall’insana passione per le alchimie rigoriste delle banche centrali. È noto infatti il dramma di miseria e recessione cronica che affligge ogni giorno la popolazione elvetica di una Svizzera rimasta finora esclusa dall’incredibile Bengodi della UE.
Capirete la dirompente novità di uno Sinn Féin che chiede l’unificazione delle contee dell’Ulster con la repubblica irlandese o l’attivismo dei separatisti scozzesi che reclamano l’indipendenza della Scozia da almeno 300 anni a partire dalla prima rivolta giacobita. Solo un cretino potrebbe collegare il fenomeno alla “Brexit”, ma sfortunatamente il sistema mediatico abbonda di deficienti da competizione, raggiungendo livelli mitologici nella Germania di frau Merkel che in pochi anni è riuscita a realizzare ciò che era ritenuto unanimemente impossibile, innescando una crisi dalle proporzioni mai viste. In ambito europeo perdiamo un partner strategico e fondamentale; perché non possiamo fare a meno di solidi colossi economici come la Slovacchia, ma ci possiamo tranquillamente privare della Gran Bretagna. In compenso acquistiamo l’auspicata adesione della Turchia di Erdogan col suo islamofascismo asiatico, o i simpatici nazisti dell’Ucraina: le ‘risorse’ di cui davvero si sentiva la mancanza e che tanto contribuiranno a rafforzare l’identità democratica della UE con l’entusiasmo di quanti vi restano ancora intrappolati.
La differenza di cambio è evidente e si capisce perché l’uscita della Gran Bretagna rischia di innescare un effetto domino incontrollato.
P.S. Si ringrazia per la riuscita del referendum il fondamentale
contributo dell’ineffabile Wolfgang Schäuble, che dando prova di un’ottusità fuori dal comune, ben oltre persino i peggiori stereotipi sui tedeschi, ancor prima delle consultazioni ha avuto l’eccezionale idea di minacciare gli inglesi con l’imposizione di sanzioni economiche in caso di vittoria della Brexit, riuscendo a far incazzare non poco i diretti interessati che certo non si fanno dare ordini da un “kraut”.
P.S.2. È lecito sospettare che peggior fortuna abbia avuto anche
la lettera aperta al “Guardian” del nostro Renzi nazionale: gli inglesi hanno scoperto che esistono leader politici persino peggiori dei loro e tanto valeva tenersi il proprio usato sicuro, invece di allargare la partecipazione a questa brutta copia italica di Mr Bean e che sembra il sosia scemo di Pinotto.
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SEPTEMBER-PROGRAMM
Posted in Kulturkampf, Masters of Universe with tags “Mitteleuropäischer Wirtschaftsverband”, Cultura, Economia, Europa, Europäische Wirtschaftsgemeinschaft, Fritz Fischer, Geopolitica, Germania, Grande Guerra, Grecia, Kurt Riezler, Liberthalia, Nazismo, Reich, Russia, Septemberprogamm, Storia, Theobald von Bethmann-Hollweg, Ucraina, UE, Ultimatum, Unione Europea, Walther Funk on 13 luglio 2015 by SendivogiusNel 1961, con la pubblicazione del suo “Assalto al potere mondiale“, lo storico Fritz Fischer sollevava un putiferio negli ambienti accademici tedeschi, mettendo in discussione uno dei totem nazionali, che vuole la Germania come una vittima delle circostanze, nella declinazione di ogni responsabilità per costante auto-assoluzione, sottolineando invece l’esistenza di un filo conduttore che accomunerebbe la politica estera ed economica del Reich guglielmino con lo stato nazionalsocialista, il quale nella sua eccezionalità pure agì in sostanziale continuità ereditandone molte delle linee guida.
Secondo l’analisi di Fischer, al principio del XX secolo il Reich perseguiva con lucidità il consolidamento di una posizione egemonica a livello continentale, tramite la creazione di una grande sfera di influenza su scala globalizzata, col suo “power-core” in una Mittleuropa sotto la diretta direzione tedesca, ed al contempo con la costituzione di una serie di stati-vassalli a sovranità limitata, posti sotto il controllo germanico. E ciò sarebbe dovuto avvenire, attraverso la costituzione di una specifica area economica di scambio, a garanzia delle industrie tedesche ed a vantaggio esclusivo della propria bilancia commerciale.
La supremazia teutonica, garantita dalla preponderanza dell’elemento militare, sarebbe stata ulteriormente puntellata da una serie di annessioni ai propri confini, con la creazione di una cintura di stati-cuscinetto nell’Europa Orientale e l’annessione di ampie porzioni di territorio francese e belga ad Occidente.
Il progetto di natura geopolitica a trazione economica avrebbe contato sul convinto appoggio della cancelleria imperiale e dei principali gruppi finanziari ed industriali del paese, potendo altresì contare sulla sponda di gran parte del mondo intellettuale tedesco. Lo scoppio della prima guerra mondiale sarebbe stato dunque solo la diretta conseguenza di una simile impostazione, costituendo a suo modo una “opportunità” per la realizzazione di un tale progetto.
Nel 1914, dopo l’offensiva della Marna, gli obiettivi di guerra tedeschi vengono condensati e ricapitolati in un controverso documento conosciuto come il “Programma di Settembre” (Septemberprogramm). Il capitolato, che costituiva una sorta di “lista della spesa” con le pretese e la raccolta di proposte informali, da parte dei vari gruppi di potere che si muovevano all’ombra dell’apparato politico-industriale e militare tedesco, raggiunge la sua stesura definitiva il 9 Settembre del 1914 (da lì il nome), ad opera del cancelliere Theobald von Bethmann-Hollweg. A compilare la stesura del programma provvede però Kurt Riezler, segretario generale del cancelliere.
A livello strettamente economico, una peculiarità piuttosto curiosa del piano consisteva nella creazione di una grande unione doganale, con la creazione di un’area di ‘libero’ scambio. Si tratta della “Mitteleuropäischer Wirtschaftsverband” (associazione economica mitteleuropea), che avrebbe dovuto comprendere la Francia, il Benelux (Belgio, Olanda e Lussumburgo), , l’Austria, l’Ungheria, l’Italia, i paesi
scandinavi (Danimarca, Svezia, Norvegia) ed i futuri stati cuscinetto dell’Europa Orientale: dai paesi baltici (Lituania, Lettonia, Estonia), passando per la Polonia e l’Ucraina, in funzione anti-russa.
In particolare, Kurt Riezler ipotizzava la creazione di una confederazione di stati, concepita come una società per azioni nelle quali l’azionista di maggioranza sarebbe stata la Germania, in grado di condizionare e determinare col suo peso egemonico le scelte e le condizioni di tutti gli altri.
