Archivio per Stato d’eccezione
(139) Cazzata o Stronzata?
Posted in Zì Baldone with tags Coronavirus, Costume, Covid-19, Decretazione d'urgenza, Governo Conte-bis, Italia, Liberthalia, Mascherine, Paola De Micheli, Società, Stato d'eccezione, Stato di emergenza on 3 ottobre 2020 by Sendivogius[17 Sett.] «Il caso Sardegna è stato un attacco mediatico orchestrato politicamente e il Billionarie è stato strumentalizzato perché conosciuto in tutto il mondo: solo le discoteche di destra avevano il Coronavirus, quelle di sinistra no.»
[13 Sett.] «Questo è stato un anno entusiasmante!»
[06 Sett.] «Io aspetto la sera del 21 Settembre, per contare i voti veri: saranno sorprendenti, anche in Campania. Se dovessi fare un pronostico, come obiettivo mi pongo un sette a zero. Se puoi sognarlo, puoi farlo.»
[18 Sett.] «Adesso andiamo a vincere!»
[13 Sett.] «In Toscana sento davvero odore di qualcosa di rivoluzionario.»
[24 Sett.] «Io credo di essere stato il ministro che ha fatto di più nella storia.»
[03 Sett.] «Un Parlamento ridotto numericamente può essere controllato meglio, perché maggiore è il numero di parlamentari maggiore è il numero di persone che possono essere potenzialmente corrotte.»
[03 Sett.] «Abbiamo istituito una Commissione per capire quale è lo strumento migliore per collegare la Sicilia alla Calabria. Per collegarle su ferro, su strada e con una pista ciclabile.»
[09 Sett.] «Occorrerà tenere i finestrini degli scuolabus il più possibile aperti, anche in inverno.»
[05 Sett.] «Prima di tutto, fatemi presentarvi.»
PIENI POTERI
Posted in Kulturkampf with tags Coronavirus, Costituzione, Decretazione d'urgenza, Decreto Legge, Democrazia, Emergenza, Esecutivo, Governo Conte, Italia, Libertà, Liberthalia, Parlamento, Pieni Poteri, Potere, Principio di Necessità, Società, Stato d'eccezione on 22 marzo 2020 by SendivogiusUn Presidente del Consiglio che a Parlamento chiuso annuncia una gigantesca limitazione delle libertà fondamentali e dei diritti di cittadinanza, che non ha precedenti, senza nemmeno avere un testo certo da presentare, un decreto definitivo, una serie di disposizioni chiare ed univoche, nonostante la larvata sospensione delle garanzie costituzionali. Ma intanto avoca su di sé tutti i processi decisionali e legislativi, con una concentrazione abnorme di potere che va ben oltre lo Stato d’eccezione, legittimato dal principio di necessità su emergenza condivisa (necessitas legem non habet). E lo fa attraverso un video notturno su Facebook, senza alcuna possibilità di porre domande (men che mai dubbi), per una stampa ammansita alla straordinarietà della situazione, e senza minimamente porsi il problema sull’opportunità istituzionale di convocare le opposizioni (o quantomeno interpellarne leaders e capigruppi). Ovvero, riunire le Camere al momento sospese come ogni altra attività parlamentare, per una concentrazione di potere assoluto e paradossalmente debolissimo, che non decide ma rinvia, decidendo di non decidere. Piuttosto dissimula; fa leva sul complesso di colpa, deresponsabilizzando se stesso. Scoperchia il vaso di Pandora, ma ha paura delle conseguenze. Eppur ne è attratto. Procede a tentoni, mentre oscilla, tentenna, scricchiola, sotto le pressioni dei corpi intermedi, delle istituzioni locali allo sbando, e di regioni che credono di essere stati indipendenti, in un conflitto di competenze che si sovrappongono e si confondono, dietro un cicciare ad libitum di ordinanze contrapposte, senza che ci sia mai una linea certa. E questo nonostante il ricorso alla decretazione d’urgenza, rimessa direttamente al Presidente del Consiglio e senza che nemmeno i suoi ministri ne siano del tutto informati, nella vacuità dei contenuti. È uno stillicidio a cadenza quotidiana di annunci… divieti o presunti tali, con eccezione sempre inclusa in deroga agli stessi… misure estreme, ma ad interpretazione flessibile e porose nella sostanza, che si susseguono inseguendo l’effetto mediatico di un consenso piacione e piagnone, mentre viaggiano sempre in ritardo rispetto all’urgenza, per una confusione sovrana, attraverso uno schizofrenico ripetersi di contraddizioni e tentennamenti, impeciati dal prossimo provvedimento draconiano. Per ora assistiamo ad una sfilza di superpoteri che neanche producono effetti tangibili, se non nella creazione di un monstrum giuridico che mette in discussione l’idea stessa di Libertà (la democrazia è già bella che andata) e che sarà assai difficile ricacciare nella tana e disarmare, una volta che l’emergenza sarà rientrata… non si sa come né quando… e bisognerà tornare ad una parvenza di normalità. Ammesso che lo si voglia. E che l’Eccezione non diventi piuttosto la regola.
