Archivio per Stampa

The Peacemaker (III)

Posted in Muro del Pianto, Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 20 marzo 2022 by Sendivogius

Fedeli al noto aforisma di Arthur Bloch, il miglior modo per non essere confusi col circo mediatico ed i suoi saltimbanco, che oramai imperversano da tre settimane sulla guerra in Ucraina come danno collaterale permanente, è non parteciparvi affatto.
Si eviterà così di smarrirsi in una selva oscurissima, dove idee e contributi si perdono e si mescolano in una poltiglia indefinita, da riversare nel pastone dell’infotainment quotidiano convertito a teatrino di guerra, in cui si passano la staffetta intere squadre di imbonitori da salotto strappati all’intrattenimento pomeridiano, guitti radiofonici, twittologi dalla battutina compulsiva, e pennivendoli a contratto, tutti indrappellati come di consueto. Sono gli stessi che, dopo due anni di sovraesposizione pandemica, hanno ripiegato il camice da virologo nell’armadio dei costumi di scena, per indossare la tuta mimetica da combattimento. E lo fanno, ostentando la medesima sicumera ed immutata incompetenza, con la quale oggi si atteggiano a grandi esperti di geopolitica e strategia militare, così come ieri lo erano di biologia molecolare. Che poi, nella prassi, si traduce stavolta nella lettura acritica delle veline governative della propaganda ucraina, elette a verità di fede indiscussa (delle “fake news” russe sappiamo tutto; le altre ce la beviamo come razione giornaliera), visto che oramai nessuno verifica più nulla, nella prevalenza dei sensazionalismi e del fattore emotivo sull’informazione documentata, per quella che un tempo si chiamava “verifica delle fonti” e che oggi si alimenta invece di suggestioni e “metarealtà”, nella consolidata predominanza delle opinioni sui fatti. Perché è assai più facile stimolare la pancia del pubblico piuttosto che la testa, in nome dell’audience a favore di sponsor.
Niente a cui non siamo già abituati.
In parallelo, gorgheggia e ribolle un letamaio mediatico in cui sguazzano manipoli di inquietanti esaltati, in pieno delirio isterico da eccitazione bellica; emuli moderni del mussoliniano armiamoci e partite, per la campagna di Russia (e sappiamo com’è andata a finire); sempre pronti ad azzittire ed all’occorrenza intimidire ogni voce critica, o anche blandamente dubbiosa, che non sia allineata al coro del pensiero unico, tra i prodromi di un nuovo maccartismo di ritorno, in una ostentazione di cieca fedeltà atlantica per commistione di interessi e di relazioni coi think-tank d’Oltreoceano (giusto per quella storia dell’imparzialità).
E questo è assai più preoccupante.
C’è l’imbecille matricolato che, bandierone ucraino e mappa gigante, con la bacchetta ci spiega le manovre tattiche sul campo, manco fosse Napoleone a Waterloo.
C’è l’indefesso cazzone che scopiazza e redige liste di proscrizione, seguito dall’intera redazione de La Repubblica, che si produce senza imbarazzo nella caccia all’intellettuale dissidente, come da disposizioni di scuderia.
E soprattutto c’è l’invasato da Firenze che, ormai accampato a tempo pieno su twitter, vaneggia di rappresaglie atomiche; ancor più che russofobo, si direbbe idrofobo, come un cane rabbioso.
Tutti rigorosamente targati GEDI. 

THE BIOLAB FAKE. Permetteteci ora di aprire una breve parentesi, per una sorta di articolo nell’articolo…
Che la verità fosse la prima vittima della guerra lo sapeva anche Eschilo. Nei millenni ci siamo affinati… un tempo le notizie veniva filtrate, mentre oggi vengono gettate tutte insieme a ribollire in un calderone indistinto, dove ognuno le condisce come vuole. Il risultato, tecnicamente parlando, per uno sguardo disattento, è che non ci si capisce più un cazzo!
Facciamo un piccolo esempio pratico (ma se ne potrebbero riportare a bizzeffe)…
“Fake News russa”: In Ucraina abbiamo scoperto decine di laboratori biochimici finanziati dagli Stati Uniti, per lo sviluppo di agenti patogeni e la produzione di armi biologiche.
Risposta della “Coalizione dei Giusti”: In Ucraina non c’è alcun laboratorio per la guerra batteriologica.
E fin qui tutto bene. Poi però interviene un mastodonte politico come Victoria Nuland, buona per tutte le amministrazioni USA (e che in Ucraina è ben più che di casa), la quale si dice seriamente preoccupata che le strutture di ricerca biologica in Ucraina possano finire nelle mani dei russi.
E tra le infinite minacce di una guerra distruttiva non si capisce il perché di cotanto timore, visto che i suddetti laboratori non rappresentano in alcun modo un rischio. Anzi! Non dovrebbero proprio esserci.
Poi si scopre che in effetti esiste una partnership tra USA ed Ucraina per lo sviluppo di laboratori biologici di ricerca, come parte di un programma più ampio che investe almeno una mezza dozzina di repubbliche ex sovietiche (Armenia, Azerbaigian, Georgia, Kazakistan ed Uzbekistan), per un numero non quantificabile di biolaboratori, ufficialmente ricompresi nell’ambito di un più vasto progetto per il controllo e per la prevenzione delle malattie infettive.
Lo sviluppo dei laboratori è stato affidato al senatore recentemente scomparso Richard Green “Dick” Lugar, come parte del programma Nunn-Lugar per la riduzione della minaccia biologica. E fin qui niente di male. Perché però tra i principali finanziatori di un programma di natura eminentemente sanitaria a scopi civili sia presente il Pentagono col Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti non è proprio chiarissimo…
Per inciso, il senatore Lugar è stato anche uno dei principali promotori ed esponenti dell’Atlantic Council, che tra i suoi scopi si propone di “promuovere la leadership americana nel mondo” e che nella struttura rappresenta una sorta di braccio politico della NATO. Varrà forse la pena di ricordare come tra gli esponenti più noti della sezione italiana dell’Atlantic Council ci sia Jacopo Iacoboni, editorialista di punta de La Stampa, e tra i più fomentati guerrafondai per procura attualmente in circolazione. Se fosse per lui, saremmo già entrati nella terza guerra mondiale.
Comunque, nel dubbio, OMS (l’Organizzazione Mondiale della Sanità) si è raccomandata di distruggere ogni coltivazione virale eventualmente presente nei biolaboratori ucraini, onde prevenire possibili dispersioni patogene con conseguente contaminazione infettiva, in caso venissero malauguratamente colpiti dalle artiglierie. Di cosa si occupino e quali siano gli eventuali rischi biologici all’interno dei laboratori ucraini, non è dato sapere perché nessuna ispezione pubblica o internazionale è stata mai fatta. 
Quindi se ne deduce che i laboratori ci sarebbero… Questa roba non la trovate in qualche sito complottista, ma sulla pagina ufficiale degli enti coinvolti. Poi, fate voi e traete le supposizioni che più preferite.
Intanto, dalle parti di Washington si parla da troppo tempo e con una certa insistenza di possibile attacco chimico, ovviamente da parte dell’esercito russo in Ucraina su denuncia preventiva.
E quando gli americani iniziano a parlare di armi chimiche e minacce biologiche, armeggiando con improbabili fialette, si sa poi come va a finire…

La realtà è che viviamo in uno stato sospeso di guerra virtuale non dichiarata, ma di fatto in atto sul filo sempre più sottile che ci separa dall’irreversibile. E non rassicura di certo un imbarazzante parlamento di stracciaculi che alterna provocazioni e sanzioni, non potendo permettersi le une né le altre, con un ghignante ministro degli esteri che fa il bullo a distanza, forse non ben conscio della reale funzione del ruolo, il segretario del principale partito della sinistra (?) italiana che ha riscoperto la linea della fermezza quarant’anni fuori tempo massimo, ed un premier desaparecido che tutto il mondo di sicuro non ci invidia, nella gaia incoscienza e leggerezza con cui sembrano fluttuare a loro insaputa, come i Sonnambuli di un secolo fa, verso la guerra mondiale.

Perché la situazione, ancorché grave, stavolta è pure seria.

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PROSTITUTI

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , , on 12 novembre 2018 by Sendivogius

Nella sua monumentale opera dedicata alla propaganda del regime fascista durante il ventennio (“La fabbrica del consenso: fascismo e mass media”), Philip V. Cannistraro distingue tra propaganda di agitazione e propaganda di integrazione, intese come due fasi strettamente interconnesse per la costruzione del consenso, attraverso l’allineamento dei mezzi di informazione, nella progressiva fascistizzazione degli organi di stampa e conseguente compressione di ogni dissenso critico.
Integrazione ed Agitazione non seguono un percorso ordinario, ma sono interscambiabili e con una struttura dinamica. Quest’ultima varia a seconda della necessità cogente del momento ai fini della propaganda, che per essere davvero efficace deve essere innanzitutto ‘fluida’.
 La sbracata odierna di un Alessandro Di Battista (si parva licet) contro i soliti “giornalisti”, amabilmente chiamati “pennivendole puttane”, con tutta l’eleganza che contraddistingue l’eloquio gentile del personaggio in questione, potrebbe sembrare una forma di propaganda di agitazione, volta più che altro a fomentare la base fidelizzata di riferimento, particolarmente sensibile alle facili eccitazioni…
Tuttavia, a ben vedere, l’ennesima intemerata contro la stampa in generale (antica ossessione della setta a cinque stelle che li disprezza da sempre, parimente ricambiata) nasconde in realtà il senso di frustrazione di una propaganda che, al di fuori degli adepti di stretta osservanza, non buca; non raggiunge l’obiettivo prefissato, mancando sistematicamente il bersaglio. Si tratta del fallimento più evidente in termini mediatici di un movimento che è diventato ‘sistema’, ma che non riesce ad assorbire nella propaganda di integrazione le espressioni non allineate al nuovo assetto di potere di cui è espressione. E tanto meno riesce a modellare le coscienze, nella costruzione di un consenso allargato che penetri nella società, per riplasmarla dall’interno a propria immagine e somiglianza. Perciò, dove non funziona l’integrazione ritorna l’agitazione, che poi è rimestaggio torbido di livori e rancori di chi davvero crede che l’opinione pubblica si formi e possa essere eterodiretta da una piattaforma web. E per questo si rivolge ad un pubblico sempre più ristretto di analfabeti funzionali, nella spoliticizzazione crescente delle grandi masse del tutto indifferenti alla propaganda di agitazione.
Perché come ben sintetizzava il sociologo anarchico Jacques Ellul in un suo lontano studio sulla propaganda, già alla fine degli Anni ’60:

«Gli individui attivi nell’ambito della propaganda, sono nello stesso tempo soggetti e oggetti di propaganda e, costituendo quasi un circuito chiuso, non raggiungono la massa della popolazione e rinforzano in vitro opinioni estreme. La propaganda diventa allora una forma di autoconsumo. Si scelgono le notizie che possono alimentare la convinzione; le si elabora in modo che possano effettivamente servire per la propaganda; le si consuma nel gruppo venendo così fortificati nelle proprie convinzioni, mentre ci si distacca progressivamente da una massa che si vorrebbe raggiungere e convincere ma che si allontana sempre più, proprio nella misura in cui questa propaganda diventa più intensa.
Esiste tuttavia un modo attraverso cui il contatto avviene o dovrebbe avvenire: stabiliscono la relazione alcuni mezzi di comunicazione di massa, come quei giornali di larga informazione che prestano un’attenzione continua a questi movimenti e gruppi e riprendono questo tipo di propaganda; in effetti è solo in questo modo che accade qualcosa. Così, non può verificarsi una manifestazione di gruppi estremisti, per quanto ridotta, senza che immediatamente la grande stampa la riprenda e la ponga in primo piano, e lo stesso dicasi per certe emittenti radiotelevisive

In altri termini, i propagandisti come Di Battista (e tutta l’esaltata combriccola coltivata in provetta nei laboratori della Casaleggio Associati) hanno bisogno dei mass media per veicolare i propri messaggi (le idee sono un’altra cosa), attraverso i meccanismi di comunicazione mainstream; ben consapevoli che un messaggio, per essere davvero “virale” in assenza di reali contenuti, ha bisogno di essere propagato attraverso canali ufficiali più accessibili al grande pubblico. La polemica si traduce in realtà in un espediente per assicurarsi la visibilità. E per questo si autoalimenta in una escalation di provocazioni crescenti ed inversamente proporzionali ad ogni coerenza.
Parlare della doppia morale di questa setta di esaltati è assolutamente superfluo; sono gli stessi che ad ogni tintinnar di manette si presentavano in massa a conferenze di stampa autoconvocate, con tanto di arance in bella vista “in onore agli arrestati”, per reclamare le dimissioni coatte e l’arresto dei reprobi.