Lo scopo di questa sorta di unione economica europea allo stato embrionale era quello di stabilizzare il dominio economico tedesco sull’Europa centrale. I partecipanti all’unione mittleuropea, “nominalmente uguali” sarebbero stati in realtà subordinati agli interessi tedeschi.
Nel caso della Francia era prevista poi l’annessione dei distretti minerari di Brey e della Lotaringia, la totale chiusura degli scambi commerciali con la Gran Bretagna e la trasformazione del territorio francese in un immenso mercato per le merci e gli investimenti tedeschi. Il Belgio sarebbe stato ridotto ad un protettorato tedesco, da tenere sotto occupazione militare.
È interessante notare come alcuni dei propositi contenuti all’interno del sedicente “programma” costituiscano una variabile costante della politica germanica: dalla creazione di una unione doganale per lo smercio delle proprie manifatture, alla creazione di un’area egemonica a trazione tedesca su base mitteleuropea, che abbia il suo punto di forza nell’area Baltica, puntando sul sostegno di Lituania ed Estonia per sottrarre l’Ucraina dalla sfera di influenza russa. In pratica è esattamente quanto sta accadendo oggi, col conflitto ucraino che oppone Berlino (e Washington) a Mosca per interposti contendenti.
Pertanto, Fritz Fischer individuava nelle aspirazioni egemoniche dell’espansionismo teutonico le cause che condussero l’Europa alla catastrofe della “Grande Guerra”, suscitando la stizzita reazione dei conservatori. Soprattutto, riaccendeva l’attenzione sull’anomalia tedesca, che nella sua specificità corre lungo le vie tortuose del “Sonderweg”, che in passato sono confluite in quel cocktail venefico ad alta gradazione tossica di intransigenza luterana ed ipocrisia moralista, autoritarismo prussiano ed elitismo reazionario, nazionalismo estremo e darwinismo sociale, che sono alle origini dello stato tedesco ed alla base di uno sviluppo patologico, di cui il nazismo non sarebbe che una “variante”; a tal punto da costituire un risultato storico inevitabile riflesso nei difetti unici del “carattere nazionale tedesco”, secondo l’analisi alquanto impietosa di certa storiografia britannica.
C’è da dire che il progetto economico di una “Mitteleuropäischer Wirtschaftsverband” non viene abbandonato con la fine della guerra, ma viene fatto proprio dai nazisti che riprendono l’idea conferendogli una dimensione prevalentemente economica, attraverso la costituzione di una “comunità europea” (Europäische Wirtschaftsgemeinschaft) d’impronta tedesca, attraverso l’istituzione di una moneta unica e la creazione di un grande spazio economico (Großwirtschaftsraums), da costruire sotto la guida della GEWG (Società per la programmazione economica europea).
Nel Luglio del 1940, Walther Funk, ministro dell’Economia e presidente della Reichsbank, presenta il suo progetto per la “riorganizzazione economica dell’Europa”, meglio conosciuto come Piano Funk, finché nel Settembre del 1942 le fatiche di Funk confluiranno in un articolato documento dal titolo assai evocativo: “Comunità economica europea” (Europäische Wirtschaftsgemeinschaft). Alla stesura oltre allo stesso Walther Funk, partecipano: Gustav Koenigs, segretario di Stato; Philipp Beisiegel, ministro del Lavoro; Heinrich Hunke, presidente della Camera di commercio e industria di Berlino… Ma ci sono anche esponenti del mondo economico tedesco come Anton Reithinger, direttore del dipartimento economico della IG Farben, e Bernhard Benning, direttore del Reichs-Kredit-Gesellschaft.
In quanto circoscritti ad un periodo oscuro della storia recente, alla luce delle vicende del tempo presente, ci sarebbe da chiedersi quanto il “percorso solitario” dei popoli tedeschi verso la cosiddetta integrazione europea, sempre in bilico tra Est ed Ovest, pulsioni isolazioniste e sindrome da accerchiamento, sia davvero compiuto. E quanto il ritrovato orgoglio nazionale che sembra degenerato in una nuova arroganza totalitaria, che ha nell’ordoliberismo tedesco il suo punto di forza, sia del tutto scevro da pretese di superiorità culturale ed etnica, mentre pretende di dare lezioni di etica ad un intero continente.
La differenza che intercorre tra una Germania europea ad un’Europa tedesca risiede nell’allucinante abnormità dello sciagurato caso ellenico, con l’imposizione di una serie di diktat che lungi dall’assomigliare ad una “trattativa” si configurano piuttosto come un ultimatum, fissato in 72 ore, finalizzato più che altro all’annientamento della Grecia a scopo intimidatorio, concepito come una sorta di atto di guerra attraverso la “conventrizzazione” di un intero paese per la sua capitolazione incondizionata.
L’ultimatum dell’Austria-Ungheria alla Serbia, che determinò lo scoppio della prima guerra mondiale, si reggeva su condizioni lungamente più sostenibili e meno umilianti di quelle che la Germania ‘democratica’ sta imponendo alla Grecia nell’ignavia del resto d’Europa, a vergogna perenne di una “Unione” utilizzata come arma di distruzione di massa e che ha interamente smarrito le ragioni del suo essere.
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La Signora delle Mosche
Posted in Masters of Universe, Muro del Pianto with tags Angela Merkel, Austerità, Esteri, Europa, Germania, Grecia, Liberthalia, Mercato, Rigore, Russia, Troika, Ucraina, UE, Unione Europea, USA, William Golding on 7 febbraio 2015 by Sendivogius
«Perfino le farfalle lasciarono la radura dove quella cosa oscena ghignava e sgocciolava. Simone abbassò il capo, tenendo gli occhi ben chiusi, poi li riparò ancora con la mano.
[…] Il mucchio di budella era un grumo nero di mosche che ronzavano come una sega. Dopo un po’ le mosche scoprirono Simone e, ormai sazie, si posarono lungo i suoi rivoletti di sudore, a bere. Gli fecero il solletico sulle narici, gli saltellarono sulle cosce. Erano innumerevoli, nere, e d’un verde iridescente; e di fronte a Simone il “Signore delle mosche” ghignava, infilzato sul bastone. Alla fine Simone cedette e riaprì gli occhi: vide i denti bianchi, gli occhi velati, il sangue… e restò affascinato, riconoscendo qualcosa di antico, di inevitabile.»
William Golding
“Il Signore delle Mosche”
Mondadori, 1980
Piccole, insignificanti, irrilevanti… sono le mosche che ronzano nel putrescente carnaio di un’Europa ridotta a squallida propaggine bancaria per esazione debiti, tra i bigattini impupati nelle ooteche di robotiche tecnocrazie consacrate alle divinità immutabili ed austere di un mercato divinizzato.