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La Legge ferrea delle Oligarchie
Posted in Kulturkampf with tags "Saggi", Art.138, Charles Wright Mills, Cittadinanza, Consaciativismo, Convenzione, Costituzione, Cultura, Democrazia, Diritti, Elite, Equilibrio, Festa della Repubblica, Gaetano Mosca, Giorgio Napolitano, Governo, Gustavo Zagrebelsky, Istituzioni, Legge elettorale, Libertà e Giustizia, Liberthalia, Necessità, Neo-elitismo, Normalizzazione, Oligarchia, Pacificazione, Parlamento, Politica, Post-democrazia, Potere, Presidenzialismo, Rappresentanza, Revisione costituzionale, Riformismo, Robert Michels, Società, Stato d'eccezione, Teorie del Conflitto, Vilfredo Pareto on 2 giugno 2013 by SendivogiusFin dalla sua fondazione, Liberthalia si è sempre interessata all’interpretazione delle dinamiche del “potere” in tutte le sue varianti, teoriche e pratiche, con particolare attenzione alle involuzioni oligarchiche della post-democrazia; denunciando l’incombenza di un nuovo “stato d’eccezione”, consacrato al “principio di necessità”, e ritornando più volte sulla tematiche in oggetto con singoli articoli e commenti dedicati. Per questo ci siamo concentrati spesso sulle forme e le degenerazioni del neo-elitismo, passando dai classici come Mosca-Michels-Pareto alle più moderne teorie del conflitto, nel tentativo di comprendere un fenomeno antico e quanto mai attuale nella sua pervasività, affidandoci spesso nelle risposte e nelle analisi al pensiero di Charles Wright Mills, che alla strutturazione delle elite nella società contemporanea dedicò gran parte della sua critica sociologica.
Superato ampiamente lo stato di incubazione embrionale, oggi la situazione italiana, paradigma sperimentale di una più ampia degenerazione globale, rappresenta il prodotto in fieri di un ritrovato consociativismo elitario, dove una ristretta oligarchia trasversale, e totalmente delegittimata, pensa di cambiare l’architettura costituzionale e le stesse istituzioni della rappresentanza democratica, per conformarle alle proprie esigenze, plasmarle secondo “necessità”, nella preservazione (e perpetuazione) di un assetto di potere e di controllo, funzionale alla sopravvivenza di un’oligarchia sempre più ristretta tra populismi mediatici e pulsioni autoritarie.
Attualmente, l’ultimo ostacolo ad una simile deriva è costituito dalla nostra Costituzione repubblicana, che non per niente è l’oggetto di un assalto inaudito e senza precedenti.
Per questo, in concomitanza con la Festa della Repubblica (ridotta oramai a semplice parata militare) riportiamo il manifesto di Libertà e Giustizia a salvaguardia della nostra Carta costituzionale, che condividiamo e sottoscriviamo in toto…
NON È COSA VOSTRA
Da anni, ormai, sotto la maschera della ricerca di efficienza si tenta di cambiare il senso della Costituzione: da strumento di democrazia a garanzia di oligarchie. Non dobbiamo perdere di vista questo, che è il punto essenziale. Non è in gioco solo una forma di governo che, per motivi tecnici, può piacere più di un’altra. L’uguaglianza, la giustizia sociale, la protezione dei deboli e di coloro che la crisi ha posto ai margini della società, la trasparenza del potere e la responsabilità dei governanti sono caratteri della democrazia, cioè del governo diffuso tra i molti. L’oligarchia è il regime della disuguaglianza, del privilegio, del potere nascosto e irresponsabile, cioè del governo concentrato tra i pochi che si difendono dal cambiamento, sempre gli stessi che si riproducono per connivenze e clientele. Parlando di oligarchie, non si deve pensare solo alla politica, ma al complesso d’interessi nazionali e internazionali, economico-finanziari e militari, che nella politica trovano la loro garanzia di perpetuità e i loro equilibri.
Ora, di fronte alle difficoltà di salvaguardare questi equilibri e alla volontà di rinnovamento che in molte recenti occasioni si è manifestata nella società italiana, è evidente la pulsione che si è impadronita di chi sta al vertice della politica: si vuole “razionalizzare” le istituzioni in senso oligarchico. Invece di aprirle alla democrazia, le si vuole chiudere o, almeno, congelare. L’incredibile decisione di confermare al suo posto il Presidente della Repubblica uscente è l’inequivoca rappresentazione d’un sistema di complicità che vuole sopravvivere senza cambiare. L’ancora più incredibile applauso, commosso e grato, che ha salutato quella rielezione – rielezione che a qualunque osservatore sarebbe dovuta apparire una disfatta – è la dimostrazione del sentimento di scampato pericolo. Ogni sistema di potere a rischio, o per incapacità di mediare le sue interne contraddizioni o per la pressione esterna da parte di chi ne è escluso, reagisce con l’istinto di sopravvivenza. Ma le riforme, in questo contesto, non possono essere altro che mosse ostili. Per questo, di fronte alla retorica riformista, noi diciamo: in queste condizioni, le vostre riforme non saranno che contro-riforme e il fossato che vi separa dalla democrazia si allargherà. Contro gli accordi che nascondono contro-riforme, noi, per parte nostra, useremo tutti gli strumenti per impedirle e chiediamo a coloro che siedono in Parlamento di prendere posizione con chiarezza e impegnativamente e di garantire comunque la possibilità per gli elettori di esprimersi con il referendum, se e quando fosse il momento.