I parlamentari del M5s durante la conferenza in Campidoglio sugli arresti avvenuti al comune di Roma, 03 dicembre 2014. ANSA/ANGELO CARCONI

Quando un Di Battista, che davvero è convinto di essere un giornalista, mentre cerca di vendere un tanto al chilo i patetici reportage della sua lunghissima vacanza sudamericana nelle vesti di voyeur della misera altrui, parla di “pennivendoli” (facendo il verso a Giovanni Papini che il termine lo inventò) e di “prostituzione”, dal fondo del guazzabuglio di incoerenze e contraddizioni che ne contraddistinguono l’agire, sostanzialmente descrive se stesso nello specchio della propria inconsistenza.
Finora l’eccezionale risultato raggiunto è stato quello di essere scaricato persino dall’unico giornale ‘amico’ che ancora offriva il beneficio di una qualche credibilità a questa oscena banda di pagliacci, tanto da finire folgorati in un fulminante editoriale di Ferruccio Sansa, giornalista, che finalmente ha capito di quali umori sia fatto il fetido impasto da cui trae linfa la Setta del Grullo ed i suoi fanatici accoliti:

“Cari Di Maio e Di Battista, chi sono le puttane?”

«C’è soprattutto disprezzo in quella parola, “puttane”, usata da Di Battista. Per i giornalisti, ma anche per le prostitute. Per le persone in generale. Un modo di esprimersi misero e inadeguato. Prima ancora che grave. Non voglio difendere i giornalisti. Abbiamo le nostre colpe. Tanti sono stati servili in questi anni, invece che vigili. Hanno preferito la dipendenza alla libertà. Come gli italiani, del resto, che hanno osannato prima Berlusconi, poi Monti, poi Renzi e ora Salvini e Di Maio. Come la nostra classe politica peraltro. E qui verrebbe da fare qualche domanda al duo di statisti Di Maio-Di Battista.
Sono puttane solo i giornalisti o anche quelli che per anni hanno soltanto detto “sì”, piegando il capo agli ordini del grande capo?
Sono puttane solo i giornalisti oppure anche i politici che per tenersi una poltrona sotto le chiappe tacciono di fronte alle dichiarazioni razziste del loro alleato?
Sono puttane soltanto i giornalisti oppure anche chi dopo aver difeso a parole l’ambiente propone condoni per prendersi quattro voti?
Sono puttane solo i giornalisti oppure anche quelli che approfittano perfino delle tragedie come il ponte di Genova per cercare voti e consenso?
Sono puttane solo i giornalisti oppure anche quelli che dopo aver criticato per anni un politico vanno a scrivere libri per le sue case editrici?
Povere puttane, in fondo, usate per esprimere disprezzo. Almeno loro si sporcano le mani. Fanno un lavoro. Non stanno a pontificare dal Guatemala. Non governano un Paese con un curriculum che alla gente comune magari non basta per fare il corriere

Ferruccio Sansa
(11/11/18)

Il dramma (per noi) è che ora tocca loro pure governare… E non sanno nemmeno da che parte cominciare.

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Articolo 21

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , on 3 Maggio 2017 by Sendivogius

«Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure

(Art.21, comma 1-2, della Costituzione della Repubblica Italiana)

Oggi si celebra la “Giornata mondiale della libertà di stampa”. Un bene prezioso, almeno finché tale libertà viene esercitata a discrezione dei potenti, o degli aspiranti tali nelle loro pretese egemoniche, e che la stampa non disturbi troppo i manovratori in carriera…
Fintanto che la ‘stampa’, ed estensivamente i ‘media’, servono la ‘causa’ con compiacenti interviste in ginocchio, facendo da grancassa agli interminabili monologhi del leaderino di turno, senza che alcun contraddittorio o quesito indiscreto giunga a disturbare la narrazione fantastica; fintanto che l’intervistato fornisce domande e risposte dinanzi ad un microfono muto; fino a che il giornalismo da watchdog del potere si acconcerà a farne il cagnolino da salotto… allora la “libertà di stampa” sarà sacra ed inviolabile. In caso contrario, nella migliore delle ipotesi, sentirete parlare di “regole più stringenti per il settore”. E nell’opzione peggiore sarà un exploit crescente di minacce ed intimidazioni più o meno esplicite, con allusioni continue a “tribunali speciali” ed al “giudizio” di un improbabile “popolo” autoconvocato, col quale da sempre i personaggetti autoritari confondono le loro claque plaudenti; nell’autoreferenzialità di chi non ammette critiche, ma legge i media come strumenti per la costruzione del consenso personale, o una minaccia per la realizzazione dello stesso.
Vi ricordate quanto ce l’hanno menata Grillo ed i replicanti della sua setta digitale con la (discutibile) classifica annuale, stilata da Reporters sans frontières, eletta a verità di fede e quindi elevata a monito assoluto dello stato drammatico (falso!) della libertà di stampa in Italia, salvo poi scoprire che una delle cause di questo decadimento civile e culturale ancor prima che reale sarebbe proprio il V@te® a cinque stelle e la canea di invasati che lappa in quella specie di centrale dello spaccio organizzato di fake-news, bufale, panzane surreali, anatemi ed indignazione telecomandata, che a tutt’oggi costituisce l’unico strumento di consultazione e di informazione dei followers della setta e che si vorrebbe universale nella sua visione totalitaria?!?
Succede, quando si producono continue liste di proscrizione coi nomi dei giornalisti che “danno loro fastidio”; quando un Vice-presidente della Camera dei deputati arriva a scrivere una lettera a metà tra l’intimidazione e l’intimazione, in cui chiede provvedimenti contro quei giornalisti che a suo insindacabile giudizio “diffamano” il notorio movimento, per non aver declamato con entusiastico ardore i grandi successi ottenuti nelle città sotto amministrazione pentastellata.

Peraltro, i trionfi di Roma sono sotto gli occhi di tutti i suoi cittadini, che quotidianamente possono apprezzare l’eccezionalità della Giunta Raggi.

Succede, quando la canea rabbiosa del Grullo è il gruppo parlamentare che in due anni è riuscito a produrre il più alto numero di querele a scopo intimidatorio contro singoli giornalisti, piuttosto che rispondere alle domande.

Succede, quando il “Capo Politico”, non perde occasione di attaccare ed offendere i giornalisti, ovunque li incontri lanciando minacce nemmeno troppo larvate ed aizzando gli invasati della setta contro di loro, tra vittimismo costruito sul mito persecutorio ed intimidazione costante nella prassi.
Oggi è il turno del New York Times, fino a ieri autorevolissimo giornale ed oggi declassato a fogliaccio della “casta”, per aver pronunciato invano il nome dell’e_guru, a proposito di un altro tema assai caro ai devoti della setta, dopo i chip sottocutanei per il controllo a distanza e le teorie del complotto mondiale…

«In Italia, il populista Movimento Cinque Stelle (M5S), guidato dal comico Beppe Grillo ha fatto campagna attiva su una piattaforma anti-vaccinazioni, ripetendo i falsi legami tra vaccinazioni ed autismo. A questi ed altri scettici, l’epidemia di morbillo in Italia dovrebbe suonare come un campanello d’allarme.
[…] Il M5S potrebbe non essere del tutto responsabile dell’epidemia dal momento che lo scetticismo nei confronti delle vaccinazioni precede l’ascesa del partito. Tuttavia, negli ultimi anni la percentuale delle vaccinazioni dei bambini sotto i due anni è costantemente diminuita, passando dagli 88 percento del 2013 all’86 per cento nel 2014 e all’85 per cento nel 2015.
[…] La lotta contro lo scetticismo del vaccino non è facile, perché nonostante gli innumerevoli studi condotti da innumerevoli gruppi sanitari che affermano che non esiste alcun legame tra i vaccini e l’autismo non si è riusciti a penetrare nella nebbia diffusa dal signor Grillo e dai suoi omologhi

Con ogni evidenza, il NYT sbaglia. Perché in realtà il sedicente MoVimento non è (solo) contro il vaccino del morbillo, ma diffida un po’ di tutte le vaccinazioni (senza particolari distinzioni), in quanto altro grande complotto ordito dalle cause farmaceutiche. E quindi fenomeno (non profilassi) da contrastare, in nome di una generica “libertà di scelta vaccinale”, con tanto di “esperti” alternativi ad illustrare le doti miracolose delle noci e di potentissimi antitumorali come il bicarbonato, per una guarigione naturale e non invasiva (farmaco-free). Un tempo era la cura Di Bella (di cui Beppone fu uno dei massimi sponsor), ora ci si affida direttamente agli stregoni. O ai gruppi di facebook, come l’emiliano “Vaccipiano” assurto agli onori del consiglio regionale. Perché il M5S non è contro i vaccini, ma contro l’uso degli stessi. Loro si informano altrove… Su internet c’è tutto. E una volta in Parlamento producono capolavori come questo:

“Norme sull’informazione e sull’eventuale diniego dell’uso dei vaccini per il personale della pubblica amministrazione”

E’ la proposta di legge n° 2077 depositata alla Camera (12/02/2014) su iniziativa della “cittadina-deputata” Emanuela Corda, e che peraltro riguarda la salute del personale civile e militare sottoposto a vaccinazione, dei cui rischi la “cittadina” Corda è preoccupatissima poiché:

«Il Ministero della difesa chiede la copertura obbligatoria dei vaccini da parte del personale militare giustificandola con l’assolvimento dei compiti di difesa della Patria e di intervento nei teatri operativi. Questa legittima richiesta del Ministero della difesa si scontra però con una forte limitazione della libertà di pensiero della singola persona, che, pur essendo un militare, gode sempre dei diritti costituzionali. Il Ministero della difesa sostiene da sempre di rispettare tutte le cautele necessarie alla salvaguardia della salute del personale militare e che i vaccini non comportano invalidità o conseguenze per la stessa. Recenti studi hanno però messo in luce collegamenti tra le vaccinazioni e alcune malattie specifiche quali la leucemia, intossicazioni, infiammazioni, immunodepressioni, mutazioni genetiche trasmissibili, malattie tumorali, autismo e allergie

“Studi” che, ovviamente, la Corda e gli altri firmatari della legge si guardano bene dal presentare, o quanto meno citare.
Altri tempi quando il Beppone nazionale tuonava contro le mammografie, muovendo squallide insinuazione contro Umberto Veronesi, o dando della “vecchia puttana” a Rita Levi Montalcini, nella sua ossessione tutta personale per le aziende farmaceutiche, dopo aver giocato per troppo tempo a Resident Evil sulla playstation!
I virus, sai com’è?!? compaiono e si estinguono da soli, per grazia ricevuta o per castigo divino. Come per la difterite. E sarebbe così anche per l’epatite, se non fosse per le solite multinazionali…

  «La difterite stava scomparendo per i cazzi suoi. La poliomelite stava scomparendo per i cazzi suoi. Savi, un grande scienziato, un Di Bella, uno che si inoculava, uno che non ha venduto niente a nessuno, è morto col dubbio sul suo vaccino!!! Là dove hanno fatto le vaccinazioni le malattie sono scomparse, là dove non hanno fatto le vaccinazioni le malattie sono scomparse lo stesso. Sono cicliche… Nel medioevo ci si ammalava, si moriva, non si vedeva il microbo perché non c’era il microscopio… era Dio!!! Per lo meno era Dio, che ti faceva ammalare! Non una multinazionale del cazzo! Era Dio. DIO! La gente viveva e non aveva idea dell’igiene. L’igiene è una idea, eh!?»

Certo, come no?!? Era il 1998. Stesso coglione, identici deliri, ma con 20 anni di meno. Oggi non è cambiato nulla, il messaggio è sempre lo stesso…
La scienza è il male. Beppe è la cura. E un blog ci salverà.
È la non-democrazia diretta da Grillo e dalla Casaleggio Associati.

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RITORNO AL FUTURO

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , on 29 ottobre 2015 by Sendivogius

l-incontro-tra-matteo-renzi-e-i-protagonisti

Se c’è una cosa che meglio di ogni altra aiuta a comprendere la crisi dell’editoria italiana, è l’incredibile mole di infantilismi di ritorno, banalità profonde, e baggianate inchiostrate a (in)delebile ricordo di troppi analfabeti dalle velleità letterarie, che amano incartare i propri pensierini al ribasso su formato stampa, insieme all’assoluta disponibilità degli editori a pubblicare simili puttanate su raccomandazione, in sovraesposizione da minchioneria applicata per Peter Pan mai cresciuti.
Libro Renzi Sono spesso produzioni imbarazzanti, ai limiti del degrado culturale, che nei casi più gravi [QUI] superano i criteri di un ‘normale’ narcisismo a scopo promozionale. A livello politico, si tratta di un’operazione inutile ed onerosa, inesorabilmente destinata a sconvolgere un pubblico di nicchia dedito a perversioni estreme. Un limite, quello della diffusione, ampiamente superato dalla scoperta di f/b e twitter (due perle regalate ai porci). Per quanto, all’orrore non c’è mai fine…
Renzi's FamilyIn attesa che questo buristo di scarti dorotei e frattaglie miste, in gita sudamericana tra fazenderos e caudillos, decida di dare alle stampe una versione personalizzata dei suoi diari della lambretta, continua la parodia del piazzista da trasferta a lezioni di peronismo.
Raramente, nella pur cortigiana tradizione dei media italiani, sì è mai avuto un simile concentrato di fuffa e propaganda; entrambe elevate a livelli parossistici in una iperbole che, superato abbondantemente lo stucchevole, Lou Costello - Pinottoinizia a degenerare in forme di ridicolo come non si vedevano dai tempi delle veline del Min.Cul.Pop in versione da farsa: un profluvio guizzante di espressioni da ebete su una faccia da Pinotto errante piantata su un corpo flaccido, al posto del mascelluto profilo del duce in orbace. La forma è diversa, ma il messaggio identico o quasi.
Gaetano Polverelli Gaetano Polverelli, che di Mussolini fu capo ufficio stampa e poi ministro della cultura popolare (per la propaganda), sosteneva che il suo ufficio dovesse essere improntato a “poche ma inflessibili idee”. Ovvero, lo stesse che oramai infarciscono la retorica da televendita perenne del Balilla di Pontassieve: ottimismo, fiducia, futuro. Se poi la realtà è leggermente diversa, basta immaginarla a proprio uso e consumo: fabbricato un prodotto, bisognerà organizzarne la vendita, attraverso campagne massive di pubblicità mirata.
Ovviamente il fascistissimo Polverelli non conosceva le moderne strategie di advertising, ma sapeva muoversi bene attraverso i meccanismi della propaganda di regime. Produttore instancabili di “direttive”, da applicarsi senza eccezione nella quotidiana deformazione dei fatti a beneficio di un radioso avvenire della “nuova Italia”, nel 1931 Polverelli stila alcune delle sue fondamentali indicazioni per la stampa e consigli pratici su come presentare al meglio una notizia. Il tutto è racchiuso in 29 direttive, delle quali sarà nostro piacere fornirvi un piccolo estratto:

1. Rinnovare il tipo del giornale
Il giornale deve esser organo di propaganda dell’italianità e del Regime.
Valorizzare le nuove opere italiane Riprodurre in quadro le idee salienti espresse dal Duce nei discorsi più recenti.
[…] Si raccomanda soprattutto una ardente passione d’italianità e di fascismo, che deve illuminare il giornale in ogni suo numero.

