A.D. 2015. Discutere del “reato di tortura” nel Paese di Cesare Beccaria e Pietro Verri è un po’ come parlare del “fascismo”… Superati da tempo nel resto del mondo propriamente democratico, come scorie residuali di uno scomodo passato relegato ad infamia perenne, e per questo emarginati in ogni consesso civile degno di tal nome, al contrario in Italia restano sempre attualissimi ed apprezzati. Vivono di motu proprio, alimentati da un revisionismo nostalgico ampiamente diffuso, nell’indulgenza dell’apologia di reato elevata a pratica politica ordinaria, per sommuovere i reflussi di un corpo elettorale da convogliare in pugni di voti. Perché, per certi cultori della materia, la ‘politica’ è più merda che sangue. Tutt’al più, nel pudore ipocrita di un’Italietta furbastra e della sua pubblicistica a contratto, i due termini (tortura e fascismo) vivono di perifrasi, nascosti nei paludamenti formali di vesti semantiche, che in fondo costituiscono una forma di camouflage agli orrori di una classe con presunzioni dirigenziali, massimamente degna dei propri rappresentati. Per questo si parla con leggerezza e ammiccante compiacimento di “partito della nazione”, più volte evocato sulla falsariga della cinquantennale egemonia democristiana, nella rievocazione latente del suo modello originale: il fascismo, che dell’identità tra partito-stato e nazione fece l’elemento fondante del proprio potere. Ne consegue che, in pieno 2015, non è la reiterazione della tortura come strumento di coercizione, di punizione e umiliazione, a costituire l’essenza vergognosa del problema, bensì il riconoscimento della stessa come reato. E dunque la sua sanzione. L’ipotesi di disciplinare la materia attraverso una legge organica suscita le ondate di sdegno delle nutrite fascisterie, defecate in parlamento dalla disciolta costipazione del corpo elettorale che saliva ansimante ad ogni agitar di forca… L’idea stessa di istituire il reato fa arricciare il naso ai replicanti di padron Grullo, che reputano la normativa attualmente in discussione insufficiente. E dunque meglio niente. Infatti è molto più efficace gingillarsi con una nuova commissione parlamentare d’inchiesta sul G-8 di Genova 2001, insieme ai protettori politici ed ai mandanti morali dei pestaggi e delle sevizie di allora. “Commissione” che ovviamente, per la natura stessa della sua composizione, non perverrà a nulla, ma offrirà l’ennesima occasione di cazzeggio a vuoto, nella massima visibilità mediatica, per i giochini elastici dell’opposizione dei bimbi spastici. Le orde fascio-leghiste, capitanate dall’Uomo con la felpa, imbarazzante figuro di parassitismo sociale a mantenimento politico, introdurrebbero il linciaggio su processo sommario, di cui la tortura costituisce un diversivo imprescindibile prima dell’intrattenimento principale… Le “forze dell’ordine” vivono l’istituzione di una simile fattispecie di reato, come un’onta ed una intollerabile minaccia alle proprie prerogative. Evidentemente, considerano l’abuso sistematico ed il pestaggio dei fermati, come un loro precipuo dovere ed un diritto inalienabile, nella pretesa di impunità intesa come parte integrante dei privilegi connessi al distintivo… I papiminkia alla destra di Barabba pensano che sia un valido strumento di controllo ed intimidazione sociale. Dunque perché privarsene? Tra i “riformisti” del partito bestemmia, scandalo enorme ha suscitato la richiesta farlocca, in ritardo e fuori tempo massimo, di dimissioni del prefetto De Gennaro, Gianni per gli ‘amici’ e dunque per noi Giovanni, già capo della polizia ai tempi del famigerato G-8 genovese, planato con tonfa e bagagli ad integrare la ricca pensione, in virtù di non meglio specificate competenze, alla presidenza di Finmeccanica: il buen ritiro preferito da ogni superburocrate con le stellette. Matteo Renzi si è subito preoccupato di tutelare gli azionisti della società, che con ogni evidenza vengono prima dei diritti della cittadinanza e del rispetto delle norme fondamentali della Costituzione. Massimo Mucchetti, senatore, economista e giornalista (secondo la concentrazioni classiche di ruoli che inficiano autonomia e giudizio), in un arzigogolato editoriale ci fa sapere che una eventuale “responsabilità oggettiva” del prefetto Giovanni De Gennaro nella carneficina della Scuola Diaz, e delle torture nella caserma di Bolzaneto, esclude un suo coinvolgimento soggettivo e dunque non implica alcuna condanna morale. Perciò, “benissimo” ha fatto il premier a riconfermare tutta la sua fiducia al nostro eroe gallonato, per “il rispetto dovuto agli azionisti di una società quotata” (sic!) giacché certe inchieste “minano la stabilità e la concentrazione sul business”. E non sia mai! Nello stesso ambito, ma sul