Soprattutto, a chi si propone di cambiare la Costituzione si deve chiedere: qual è il mandato che vi autorizza? Il potere costituente non vi appartiene affatto. Siete stati eletti per stare sotto, non sopra la Costituzione. Se pretendete di stare sopra, mancate di legittimità, siete usurpatori. Se proprio non vogliamo usare parole grosse, diciamo che siete come la ranocchia che cerca di gonfiarsi per diventare bue. Non è la prima volta. E’ già accaduto. Ma ciò significa forse che ciò che è illegittimo sia perciò diventato legittimo?
Per questo, difenderemo la Costituzione come cosa di tutti e ci opporremo a coloro che la considerano cosa loro. La costituzione della democrazia è, per così dire, il vestito di tutta la società; non è l’armatura del potere di chi ne dispone. La mentalità dominante tra i tanti, finora velleitari, “costituenti” che si sono succeduti nel tempo nel nostro Paese, è stata questa: di fronte alle difficoltà incontrate e al discredito accumulato, invece di cambiare se stessi, mettere sotto accusa la Costituzione. La colpa è sua! Non sarà invece che la colpa è vostra o, meglio, della vostra concezione della politica e degli interessi che vi muovono?
Su un punto, poi, deve farsi chiarezza per evitare gli inganni. Chi vuol cambiare, normalmente, è un innovatore e le novità sono la linfa vitale della vita politica. Per questo, gli innovatori godono d’una posizione pregiudiziale di vantaggio. Ma, esiste anche un riformismo gattopardesco di segno contrario: si può voler cambiare le istituzioni per bloccare la vita politica e salvaguardare un sistema di potere in affanno. Allora, il movimentismo istituzionale equivale alla stasi politica. La stasi solo apparentemente è pace: è la quiete prima della tempesta.
Anche noi siamo per la pace; vediamo che il nostro Paese ha bisogno di pacificazione, pur se esitiamo a usare questa parola, corrotta ormai dall’abuso. Sappiamo però, anche, che la pace è esigente, molto esigente. Non può esistere senza condizioni. Dice la Saggezza Antica: “su tre cose si regge il mondo: la giustizia, la verità e la pace”. E commenta così: in realtà sono una cosa sola, perché la giustizia si appoggia sulla verità e alla giustizia e alla verità segue la pace. La pace è la conseguenza della verità e della giustizia. Altrimenti, pacificare significa solo zittire chi vuole verità e giustizia, per nascondere segreti, inganni e ingiustizie e continuare come prima. Non è questa la pace di cui il nostro Paese ha bisogno.
Non siamo né i velleitari né i giacobini che ci dipingono. Non crediamo affatto al regno perfetto della Verità e della Giustizia sulla terra. Sappiamo bene che la politica non si fa con i paternoster e temiamo i fanatici della virtù rigeneratrice. Ma da qui a tutto accettar tacendo, il passo è troppo lungo. Siamo disposti alla pacificazione, ma a condizione che, nelle forme e con i mezzi della democrazia, si abbia come fine la ricerca della verità e la promozione della giustizia. Altrimenti, pacificazione è parola al vento. La pacificazione non è un sentimento o una predica, ma è una politica. È, dunque, una cosa molto concreta, difficile e impegnativa, perché non significa stare tutti insieme in un patto di connivenza. Significa combattere le zone oscure del potere, le sue illegalità, i suoi privilegi e le sue immunità; significa operare per la giustizia in favore del riequilibrio delle posizioni sociali, della riduzione delle disuguaglianze, dei diritti dei più deboli, di coloro che la crisi economica ha ridotto allo stremo, spingendoli ai margini della società. Solo questa è pacificazione operosa e veritiera.
Si dice che le “riforme istituzionali e costituzionali” hanno questo scopo. Ma, noi temiamo che, dietro alcune riforme “neutre”, semplificatrici e razionalizzatrici (numero dei parlamentari, province, bicameralismo), ve ne siano altre, pronte a saltar fuori quando se ne presenti l’occasione propizia, le quali con la pacificazione non hanno a che vedere. Piuttosto, hanno a che vedere con ciò che si denomina “normalizzazione”.
La procedura.