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2. Controllo dal punto di vista nazionale e fascista
Controllare le notizie e gli articoli dal punto di vista nazionale e fascista, ponendosi, cioé, il quesito se le pubblicazioni sono utili o dannose per l’Italia e per il Regime……

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4. Ottimismo e fiducia
Improntare il giornale a ottimismo, fiducia e sicurezza nell’avvenire.
Eliminare le notizie allarmistiche, pessimistiche, catastrofiche e deprimenti.
La divulgazione di catastrofiche previsioni di pitonesse parigine e di allarmistici preannunzi di calendari e almanacchi popolari, è deplorevole idiozia.

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5. Opere assistenziali
Occuparsene dal lato organizzativo, e non da quello pietistico. Non si deve dare all’estero la sensazione di una miseria grave che non c’è. Non si deve battere la grancassa per raccogliere denari. Si può invece dar conto dell’organizzazione e dei risultati.

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6. Assistenza fascista
L’assistenza fascista si ispira al principio nazionale della solidarietà.
Nei commenti evitare ogni vecchio concetto di elemosina, di pietismo, secondo i sorpassati concetti prefascisti.

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7. Mostra della rivoluzione fascista
È un errore politico pubblicare sui giornali fotografie di ricordi socialisti, comunisti ecc.
Il Lavoro Fascista ha pubblicato una fotografia della testata dell'”Avanti!”, col risultato di richiamare sul giornale sovversivo anche l’attenzione dei giovani che non lo lessero e neanche lo conobbero……

Pina Picierno

8. Basta con gli articoli sulla vecchia Italia!
[…] Basta con gli articoli sulla vecchia Italia!

RENZILANDIA (4)

9. Riconoscimenti esteri
Riunire con evidenza di titoli tutte le notizie riguardanti il regime ed i commenti di giornali esteri sulle realizzazioni del fascismo, nonché le notizie sulla diffusione dei principi fascisti nel mondo.

L'Amerikano

[…]

14. Cronaca giudiziaria
I resoconti giudiziari devono essere controllati dal lato politico, eliminando tutto ciò che può nuocere al credito e agli interessi generali della Nazione.

Enrico Costa e Angelino Alfano

15. Fotografie
Le fotografie di avvenimenti e panorami italiani devono essere sempre esaminate dal punto di vista dell’effetto politico. Così se si tratta di folle, scartare le fotografie con spazi vuoti; se si tratta di nuove strade, zone monumentali, ecc., scartare quelle che non danno una buona impressione di ordine, di attività, di traffico, ecc.

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16. Dialetti
Non pubblicare articoli, poesie, o titoli in dialetto. L’incoraggiamento alla letteratura dialettale è in contrasto con le direttive spirituali e politiche del Regime, rigidamente unitarie.
Il regionalismo, e i dialetti che ne costituiscono la principale espressione, sono residui dei secoli di divisione e di servi della vecchia Italia.

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17. I giovani
Basta con gli attacchi ai giovani. Le leve dei giovani si inseriscono ogni anno nel Regime e ne rafforzano la linfa giovanile. Sospendere gli articoli sui seguenti argomenti:
– Problema dei giovani
– Provvedimenti di disciplina per lettere anonime
– Battaglia demografica.

22. Resoconti parlamentari
Non parlare di “lavori” parlamentari, frase del vecchio tempo. Citare invece, anche nei titoli, i principali provvedimenti presi.

23. Famiglia del Duce
Non è gradito che se ne parli.

[…] 

25. Movimento degli alti personaggi
È opportuno non preannunziare i movimenti del Re, del Principe ereditario, del Duce. Se ne può parlare se vi è ordine speciale.

renzicottero

Cos’è che diceva Agostino di Ippona, a proposito dello scorrere del tempo e della sua percezione come dimensione dell’anima?

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L’Infiltrato

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , , , , on 13 settembre 2013 by Sendivogius

Casaleggio in posa per CHI

“Sono qui perché mi hanno invitato a parlare dei miei temi e non di gossip”

(Gianroberto Casaleggio. 12/09/13)

Per questo l’ermetico Gianroberto, l’uomo che predica la fine dei media mainstream, l’apostolo della rete, ha scelto di mostrarsi al mondo attraverso le pagine patinate di “CHI”, l’austero settimanale diretto da quell’Alfonso Signorini che già si era distinto in eclatanti scoop come l’intervista esclusiva alla nipote di Moubarak.
festa in famigliaTra una tetta di Marina ed un bicipite di Piersilvio, l’ombroso Rasputin del M5S fa il suo debutto in società, entrando nell’album fotografico della grande famiglia allargata del clan burlusconiano.
Niente male per chi fugge dai fotografi ed odia i giornalisti!
E finalmente sembra sorridere felice, dopo l’esibizione al Forum Ambrosetti di Cernobbio tra i “poteri deboli” della finanza internazionale.
I guardiani della riVoluzione, coi puristi dell’ortodossia pentastellata, possono comunque stare tranquilli… Si tratta infatti di una sofisticata tecnica di infiltrazione, finalizzata alla suggestione ipnotica; d’altronde, quello nella foto è solo il sosia sfigato di Branduardi e certamente Signorini non è un giornalista.

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BITTER BIERCE

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Ambrose Bierce - portrait of J.H.E.Partington Cent’anni e portarli bene. Nel panorama stantio di un conformismo bigotto, tormentato da velleità neo-imperiali, filiazioni millenariste e paranoie securitarie, che sembrano condizionare il substrato profondo della società statunitense, ad un secolo dalla sua scomparsa, vale la pena ricordare un personaggio dalla penna corrosiva come Ambrose Bierce. Avventuriero, reduce di guerra, esploratore, giornalista, polemista, misantropo, provocatorio, sarcastico… Bierce attraversa come una saetta irrequieta tutta la seconda metà del XIX secolo, partecipando in qualità di osservatore attento (e non di rado come comprimario) ad alcune delle principali vicende della storia americana, che descrive spesso con ironia dissacratoria, o imprime in fulminanti racconti brevi (brevissimi), col gusto del paradosso ed una passione per gli aforismi tranchant.
È uno scrittore instancabile e prolifico, che reinterpreta i generi classici della letteratura ottocentesca per farli a pezzi e riassemblarli in maniera totalmente nuova e, per l’epoca, originalissima. Tra il 1892 ed il 1896 scrive e pubblica una novantina di racconti (ma la produzione complessiva supera i 250): sulla Guerra di Secessione, sul West e la frontiera, ma anche racconti fantastici e dell’orrore. Prima che vampiri romantici, zombie e licantropi, inflazionassero la letteratura contemporanea, ad andare per la maggiore erano le storie di fantasmi ed apparizioni spiritiche. Ma Bierce rivoluziona totalmente il genere e con racconti come The damned thing sembra anticipare Lovecraft e l’horror moderno. Per molti versi è uno sperimentatore di nuovi generi ed un innovatore letterario.
Spirito indomito, intimamente insofferente alle convenzioni, Ambrose Bierce nasce in una famiglia contadina dell’Ohio, intrisa di misticismo evangelico. Tra gli antenati materni c’è William Bradford: puritano fanatico e tra i primi “padri pellegrini” a sbarcare nel Nuovo Mondo. Lo zio Lucius Bierce, detto “il generale”, è un devoto congregazionista, fanaticamente anti-schiavista, e avvia il nipote alla carriera militare in nome della causa abolizionista ed in ossequio al volere di Dio.
Ce n’era abbastanza per far maturare nel giovane Ambrose, una profonda disillusione ed una certa ironia sulle cose di religione.
Dal suo ingresso (1857) nel Kentucky Military Institute ai campi di battaglia della Guerra Civile il passo è breve… Nel 1861, il diciannovenne Ambrose Bierce si arruola come volontario nel 9° Reggimento di Fanteria dell’Indiana, inquadrato nella 19^ Brigada dell’Ohio sotto il comando del generale William B. Hazen. Gli viene conferito il grado di sergente, ma poiché la Federazione è a corto di ufficiali di complemento, da spedire in prima linea, viene presto promosso sottotenente.
9th Indiana Infantry RegimentNel 1863 è già un veterano di guerra; entra nelle simpatie del generale Hazen che lo nomina tenente e lo aggrega al proprio comando di brigata. E, siccome prima della guerra il giovane Bierce ha avuto tempo di fare pratica come apprendista tipografo, viene impiegato come cartografo e ricognitore. Il tenente Bierce partecipa alle feroci campagne di guerra in Virginia e in Georgia; combatte nelle più sanguinose battaglie del conflitto (Shiloh sarà il suo punto di rottura), finché nei boschi di Kennesaw Mountain (23/07/1864) non si becca un proiettile in testa al quale incredibilmente sopravvive, portandosi i postumi della ferita per tutta la vita.
Kennesaw Mountain 1864 - battaglia nel boscoIl generale Hazen lo raccomanderà al presidente Lincoln per una promozione a “maggiore”.
L’esperienza militare e le carneficine della guerra di secessione immunizzeranno Bierce dai fumi del patriottismo e da ogni avventurismo nazionalista, al quale resterà sempre visceralmente ostile.
Nel 1866 si trasferisce a San Francisco e dopo un breve periodo come guardiano della Zecca, intraprende la sua carriera di scrittore e giornalista indipendente (con una libertà pressoché sconosciuta nelle redazioni attuali). Per curiosità del caso, la carriera giornalistica di Bierce comincia nel dicembre del 1868, quando assume la conduzione dell’inserto satirico (Il Banditore) del “San Francisco News and Commercial Advertiser”, piccolo settimanale finanziario della città californiana. Quindi, dopo varie collaborazioni, affinerà le sue punture più velenose dalle pagine del quotidiano “The Wasp” (la Vespa)…
In breve tempo Bierce si guadagna un’enorme fama come polemista di successo, per la sua satira feroce e senza compromessi, insieme all’ironia sottile dei suoi articoli. Al contempo, coltiva con successo la pessima reputazione che si è costruito attorno al suo carattere, alternando periodi di ribalta ad altri di profondo isolamento.
William Randolph HearstQuindi prosegue la carriera sulle testate del giovanissimo ed intraprendente William Randolph Hearst che all’epoca ha fama di progressista ed è uno degli editori più liberali degli Stati Uniti, prima di sterzare bruscamente a destra negli anni ’30 del XX secolo, diventando uno degli opinionisti di punta dell’Examiner.
La collaborazione con Hearst durerà fino al 1908, quando Bierce si ritira a vita privata per poi scomparire misteriosamente tra i gorghi della rivoluzione messicana.
Sostanzialmente disinteressato alla ricchezza, Bierce fu un individualista puro. I suoi veri insuccessi furono nella vita privata: tormentata dagli attacchi d’asma, un matrimonio fallimentare coi suoi volontari allontanamenti, e la perdita dei figli.
Nel ricordo del personaggio, vale la pena riportare l’ottimo ritratto che di Bierce ha tracciato Walter Catalano sulle pagine di “Carmilla”:

  “Ambrose Bierce, l’uomo più cattivo di San Francisco”
di Walter Catalano

Ambrose Bierce nel 1892 «Ambrose Gwinnett Bierce, ‘Bitter’ Bierce – l’amaro Bierce – il Lessicografo del Diavolo, il Cinico dei cinici, l’Uomo più cattivo di San Francisco, nasce il 24 giugno del 1842 a Horse Cave Creek nell’Ohio ultimo di dieci fratelli [in realtà i fratelli erano 13] tutti battezzati con nomi inizianti per a: Abigail, Amelia, Ann, Addison, Aurelius, Augustus, Almeda, Andrew, Albert, Ambrose [e Arthur e Adelia e Aurelia]. I genitori, Marcus Bierce e Laura Sherwood, sono membri di una comunità religiosa vicina ai fervori pentecostali e “shakers”: la First Congregational Church of Christ. Il più giovane della nidiata avrà presto abbondanti ragioni per disaffezionarsi sia della religione che della famiglia: “In un bel mattino di giugno del 1872 assassinai mio padre, cosa che, all’epoca, mi fece una certa impressione” – scriverà più tardi in un racconto del suo ‘The Parenticide Club’, ma, più che un metaforico omicidio, fu lo scoppio della Guerra Civile a separare per sempre il ventenne Ambrose dall’affollato focolare paterno: l’ex scolaro, dotato ma solitario e un po’ ribelle, coglie al balzo l’occasione di fuga ed è il secondo uomo della sua contea ad arruolarsi nelle forze dell’Unione (nel Ninth Indiana Infantry).