È la danza funebre di uno sciame avvitato attorno alla nera signora del Rigore, nella contemplazione estatica delle budella putrescenti di un capitalismo finanziario che si nutre di punizioni collettive e sacrifici di massa. Nella sua evanescenza pervasiva, costituisce l’idolo assurto a sommo feticcio di riti profani, nell’oscenità macabra di un’oligarchia mercatista che prostituisce le aspirazioni e la dignità di un intero continente, agli appetiti di una Troi(k)a specializzata nelle perversioni dell’austerità espansiva: ossimoro perdente di una stupidità reiterata a prassi di governo.
È una congregazione di elite schizofreniche, chiuse nell’autismo della loro autoreferenzialità dissociata. Sono monumenti all’inutile, stagliati verso il nulla siderale, nell’incapacità congenita di ritagliarsi un ruolo internazionale, di affrontare i problemi interni, e di risolvere qualsiasi situazione che non sia circoscritta alla fiscalità generale.
Si umilia la Grecia (culla della civiltà europea) e si martirizza il popolo ellenico, ma si garantiscono sostegni economici ed aiuti militari ai nazisti dell’Ucraina, coi quali invece ci si intende benissimo. Evidentemente, ognuno si sceglie gli ‘amici’ a sé più affini.
Ci si piega docilmente alle ingerenze geopolitiche ed alle pressioni strategiche degli USA. Si scatena una guerra commerciale senza senso con la Russia. Si ventila con demenziale faciloneria la minaccia di risoluzioni militari, rischiando la deflagrazione di un conflitto armato su scala continentale nel bel mezzo dell’Europa. E al contempo si sottovalutano i rischi di una guerra, che le cancellerie europee non saprebbero minimamente come gestire. E con che alleati poi!
Esattamente, come non si possiede la più pallida idea su come affrontare la minaccia terroristica di matrice salafita; la pressione dei profughi provenienti dalle coste del Nord-Africa; il collasso della Libia, dopo la scalcinata avventura militare anglo-francese, e le infiltrazioni di gruppi armati sempre più radicali, ispirati ai simpaticoni dell’ISIS che imperversano indisturbati tra Siria e Iraq.
Ma nemmeno si sa bene come gestire problemi più ordinari e di natura economica, come l’uscita dalla grande depressione europea ed il rilancio dell’occupazione.
È il modello neo-coloniale di una sedicente “unione”, mera pluralità di egoismi nazionali, sempre più simile ad una immensa zollverein per il libero transito delle merci tedesche, attraverso l’Europa
germanizzata in una nuova confederazione anseatica, oggi come allora alla ricerca di manodopera a buon mercato. Per sopravvivere, un simile moloch ha bisogno di cannibalizzare gli anelli periferici, nell’espiazione del debito come peccato capitale, attraverso la riduzione della colpa su pagamento regolare e senza dilazioni. Perché i popoli vanno prima estromessi dai processi decisionali e poi rieducati, nello spirito propedeutico di un “rigore” elevato a immanenza metafisica. Si tratta di un potere effimero che si inebria degli effluvi mefitici del Deutschen Wesen: lo “spirito tedesco” che non ha mai guarito il mondo, ma che ogni volta l’ha trascinato verso gli orrori dell’eugenetica.
In questa distopia mercantilista, ciò che più conta è la preservazione della purezza dei mercati santificati da ogni intervento regolatore, nell’illibatezza della quadratura contabile di bilanci purgati da ogni spesa sociale e dirottati verso le funzionalità di un mercato ‘liberalizzato’. Sullo sfondo, resta un continente diviso; dilaniato da una crisi sempre più irreversibile delle democrazie rappresentative.
È facile temere che non tarderanno a farsi sentire gli effetti di una simile cancrena, se questa non verrà curata per tempo…
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Il Piano Funk
Posted in Business is Business, Kulturkampf with tags Bilancia dei pagamenti, Clearing House, Commercio, Compensazione, Cultura, Economia, Europa, Finanza, Germania, Liberthalia, Moneta unica, Nazismo, Piano Funk, Storia, Trattati, UE, Unione Europea, Unione monetaria, Walther Funk on 15 ottobre 2014 by Sendivogius«Le discussioni sulla struttura e sull’organizzazione dell’economia tedesca ed europea dopo la guerra, compresi gli effetti che la guerra avrà sull’economia mondiale, negli ultimi tempi stanno riempiendo le colonne della stampa tedesca e straniera, in misura crescente.
Tanto gli uomini d’affari che gli analisti stanno dando una particolare attenzione a questi problemi, mentre alcune idee e piani più o meno fantastici hanno causato una notevole confusione.
Anche il grande filosofo Hegel è stato tirato in ballo, come fonte di prova a sostegno di certe opinioni. Abbondano le frasi fatte di tutti i tipi, tra le quali la più abusata è che l’Europa deve diventare uno spazio economico più grande.
Qualunque sia la verità contenuta in questa affermazione, prima di tutto si deve ammettere che questa Grande Europa attualmente non esiste, che questa deve prima essere creata e che all’interno della sua area ci sono ancora molte frizioni.
In queste circostanze, sento il dovere di fare una affermazione chiara e obiettiva che condurrà la discussione fuori dal regno della fantasia e della speculazioni, verso il mondo della realtà e dei fatti.
[…] Mi limiterò dunque ad indicare semplicemente i mezzi che possono essere utilizzati per raggiungere il nostro obiettivo. Principalmente, la nuova economia europea deve crescere in modo organico.
[…] Il nuovo ordine economico in Europa si svilupperà al di fuori delle circostanze esistenti, in special modo finché esisteranno le condizioni naturali per una stretta cooperazione economica tra la Germania e gli altri paesi europei.
[…] La questione del futuro assetto generale dell’Europa deve perciò rispondere a quanto segue: dopo la conclusione vittoriosa della guerra, applicheremo tali metodi nella politica economica, che ci hanno permesso di conseguire i nostri grandi successi economici prima della guerra e soprattutto in tempo di guerra, al contempo escludiamo di consentire ancora una volta l’azione di forze non controllate che hanno coinvolto l’economia tedesca in grandissime difficoltà.
Siamo convinti che i nostri metodi si riveleranno di gran utilità non solo per la grande economia tedesca, ma anche per tutte le economie europee che per loro natura si troveranno ad essere in stretti rapporti commerciali con la Germania.
Per quanto riguarda la questione inerente le basi di una nuova moneta, che è stata recentemente oggetto di un dibattito particolarmente vivace, dovrebbe essere detto quanto segue:
La valuta è sempre secondaria alla politica economica generale. Quando l’economia è malata non ci può essere una moneta stabile. In una sana economia europea, con una divisione razionale del lavoro tra le economie dei paesi europei, la domanda di valuta si risolverà da sé, perché sarà solo un problema tecnico di gestione monetaria. In ciò risiede la ragione per cui il marco tedesco avrà un ruolo dominante. L’enorme incremento della potenza del Grande Stato Tedesco, porterà inevitabilmente nella sua scia la stabilizzazione del marco.