Esiste, nella Costituzione (art. 138) una procedura prevista per la sua “revisione”. Ma oggi se ne immagina un’altra, farraginosa e facente capo a un’assemblea, chiamata “convenzione”. Si sta cercando la via per una spallata per la quale le procedure ordinarie, per la volontà impotente delle forze politiche, non sono sufficienti? Già il nome induce al dubbio che di ben altro che di una “revisione” si tratti. Le “convenzioni costituzionali” (a iniziare da quella di Filadelfia del 1787) possono essere convocate con limitati compiti riformatori, ma poi prendono la mano e pretendono di essere “costituenti”, cioè di scrivere nuove costituzioni. Il fatto poi che qualcuno abbia fatto riferimento a una “Commissione dei 75”, come la “Commissione per la Costituzione” che elaborò ex novo la vigente Costituzione del 1947, non fa che rafforzare questa supposizione, confermata dal fatto che ritorna il linguaggio e la mentalità della “grande riforma”. Par di capire che si voglia la riscrittura ex novo dell’architettura della politica. L’odierna procedura – da quel poco che si capisce e dal molto che non si capisce – è un miscuglio in cui sono messi insieme parlamentari ed “esperti”, scelti dai partiti, presumibilmente in proporzione alle forze che compongono il Parlamento. Il prodotto dovrebbe passare per le commissioni “affari costituzionali” e giungere alle Camere, separate o riunite (presumibilmente per superare l’ostilità del Senato), per concludersi con l’approvazione, non senza una concessione alla democrazia del web. Il voto finale dovrebbe essere un “prendere o lasciare” (su tutto il “pacchetto” o sulle singole parti, non si sa), senza possibilità di emendamento. Poiché un tale procedimento è totalmente estraneo alla Costituzione vigente, le è anzi contrario, s’immagina che poi, con una legge costituzionale si ratificherà l’accaduto. Non è nemmeno il caso di commentare in dettaglio questo pasticcio annunciato: la legge costituzionale di ratifica ex post non è
essa stessa la confessione che quel che intanto si fa è fuori della Costituzione? I “garanti della Costituzione” non hanno nulla da eccepire? La convenzione nascerebbe come proiezione di un parlamento eletto con una legge elettorale che, col premio di maggioranza, altera profondamente la rappresentanza, ma non s’è sempre detto che le assemblee con compiti costituenti devono essere “proporzionali”? Gli “esperti”, scelti dai partiti, saranno dei “fidelizzati”? Il loro compito non si ridurrà alla “copertura” delle posizioni di chi li ha scelti con quello scopo? come si esprimeranno: con una voce sola, che fa tacere i dissidenti, o con più voci? Se le opinioni saranno diverse – come necessariamente dovrà essere se gli “esperti” saranno scelti senza preclusioni – che cosa aggiungerà il loro lavoro a un dibattito che, tra gli esperti, dura già da più di trent’anni? Se saranno chiamati a votare, cioè a scegliere, non avremmo allora dei tecnici chiamati a esprimersi politicamente? Infine, come potrebbero i parlamentari degnamente accettare l’umiliazione del voto bloccato “sì-no” sulle proposte della Convenzione? Questi arzigogoli contraddittorii non sono forse il segno della confusione in cui si caccia la volontà, quando è impotente?
Il presidenzialismo.
Nel merito della riforma, ancora una volta, dietro le quinte s’affaccia la volontà di presidenzialismo: “semi” o intero. L’argomento sul quale, da ultimo, si basano i presidenzialisti, è il seguente: i tempi della presidenza Napolitano hanno visto una trasformazione “di fatto” dell’ordinamento, in questo senso. Non è allora naturale che si costituzionalizzi, regolandolo, quanto è già avvenuto? A questo riguardo, però, occorre distinguere. Una cosa è l’espansione dell’azione presidenziale utile a preservare le istituzioni parlamentari previste dalla Costituzione, nel momento della loro difficoltà, in vista del ritorno alla normalità. Altra cosa è l’azione che prelude a trasformazioni per instaurare una diversa normalità. Queste contraddicono l’obbligo di fedeltà alla Costituzione che c’è, obbligo contratto da chi fa parte delle istituzioni. Aut, aut. Non sono rispettosi dei doveri costituzionali presidenziali, e del Presidente medesimo, i sostenitori dell’avvenuta trasformazione della “costituzione materiale”. Il “garante della Costituzione” agisce per preservarla o per trasformarla?
Noi temiamo che il presidenzialismo, quali che siano le sue formulazioni e i “modelli” di riferimento, nel nostro Paese non sarebbe una semplice variante della democrazia. Si risolverebbe in una misura non democratica, ma oligarchica. Sarebbe, anzi, la costituzionalizzazione, il coronamento della degenerazione oligarchica della nostra democrazia. Sarebbe la risposta controriformista alla domanda di partecipazione politica che si manifesta nella nostra società al tempo presente. L’investitura d’un uomo solo al potere, portatore e garante d’una costellazione d’interessi costituiti, non è precisamente l’idea di democrazia partecipativa che sta scritta nella Costituzione, alla quale siamo fedeli.
Controlli.