Soldiers of 9th Indiana Infantry Rgt

Dalla padella nella brace: combatterà eroicamente nelle più sanguinose battaglie del conflitto (Shiloh, Chickamauga, Pickett’s Mill e molte altre) e si guadagnerà sul campo il grado di Tenente (nel dopoguerra sarà promosso onorificamente a Maggiore, saltando, probabilmente per un errore, il grado di Capitano) e una ferita alla testa che quasi lo ucciderà. L’esperienza lo vaccina anche contro il patriottismo: vari anni più tardi nella sua intensa rievocazione ‘What I Saw of Shiloh’, scriverà, dopo una minuziosa descrizione dei corpi macellati dei caduti di entrambi gli eserciti sul campo di battaglia: “Hanno combattuto: non posso catalogare tutte le seduzioni di questi galanti gentiluomini che hanno trovato quello che cercavano quando si sono arruolati!”; lo stesso sentimento gli detterà il suo racconto forse più giustamente celebrato : ‘Chickamauga’, irriconosciuta fonte d’ispirazione del classico ‘The Red Badge of Courage’ di Stephen Crane.

Confederati dell'Arkansas a Shiloh - Wallcate.com - Don Troiani-Paintings

Negli anni immediatamente seguenti al conflitto si imbarca in una serie di avventure western degne di un film di Clint Eastwood: prima come Agente del Tesoro yankee in Alabama a controllare furti e ammanchi sulla requisizione delle tonnellate di balle di cotone sottratte ai Confederati sconfitti: ma è un funzionario troppo onesto per resistere a lungo in quel William Babcock Hazen - Brady-Handyruolo; poi sempre più a ovest, seguendo il suo ex comandante William Hazen come topografo (mansione che aveva svolto anche durante la guerra) e ispettore dei fortini militari del Mountain District in Utah, Montana e Wyoming, fra indiani sioux, irregolari confederati passati al crimine comune, bounty killers dalla pistola troppo facile e Mormoni perseguitati che ricorderà con una simpatia insolita per un preteso nihilista come lui: “Non ho convinzioni religiose. Non mi importa un accidente dei Mormoni, ma mi importa molto della verità, della ragione e della correttezza e sono indignato dalle stupide falsità e ingiustizie che questa gente inerme ha dovuto soffrire per mano di canaglie brutali e indegne”. Gli viene offerto di prolungare onorevolmente il fermo come ufficiale ma Bierce risponde alla commissione in modo non troppo dissimile dal melvilliano Bartleby: “Con rispetto declino l’invito”.

Porto di San Francisco

Nel 1867, dopo quasi un decennio di vagabondaggi e di guerra, Ambrose si ritrova a San Francisco in bolletta e senza lavoro: quasi per disperazione intraprende la carriera giornalistica sul San Francisco News Letter, dove si occupa all’inizio soprattutto di cronaca nera e – come aveva fatto nel caso dei Mormoni – difende coraggiosamente le minoranze, quella irlandese e soprattutto quella cinese, dagli oltraggi razzisti: “Il cadavere di una donna cinese è stato ritrovato martedì mattina riverso sul marciapiede in una posizione assai scomoda, le cause della morte non possono essere accertate con sicurezza, ma poiché aveva la testa spaccata i dottori pensano sia deceduta per un attacco di cristianesimo galoppante del tipo maligno della California”. Il suo cinismo, il suo humour nero e il suo piglio ferocemente anticlericale e provocatoriamente anticonformista diventano nel giro di poco proverbiali e fanno di lui una delle firme più quotate e temute in città: viene ricambiato con soprannomi poco affettuosi come La Canaglia dai capelli di stoppa, il Diabolico Bierce, il Diavolo che ride, e – il suo preferito – l’Uomo più perfido di San Francisco.
Ambrose Bierce - Lt RedmanIn realtà il Bierce sulla trentina è un uomo molto attraente, alto e muscoloso, lunghi capelli biondo sabbia e profondi occhi azzurri, baffoni spioventi su un incarnato rosa quasi femmineo; sempre elegantemente abbigliato e – è un fanatico dell’igiene personale – scrupolosamente pulito e rasato: le signore lo assediano e gli chiedono ritratti ma lui concede poco ai sentimenti e alle romanticherie e si arrocca in una ritrosia misogina forse più ostentata che reale. Nel 1871 compare la sua prima opera di fiction, ‘The Haunted Valley’, pubblicata sul numero di luglio dell’Overland Monthly: una storia piuttosto classica in cui un inesperto pivello viene a contatto con il mondo colorito e pericoloso degli uomini di frontiera e impara qualcosa sulla vita reale all’ovest: sommessamente però la storia suggerisce il tema dell’omosessualità (o la paura dell’omosessualità) e dell’ambiguità sessuale: un argomento che doveva in quegli anni affascinare o ossessionare il Bierce dall’eleganza sartoriale e dalla bellezza efebica, se è vero l’incidente raccontato dal suo editore Walter Neale che vuole lo scrittore abbia estratto la pistola e minacciato di sparare ad un tipo che aveva messo in dubbio la sua virilità. A scongiurare ogni dubbio, comunque, Bierce, dopo un fidanzamento abbastanza tradizionale, si sposa nel 1871 con Mary Ellen “Mollie” Day: una bruna bellezza locale figlia di un facoltoso ingegnere minerario. I maligni (l’amico Adolphe Danziger) mormorano che “lui non era così follemente innamorato di lei, quanto lei di lui”: improbabile aspettarsi illusioni romantiche in chi scriverà qualche anno dopo sul ‘Devil’s Dictionary’: “AMORE: follia temporanea curabile con il matrimonio” e “MATRIMONIO: stato o condizione di una comunità di due persone composta da un padrone, una padrona e due schiavi”. Il lungo viaggio di nozze lo porta a Londra, dove entrerà in contatto con l’ambiente letterario britannico, tornandovi a vivere e a lavorare in più occasioni anche per vari anni di seguito e dove nacquero due dei suoi tre figli (dei quali solo la femmina, Helen, gli sopravviverà: il primo, Day, omicida e suicida a sedici anni per motivi sentimentali; il secondo, Leigh, morto di polmonite, contratta dopo una colossale sbronza, a ventisei). Il ritorno a San Francisco nel periodo caldo degli scioperi e dei forti contrasti sociali, fra gli anni ’70 e gli ’80, vede Bierce, dalle pagine di The Argonaut, su posizioni politiche talvolta ambigue: denuncia la corruzione del sistema ma non crede in soluzioni politiche o rivoluzionarie ai problemi; critica il suffragio universale come “la tirannia dell’opinione pubblica” e “…l’opinione pubblica essendo l’opinione dei mediocri è di solito un errore e un inganno: il risultato è che i mestatori traggono vantaggio dal confermare le masse decerebrate nei loro rozzi pregiudizi, nell’ingozzare la loro onnivora vanità e nell’attizzare i loro implacabili odi razziali e nazionalistici. Pochi anni dopo sulle pagine del periodico democratico The Wasp si lancia nella campagna contro i magnati della Central Pacific Railroad Company e li attacca con ammirevole coraggio “Crediamo che questi uomini siano dei nemici pubblici e dei criminali impuniti, che le loro fortune, illegalmente acquisite, siano colpevolmente impiegate e disonestamente trasmesse”: per sua inspiegabile fortuna non viene mai minacciato o silenziato; una puntura di vespa non poteva scalfire il potere dei Big Four del capitalismo ferroviario.

Operai cinesi alla costruzione delle ferrovie

E proprio su The Wasp, Bierce inizia a pubblicare ‘The Devil’s Dictionary’, una colonna di corrosive e sarcastiche definizioni di parole comuni: la raccolta finale, diversi anni più tardi, diventerà uno dei suoi libri più famosi, rivolto – scriverà l’autore – “a quelle anime illuminate che preferiscono i vini secchi a quelli dolci, il senso al sentimento e la satira (wit) all’umorismo (humor)”. E proprio questa distinzione fra wit e humor sarà oggetto di un suo saggio (‘Wit and Humor’) e di una lunga schermaglia con il collega e amico/nemico Mark Twain: satira maligna contro bonario umorismo, “l’humor è tollerante, tenero, fatto di ridicole carezze; la satira (wit) invece pugnala, chiede scusa e rigira il pugnale nella ferita”. Una concezione che ha più a che fare con i poètes maudits alla Baudelaire e con il successivo humour noir surrealista che con Twain e l’umorismo anglosassone: in realtà, come, gli rinfaccia quest’ultimo, le definizioni del Dizionario del Diavolo non sono “buffe” ma mortalmente serie, la risata che inducono è più un ghigno, specchio di un cuore (di pietra) in pezzi. Qualche esempio: Nascita: il primo e il peggiore di tutti i disastri; Adolescenza: periodo della vita umana intermedio fra l’idiozia dell’infanzia e la stupidità della gioventù; Sfortuna: il genere di fortuna che non manca mai; Giorno: periodo di ventiquattro ore, in gran parte sprecate; Novembre: l’undicesima delle dodici parti di una stanchezza; Anno: periodo di 365 delusioni; Una volta: abbastanza; Due volte: una volta di troppo; Solo: in cattiva compagnia.
Nel 1887 lo scrittore si separa da The Wasp e poco dopo anche dalla moglie e si ritira in una piccola casa di campagna ad Oakland, vicino a dove vive il fratello Albert. Un pomeriggio un giovane di poco più di vent’anni “la cui intera personalità suggeriva estrema diffidenza” – scriverà Bierce in seguito rievocando l’episodio – bussa alla sua porta; Ambrose lo riceve e lo invita a riferirgli i motivi della sua visita: “Sono dell’ Examiner di San Francisco.” – risponde il giovane. “Ah – bofonchia Bierce – venite da parte del Signor Hearst”. Il ragazzo solleva innocentemente gli occhi blu e risponde: “Io sono il Signor Hearst”. Da quel momento, per i successivi vent’anni, il sodalizio fra lo scrittore e il magnate della stampa ispiratore del Citizen Kane di Orson Welles, sarà infrangibile: Bierce diventerà una delle penne più influenti dell’Examiner – al salario iniziale di cento dollari a settimana per una colonna di testo, più gli extra per i numerosi racconti pubblicati – e scriverà (prima a San Francisco e poi come inviato a Washington) sempre senza ingerenze, sostenendo spesso opinioni assai meno progressiste di quelle di Hearst, che – a differenza di Bierce – mantenne, durante le lotte sociali degli anni ’90, posizioni sempre favorevoli agli scioperanti. Proprio sulle pagine dell’Examiner, Bierce pubblicherà fra il marzo del 1888 (‘One of the Missing’) e il dicembre 1891 (‘The Death of Halpin Frayser’) una lunga serie di racconti che traevano ispirazione dall’esperienza – rimossa per due decenni – della Guerra Civile: racconti che saranno raccolti nel 1892 sotto il titolo di ‘Tales of Soldiers and Civilians’ (noto anche con il titolo dell’edizione britannica: ‘In the Midst of Life’). In queste storie due aspetti principali si alternano e si intrecciano: il realismo delirante della guerra e il fascino dell’inesplicabile e del sovrannaturale: su un lato Guy de Maupassant a monte e Ernest Hemingway a valle; sull’altro Edgar Poe e gli autori dell’orrore quotidiano che da Richard Matheson arrivano a Stephen King.
Le due tematiche sono tenute insieme da una sola pulsione: la paura (e, come sarà per Hemingway, la paura di avere paura). Le grandi storie sulla Guerra Civile: ‘Chickamauga’ (un bambino perduto in un bosco è l’inconsapevole testimone di un incomprensibile e sanguinoso gioco: quando torna a casa la trova distrutta, la famiglia sterminata.