L’area valutaria del marco, che sarà liberata dall’assorbimento del debito esterno non saldato e dalle pratiche del cambio monetario, deve essere incrementata.
Partendo dai metodi di negoziazione bilaterale già applicati ci sarà un ulteriore sviluppo in direzione di uno scambio commerciale multilaterale e dell’aggiustamento delle bilance commerciali dei singoli paesi, così che i singoli paesi possono impegnarsi in relazioni commerciali regolamentate tra di loro, tramite una compensazione tra importazioni ed esportazioni.
Naturalmente non ci saranno problemi ad abolire il controllo dei cambi e di compensazione obbligatoria tutto in una volta. Né costituisce un problema una certa quota di libero scambio in valuta estera contro una unione monetaria europea, ma il prossimo passo sarà quello di sviluppare una ulteriore tecnica di compensazione, in modo tale che i pagamenti possano essere attivati agevolmente tra i paesi collegati tramite il Clearing House.
A maggior ragione che i presupposti per un tale sviluppo esistono già per quasi tutti i paesi, adeguatamente predisposti per l’inclusione in un centro di compensazione (clearing) europeo, che abbia una qualche forma di controllo sugli scambi esteri.
I prerequisiti per un soddisfacente funzionamento del sistema di compensazione tra esportazioni ed importazioni risiede nel fatto che la disposizione dovrebbe prevedere tassi di cambio fissi per tutti i pagamenti, che i tassi dovrebbero rimanere stabili per un lungo periodo di tempo, e che gli importi assegnati per la compensazione devono sempre essere pagati immediatamente.
Il pagamento di trasferimenti scoperti, non garantiti dal clearing, pone un problema monetario interno ai singoli paesi. Il timore ovunque prevalente che possano esserci bilanci scoperti, tuttavia, sparirà; la ripresa economica generale, che dove essere messa al primo posto dopo la guerra, causerà un incremento della circolazione monetaria anche in quei paesi che finora hanno aderito ad una politica economica delle banche centrali, basata sul sistema aureo e le operazioni automatiche del gold-standard e, in secondo luogo, col dovuto controllo del governo sulla bilancia dei pagamenti, il problema dei saldi di compensazione scomparirà gradualmente.
Il livello dei prezzi dovrà essere adeguato a quello della Germania. Ma una unione monetaria porterà a un graduale livellamento dello standard di vita, che anche per il futuro non sarà e non dovrà essere la stesso per tutti i paesi collegati al sistema di clearing europeo, poiché i presupposti economici e sociali per esso mancano, e sarebbe assurdo regolare l’economia europea su questa base nel prossimo futuro. In Europa, ogni paese dovrebbe sviluppare e ampliare le proprie forze economiche e ogni paese dovrebbe essere in grado di operare con qualsiasi altro, ma i principi ed i metodi che disciplinano questo commercio devono essere, generalmente parlando, gli stessi.
Questo ha il vantaggio che le misure di controllo economico e di vincolo sotto una valuta ed un sistema di pagamenti in comune possono essere ridotte in larga misura; perché questi controlli e regole dettagliate, proprie di un sistema burocratico che può ostacolare notevolmente le transazioni individuali, non sarà più necessario.
[…] Daremo una particolare importanza al commercio dei nostri prodotti industriali di alta qualità, in cambio di materie prime sui mercati mondiali. Ma qui è necessaria una premessa. Dobbiamo verificare se sussiste un approvvigionamento sufficiente nell’area economica europea di tutti quei beni che rendono quest’area economicamente indipendente da tutte le altre. Quindi dobbiamo garantire la sua libertà economica.
[…] In sintesi:
1. Attraverso la conclusione di accordi economici a lungo termine con i paesi europei, sarà possibile assegnare un posto per il mercato tedesco nella pianificazione della produzione di lungo periodo di questi paesi, che saranno considerati alla stregua di uno sbocco commerciale a salvaguardia delle esportazioni, per le merci tedesche sui mercati europei.
2. Attraverso la creazione di uno stabile sistema di cambio, dovrà essere garantito un sistema uniforme dei pagamenti per il proseguimento degli scambi commerciali tra i singoli paesi. Così facendo, ci collegheremo agli accordi di pagamento esistenti che saranno ampliati per includere un maggiore volume commerciale sulla base di tassi di cambio fissi.
Attraverso uno scambio di esperienze nel campo dell’industria e dell’agricoltura, l’incremento della produzione di generi alimentari e l’accaparramento di materie prime deve essere il nostro scopo, mentre in Europa deve essere portata a termine una divisione economica razionale del lavoro….
3. Tra le nazioni europee deve essere stimolato un forte senso di comunità economica, attraverso la collaborazione in tutte le sfere economiche e politiche (moneta, credito, produzione, commercio, etc.). Il consolidamento economico dei paesi europei dovrebbe migliorare la loro posizione negoziale nelle relazioni con gli altri soggetti economici in una economia globale.
Questa Europa unita non si sottometterà a termini politici ed economici, che siano dettati da un qualsiasi organismo extra-europeo.
Sarà il commercio sulla base dell’uguaglianza economica a determinarne in qualsiasi momento la consapevolezza del suo peso negli affari economici.
[…] Alla Grande Germania deve essere assicurato il massimo della sicurezza economica e per il popolo tedesco il massimo consumo di beni per incrementare il livello di benessere della nazione. L’economia europea deve essere adattata per rispondere a questo obiettivo. Lo sviluppo procederà a tappe differenti per i diversi paesi.»
Walther Funk
“La riorganizzazione economica dell’Europa”
(25 Luglio 1940)
Per la cronaca, il previdente Walther Funk è stato editorialista ed analista finanziario, governatore della Banca Centrale tedesca (all’epoca si chiamava Reichsbank), plenipotenziario per la pianificazione economica (Wirtschaftsbeauftragter), ministro dell’Economia… e fervente nazista.
Il cosiddetto “Piano Funk” rientrava nell’ambito delle analisi previsionali di pianificazione economica, che costituivano parte organica dell’azione di governo dei funzionari delegati agli Affari economici, in un sistema sostanzialmente accentrato come il Reich nazionalsocialista. E non contiene niente di così eclatante: un po’ di keynesismo militare (mutuato da Hjalmar Schacht), molto bilateralismo commerciale su trattati separati e impostato sul primato delle esportazioni, a fronte di un’autosufficienza autarchica all’interno del sistema economico tedesco; ingenti trasferimenti di valuta pregiata a saldo della compensazione sugli scambi commerciali; superamento del gold-standard.