Il senso concreto del presidenzialismo che viene proposto in questa fase della nostra vita politica si chiarisce minacciosamente anche con riguardo ad altri due temi all’ordine del giorno dei riformatori costituzionali: l’autonomia della magistratura e la libertà dell’informazione. Ogni oligarchia ha bisogno di organizzare e gestire il potere in maniera nascosta, segreta. Ma la democrazia è il regime in cui il potere pubblico è esercitato in pubblico. La pubblicità delle opere dei governanti, è la condizione della loro responsabilità. Il potere non responsabile è autocratico, non democratico. Qual è il rimedio contro la chiusura del potere politico su se stesso? È la conoscenza veritiera dei fatti. E quali sono gli strumenti di tale conoscenza? Le indagini giudiziarie e le inchieste giornalistiche. Per nulla sorprendente è che chiunque si trovi ad esercitare un potere oligarchico sia ostile alla libertà delle une e delle altre, quando forse, invece, trovandosi all’opposizione, l’aveva difesa a spada tratta. Nulla di sorprendente: non sorprendente, ma certamente inquietante la concomitanza di proposte restrittive dell’azione giudiziaria e giornalistica con i progetti di riforma del sistema di governo. Chi ha a cuore la democrazia non può ragionare secondo la logica contingente della convenienza, ma deve difendere la libertà della pubblica opinione, indipendentemente dal fatto che questa libertà possa giovare o nuocere a questa o quella parte, a questi o quegli interessi.
La legge elettorale.
La riforma della legge vigente è riconosciuta come emergenza democratica, da tutti e non da oggi. Dopo che la Corte costituzionale, con l’improvvida sentenza che aveva dichiarato inammissibile il referendum che avrebbe ripristinato la legge precedente (soluzione realisticamente prospettata, fin dall’inizio, da Libertà e Giustizia), tutti dissero in coro: riforma elettorale, fatta subito con legge. Si è visto. Anche oggi si ripete la stessa cosa, ma con quali prospettive? Esiste una convergenza di vedute in Parlamento? È difficile crederlo e già emergono le resistenze. I due maggiori aspetti critici della legge attuale, dal punto di vista della democrazia, sono l’abnorme premio di maggioranza e le liste bloccate. Ma il premio di maggioranza farà gola ai due raggruppamenti maggiori che, sondaggi alla mano, possono sperare di avvalersene. Le liste bloccate (i parlamentari “nominati”) sono nell’interesse delle oligarchie di partito e degli stessi membri attuali del Parlamento, che possono contare sulla ricandidatura facile, tanto più in mancanza d’una legge sulla democrazia nei partiti, anch’essa sempre invocata (subito la legge!) quando scoppia qualche scandalo. Dal punto di vista della funzionalità o governabilità del sistema, occorrere poi eliminare il diverso metodo di attribuzione del premio di maggioranza nelle due Camere, ciò che ha determinato la vittoria di un partito nell’una, e la sua sconfitta nell’altra. Il ritorno al voto con questa incongruenza sarebbe come correre verso il disastro, verso il suicidio della politica. Ma anche a questo proposito, non si può essere affatto sicuri che calcoli interessati, questa volta non a vincere ma impedire ad altri di vincere, non abbiano alla fine la meglio. Il Capo dello Stato ha minacciato le sue dimissioni, ove a una riforma non si addivenga. Altri immaginano una riforma imposta dal Governo con decreto-legge. Sono ipotesi realistiche? Possiamo davvero immaginare che un Presidente della Repubblica, che porti le responsabilità inerenti alla sua carica, al momento decisivo sarebbe pronto a sottrarvisi, precipitando nel caos? Quanto al Governo, possiamo credere ch’esso possa agire facendo tacere al suo interno le divisioni esistenti tra le forze parlamentari che lo sostengono, le quali sarebbero comunque chiamate a convertire in legge il decreto (senza contare – ma chi presta più attenzione a questi dettagli? – che la decretazione d’urgenza è vietata in materia elettorale).
E allora? C’è da arrendersi a questa condizione crepuscolare della democrazia? Al contrario. C’è invece da convocare tutte le energie disponibili, dovunque esse si possano trovare, proprio come abbiamo cercato di fare con questa pubblica manifestazione. Per raccogliere in un impegno e in un movimento comune la difesa e la promozione della democrazia costituzionale che, per tanti segni, ci pare pericolare. Dobbiamo crescere fino a costituire una massa critica di cui non sia possibile non tenere conto, da parte di chi cerca il consenso e chiede il nostro voto per entrare nelle istituzioni. Per questo dobbiamo riuscire a spiegare ai molti che la questione democratica è fondamentale; che non possiamo rassegnarci. Essa riguarda non problemi di fredda ingegneria costituzionale da lasciare agli esperti, ma la possibilità, da tenere ben stretta nelle nostre mani, di lavorare e cercare insieme le risposte ai problemi della nostra vita. Domandare pace, lavoro, uguaglianza e giustizia sociale, diritti individuali e collettivi, cultura, ambiente, salute, legalità, verità e trasparenza del potere, significa porre una domanda di democrazia. Non che la democrazia assicuri, di per sé, tutto questo. Ma, almeno consente che non si perda di vista la libertà e la giustizia nella società e che non ci si consegni inermi alla prepotenza dei più forti.