1863 - Confederati alla battaglia di Chickamauga - Illustrazione D.Troiani

La battaglia di Chickamauga è ormai finita: il bimbo non si è reso conto di niente perché – come il lettore scopre solo alla fine – è sordomuto), ‘Killed at Resaca’ (un ufficiale si sacrifica in battaglia per redimere il suo onore tradito da un’amante infedele), ‘A Son of the Gods’ (un innominato giovane ufficiale su un bianco cavallo corre da solo incontro al nemico facendosi sparare addosso per rivelarne la presenza ai compagni), ‘The Story of a Coscience’ (un capitano unionista si suicida dopo essere stato costretto a fucilare una spia sudista che gli aveva precedentemente salvato la vita), ‘A Horseman in the Sky’, ‘An Affair of Outposts’, ‘One Kind of Officer’, ‘One of the Missing’; le raccapriccianti storie del sovrannaturale: ‘A Watcher by the Dead’, ‘The Man and the Snake’, ‘The Eyes of the Panther’, ‘The Suitable Surroundings’; e la combinazione dei due generi, il suo capolavoro del 1890, ‘An Occurrence at Owl Creek Bridge’. Il racconto è probabilmente uno dei più giustamente famosi e antologizzati di tutta la letteratura americana: un civile filo-confederato di nome Peyton Farquhar sta per essere impiccato ad un pilone della ferrovia sul ponte di Owl Creek sotto l’accusa di tentato sabotaggio. Mentre attende l’esecuzione, in flashback ricorda la sua condizione di agiato proprietario di una piantagione – probabilmente esentato dal servizio attivo per la “Twenty Negro Law”, una disposizione confederata che evitava l’arruolamento ai padroni di più di venti schiavi – : è stato indotto da una spia unionista a tentare di bruciare il ponte (la sua visione idealizzata e irrealistica della guerra, da “imboscato” che vuole riscattarsi, lo rendono facile preda dell’agente provocatore). L’impiccagione ha luogo ma la corda al primo strappo si spezza e il condannato sprofonda nel fiume, riesce a liberarsi dai legami e riemerge sotto i colpi di fucile nemici lasciandosi portare alla deriva dalla corrente. Guadagnata la riva, fa perdere le sue tracce nella foresta e ritrova la via di casa: sulla veranda la moglie lo aspetta a braccia aperte. Nel momento in cui sta per ricambiare l’abbraccio: “sente un forte strappo sul retro del collo; una bianca luce accecante esplode intorno a lui con un suono come un colpo di cannone: poi tutto è tenebra e silenzio”. La storia si conclude con una delle frasi più ricordate della narrativa ottocentesca statunitense: “Peyton Farquhar era morto; il suo cadavere, con il collo spezzato, penzolava dolcemente da un lato all’altro fra i piloni del ponte di Qwl Creek”. La fuga era stata solo l’allucinazione prodotta dai pochi minuti di ossigeno residuo nel cervello mentre la corda lo strangolava. Non sappiamo se Farquhar corrispondesse a una figura reale nei ricordi di Bierce, ma altri particolari del racconto lo sono certamente: il ponte di Owl Creek, nei dintorni del campo di battaglia di Shiloh, dove il suo reggimento svolgeva servizio di guardia ferroviaria per l’Alabama settentrionale nell’esatto periodo in cui è ambientata la storia; le sue testimonianze sulle impiccagioni come soldato e come cronista di nera: l’abbondanza di particolari realistici accresce il peso dell’evento irreale che sta al centro del testo e lo rende credibile. Un critico dell’epoca Arthur McEwen rimproverò l’amico Bierce a proposito dei suoi racconti: “Non hai, in tutto ciò che scrivi, la minima traccia di quel che si chiama simpatia: la bella fanciulla non arriva mai” – “Che se ne vada al diavolo la bella fanciulla!” – rispose Bierce.
CSA - Guardia nazionale dell'Alabama Un anno più tardi, nel 1893, venne pubblicata un’altra raccolta: ‘Can Such Things Be?’, ancora più orientata verso l’orripilante e il sovrannaturale, che include fra i racconti più memorabili: ‘The Death of Halpin Frayser’, ‘Moxon’s Master’ (un’anticipazione delle creature artificiali della fantascienza), ‘A Jug of Sirup’, ‘The Realm of the Unreal’, ‘The Moonlit Road’, ‘The Middle Toe of the Right Foot’, ‘The Damned Thing’ (in cui si evoca la presenza indescrivibile di un mostro invisibile). Bierce fu poi coinvolto dall’amico e allievo Adolph Danziger in una collaborazione letteraria che portò in seguito ad una vertenza fra i due autori sulla spartizione dei diritti: ‘The Monk and the Hangman’s Daughter’, un racconto gotico che Danziger aveva tradotto dall’originale tedesco ‘Der Monch von Berchtesgaden’ di Richard Voss e che era stato pubblicato a puntate sull’Examiner. Questo melodramma religioso-sessuale piuttosto melenso è del tutto fuori dalle corde di Bierce: un frate francescano di nome Ambrosius (!) si innamora segretamente di Benedicta, la bella figlia del boia, e dopo tormentate (e noiose) lotte interiori, la uccide per sottrarla alle lussuriose attenzioni del nobile corteggiatore della giovane, Rochus; l’amara rivelazione finale svela che la ragazza era in realtà la sorellastra di Rochus e che nutriva una segreta e proibita passione per Ambrosius. Direbbe Oscar Wilde: si uccide sempre chi si ama! Perché Bierce abbia acconsentito a mettere il suo nome in quest’opera bislacca resta un mistero: si trattò forse di un atto di amicizia verso Danziger che lo corteggiava e lo adulava chiamandolo “der master”. Fu stampata un’edizione in volume del romanzo breve ma i due autori non ne ricevettero mai un soldo e passarono due anni a litigare sulle responsabilità e i danni: alla fine Bierce ruppe un bastone da passeggio in testa a Danziger, lasciando i pezzi sulla scrivania dell’ex pupillo per ricordargli – disse – “la natura dell’amicizia”.

Guerra ispano-americana (1898) - I marines invadono Cuba

1898. Guerra ispano-americana – i marines invadono Cuba

Nel 1898 lo scrittore entrò apertamente in conflitto anche col suo boss Hearst a proposito della guerra ispano-americana: Hearst propagandava la guerra e l’indipendenza di Cuba dalla Spagna furoreggiando dai suoi giornali sulle immaginarie atrocità perpetrate dagli spagnoli ai danni degli indipendentisti cubani; Bierce scriveva, sugli stessi giornali: “Il patriottismo è aspro come la febbre, spietato come la tomba, cieco come una pietra e irrazionale come una gallina decapitata”. Con la consueta lucidità smascherava i pretesti umanitari statunitensi che coprivano Soldati spagnoli a Cubal’espansionismo nazionalista: “Siamo in guerra con la Spagna oggi solo in obbedienza ad un’istanza che si è andata rafforzando fin dall’inizio della nostra esistenza come nazione: la passione espansionistica, sollevata una volta, infuria come un leone; le conquiste successive non fanno che rafforzarla. E’ solo questa la febbre che sta bruciando nel sangue americano”. Con evidente contraddizione, c’è però anche una forte componente razzista nelle sue simpatie: gli spagnoli sono bianchi, mentre i ribelli cubani “in gran parte negri o negroidi, ignoranti, superstiziosi e brutali”. Sul proseguimento della guerra nelle Filippine – una spietata guerriglia in stile Vietnam con tanto di torture e villaggi bruciati che “pacificò” le isole al costo di 220.000 vite tra i filippini e 4.200 tra gli americani – Bierce commentò: “Ecco un’altra dimostrazione di quanto la moralità di una nazione sia pari a quella di un ladro o di un pirata. D’altra parte non avevamo promesso giustizia nel Pacifico: solo nei Caraibi…”.

gen. M.J.Shafter comandante del corpo di spedizione USA a Cuba

Il generale M.J.Shafter, comandante del corpo di spedizione statunitense a Cuba, mentre avanza a dorso di mulo.

Nonostante le aspre schermaglie però, la collaborazione con Hearst continuò anche dopo il volgere del secolo, quando Bierce passò dai quotidiani al mensile Cosmopolitan: in quegli anni vennero anche pubblicate in dodici volumi le ‘Opere Complete di Ambrose Bierce’ – che comprendevano: The Devil’s Dictionary (con il titolo modificato in The Cynic’s Word Book), Tales of Soldiers and Civilians (anche questo col titolo inglese In the Midst of Life), Can Such Things Be?, The Monk and the Hangman’s Daughter, la collezione di Fantastic Fables in stile Esopo che aveva scritto per i britannici Fun e Tom Hood’s Magazine, e tutta la sua occasionale (e decisamente non memorabile) poesia. L’accoglienza critica fu devastante, le vendite anche: l’editore Neale ci rimise 7.500 dollari e lo stesso Bierce 2000. Nella primavera del 1910 lo scrittore torna finalmente in California dopo dodici anni di assenza, in tempo per constatare gli effetti del terribile terremoto che aveva colpito San Francisco: “La mia San Francisco è morta e non ne avrò mai più un’altra” – dichiara. In quei giorni incontra Jack London: gli porge le sue condoglianze per la recente perdita del primo nato (avendo lui stesso perso due figli sa cosa vuol dire), London si commuove, simpatizzano, litigano sulla politica (Jack è un fervente socialista, Ambrose tutt’altro), si scambiano aneddoti su Hearst (per cui London ha coperto la guerra Russo-Giapponese), scolano bottiglie di cognac Three Star Martell, una dietro l’altra, finché Bierce non stramazza addormentato. L’incontro con London è l’unico episodio piacevole del suo ritorno in California: Bierce si sente sempre più isolato, deluso per i pessimi esiti dei suoi Collected Works, colpevole per la sua famiglia perduta (dopo i figli maschi anche la moglie – dalla quale era separato senza aver mai voluto divorziare – è scomparsa nel 1905. Helen la figlia femmina – che aveva vissuto sempre con la madre – lo tiene a distanza), assalito da sempre più frequenti e gravi attacchi d’asma: comincia a sentirsi non troppo dissimile dai fantasmi che tante volte ha evocato sulla pagina ed è ormai pronto per l’ultima avventura. “Questa rivoluzione in Messico mi interessa: voglio scendere giù a vedere se i messicani sparano bene” – dice agli amici e colleghi di Washington prima di lasciare per sempre la città.
I Want you Gringo! - Manifesto per il reclutamento di volontari americani in Messico (1915) Alla fine del 1913 un viaggio in Messico nel pieno della Rivoluzione non è uno scherzo nemmeno per un uomo giovane e in buona salute e Bierce, a 71 anni suonati e minato dall’asma, ne è fin troppo consapevole: ”Vorrei arrivare in Sud America, passando per il Messico, sempre se non finisco contro un muro fucilato come gringo. Molto meglio che morire nel proprio letto!” – questo è il tono delle ultime lettere scritte ad amici e parenti – “Addio. Se ti dicono che sono finito contro un muro messicano e fucilato, sappi che lo considero un ottimo modo di lasciare questa vita: evita la vecchiaia, la malattia, la possibilità di rompersi il collo ruzzolando giù per le scale della cantina. Essere un gringo in Messico: questa sì che è davvero eutanasia!”. In realtà nella lotta che opponeva le forze federali del presidente Victoriano Huerta a quelle ribelli dei comandanti Venustiano Carranza, Emiliano Zapata e Francisco “Pancho” Villa, la vita di uno statunitense sarebbe stata scrupolosamente protetta: nessuno dei due opponenti voleva rischiare un intervento degli USA in appoggio alla forza contraria a quella che avesse arrecato oltraggio a un cittadino americano. Bierce stava solo alimentando il suo mito: un anziano Don Chisciotte, stanco delle brutture di Washington si lancia con un ultimo impeto nel gorgo della rivoluzione. Lasciata la Capitale, nel suo itinerario verso sud, ripercorre, in una sorta di pellegrinaggio finale, tutti i luoghi della Guerra Civile che lo hanno visto tra i protagonisti: passa da Chattanooga, visita Chickamauga, Snodgrass Hill, Murfreesboro – dove durante la battaglia di Stones River, aveva coraggiosamente sfidato il fuoco nemico per salvare un suo compagno: il Tenente Braden – si ferma una settimana a Shiloh e siede malinconico fra le tombe del cimitero di guerra, si imbarca sul Mississippi, arriva a New Orleans dove un reporter lo intervista per una testata locale: “Sono sulla via del Messico – dice – perché mi piace il gioco, mi piacciono le lotte: voglio vedere. Poi non credo che gli americani siano così oppressi laggiù, come si dice: voglio rendermi conto dei fatti. (…) Voglio viaggiare in diagonale, da nordest a sudovest, a cavallo e poi prendere una nave per il Sud America, vedere la Ande, attraversare il continente e, se possibile, tornare indietro. Non ho una famiglia di cui occuparmi, mi sono ritirato dalla scrittura: mi prendo una pausa”.

Chattanooga dopo la battaglia

Il 5 Novembre arriva a San Antonio, visita Alamo, dove gli ufficiali del Terzo Cavalleria lo trattano come un ambasciatore straniero e per poco non sfilano in parata in suo onore. Il 6 Novembre, l’ultima lettera (alla nipote Lora Bierce) da Laredo : “Non resterò qui abbastanza a lungo per poter aspettare tue notizie e non so quale sarà la prossima tappa. Dubito abbia molta importanza. Adios”.
Da quel momento si perde di lui qualunque traccia. Fin troppe invece le congetture e le ipotesi più fantasiose susseguitesi negli anni, tutte assolutamente prive di qualsiasi prova oggettiva: qualcuno lo vuole caduto nella carica di Ojinaga, altri fucilato a Chihuahua, altri ancora fatto assassinare a tradimento da Villa dopo un litigio a Guadalajara, altri, come Charles Fort, addirittura “rapito da un collezionista di Ambrogi”. Più probabilmente e meno romanticamente Bierce non raggiunse mai il Messico: secondo la testimonianza (anche questa non suffragata da prove) del suo editore Neale, in qualche grotta sperduta del Grand Canyon, in perfetta solitudine, usando probabilmente la pistola tedesca che mostrava sempre con orgoglio agli amici, l’Amaro Bierce si fece saltare le cervella. Come aveva predetto in una lettera, le sue ossa non sono mai state ritrovate.»