Il suo “Piano” è curioso, perché è il primo documento organico di politica ‘economica’ a parlare apertamente di “area economica europea” e mercato condiviso a livello continentale, introduzione di una moneta unica (che abbia a modello il marco) e tassi di cambio fissi (per favorire le esportazioni
tedesche). Il Piano Funk è altresì interessante, perché la nuova area commerciale e valutaria è funzionale a garantire il saldo in attivo della bilancia commerciale della Germania, favorendone le esportazioni su scala continentale. Serve inoltre ad assicurare il primato dell’economia tedesca, che diventa il sistema drenante delle risorse europee, tramite la stipula e l’osservanza ferrea di trattati inderogabili, in virtù della nota flessibilità che contraddistingue i connazionali di Hegel.
C’è anche un abbozzo embrionale alla ben nota retorica dei “compiti a casa”, da svolgere con diligenza se si vuole sperare di ottenere qualche briciola in Commissione:
“Il consolidamento economico dei paesi europei dovrebbe migliorare la loro posizione negoziale nelle relazioni con gli altri soggetti economici in una economia globale.”
E si può notare come la politica egemonica di Berlino, depurata delle sue componenti razziali e militariste, non sia poi troppo diversa dagli obiettivi economici, coi quali sostanzialmente viene esplicata sullo scacchiere europeo, sempre più ridotto ad una macroarea valutaria a penetrazione commerciale tedesca, con ben poche contropartite per i suoi partner subordinati all’espiazione del Debito.
Leggendo il Piano Funk, c’è da chiedersi se ci fosse qualcosa di inconcepibilmente ‘giusto’ nel nazionalsocialismo, oppure troppi elementi profondamente sbagliati nella struttura dell’attuale “Unione Europea”, così come è stata finora concepita.
De finibus bonorum et malorum
Posted in Business is Business with tags Area valutaria ottimale, BCE, Bilancia commerciale, Cameralismo, Capitalismo finanziario, Crisi economica, Economia, Euro, Europa, Finanza, Germania, Liberthalia, Mercantilismo, Mercato, Moneta unica, Oligarchie, Tallero, Tecnocrazia, Trappola della Liquidità, UE, Unione Europea, Unione monetaria, Unione Monetaria Latina, Vereinsmünze on 26 agosto 2014 by SendivogiusIn attesa del prossimo vertice della UE, che per certo sarà “storico”… “epocale”… “determinante”… secondo la scoppiettante salva di iperboli, che di solito accompagnano i giri di valzer europei e che di consueto vengono utilizzati per coprire la voragine della loro inconsistenza, una cosa sembra abbastanza chiara: la cosiddetta ‘Unione Europea’ (omaggio alle intenzioni nella contraddizione della pratica) appare sempre più come un guscio vuoto, priva di un animus fondativo che non sia mero esercizio contabile in tempi di post-mercantilismo. E questo al di là delle fumose dichiarazioni d’intenti ad usum populi, peraltro in piena crisi di rigetto nella sua disillusione per un’istituzione percepita sempre più come estranea ed invasiva, con la sua tecnocrazia oligarchica, consacrata alle divinità profane di un ‘mercato’ ormai cannibalizzato dai morsi di una crisi finanziaria, mai davvero affrontata se non con cataplasmi tardivi. In proposito, è interessante notare come la BCE si muova sul filo del rasoio, ottemperando a tutti i passaggi fondamentali per incappare come da manuale nella più classica “trappola della liquidità”.
Del tutto sprovvista di una qualsivoglia visione strategica, la sedicente “unione” manca praticamente di quanto è più necessario per potersi definire tale: non ha una politica immigratoria, rimessa com’è all’improvvisazione dei singoli stati; non ha una politica estera condivisa (non è capace neanche di tutelare gli interessi economici continentali, figuriamoci la gestione delle emergenze umanitarie!); né una politica di difesa, al di fuori del coordinamento NATO. Nonostante sia alla base della sua costituzione, la UE non possiede una vera politica economica e finanche nemmeno il tanto decantato “mercato comune integrato”, a meno che non si voglia considerare tale il modello neo-camerale di ispirazione teutonica in un’Europa sempre più simile ad una sorta di Lebensraum, per incrementare la bilancia commerciale del nuovo reich germanico. Ed il surplus delle partite correnti sta lì a testimoniarlo, in barba ai sacralizzati “trattati” interpretabili (e violabili) a discrezione e senza timore di sanzioni che evidentemente, quando riguardano Berlino, sono sempre derogabili…
Sono gli inconvenienti nei quali si incorre quando si pretende di costituire un’entità (con)federale attorno ad una moneta (creata in laboratorio) e non viceversa, pensando di compensare tale carenza con la costruzione di un’area valutaria ottimale (optimum currency area), fortemente integrata a livello economico e commerciale. In riferimento all’eurozona, è superfluo dire che l’area è assai meno ‘integrata’ di quanto non si vuole ammettere e tutt’altro che ‘ottimale’, incapace com’è di fronteggiare i cosiddetti “choc asimmetrici”.
A dodici anni dall’immissione in circolazione dell’euro, è un fatto che l’Europa stia entrando nel suo ottavo anno di recessione e langua a tutt’oggi nella più grave depressione economica (peggiore persino di quella del 1929) della sua storia, senza che si intravedano concrete prospettive di ripresa. Se l’obiettivo della moneta unica era quello di favorire i processi di integrazione ed unificazione europea, si può dire senza falsi pudori che ha miseramente fallito nel suo scopo: mai gli stati europei sono stati tanti divisi nella reciproca diffidenza, negli egoismi nazionali, e nella totale assenza di coesione e solidarietà tra di loro, dalla fine della seconda guerra mondiale.
Succede, quando si imposta un matrimonio unicamente sui soldi, combinando le nozze nell’interesse dei pochi e tirando di conto sulla dote da versare.
A contrario di quanto vanno affermando gli stucchevoli filmini (per influenzare non per informare), che il nuovo Min.Cul.Pop per la propaganda manda in onda col nome di “Cantiere Europa”, l’esperimento monetario
unitario era già stato tentato in passato con modalità totalmente diverse (il parametro fondamentale era il gold standard), rivelandosi ogni volta un fallimento. È stato il
caso dell’Unione Monetaria Latina, che nell’ignoranza dei più rimase in vigore per oltre 60 anni (dal 1865 al 1927), e delle ancor meno conosciute “Unione monetaria scandinava” (1872-1914) e quella austro-germanica. Quest’ultima, stipulata a Vienna il 24/01/1857 nell’ambito della Deutscher Bund, includeva gli statarelli dello Zollverein germanico, il Regno di Prussia, l’Impero Austriaco ed il Principato del Liechtenstein, con l’introduzione di un rigido sistema di cambi fissi e, sul modello del tallero, l’adozione di una moneta comune da affiancare alle valute nazionali: il Vereinstaler, o anche Vereinsmünze.