Gustavo Zagrebelsky
(18/05/2013)
Lo Spirito dei Tempi
Posted in Masters of Universe, Ossessioni Securitarie with tags Antonio Manganelli, Carlo Azeglio Ciampi, Celerini, Democrazia, Diritto, Fatti di Genova, Francesco Gratteri, G-8 di Genova, Genova 2001, Gianni De Gennaro, Gilberto Calderozzi, Giovanni Luperi, Italia, Liberthalia, Polizia, Potere, Repressione, Roberto Sgalla, Scuola Diaz, Stato, Stato d'eccezione, Vincenzo Canterini on 22 luglio 2011 by SendivogiusIn questi giorni, ricorre il decimo anniversario dei fatti di Genova: stesso premier, stessi ministri, stessi personaggi, stessa opposizione inconsistente di oggi. Si aggiungano, all’epoca, i contributi di un sopravvalutatissimo Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, più pavido che assente, il quale coi suoi silenzi e con le sue rapidissime firme legislative, accompagnate (si dice) da costante “irritazione” (che, se mai ci fu, rimase sempre privata), rese possibile il consolidamento dell’eccezione berlusconiana.
Gli eventi inauditi, che contraddistinsero il mattatoio genovese del Luglio 2001, costituiscono a tutt’oggi un buco nero della democrazia. A suo tempo, ne avevamo accennato QUI.
Soprattutto, rappresentano un black-out nello Stato di diritto, reso possibile dall’acquiescenza istituzionale e dalla sospensione delle garanzie costituzionali (che infatti si vogliono riscrivere), tramite i consueti meccanismi di una omertà di Stato che, dalla strategia della tensione alle stragi di mafia, sembra caratterizzare la storia politica dell’Italia repubblicana.
Si potrebbe persino ipotizzare che il G-8 del 2001 sia stato, a suo modo, il preludio di una nuova strutturazione del “potere” accentrato su base autoritaria per una conduzione individuale e supra legem del medesimo, che sacrifica il principio di legalità in favore del principio di necessità, più funzionale a nuove legislazioni speciali e all’accorpamento di funzioni straordinarie, slegate da vincoli e controlli…
In tale ottica, l’intervento repressivo di matrice poliziesca si potrebbe persino interpretare come un prova muscolare, per saggiare le eventuali resistenze al nuovo assetto incipiente. Certo è che trovò esecutori fanaticamente zelanti e oppositori remissivi del tutto impreparati; tant’è che le violenze di Genova contribuirono ad intimidire le istanze alternative e sopprimere le contestazioni ai nuovi assetti macroeconomici e geopolitici, imposti dai “Grandi” del pianeta.
C’è tuttavia da obiettare che ciò implicherebbe una intelligenza politica troppo sofisticata ed una pianificazione strategica troppo elevata, con ogni probabilità, fuori dalla portata degli organizzatori e degli esecutori materiali delle brutalità, perpetrate però con gusto e reiterate con sadico divertimento, a dispetto di una catastrofica gestione tattica, dai cosiddetti “tutori dell’ordine” evidentemente entusiasti di poter dare una lezione ai ‘rossi’ e forti delle più alte coperture nella certezza dell’impunità.
Diciamo che gli accadimenti di Genova sono stati una sorpresa anche per noi: che la fascistizzazione delle forze di polizia fosse una realtà compiuta, era un fatto fin troppo evidente (il filtro funzione bene fin dai tempi di Scelba e Taviani); che però, oltre all’impreparazione, fosse così numerosa la presenza in organico di potenziali psicotici, in effetti ci ha stupito.
A giudicare dalle cronache degli ultimi anni, sembra che le cose non siano cambiate. Anzi!
Lo testimoniano le vicende inerenti la tragica fine di Aldrovandi, Rasman, Bianzino, Sandri, Cucchi.. tanto per citare i casi più gravi dove c’è scappato il morto per “tragica fatalità”. Ma abbondano gli episodi minori.
E se la maggior parte dell’organico in servizio è costituito sicuramente da persone degnissime, di eccezionale umanità e di rara sensibilità democratica, servitori indefessi dello Stato, che rischiano la vita per mille euro al mese etc. è pure vero che qualche piccolo problema nell’ambito della selezione e della formazione del personale operativo deve essersi pur verificata…

Fortunatamente, sull’annosa questione la vigilanza dei vertici è massima, né conosce indugi di sorta o reticenze interessate.
Per questo non ci stanchiamo mai di citare la lettera che l’attuale Capo della Polizia scrisse piccato al quotidiano La Repubblica onde ribadire il suo ruolo di controllore e garante responsabile, nell’evidenza dei fatti:
Caro Direttore,
Leggo che Repubblica si aspettava (anche) dai vertici della Polizia segnali di fedeltà alla Costituzione. Il vertice della Polizia è uno solo. Sono io. Credo perciò di doverle una pacata spiegazione. Metterei intanto da parte il richiamo alla fedeltà alla Costituzione che è assai suggestivo mediaticamente, ma anche questione troppo seria per essere messa in discussione dalla vicenda che trattiamo. Oltre 150 anni di storia, i nostri morti e il lavoro diuturno per il bene dei cittadini di migliaia di persone sottopagate onorano la Costituzione ogni giorno. Non credo perciò che nessuno abbia bisogno di essere rassicurato sulla fedeltà alla Costituzione delle forze di polizia.