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Il Giornalismo come missione

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 Maggio 2013 by Sendivogius

DARTH VADERLa Democrazia, ancorché imperfetta, è una cosa maledettamente complicata…
Se non fosse per i partiti politici, per le inutili pastoie burocratiche dei regolamenti parlamentari, per i vuoti formalismi costituzionali, per i vincoli rappresentativi che impediscono ai “cittadini” di partecipare direttamente alle gestione della cosa pubblica, la democrazia funzionerebbe benissimo e senza intoppi.
Perché dunque tergiversare in inutili discussioni, nel confronto di opinioni differenti (e quindi nella mediazione di soluzioni condivise), nella cacofonia critica di più voci divergenti, quando un unico “Capo politico” può parlare a nome di tutti, in un eterno monologo da comizio, senza dover rispondere a domande maliziose o tediose confutazioni?
Si chiamerebbe dialettica ed è alla base del pensiero critico, come della logica razionale, ma perché mai bisognerebbe disquisire su ciò che si può rapidamente liquidare con un vaffanculo?
Sono problemi ben noti fin dai tempi più antichi, ai quali molti “capi” dalla visione lungimirante hanno cercato (spesso con successo) di porre rimedio… Non per niente, per appianare le divisioni che avevano dilaniato la Respublica romana, il saggio Ottaviano divenuto ‘Augusto’ si preoccupò subito di abolire collegia e sodalicia che tante noie rischiavano di dare alla libera partecipazione democratica dei cives.
D’altronde, come ci insegnano altre fortunate esperienze in tempi più recenti, piene responsabilità richiedono pieni poteri, poiché:

Senza i pieni poteri voi sapete benissimo che non si farebbe una lira – dico una lira – di economia.
Con ciò non intendiamo escludere la possibilità di volonterose collaborazioni che accetteremo cordialmente, partano esse da deputati, da senatori o da singoli cittadini competenti.
Abbiamo ognuno di noi il senso religioso del nostro difficile compito.”

  Benito Mussolini
  (16/11/1922)

Purtroppo, immemori delle lezioni del passato, a tutt’oggi esistono i ‘Politici’.. il ‘Palazzo’.. la ‘Casta’.. E soprattutto ci sono i ‘giornalisti’, che nel migliore dei casi non comprendono il “cambiamento” in corso, perché sono venduti per definizione, specialmente se si tratta di precari da 5 euro al pezzo. Peggio ancora, sono in malafede e quindi inaffidabili per antonomasia.

«Dopo diversi problemi sorti in proposito intensificheremo la presenza del gruppo comunicazione in Transatlantico e nell’atrio del Palazzo. Non per un’esigenza di controllo, ma a garanzia dei deputati. Invitiamo tutti, poi, a rilasciare le interviste nella stanza grande del gruppo comunicazione, dopo essersi messi in contatto con uno dei componenti. Oltre l’aspetto psicologico del “giocare in casa”, sarà possibile registrare le interviste per ovviare così ai tanti problemi sorti in merito. Invitiamo tutti a declinare le richieste dei giornalisti che si sono già dimostrati inaffidabili se non, addirittura, in malafede.»

  Lo “STAFF” del M5S
  (22/05/13)

Fortunatamente, ci sono anche i giornalisti seri, che pongono le domande giuste (o non le pongono affatto a chi di dovere), dalla schiena dritta e l’intransigenza senza sconti…
Flic e FlocNel mondo in bianco e nero degli ensiferi, rigidamente diviso in buoni e cattivi, dannati e salvati, pessimi giornalisti sono sicuramente l’ingrata (?) Milena Gabanelli e, su tutt’altro versante, Pierluigi Battista per un suo editoriale sul Corsera, dal titolo sarcasticamente eloquente su prassi e teoria dei 5 Stelle: La nebbia dietro la liturgia dello scontrino, in cui pone degli interrogativi legittimi su limiti evidenti.
Nei confronti del vecchio Pigi, noi abbiamo sempre nutrito una cordiale e ben radicata antipatia, che peraltro non ci ha impedito in tutti questi anni di ignorare bellamente i suoi articoli sul Corriere della Sera, previa lettura, senza mai farci rovinare la giornata…
Oscar Wilde, in uno dei suoi più celebri aforismi, sosteneva come le domande non fossero mai indiscrete e come, al contrario, potevano esserlo le risposte.
Nella democrazia diretta dei pentastellati le domande non gradite espongono invece al delitto di lesa maestà, mentre la testa di questo innocuo Battista viene esposta simbolicamente su un vassoio, in una danza sguaiata tra i cachinni degli ensiferi in crisi di nervi:

«Come si può in questo Paese davvero credere nella professionalità e nell’imparzialità dei giornalisti se a due giorni dalle elezioni un noto editorialista del Corriere della Sera, Pierluigi Battista, scrive menzogne sapendo probabilmente di mentire. Sostiene ad esempio che il M5S si sia interessato solo alla rendicontazione e non abbia fatto nulla sui temi della sua campagna elettorale: Reddito di cittadinanza, Imu, Irap ed Equitalia. Elenchiamo qui di seguito alcune delle cose fatte dai deputati e senatori M5S, solo per dimostrare, prove alla mano, come da parte di una certa stampa vi sia malafede e servilismo verso il Potere Unico. E laddove non si trattasse di malafede, allora è incompetenza o ignoranza. Siamo stufi di giornalisti che invece di fare un lavoro certamente più difficile e faticoso, quello di verificare con attenzione e in dettaglio se quel che scrivono corrisponda alla verità, pensano solo a dare notizie superficiali, concentrandosi su casi creati ad arte per avere la scusa di non parlare dei fatti concreti sottostanti. Se i politici, in passato, hanno potuto causare il disastro che ora è sotto gli occhi di tutti è anche grazie a una stampa disattenta, superficiale o forse venduta

E’ quanto si può leggere nel comunicato congiunto del gruppo M5S di Camera e Senato, con lo stile piccato di chi, evidentemente avvezzo all’invettiva revanchista, trova difficile scendere nel merito delle questioni sollevate, rispondendo alla critica con l’insulto generalizzato. Come da manuale.
Per questi strani alfieri della democrazia diretta resta assai difficile comprendere che in una qualunque democrazia (se davvero vuole dirsi tale) l’esistenza del dissenso è imprescindibile, insieme alla fastidiosa presenza di chi proprio si ostina a pensarla diversamente da te. D’altro canto, perché intorbidare le acque quando tutto dovrebbe funzionare come un’orchestra armoniosa, volta all’esaltazione dell’unità pur nella diversità di una confraternita guerriera, coesa nell’ubbidienza al Capo politico che si sente in guerra?
Imperial stormtroopersNella democrazia 2.0 del Regno di Gaia, prossimo venturo, non c’è spazio per le divergenze e meno che mai per le domande, che vanno filtrate, controllate, sterilizzate, per ritagliare delle non-risposte proporzionate alla caratura intellettuale di ubbidienti soldatini in plastilina, dove l’azione è rimessa al 100% dei suffragi ed il consenso deve essere totale.
Quando la RiVoluzione trionferà, i media cesseranno di essere tendenziosi e inaffidabili, ergendosi a testimonianza di indipendenza ritrovata e conquistata libertà:

«In un regime totalitario, come dev’essere necessariamente un regime sorto da una rivoluzione trionfante, la stampa è un elemento di questo regime, una forza al servizio di questo regime; in un regime unitario, la stampa non può essere estranea a questa unità.
[…] La stampa più libera del mondo intero è la stampa italiana. Altrove i giornali sono agli ordini di gruppi plutocratici, di partiti, di individui; altrove sono ridotti al compito gramo della compravendita di notizie eccitanti, la cui lettura reiterata finisce per determinare nel pubblico una specie di stupefatta saturazione, con sintomi di atonia e di imbecillità; altrove i giornali sono ormai raggruppati nelle mani di pochissimi individui, che considerano il giornale come un’industria vera e propria, tale e quale come l’industria del ferro e del cuoio.
Il giornalismo italiano è libero perché serve soltanto una causa e un regime; è libero perché, nell’ambito delle leggi del regime, può esercitare, e le esercita, funzioni di controllo, di critica, di propulsione.
[…] Dato il “la”, c’è la diversità che si evita la cacofonia e si fa prorompere invece la piena e divina armonia; oltre agli strumenti, c’è poi la diversità dei temperamenti e degli artisti; diversità necessaria, poiché si aggiunge, elemento imponderabile ma vitale, a rendere sempre più perfetta l’esecuzione. Ogni giornale deve diventare uno strumento definitivo, cioè individualizzato, cioè riconoscibile nella grande orchestra. I classici archi non escludono, nelle moderne orchestre…
[…] Ciò precisato, la stampa nazionale, regionale e provinciale serve il regime illustrandone l’opera quotidiana, creando e mantenendo un ambiente di consenso intorno a quest’opera.
È grande ventura per voi di vivere in questo primo straordinario quarto di secolo: è grande ventura per voi di poter seguire la Rivoluzione fascista nelle sue progredienti tappe. Il destino è stato particolarmente benigno con voi, cui ha concesso di essere giornalisti durante una guerra e durante una rivoluzione, eventi entrambi rari e memorabili nella storia delle Nazioni.
[…] Mi auguro che, quando vi convocherò nuovamente, io sia in grado di constatare che avete sempre più fermamente e fieramente servito la causa della Rivoluzione. Con questa speranza, accogliete il mio cordiale saluto, nel quale v’è una punta di ricordi e di nostalgie.»

  Benito Mussolini
  “Scritti e discorsi” (1927-1928)
   Vol. VI; pagg. 250-251

Sono le parole illuminate che il capo politico del fascismo pronunciò in una conferenza a Palazzo Chigi, il 10/10/1928, dinanzi ad una settantina di direttori editoriali per spiegare loro quale fosse la vera missione del giornalismo.

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Brodo di cottura

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 24 settembre 2012 by Sendivogius

Certi argomenti vanno maneggiati con cura. La delicatezza della faccenda è tale, da richiedere la massima circospezione per comprovate esigenze di profilassi…
Certe questioni, come le deiezioni canine, rischiano infatti di rimanerti appiccicate sotto la suola delle scarpe con tutto il loro fetore rappreso…
Notoriamente, tanto per usare un’espressione familiare ai consiglieri laziali: la merda più la smucini e più puzza!

E pur tuttavia, nella nostra cinica indifferenza, noi comuni mortali non ci siamo accorti di quale terribile dramma si stia consumando, proprio in questi frangenti, nel mondo patinato della “libera informazione”, mobilitato in massa su reazione auto-conservativa, per assistere preoccupato alle sorti del tenero Alessandro Sallusti, il giornalista libero e indipendente, dallo stile sobrio e gentile, che rischierebbe (e beato chi ci crede!) la carcerazione per qualche offesa di troppo.
Il personaggio in oggetto non ha bisogno di particolari presentazioni. Chiunque, per appartenenza professionale, inclinazioni sessuali, tendenze politiche, provenienza sociale.. nel corso di questi lunghi anni è stato omaggiato dagli sputazzi e le palate di letame, che l’inconfondibile Sallusti getta a piene mani dalle redazioni dei giornalini padronali presso i quali si passa la staffetta (Libero e Il Giornale), per conto delle nuove Agenzia Stefani coi suoi corifei prezzolati del regime berlusconiano e le relative escrescenze fecali a mezzo stampa.

Chi vuole, può trovare QUI una breve illustrazione sull’esprit libre dell’eroico perseguitato dal Sistema. A protezione del papi-warrior si è schierato l’universo mondo dei media mainstream, insieme all’intero arco parlamentare su mobilitazione trasversale, in quella che (ad essere maliziosi) assomiglia tanto ad una difesa corporativa di natura castale.
Tra i soccorritori in cavalleresco supporto, si distingue per zelo l’insospettabile Marco Travaglio: il castiga-papi folgorato sulla via de “Il Giornale”; il vate del grillismo militante che farebbe carcerare mezzo mondo, ma non il collega che di quel mondo è da sempre l’alfiere a libro paga.
Per i palati più raffinati, c’è da segnalare lo sgangherato editoriale di Giovanni Valentini, pubblicato su La Repubblica, dove si esibisce in una imbarazzante difesa d’ufficio che sembra ricalcata in toto sulle tesi di un Cicchitto o un Gasparri..!

«Per commentare l’inverosimile caso di Alessandro Sallusti, ultima vittima designata di una giustizia ingiusta, basterebbe citare una celebre frase: “Non condivido le tue idee, ma mi batterò fino alla morte affinché tu possa esprimerle”.»