fronte giudiziario, Raffaele Cantone, la foglia di fico buona per tutti gli appalti, si è premurato di informarci come De Gennaro sia stato assolto in Cassazione. E peccato soltanto il reato è stato in realtà prescritto e che i collaboratori del prefetto siano stati condannati per falsa testimonianza a favore del prefetto De Gennaro, naturalmente a sua insaputa. Sfugge al super-magistrato diventato ormai organico alla politica (o meglio dire al “renzismo”), quali siano le responsabilità che la direzione generale del Dipartimento di PS implica, in virtù del ruolo. “Responsabilità” che, oltre a non essere ottemperate, sono state sistematicamente eluse in fase di istruttoria processuale, con una serie di reticenze, coperture e manipolazioni, degne più di una cosca mafiosa che di una istituzione preposta all’applicazione delle legge, con funzionari di polizia che agiscono come gli sbirri incanagliti di un romanzo di Ellroy, sotto una cupola di omertà. In proposito, solo gli Stati Uniti sono riusciti a far di meglio, istituzionalizzando la tortura a pratica scientifica (la chiamano “scienza della carcerazione”), magari codificata in appositi manuali d’uso (Human Resource Exploitation), e convogliando le pulsioni fasciste in un substrato ideologico dominante, che raggiunge vette inarrivabili in quello che è lo sport più praticato a livello nazionale, specialmente se si indossa una divisa: “kill the nigga!” (ammazza il negraccio). Davvero l’elezione di un presidente ‘negro’ deve aver sconvolto l’America bianca e bigotta, tanto lo spauracchio nero ha agitato i fantasmi oscuri della più profonda provincia americana, persa nelle sue mistiche ossessioni a mano armata. La tortura funziona esattamente come il fascismo e ne ripercorre le stesse modalità d’uso: esiste, è diffusa e praticata con costanza più o meno intensa, ma non si dice e soprattutto non viene mai chiamata col suo nome. La tortura è sempre stata ampiamente tollerata e gode di estimatori (in)sospettabili ad ogni livello ‘istituzionale’, soprattutto tra i servi dello stato, che sul ricorso alla modalità de tormentishanno costruito intere carriere poliziesche. Al massimo la si può biasimare blandamente a posteriori, nelle ricorrenze ufficiali, per mero conformismo che poi gli altri convitati internazionali ci guardano storto, ma senza mai troppa convinzione. A molti italiani, la tortura come idea astratta, come fantasia malata da condividere nei crocicchi da bar, in fondo piace. Perché stimola le perversioni sadiche dai richiami erotici di ogni citrullo di provincia, che sogna punizioni esemplari e vendette epiche nel fondo malato della sua anima nerissima. Perché ogni imbecille con un fucile si sente un giustiziere. E basta accarezzare una pistola, per fare di uno psicopatico fallito il vendicatore solitario di cause perse in tribunale.
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«…conto su pochi lettori e ambisco a poche approvazioni. Se questi pensieri non piaceranno a nessuno, non potranno che essere cattivi, ma se dovessero piacere a tutti li considererei detestabili…»
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“Io non sono mai stato un giornalista professionista che vende la sua penna a chi gliela paga meglio e deve continuamente mentire, perché la menzogna entra nella qualifica professionale. Sono stato giornalista liberissimo, sempre di una sola opinione, e non ho mai dovuto nascondere le mie profonde convinzioni per fare piacere a dei padroni manutengoli.”
(A.Gramsci - 'Lettere dal carcere')
“Io non ho alle mie spalle nessuna autorevolezza, se non quella che mi proviene paradossalmente dal non averla o dal non averla voluta; dall’essermi messo in condizione di non aver niente da perdere, e quindi di non esser fedele a nessun patto che non sia quello con un lettore che io considero degno di ogni più scandalosa ricerca”
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“Nulla potrebbe essere più irragionevole che dare potere al popolo, privandolo tuttavia dell’informazione senza la quale si commettono gli abusi di potere. Un popolo che vuole governarsi da sé deve armarsi del potere che procura l’informazione. Un governo popolare, quando il popolo non sia informato o non disponga dei mezzi per acquisire informazioni, può essere solo il preludio a una farsa o a una tragedia, e forse a entrambe”
(J. MADISON - 4 Agosto 1822. Lettera a W.T. Barry)
“Un’opinione pubblica bene informata è la nostra corte suprema. Perché ad essa ci si può sempre appellare contro le pubbliche ingiustizie, la corruzione, l’indifferenza popolare o gli errori del governo; una stampa onesta è lo strumento efficace di un simile appello.”
(Joseph Pulitzer)
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