Credo invece, e sono d’accordo con Repubblica, che il Paese abbia bisogno di spiegazioni su quel che realmente accadde a Genova. L’Istituzione, attraverso di me, si muove e si muoverà a tal fine senza alcuna riserva, non attraverso proclami via stampa, ma nelle sedi istituzionali e costituzionali.
Si muove, e si muoverà, inoltre, con i fatti. Dall’inizio del mio mandato, ad esempio, mi sto adoperando per approfondire, e anche correggere, tutte le modalità di intervento “in piazza” anche avviando la costituzione della prima scuola di polizia per la tutela dell’ordine pubblico che sarà inaugurata il prossimo 3 dicembre. Abbiamo ai vertici dei reparti, investigativi e operativi in genere, persone pulite. Dal luglio dello scorso anno, io sono il loro garante e mi assumo, come ho già fatto, la responsabilità per gli errori che possano commettere.
Caro direttore, sto scrivendo l’ultimo capitolo della mia storia professionale e non lo macchierò certo per reticenza, per viltà o per convenienza.Antonio Manganelli
(16 novembre 2008)
Si sa poi che le intenzioni non collimano sempre con le azioni…
Sono passati quasi 3 anni dalla lettera e ben 10 dai fatti contestati. A Roma, ci si chiederebbe se il gatto non gli abbia mangiato la lingua.
Nel frattempo i principali protagonisti nella conduzione dell’ordine pubblico, ai tempi del famigerato G8 di Genova, hanno fatto carriera:
Il prefetto Giovanni (Gianni) De Gennaro, che all’epoca del G-8 era Capo della Polizia, il 17/06/2010 si è visto condannare in appello per istigazione alla falsa testimonianza nelle indagini inerenti ai fatti del G8 di Genova e in particolare per il feroce pestaggio alla scuola Diaz.
Attualmente, dirige il DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza) che vigila per conto della Presidenza del Consiglio sulle attività dei servizi segreti militari e civili.
Francesco Gratteri, che durante il G8 era capo dello SCO, è stato condannato in appello a 4 anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici. Per il momento, è a capo della Direzione Anticrimine Centrale, dopo aver gestito l´Antiterrorismo ed essere stato questore di Bari.
Giovanni Luperi, ex numero due dell´Ucigos, condannato in appello a 4 anni di reclusione e a cinque anni di interdizione dai pubblici uffici, è diventato capo del Dipartimento analisi dell’AISI (Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna), l´ex SISDE.
Gilberto Caldarozzi, terzo imputato eccellente per l´assalto alla scuola Diaz (e per questo condannato in appello a 3 anni e otto mesi), era diventato il numero uno dello SCO ed è poi stato promosso dirigente superiore “per meriti straordinari”, legati alla cattura di Provenzano.
Vincenzo Canterini, ex comandante del I°Reparto Mobile della Celere di Roma, unità sospettata di essere autrice delle violenze più gravi, è stato condannato in appello a 5 anni. Nel frattempo, è diventato questore e rappresenta l´Italia come ufficiale di collegamento dell’Interpol a Bucarest.
Spartaco Mortola, nel 2001 capo della Digos genovese, condannato a 3 anni e otto mesi, è diventato vice-questore vicario a Torino.
Altri due dirigenti della Polizia, Il vice-questore Pietro Troiani, all’epoca responsabile della logistica ed il suo assistente Michele Burgio, sono stati condannati a tre anni e nove mesi in appello. Entrambi sono accusati di aver introdotto le famose bottiglie molotov all’interno della scuola Diaz onde poterne poi millantare la scoperta e giustificare l’irruzione.
Anche Michelangelo Fournier, che parlò di “macelleria messicana” ma che fu accusato di essere tra i più determinati protagonisti del blitz, è diventato un alto funzionario della Direzione Centrale Antidroga.
Mai imputato invece il responsabile delle pubbliche relazioni, Roberto Sgalla, che alla Diaz parlò di «ferite pregresse» dei ragazzi massacrati lungo i corridoi della scuola. Il dott. Sgalla, dopo aver ricevuto il premio “Comunicazione pubblica” dal Salone europeo della comunicazione di Bologna, è diventato capo della polizia Stradale.

Nella fattispecie, le accuse rivolte agli alti funzionari coinvolti contemplano anche falsa testimonianza, verbali contraffatti, lesioni gravissime, arresti illegali…
Se queste sono le imputazioni attribuite ai capi che impartiscono gli ordini, poi non si può di converso biasimare la condotta della “truppa”.
Comunque, tutto è bene quel che finisce bene, dal momento che le condanne non avranno probabilmente alcun effetto, visto che sono destinate a cadere quanto prima in prescrizione.