Giovanni Valentini
Quando un direttore rischia la galera
La Repubblica – (22/09/2012)

Non per niente, il ricorso alla “galera” costituisce in sé un fatto aleatorio e dunque relativo… Finché a finirci dentro sono dei perfetti sconosciuti (o gli ‘altri’) va sempre bene, o comunque frega loro ben poco, ma se ad essere castigato è uno della sacra categoria, santificata dall’iscrizione ad un Albo, allora cambia tutto..!
Nella fattispecie il povero Sallusti, il vurdalak riesumato dalle cripte della Curia comasca, ha solo sfruttato il dramma privatissimo e delicatissimo di una ragazzina che ricorre all’aborto, trasformando la notizia in uno straccio ideologico da agitare contro l’esecrata magistratura, per galvanizzare le falangi sanfediste di certo berlusconismo che però nulla hanno mai avuto da eccepire sugli squallidi giri di prostituzione minorile nelle alcove del papi nazionale.
Ed ora, mentre se la fa visibilmente addosso in attesa della sentenza, Sallusti è di una tenerezza irresistibile mentre pigola le sue ragioni, farfugliando qualcosa sulla libertà di stampa…
A tal proposito, è interessante ripercorrere le paginette che Il Giornale a direzione Sallusti dedicò a suo tempo alla cosiddetta “Legge Bavaglio” ed al decreto “ammazza-blog” (dei quali avevamo parlato in esteso QUI e QUI), regalandoci illuminanti disamine sul tema… La normativa, fortissimamente voluta dal PdL, introduceva pesanti limitazioni della libertà di espressione, con un’estensione allargata delle sanzioni penali (ma con aggravio di pena) a bloggers, siti amatoriali ed informativi senza scopo di lucro. Sono le stesse sanzioni  attualmente previste per le testate giornalistiche registrate e per i loro direttori. Questi ultimi però sono economicamente protetti (e pagati) dal proprio editore, che di solito risponde in solido dei risarcimenti e delle spese legali. E sono altresì le stesse sanzioni contro le quali oggi il giornalismo professionale tuona all’unisono, in difesa di Sallusti e rigorosamente pro domo sua.
Per esempio, in merito al disegno di legge n.1611, presentato dall’accoppiata sicana Alfano-Centaro di quel delle libertà, si prevedeva un inasprimento delle pene detentive da uno a cinque anni, contro chiunque indebitamente notizie inerenti ad atti o a documentazione del procedimento penale coperti dal segreto, dei quali è venuto a conoscenza in ragione del proprio ufficio; nonché l’obbligo di rettifica entro 48h con pubblicazione integrale delle insindacabili rimostranze, fornite dalla (presunta) parte lesa, con la massima evidenza e senza alcun commento.
Dinanzi ad una serie di proteste legittime (ancorché inutili) contro il tentativo censorio, così si esprimeva il buon Filippo Facci dalle colonne de “Il Giornale”:

 «A un certo vittimismo di categoria stile mi-straccio-le-vesti, roba insomma da giornalisti, ora si aggiunge un’antistorica e anche un po’ patetica – mi scuseranno – pretesa di separatezza da parte dei cosiddetti blogger, i proprietari cioè di blog e di siti internet che per il prossimo 14 luglio hanno indetto uno sciopero: in pratica significa che non aggiorneranno i loro blog con ciò ritenendo – mi scuseranno ancora – che gliene freghi qualcosa a qualcuno. Loro la chiamano “giornata di protesta contro il decreto Alfano e l’emendamento ammazza-internet”, che poi sarebbe quella parte del decreto (comma 28, lettera A dell’Art.1)
[…] In pratica, cioè, dovrebbero comportarsi come il resto della stampa ed esserne più o meno equiparati: e peggior bestemmia per loro non esiste….
Che cosa vogliono costoro? È semplicissimo: vogliono che la rete resti porto franco e che permanga cioè quella sorta di irresponsabile e anarchica allegria che era propria di una fase pionieristica di internet e che era precedente a quando “la rete” non era ancora divenuta ciò che è ora: un media rivoluzionario, ma pur sempre un media, dunque la propaggine di altri media anche tradizionali che sono regolati dalla legge come tutto lo è.»

 Filippo Facci
 “Decreto Alfano: chissenefrega dello sciopero dei blogger”
Il Giornale – 07/07/2011

Il generoso editorialista ci tiene comunque a ribadire che gli assennati non hanno niente da temere. Ne hanno i cretini, gli anonimi e i disinformati. Si potrebbe obiettare che le cose non stanno sempre così e che non tutti hanno le risorse economiche per poter affrontare le spese legali, inerenti pretestuose richieste miliardarie di risarcimento danni che, com’è noto, non costano nulla al querelante e costituiscono un ottimo strumento di intimidazione e censura.
E certi accorgimenti, dettati da una doverosa prudenza, sono più che leciti fintanto che in Parlamento circolerà gente come l’avv. Maurizio Paniz, quello tuttora convinto che Ruby sia la nipote di Mubarak, che va predicando in giro:

«Devono essere sanzionati i giornali che pubblicano e i giornalisti. I giornalisti con una misura di rilevanza penale. Il giornalista che pubblica ciò che non può pubblicare dovrebbe subire una sanzione pensale. Il carcere magari è un percorso più lungo… Ci vorrebbe una sanzione da 15 giorni a un anno, poi il giudice graduerà a seconda della violazione, vedrà se sono possibili riti alternativi, pene pecuniarie o multe o se il giornalista debba andare in carcere.»

 Maurizio Paniz
(05/10/2011)

All’ossigenato Facci che non perde occasione di ribadire quant’è coraggioso lui che ci mette la faccia, con l’editore alle spalle che rifonde i danni di eventuali querele, dall’alto delle sue tutele contrattuali, e al quale ora tremano le dita sulla testiera insieme all’altro leone di carta, Vittorio Feltri, si potrebbe chiedere loro perché mai un Alessandro Sallusti non dovrebbe rispondere di insulti e falsità come chiunque altro. E di cosa abbiano tanto da lamentarsi, se adesso viene applicato quanto previsto dalla Legge, tanto invocata dallo stesso Facci…
Nella fattispecie, si tratta degli articoli 595, 596, 596bis, 597 e 599, del Codice Penale:

Art. 595 c.p. – Diffamazione
Chiunque, fuori dei casi indicati nell’articolo precedente, comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a 1.032 euro.
Se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.
Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.
Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza, o ad una Autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Art. 596-bis c.p. – Diffamazione col mezzo della stampa.
Se il delitto di diffamazione è commesso col mezzo della stampa le disposizioni dell’articolo precedente si applicano anche al direttore o vice-direttore responsabile, all’editore e allo stampatore, per i reati preveduti negli articoli 57, 57-bis e 58.

È vero! Il povero Sallusti non ha mai scritto l’articolo incriminato e pubblicato da quella vasca di liquami senza eguali, chiamata Libero, della quale Sallusti era malauguratamente direttore…
Infatti è stato inquisito ai sensi dei famigerati articoli 57 e 57bis, 58 e 58 bis del Codice Penale, che disciplinano la “responsabilità del direttore e dell’editore:

Art. 57 c.p. – Reati commessi col mezzo della stampa periodica.
Salva la responsabilità dell’autore della pubblicazione e fuori dei casi di concorso, il direttore o il vice-direttore responsabile, il quale omette di esercitare sul contenuto del periodico da lui diretto il controllo necessario ad impedire che col mezzo della pubblicazione siano commessi reati [528, 565, 596bis, 683, 684, 685], è punito, a titolo di colpa, se un reato è commesso, con la pena stabilita per tale reato, diminuita in misura non eccedente un terzo.

Che l’intera normativa vada rivista ed il reato di diffamazione ridefinito è indubbio.
E il sedicente “Popolo delle Libertà” ha tentato più volte di provvedere in tal senso… cercando di quadruplicare le sanzioni ed estendendo la carcerazione con un inasprimento delle pene detentive!
Prima che l’abnormità della sanzione riguardasse il fedele Sallusti, i pretoriani del papi imperiale non s’erano mai posti il problema, se non in termini ulteriormente repressivi, irridendo quanti impugnavano la questione:

«Irresistibili. Appena qualcuno ne lancia uno, con riflesso pavloviano scattano penna in pugno a sottoscriverli. E così è successo ieri, non appena un gruppo di editori ha ri-lanciato un appello “In difesa della libera informazione”, identico a quello pre-lanciato lo scorso anno al Salone del Libro di Torino contro il ddl intercettazioni. Stessa materia di discussione, stesso governo in carica e quindi stesse urla scandalizzate.
[…] Ora, a parte che la “piena democrazia”, semmai, si gioca sul difficilissimo equilibrio fra libertà di informazione da una parte e tutela della privacy del cittadino dall’altra (un aspetto che i pasdaran del «Pubblichiamo tutto, sempre e subito», anche i contenuti delle intercettazioni penalmente irrilevanti, tendono a dimenticare)… E a parte il fatto che fra il minacciare il carcere per i giornalisti e il pubblicare indiscriminatamente qualsiasi carta esca dalle Procure c’è tutto lo spazio per una civile discussione senza per forza parlare di legge “fascista” come ha fatto l’Idv appena letto l’appello… A parte tutto questo, il manifesto degli editori pone un dubbio e una domanda. Il dubbio è che appelli come questo siano atti di militanza intellettuale, legittima se la si ammette ma ipocrita se si vuole fare “quelli che noi siamo super partes”
[…] Se il principio della libertà di informazione è sempre sacro, la sua difesa a volte – quando è strumentale – rischia di diventare, se non falsa, profana.»

 Luigi Mascheroni
 “Editori uniti anti-bavaglio Un’accolita di ipocriti che grida alla censura
Il Giornale – (11/10/2011)

Per l’appunto, basta con le ipocrisie. E dunque, giusto per fare il verso a Filippo Facci, chissenefrega di Sallusti!

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Editoria solidale

Posted in Stupor Mundi with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 28 marzo 2012 by Sendivogius

È desolante sfogliare le pagine di quell’inutile spreco di cellulosa chiamata ‘libera editoria’, a paga privata e finanziamento pubblico, allineate nel loro conformismo salottiero mentre esercitano l’arte in cui più sono versati: la Laudatio Principis, nell’ansia perenne di chi non può vivere senza un padrone da servire (a tempo) e presentar la penna al posto del moschetto.
Sono gli alfieri sontuosi di un giornalismo prezzolato; le sentinelle degli establishment oligarchici trasversali nella difesa unitaria del proprio capitale, ripartito per potentati economici ed industriali ma scambiato per “ricchezza comune”.
Come nuovi Pangloss, sono convinti di vivere nel migliore dei mondi possibili, traendo il meglio dalle miserie altrui, rigorosamente al sicuro nel proprio giardino protetto, mentre giocano alla platonica Repubblica dei Filosofi, nel loro candore liberale scambiato per immutabile legge di natura…

«Landini appartiene alla schiera di coloro che non accettano il mondo come è, ma vogliono cambiarlo: i rivoluzionari, insomma. Al centro del suo universo, quello in cui crede, campeggia il lavoratore, col pieno diritto, sacro e inviolabile, a un posto equamente retribuito, a una paga che gli consenta di mantenere se stesso e la sua famiglia, a una pensione quando non dovrà più lavorare. Questi sono i dati di partenza, i dati imprescindibili. La conseguenza è chiara (anche se un Landini non sente alcun bisogno di enunciarla in tutte lettere). Se il mondo in cui viviamo consente l’adempimento dei diritti di chi lavora, bene. Se non lo consente, dobbiamo cambiare il mondo in cui viviamo. Sempre vi sono stati nella storia uomini di varia specie, alcuni avventurieri, altri nobili d’animo, tutti ugualmente insoddisfatti del mondo in cui viviamo,e risoluti a cambiarlo: gli idealisti, i rivoluzionari

Il raffinato editoriale, che nella sua integrale inutilità siderale potete leggere QUI, è a firma di Piero Ottone, già storico direttore del Corriere della Sera passato a La Repubblica in un collaudato gioco delle parti, descrive bene l’estraniato appagamento di “classe” (se si può osare tanto) di certa borghesia illuminata, convinta che i diritti dei lavoratori siano privilegi ed i propri privilegi di censo invece diritti acquisiti per merito. “Borghesia” universalmente confluita con tutte le sue componenti nell’adorazione di Mario Monti, per ritrovata redenzione dopo il tramonto dell’Unto e bisunto, in un paese piccolo piccolo che non può vivere senza icone da santificare per la remissione del debito (pubblico). E non è un caso che il serissimo, contrito, professore bocconiano non perda occasione per ringraziare pubblicamente chi quella voragine contabile l’ha creata, alimentata, esasperata, tra orge e voraci cricche assortite, senza che dall’alto del Colle (oggi loquace più che mai) si levasse il benché minimo sospiro.

Certo il cambiamento di stile è evidente, siamo passati da un imbonitore da fiera ad un piazzista che va liquidando all’asta il patrimonio di famiglia nel gabbione delle serafiche tigri asiatiche. Rispetto al Pornonano, sobrietà ed educazione fanno però la differenza; fondamentale in una conferenza internazionale, mentre parla il presidente USA, rispondere al telefono per conversare con… Maurizio Cicchitto (!!) il craxiano piduista che mica può attendere.