Tali accordi monetari (perché di questo e nient’altro si trattava) rimasero in piedi, più per gli oneri legati alla loro liquidazione che non per la loro effettiva efficacia, alla stregua di contratti con clausole di rescissione non convenienti. A dimostrazione che nessun processo è “irreversibile”, se non nella crisi che ne decreta la fine.
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(62) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Analfabeti, Antonio Razzi, Beppe Grillo, Democrazia, Elettori, Elezioni, Europa, Liberthalia, Mario Pirillo, Michaela Biancofiore, OAS, Parlamento, Rappresentanza, UE, Unione Europea, Uomini-sessuali, Valentina Vezzali on 29 aprile 2014 by Sendivogius“Classifica APRILE 2014”
Se le campagne elettorali dovessero essere il termometro politico per misurare il livello di maturità di una democrazia, non si può che prendere atto di come, lungi dal potersi definire realmente compiuti, i moderni sistemi democratici siano poco più di una crosta friabile e lievitata male. Sedimentata più per induzione che per convinzione, la democrazia (che è realizzazione estremamente recente), stressata dal costante agitarsi delle forze centrifughe al suo interno, rischia di sbriciolarsi per scarsa qualità degli ingredienti disponibili. Specialmente quando questa si riduce a mero pascolo elettorale di folle anonime e petulanti, da condurre al pastone assistenzialistico-clientelare di istrionici cialtroni e ringhiosi demagoghi. Si tratta di uno spezzatino indistinto, dove tutto e sminuzzato, semplificato, mistificato.. e ridotto ad una ribollita rancida di pensieri elementari ed astrusi, pronti per essere consumati da una pletora di potenziali deficienti, che con un pietoso eufemismo vengono definiti “analfabeti funzionali”.
Ovviamente non è un caso che, se chiamati a scegliere i propri ‘rappresentanti’, per istinto naturale e dedizione non comune le preferenze vadano in massima parte a quanto di peggio sia disponibile sulla piazza, salvo dimenticare come gli ‘eletti’ non siano altro che il fedelissimo ritratto del corpo elettorale riflesso nello specchio dei desideri repressi.
Naturalmente, ci sono sempre le debite eccezioni delle quali si deve tener conto. Alcuni esemplari sono troppo oltre, persino per gli standard nostrani…
Pertanto, ben lontano dall’essere il momento fondante e legittimante di un sistema democratico, fin dalle origini, dal sinecismo demotico dell’antica Atene ai comizi centuriati della Respublica romana, le elezioni segnano più che altro il trionfo della propaganda più becera, dove le idee (se mai ci sono state) si elidono fino a scomparire nella prevalenza di messaggi minimali.
In prospettiva, il prossimo rinnovo del parlamento europeo, l’organismo più inutile e pletorico mai esistito prima e che in nulla o quasi inciderà sulle questioni davvero di rilievo, costituisce di per sé un momento topico per l’italiota medio… Da sempre, le elezioni europee sono occasione per saggiare la tenuta del pollaio, ridotte a mero regolamento di conti nell’ambito delle beghe da cortile interno, dove di tutto si parla, tranne che di politiche comunitarie, nella più totale ignoranza delle più minime nozioni di macroeconomia. L’Europa resta rigorosamente rilegata sullo sfondo, quale entità vacua e indefinita, lontana anni luce dalle migliaia di Borgo Citrullo della provincia italiana. E, se va peggio, tutto si riduce nella contrapposizione al massimo ribasso tra euro-scettici ed euro-entusiasti: le due facce della stessa medaglia, accomunate da identica idiozia. Se dei primi si conosce tutto o quasi, l’imbecillità dei secondi è disarmante tanto è stucchevole. Tra le elucubrazioni più demenziali, delle quali Beppe Severgnini è l’instancabile araldo, vanno sicuramente ricordate:
1) Grazie alla UE in Europa non ci sono più guerre e godiamo di una pace ininterrotta dall’ultimo conflitto mondiale.
Sorvoliamo sul fatto che le guerre (più o meno ‘umanitarie’) gli europei continuano a combatterle un po’ ovunque al di fuori dei confini europei e su scala globale. Segnaliamo invece che la miracolosa “UE” è stata costituita al principio del 1992 e si fonda su Maastricht; ovvero un tratto essenzialmente economico, di stretta ortodossia monetarista (che così mirabolanti benefici sta arrecando al tessuto sociale della vecchia Europa), che non spende una parola su diritti e tutele e identità europea e su tutto ciò che non sia il mero transito di merci e saldi contabili di bilancio. L’ultima guerra che abbia visto gli europei l’uno contro l’altro armati è terminata quasi 70 anni fa: 1945-1992. Le date non tornano. C’è da chiedersi come abbiano fatto dunque gli europei a non spararsi addosso per quasi mezzo secolo, senza la Unione Economica dei Mercanti..!
2) Se non ci fosse stata la “Europa” (è un continente: esiste da milioni di anni!) non avremmo avuto il Progetto Erasmus.
Ovvero un anno di cazzeggio trans-universitario all’estero, alla fine del quale i 4/5 degli esami sostenuti non vengono riconosciuti dall’ateneo di provenienza. Perché come tutti sanno, prima era impossibile studiare all’estero e maturare un senso di appartenenza comunitaria ed identità europea.
Il percorso che ci separa dalle fatidiche elezioni è ancora lungo, promettendo molte e mirabolanti prestazioni… Per il momento, un piccolo assaggio per il consueto promemoria mensile.
Hit Parade del mese:
01. CULTURA E COLTURE
[07 Apr.] «E allora siamo ancora lì a parlare di un Tampax, un usa e getta, di un pannolino… io lo dico da 15 anni: i pannolini si possono produrre in altro modo, lavabili! Ma parliamo degli indiani: 500.000 macellerie si stanno mettendo insieme perché lo scarto è putrefazione, casino, lo buttavano con costi enormi, ora fanno vermi-cultura, creano posti di cultura con i vermi, e con i vermi nasce la pesci-cultura e gli escrementi dei pesci li danno ad un’azienda che ha aperto e vende funghi.»