Cofidiamo pertanto che S.E. il dott. Manganelli possa essere sicuro “garante” per gli eventuali errori futuri, poiché in merito a quelli recentemente passati, nonostante i buoni propositi espressi a parole, la sbandierata “collaborazione” non è che si sia tanto vista… o quantomeno deve essere sfuggita all’attenzione dei più!
Del resto, il contributo della stessa magistratura è stato assai lodevole, visto i tempi biblici di giudizio, grazie allo smarrimento del tutto casuale di qualche centinaio di fascicoli che molto ha contribuito al proscioglimento di parte degli inquisiti [QUI] ed alla prossima prescrizione degli altri.
Giustizia è fatta!
Il Nuovo Ordine
Posted in A volte ritornano with tags Argentina, Cesarismo, Dittatura, Familismo amorale, Furio Colombo, Golpe, Il Fatto, Juan Domingo Peron, Liberthalia, Midhriel, P2, Partito Democratico, PD, Piano di Rinascita, Processo di Riorganizzazione nazionale, Respublica Romana, Sinistra, SPD, Stato d'eccezione on 7 luglio 2010 by SendivogiusSolitamente non uso la ‘prima persona singolare’, ma in questo caso farò un’eccezione…
In merito all’ultima pubblicazione (“Il Sugo della Storia”), come spesso capita, ho ricevuto un’interessante commento da parte di Midhriel, autrice di un ottimo blog che seguo spesso e con particolare piacere:
Proprio l’altro giorno parlavo con un amico che conosco dai tempi del liceo (praticamente *nta anni) e che ha una figlia ventenne come mio figlio. Mi diceva: “noi a vent’anni non eravamo così: gli effetti rincitrullenti della televisione si vedono!”.
Sono d’accordo con lui, fatte salve le debite eccezioni individuali. Per il resto, è vero sicuramente che l’italiano vuole ammantarsi di apparenze e nascondere il suo status reale, è vero che non si possono leggere le parole di Curzio Maltese senza un sussulto di indignazione, è vero anche che il popolo italiano ha una essenza da baciapile che lo rende servile e che queste sono probabilmente le ragioni per cui siamo nella situazione socio-politica attuale… tuttavia la lettura del tuo post mi ha richiamato anche scenari più complessi, che secondo me sono ben riassunti in un articolo di Furio Colombo sul Fatto Quotidiano:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2010/07/04/l%E2%80%99opposizione-sonnambula/36367/.
Grazie alla segnalazione di Midhriel, ho avuto modo di leggere un irrequieto editoriale di Furio Colombo, pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 04/07/2010, (QUI) che diversamente sarebbe sfuggito alla mia attenzione.
Inutile dire che la lettura dell’articolo, mi ha ispirato alcune considerazioni che riporto qui di seguito, in una risposta che desidero rendere maggiormente pubblica:
Non avendo il dono della divinazione, quando cerco di intuire il futuro dell’Italia guardo sempre all’Argentina di Juan Domingo Peron e soprattutto al successivo “Processo di Riorganizzazione nazionale”, che tanto ricorda il nostrano “Piano di Rinascita nazionale” redatto a cura della Loggia P-2 del venerabile Licio Gelli: organizzazione massonico-eversiva alla quale risulta iscritta una parte consistente dell’attuale Governo Berlusconi, premier incluso.
E se ogni fenomeno storico resta unico ed irripetibile nel suo genere, certe analogie danno da pensare:
«In Argentina (1976-1983), la giunta prese il potere in un contesto di crisi politica e violenza sempre più aspra nel paese. Dopo la frattura in destra e sinistra del movimento peronista, i gruppi terroristici e paramilitari anticomunisti e di destra crearono un clima di instabilità ed insicurezza nel paese, a cui risposero le organizzazioni guerrigliere e sovversive clandestine di sinistra. L’inasprimento del clima ed il continuo innalzamento del livello dello scontro erano finalizzati a creare un terreno di paura ed insicurezza sul quale poi l’esercito avrebbe posto le basi della propria brutale autocrazia.
[…] La politica economica era finalizzata al contenimento dell’inflazione e all’incoraggiamento degli investimenti stranieri, tramite la privatizzazione delle industrie nazionali, l’abbassamento delle tasse sulla produzione industriale e la garanzia di manodopera a buon mercato. In conformità con quella che è la dottrina economica liberista statunitense, lo smantellamento dei sindacati e l’abolizione dei diritti civili e dei lavoratori, contribuì a garantire ampi margini di profitto alle aziende straniere, che accorsero numerose durante la dittatura. I salari furono congelati, e, nonostante la recessione e la crescita dell’inflazione, rimasero uguali, facendo precipitare il potere d’acquisto della maggior parte delle categorie lavorative. Nessuno poteva scioperare o organizzarsi in sindacati, poiché l’esercito interveniva puntualmente facendo sparire gli “scontenti”. Le aziende straniere e le alte gerarchie della dittatura si arricchirono a dismisura, mentre il paese ed i suoi lavoratori si impoverirono.»