È questa l’essenza del nuovo Salvatore, in nome dell’ortodossia dei mercati e nel solco della continuità: inflessibile legge del taglione per i piccoli peccatori, indulgenza plenaria per tutti gli altri senza pagare pegno. Punire (“rieducare”, come non manca di ricordare con razzistica supponenza la stampa anglosassone) i più per salvarne pochissimi; togliere ai poveri senza nulla levare ai ricchi.
Pertanto, nell’ineluttabile proletarizzazione dei ceti inferiori (ce lo chiedono i mercati), ogni eccezione si configura come un atto “rivoluzionario”. Va da sé che, nell’accezione chiaramente negativa che i nostri ‘liberali’ attribuiscono al termine, rivoluzionario è sinonimo di sovversivo.. bolscevico.. e (tanto per stare al passo coi tempi) terrorista. Per quanto, con il passaggio ad una destra ottocentesca, anche gli anarchici sono tornati molto di moda.
L’unica eccezione ammessa è la “rivoluzione liberale”, che sancisce il primato delle elite tecnocratiche (rigorosamente eterodirette da vari consigliori) sugli organismi di rappresentanza democratica e sulla declinazione delle prerogative parlamentari a vantaggio del governo ‘tecnico’, nel congelamento della ‘politica’, come non si stanca di esemplificare mirabilmente il sempiterno Paolo Mieli. Naturalmente, qualunque forma di democrazia diretta o movimentismo di base è stigmatizzato con orrore assoluto, quindi opportunamente biasimato sui giornali e manganellato nelle piazze, in quanto fastidioso elemento di disturbo nel ritrovato ordine naturale dei mercati egemoni. Su questo, il nuovo ministro di polizia, Anna Maria Cancellieri, è chiarissimo. Tuttavia, anche la lacrimosa Elsa Fornero (variante sabauda del chiagni e fotti), dinanzi al dissenso creatosi dinanzi alla sue ineludibili riforme, sembra auspicare una restrizione del diritto di sciopero, in un crescendo di eccezioni ‘tecniche’ all’ordinamento costituzionale che infatti si vuole rottamare.
Di fatto, si tratta di una sospensione sostanziale delle funzioni democratiche, tramite una loro rappresentazione cerimoniale, che ne preserva in apparenza la forma svuotata di senso, conforme alla volontà dei “mercati” e senza gli eccessi dei baccanali berlusconiani, all’insegna di una ipocrita concordia ordinum su intercessione presidenziale.
In tale prospettiva, com’era prevedibile, il governo Monti ha riacceso gli entusiasmi troppo a lungo sopiti dei rispettabili vegliardi istituzionalizzati di un liberalismo manieristico, cosmopolita, magari dalle venature progressiste, ma più spesso con barra rigorosamente al centro e inclinazione a destra, posti da sempre alla direzione girevole dei principali quotidiani nazionali.
Tuttavia, la ‘nobiltà’ per rifulgere ha bisogno della ‘miseria’… Anche i palazzi più sontuosi, tra stucchi dorati e corridoi marmorei, nascondono inevitabilmente le latrine per la servitù di infimo livello….
Pertanto, nel generale peana verso le magnifiche sorti progressive dei professori al governo, non potevano mancare per meri calcoli di bottega ideologica, senza alcuna idealità, le storiche baldracche della prostituzione a mezzo stampa che esaltano la funzione salvifica del “mercato”, travestite da vestali liberiste convertite al credo dell’efficienza tecnocratica.
È quasi curioso osservare i vari Ferrara, i Belpietro ed i Sallusti, che dal fondo dei loro osceni giornalini assistiti concionano di libero mercatomeritocraziacompetenzaprevalenza del Privato
Parliamo di gente che se davvero si ponesse in libera competizione sul mercato privato, in base ai risultati effettivi ed al ritorno economico della loro attività, avrebbe chiuso bottega da un pezzo!
 Il più imbarazzante è il sempreverde Giuliano Ferrara, liberista intransigente, ostensore del mercato libero e selvaggio…
Uno assunto in RAI, per sfacciata raccomandazione, con una trasmissione misconosciuta, che persiste nella messa in onda (catastrofica per i bilanci aziendali) unicamente per referenze politiche.
Uno che non perde occasione di dare lezioni di ultra-liberismo, invocando meritocrazia e concorrenza, ma che evidentemente reputa assai coerente incassare 3 milioni e mezzo di euro (per l’esattezza: € 3.441.668,78), grazie ai contributi pubblici per l’editoria, per la messa in stampa de Il Foglio. A proposito di taglio dei privilegi, L’Avanti! del latitante Lavitola nel 2010 ha incassato 2.530.640,81 di euro.
Un altro manipolo, assai convinto quando si parla di licenziamenti altrui e cacciata dei lavoratori in nome del risparmio e dell’efficienza produttiva, è la tripletta Belpietro-Feltri-Sallusti, che solitamente si passano il testimone nelle due imbarazzanti pubblicazioni fasciste, conosciute come Libero e Il Giornale. Scampoli di Ventennio. In particolare, quell’ossimoro giornalistico chiamato provocatoriamente “Libero”, tra il 2003 ed il 2009 ha beneficiato di finanziamenti pubblici per 40 milioni di euro, percepiti illegalmente, tramite la costituzione fittizia in cooperativa editoriale. È evidente che le esecrate cooperative, quando fanno comodo, piacciono assai ai sedicenti liberisti in rigorosa camicia nera d’ordinanza.
Questi sono solo i casi più lampanti, ma l’elenco è lungo. Naturalmente, questi non sono sprechi, non costituiscono privilegi e posizioni di rendita, ma solidi baluardi di libertà da mantenere ad oltranza e assolutamente da non tagliare. Meglio chiudere scuole ed ospedali per fare cassa. Meglio ribassare i salari per incentivare la concorrenza. Meglio tagliare i sussidi per i licenziamenti, che si vogliono facili e senza limiti.
Ad essere sinceri, il direttorio tecnico ha previsto una poderosa sforbiciata alla pubblica sovvenzione di questi parassiti di carta. A partire dal 2014. Il presidente Napolitano, solitamente così solerte ad offrire la sponda ad ogni diktat del Governo Monti, ha già espresso la propria netta contrarietà.
Non è dato da sapere la richiesta dei mercati in proposito; né risultano impellenze dall’Europa, che nel merito sembra aver esaurito le buste da lettera.

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MISERERE

Posted in Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , on 9 dicembre 2010 by Sendivogius


Nell’Italia felix, dove la crisi è solo una “percezione psicologica” alimentata dai soliti kommunisti, secondo un’indagine della Confesercenti l’84% degli italiani ha grosse difficoltà a corrispondere le rate del mutuo o ad onorare il pagamento dell’affitto a fine mese. Sulla questione, gli studi della Banca d’Italia certificano l’insolvenza del 5% delle famiglie italiane.
La notizia, riportata dai maggiori quotidiani, è ripresa in uno stringato ed eloquente articolo pubblicato su un noto giornale bolscevico [QUI].
Le conseguenze pratiche consistono in un record delle iscrizioni ipotecarie e del pignoramento di immobili [QUI], che sembrano colpire soprattutto l’Italia settentrionale ed il florido Nord-Est [QUI]. Tuttavia, il dramma di non potersi più permettere un alloggio, o di vedersi venduta all’asta la propria abitazione, è altresì oggetto di raffinate considerazioni da parte di pensatori compassionevoli:

«Se uno a 37 anni non è in grado di pagarsi un mutuo o un affitto è un fallito!»

 Lo afferma Alessandro Sallusti con la boriosa sicumera che lo contraddistingue, dall’alto della sua poltroncina blindata di giornalista organico da regime, durante la trasmissione EXIT del 01/12/10 in onda su La7.  Al personaggio avevamo già dedicato un piccolo ‘cammeo’ [QUI] nell’ambito di un discorso più esteso.
Nipote di uno dei tanti fucilatori di Salò (ricambiato con la legge del contrappasso), il vincente Sallusti è il tipico esponente di certo cattolicesimo integralista che si batte per il conferimento dello status giuridico ad un grumo di cellule chiamato “embrione” e considera un’esaltante esperienza di vita lo stato vegetativo di coloro che versano in coma irreversibile, negando ogni ipotesi di “testamento biologico”. Però non perde occasione per esibire tutto il proprio disprezzo per coloro che, vegeti e senzienti, hanno la gravissima colpa di essere poveri, o stranieri, ovvero “noti omosessuali attenzionati”, contro i quali ci si compiace di essere cattivi.
Cresciuto all’ombra degli amichetti della parrocchietta, per il bravo Sallusti c’è sempre un posto pronto nei giornalini editi dalla Curia ma rigorosamente pagati dallo Stato.
In alternativa, bazzica le testate ultra-reazionarie del gruppo Monti-Riffeser, collegate alla famiglia dell’ex “petroliere nero” Attilio Monti.
A livello professionale, si fa le ossa come giornalista di cronaca al Messaggero, quindi al Corriere della Sera (dove diventa caporedattore), e soprattutto bruca al pascolo di Indro Montanelli: alfiere del conservatorismo di matrice liberale e vacca sacra del giornalismo italiano.
Montanelli resta un caso interessante di mitismo e mitomania, che sembra aver fatto proseliti soprattutto a sinistra… Variante meneghina del “Cieco di Sorrento”, il sulfureo Cilindro dalla redazione de ‘Il Giornale’ finge di non vedere cosa sia la destra italiana e chi sia il suo editore, “turandosi il naso” oltre che coprendosi gli occhi, prima del brusco risveglio.
Infatti, dopo la militarizzazione berlusconiana, il quotidiano si trasforma nel giornaletto padronale dello squadrismo a mezzo stampa, divenendo la roccaforte della Vandea editoriale che raggruppa il gotha contemporaneo della ‘Reazione’ clerico-fascista. In questo allettante contesto professionale, l’indipendente Sallusti, insieme agli  onnipresenti  Feltri e Belpietro, appartiene alla Sacra Trimurti a libro paga, che si alterna alla direzione dei principali quotidiani conservatori, trasformati in uffici di difesa ad oltranza degli interessi del Capo. Nell’ingaggio  militante,  si  distingue come specialista nei ‘lavori sporchi’ di penna e manganello. Più che un giornalista sembra un ausiliare del collegio difensivo, pronto ad immolarsi ovunque ci siano da perorare le cause personalissime del suo editore e padrone.
Ed al meritocratico Sallusti non sono certo estranei i vantaggi legati alle posizioni di rendita dell’editoria assistita… Certo non è un problema far quadrare i bilanci e rimpinguarsi lo stipendio, quando si è direttori di giornalini dalla tiratura irrisoria come Libero, beneficiato però da circa 40 milioni di euro di finanziamenti pubblici in soli 7 anni.
Facile pagarsi il mutuo a queste condizioni, comodo il lavoro con simili coperture in così altolocata sede, se non fosse per quell’inestinguibile alitosi di certi funerei maior domus che impegnano la propria favella in mansioni non proprio ortodosse…

«Con la caduta del berlusconismo, si spera, sarà interessante verificare se per caso finisce anche questa terrificante riunione di condominio che dura da anni nei salotti Rai e ha ormai sfondato il livello del grottesco. Queste venti o trenta personcine di folgorante mediocrità che fingono ogni sera di litigare, non importa quale sia il programma, e poi vanno tutti insieme a far casino in trattoria coi soldi del canone.
Sarebbe tutto soltanto ridicolo, se questa pagliacciata non fosse diventata l’unica rappresentazione del dibattito pubblico per milioni di cittadini e un’intera generazione di giovani. Agli ultimi, in particolare, va detto che nel mondo civile la tv pubblica non funziona in questo modo.
Nei dibattiti televisivi sulle reti pubbliche in Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, tanto per cominciare gli ospiti non sono così maleducati. I conduttori, gente seria, li correggono quando citano un dato o un fatto sbagliati. Pazzesco, vero? I giornalisti si dividono anche là fra quelli di destra e quelli di sinistra, ma di fondo fanno i giornalisti. Quelli di destra per esempio non sono stipendiati dal presidente del Consiglio e non passano la vita a esaltare l’editore, perché nel resto del mondo i giornalisti si vergognano di fare i servi.
Gli esperti di economia sono veri esperti di economia, chiamati perché magari insegnano in grandi università o hanno vinto un Nobel e non perché portano una barba da carnevale, la giacca fucsia e il farfallino arancione, come quel tale Oscar Giannino. Un profeta del neoliberismo che invoca tagli e massacri sociali dall’alto di una carriera trascorsa a scrivere su giornalini mantenuti coi soldi pubblici, al solito buttati nel cesso, nel caso specifico La Voce Repubblicana, il Foglio, Libero e Il Riformista.
Nelle televisioni civili naturalmente è impensabile organizzare sessanta o settanta puntate di talk show, con compagnia fissa e plastico del luogo del delitto, per fare audience sull’assassino di un bambino o una bambina. In compenso se il premier viene beccato a frequentare giri di minorenni, usa la decenza di presentarsi alla tv pubblica e rispondere a tutte le domande dei giornalisti, invece di fare lo spiritoso e mandare il personale in giro per studi con il mandato di difenderlo, in genere insultando gli interlocutori.
Ora, non si pretende che i televisionari italioti e i loro degno dirigenti, affaccendati come sono a leccare gli stivali dei padroni, si comportino come i loro colleghi liberi. Ma almeno una riverniciata la parco ospiti, un pò di rispetto per l’intelligenza del pubblico a casa, sarebbe già un enorme passo avanti o come va di moda dire adesso per ogni minima fesseria: una grande riforma.»

 di Curzio Maltese 
 (26 Novembre 2010)

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