(Beppe Grillo, il Belino)
02. ASSENZE TECNICHE
[09 Apr.] «Dovrei essere alla Camera? Ehh domani ho una gara e sono stata male, ho avuto la febbre, e quindi… il 50% di assenze? Ho usufruito della maternità, poi a settembre sono tornata… Ai mondiali in Ungheria? Non è che la maternità ti obbliga a restare a casa»
(Valentina Vezzali, Campionessa di presenze)
03. Razzi’s Show: OAS
[03 Apr.] «Le OAS (Operatori di Assistenza Sessuale) fanno quasi da mamma, se c’è un ragazzo timido da sverginare. In Svizzera, quando ero giovane, siccome ero un gran ballerino, allora andando ballando ne conquistavo di ragazze a centinaia. Oggi invece i giovani sono effeminati. Allora c’erano uomini veri, gli italiani erano avvantaggiati perché avevano il ‘savarfè’.»
(Antonio Razzi, Assistito)
03.bis Razzi’s Show: UOMINI SESSUALI
[26 Apr.] « Gli uomini sessuali… ho avuto tre che lavoravano con me»
(Antonio Razzi, lo Senatore)
04. UN NUOVO PROFETA
[21 Apr.] «Quando Renzi mi chiama sul display del telefono compare la scritta Mosè… Mosè porta il suo popolo fuori da una condizione opprimente e allo stesso tempo rassicurante. E quando io telefono a Matteo sul suo display compare il nome Ietro… Ietro è il suocero di Mosè. È quello che gli fa notare che non può fare tutto da solo. Ietro è saggio e distaccato dal potere, osserva Mosè e il suo carico di responsabilità e gli dice: Da solo non ce la puoi fare. Cerca qualcuno di cui ti fidi e delega.»
(Graziano Del Rio, l’Aronne)
05. PIÙ ‘NDUJA PE’ TUTTI!
[23 Apr.] «Voliamo in Europa e portiamo la ’nduja! La ’nduja è meglio del viagra, è più genuina, più naturale, senti a me! Ha un effetto eccitante maggiore della pillola blu, però occorre stare attenti alle dosi. Se se ne mangia troppa, per tre giorni si è costretti a restare a casa. Pensate, io ho 68 anni ma grazie alla ’nduja faccio sesso fino a otto volte a settimana!»
(Mario Pirillo, Minchione democratico)
06. COERENZA DI FERRO
[23 Apr.] «La coerenza è una mia dote. Chi mi conosce lo sa benissimo. Io mi definisco un socialista coerente, da sempre »
(Claudio Bucci, PD ex IdV ex FI ex PSI)
07. PREMIO NOBEL
[09 Apr.] «Altro che truffatore! Io sono una persona onesta. E Stamina è da premio Nobel per la medicina. Scusi, ma come ha fatto a diventare da un giorno all’altro da gestore di call center a medico che sa tutto di staminali? Io non mi sono mai spacciato per medico.»
(Davide Vannoni, il Benefattore)
08. SIMBOLO FALLICO
[10 Apr.] «Berlusconi è un simbolo, e i simboli non si impediscono, non si imbavagliano, non si bloccano. Silvio è un simbolo come Aung San Suu Kyi, che era bloccata a casa sua ed è diventata un simbolo mondiale.»
(Renato Brunetta, Midget d’animazione)
09. Uomini di Chiesa
[20 Apr.] «Non ho idea di dove possa essere (Marcello Dell’Utri), ma escludo che sia latitante, la richiesta di arresto mi lascia estremamente perplessa, in tutti questi anni è stato perseguitato, non so dove sia, se è in vacanza o in giro, dubito che sia latitante, è un uomo di chiesa…»
(Michaela Biancofiore, Immancabile)
10. ELEZIONI EUROPEE: Circoscrizione Lazio
[29 Apr.] «Europa ladrona, Roma non perdona»
(Mario Borghezio, Candidato romano)
La Democrazia che non c’è
Posted in Kulturkampf with tags Cittadinanza, Comune, Conservatorismo, Cultura, Democrazia, Democrazia deliberativa, Democrazia liberale, Einaudi, Europa, Istituzioni, Italia, John Stuart Mill, Karl Marx, Liberaldemocrazia, Liberalismo, Liberthalia, Libri, Norberto Bobbio, Partecipazione, Partiti politici, Paul Ginsborg, Politica, Potere, Rappresentanza, Saggistica, Società, Società civile, UE, Unione Europea on 17 aprile 2013 by Sendivogius
In tempi non sospetti, quando la grande depressione economica sembrava un evento sepolto nei libri di scuola, i rigurgiti nazional-populistici parevano un’ipotesi capziosa, gli euroburocrati di Bruxelles promettevano un radioso avvenire di prosperità sotto l’egida della moneta unica, e Beppe Grillo muoveva i primi passi nella rete, la reversione post-democratica di un sistema rappresentativo in crisi profonda era più che evidente a chi avesse voluto vedere i sintomi di un’infezione già in atto…
Nel 2006, lo storico Paul Ginsborg si interroga sulla crisi di rappresentanza e nuove forme di partecipazione. E lo fa in un pamphlet dal titolo evocativo: “La democrazia che non c’è” (Einaudi), con la grande capacità divulgativa di una lucida intelligenza.
«Nel 1989 la democrazia liberale trionfò senza riserve sul suo, ormai impresentabile, avversario. Ma, nel momento della vittoria globale, molte delle prassi fondamentali della democrazia liberale si sono rivelate carenti e molti dei suoi più orgogliosi vanti infondati. Oggi la democrazia liberale è, almeno in parte, un re nudo. Per vestirlo adeguatamente urgono dibattito teorico e innovazione pratica. Partendo da Marx e Mill e, a dire il vero, senza perderli mai di vista, questo saggio affronta alcune delle questioni più pressanti sorte nella storia della democrazia, rapportandole alle possibilità e ai pericoli dei nostri giorni. Ciò in riferimento alla democrazia in generale, ma con attenzione particolare alle democrazie europee e al destino dell’Unione Europea. E lo fa con un problema preciso in mente: la necessità di inventare nuove forme e prassi che ‘combinino’ la democrazia rappresentativa con quella partecipativa, al fine di migliorare la qualità della prima col contributo della seconda.
La democrazia ha molti nemici in attesa tra le quinte, politici e movimenti per il momento costretti a giocare secondo le sue regole ma il cui intento reale è tutt’altro: populista, di manipolazione mediatica, intollerante e autoritario. Conquisteranno molto spazio, se non riformeremo rapidamente le nostre democrazie. E non c’è ambito in cui questa riforma sia più necessaria che in seno alla stessa Unione Europea.»
Il prof. Ginsborg immagina l’incontro, in una sera primaverile del 1876, tra Karl Marx e John Stuart Mill, nella dimora londinese di quest’ultimo. L’espediente narrativo è funzionale al confronto analitico di idee antitetiche, volte alla costruzione di una sintesi comune per una visione d’insieme nel ripensamento del presente.
Strutturata in tre parti, l’opera di Ginsborg prende in considerazione i paradossi della democrazia diretta (con un occhio alla Comune parigina del 1871 ed i soviet rivoluzionari nella Russia del 1905) e la dittatura comunista, insieme all’ossimoro della democrazia liberale che sembra entrare in una crisi irreversibile al momento del suo massimo trionfo. Non nasconde e anzi denuncia il preoccupante deficit democratico (oggi evidente) dell’Unione Europea.
Partendo dall’analisi del sistema politico, prende in considerazione il rilancio ed il rafforzamento dell’istituzione democratica, tramite nuove forme di rappresentanza e partecipazione attiva, nella realizzazione di una democrazia deliberativa con un coinvolgimento sempre più diretto della cosiddetta “società civile”, in rapporto sinergico.
Quindi, sposta l’attenzione sulle variabili di genere ed economiche, con le disuguaglianze sociali, che inficiano la tenuta di un sistema compiutamente democratico, con la strutturazione di tempi e scale di intervento.
Appurato come la democrazia sia un sistema tanto mutevole quanto vulnerabile, Paul Ginsborg reputa che questa vada rianimata, e aperta alla partecipazione diretta ed al coinvolgimento della cittadinanza attiva (e responsabilizzata), per inclusione e mai per esclusione.
Il cuore pulsante di un simile processo di rilancio democratico risiede in coloro che Ginsborg chiama “soggetti attivi e dissenzienti”, tramite un sistema di interconnessioni, con la creazione di reti sociali multiple (dall’associazionismo di base ai comitati pubblici), ripartite per specificità ed ambiti di coinvolgimento: famiglia; società civile; istituzioni politiche. Democrazia partecipata che sia oltre (e non contro) quella fondamentale sfera politica, attualmente separata e monopolizzata dal predominio degli apparati di partito.
«Le tre sfere sono tra loro interdipendenti. Non può esistete società civile senza il sostegno e l’incoraggiamento attivo dello stato democratico. Né la politica democratica può rinnovarsi senza il sostegno e il controllo attivo delle associazioni della società civile. […] Donna o uomo che sia, il moderno cittadino attivo e dissenziente non è un giacobino.»
Al contempo, il prof. Ginsborg dopo aver tessuto l’elogio della “società civile”, declinata nelle sue varie forme associative, ed esaltate le sue potenzialità intrinseche, ne avverte altresì i limiti:
«Le organizzazioni della società civile presentano numerose pecche. Spesso proprio il loro carattere fluido e informale, che tanto affascina e attrae su un certo piano, rappresenta un grave difetto sotto una diversa prospettiva. In assenza di regole formali, è facile per alcuni individui sfruttare la loro posizione di figure carismatiche fondatrici o simili, per cercare di controllare le organizzazioni o di porsi al di là delle critiche.
[…] In realtà un’organizzazione gerarchica prospera assai più facilmente di una votata ai principi delle solidarietà orizzontali e alla diffusione di potere…. Esiste poi il problema della rappresentazione. Chi rappresentano esattamente le organizzazioni della società civile? E in che modo è possibile accertarlo? Dietro denominazioni magniloquenti possono celarsi solo ambizioni individuali.»
Seppur auspicata e reputata parte integrante della soluzione, da rischi simili non è esente nemmeno la “democrazia deliberativa”, né Ginsborg si fa facili illusioni:
«Il periodo in cui viviamo presenta forti punti di contatto con gli anni ’70 del Novecento e dovremmo trarre dagli avvenimenti di quel decennio un monito per il futuro. All’epoca in tutta Europa, ma in particolare in Italia, si ebbero ampie mobilitazioni a favore dell’estensione della democrazia in varie sfere…. La spinta al cambiamento era così forte che Norberto Bobbio notava un “potere ascendente” che si estendeva “a varie sfere della società civile”.
[…] Sfortunatamente, non avvenne alcuna trasformazione del genere ed i risultati finali furono assai deludenti. La montagna partorì un topolino. L’insuccesso è in parte riconducibile al mutato equilibrio di forze alla fine degli anni Settanta: l’esaurimento dei movimenti sociali, la ripresa del controllo esclusivo da parte dei datori di lavoro nelle fabbriche e l’ascesa di una forte ideologia neo-conservatrice dal fascino universale.
[…] In tutta Europa è ora diffusa la retorica del “empowerment” che sottolinea la necessità di ascoltare la gente e coinvolgerla nei processi decisionali. La UE in vari comunicati e programmi non esita a enfatizzare espressioni come partenariato, coinvolgimento dei cittadini, partecipazione. Tuttavia, se la partecipazione non assume forme solide, realizzabili e costanti, tutto il gran parlare di “empowerment” resta poco più di una presa in giro.»
A distanza di sette anni, ne abbiamo la riprova con drammatica riconferma nella scandalosa gestione della crisi economica da parte della UE.
Nell’analisi di Paul Ginsborg non c’è posto né indulgenza per il populismo degenerato di un qualunquismo d’accatto che si nutre di furori anti-castali, opportunisticamente alimentati da una campagna di stampa interessata, che fa dell’indignazione uno strumento di pressione politica per la salvaguardia delle elite.
Se si perdona la polemica, tra i campioni d’eccezione del fortunato filone di vendite ci sono conservatori neoliberisti di ispirazione reaganiana, con incondizionata ammirazione per le politiche economiche di Margaret
Thatcher, come Marco Travaglio (ipse dixit!) o l’accoppiata Rizzo-Stella della premiata ditta “Corriera della Sera“, con accorati elenchi spese tutti concentrati sui “costi della politica” e mai su quelli dei potentati economici all’ombra della finanza globalizzata (delle quali “Il Corriere della Sera” è da sempre l’organo di stampa privilegiato). A questi, spiace constatare come non manchino mai, da ‘sinistra’, i vari corifei dell’indignazione mediatica a comando, che una vecchia volpe immorale come Lenin, nel suo cinico opportunismo politico, avrebbe definito “utili idioti”.
«La crescente concentrazione del capitale su scala mondiale, conseguente a continue fusioni e acquisizioni, un processo che Marx aveva previsto con grande chiarezza, ha prodotto nuove oligarchie straordinariamente potenti (…) Sono mastodonti estremamente dinamici e rapaci dal punto di vista economico, ma dinosauri in termini di democrazia. Animali non stanziali, battono il mondo a caccia di nuovi mercati e profitti. Il loro è un enorme potere che non risponde a nessuno, se non in forma parziale agli azionisti. Sono in grado di spostare vaste risorse, di decidere del destino di intere comunità e di dettare le loro regole “flessibili” in molte parti del mondo. Alla loro ombra i singoli cittadini si sentono impotenti e dipendenti al contempo. Sono queste le vere relazioni economiche del neo-liberismo e Mill inorridirebbe di fronte a qualsiasi uso del termine “liberalismo”, seppur preceduto da “neo”, in un contesto simile.»