Archivio per Spread

Fear of the Dark

Posted in Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 29 Maggio 2018 by Sendivogius

Cosa NON fare per contrastare il “populismo sovranista” ed il “neo-nazionalismo” primatista?!?
Be’… per esempio, sintetizzando in maniera volutamente semplicistica ed un pochino brutale (nicchiamo allo spirito dei mala tempora): fregarsene del risultato elettorale e ‘nominare’ l’ennesimo “governo tecnico” pescato dal cilindro presidenziale, eletto da nessuno, meglio se infarcito con banchieri di estrazione fondomonetarista, e sostenuto unicamente da quei partiti (di minoranza) che le elezioni le hanno perse.

«Comunque vadano le elezioni, è già pronto un nuovo Governissimo di salvezza nazionale.
Un altro esecutivo formato da tecnici che nessuno ha votato, sostenuto da partiti che hanno perso le elezioni, e presieduto da una personalità istituzionale che sta sul cazzo anche alla sua famiglia.
Come ha detto Mario Draghi, in Italia c’è ancora il pilota automatico.
Tutto rimane uguale affinché tutto rimanga uguale.
Chiamarli gattopardi però sarebbe un complimento, il gattopardo è un nobile felino, questi sono bacherozzi. Frutto d’un incrocio genetico fra la blatta e il camaleonte. Blattopardi

Alessandra Daniele
(04/02/2018)

Poi, giusto per rasserenare gli animi, conviene alimentare l’impressione di farsi dettare l’agenda politica dalle sempre disinteressate agenzie del rating internazionale e dagli eurotecnocrati di Strasburgo; meglio se facendosi trattare alla stregua di una colonia a libertà vigilata e sovranità limitata, al traino di una UE germanizzata e pronta a scatenare i suoi gauleiter contro i sudditi riottosi al nuovo Ordnung teutonico, nei Reichsgaue ribelli alla periferia dell’Impero.
Altra cosa da NON fare, perché la cosa comporta delle conseguenze, è lasciar intendere (magari per deficit di comunicazione e distorsione del messaggio) che questi possano sovrapporsi e sostituirsi alle Istituzioni democratiche, per un trasferimento della sovranità nazionale dal “popolo” ai “mercati”, assurti a nuovo organo costituzionale non riconosciuto ma esplicitamente vincolante. Peraltro senza che si intraveda, almeno per compensazione, alcuna contropartita tangibile che non sia la pedagogia dell’austerità e della punizione; almeno finché gli italiani non impareranno a votare come si deve. Meglio ancora: insistere sulla retorica dei “compiti a casa” e delle cicale latine, mantenute a sbafo dalla generosa Germania, che pagherebbe le gozzoviglie di un popolo antropologicamente votato al parassitismo per congenita propensione (razziale?). E per questo da rieducare, o tenere comunque sotto sorveglianza.
Nel dubbio, c’è sempre l’immancabile intervento (non richiesto) del solito tecnoburocrate tedesco, fondamentale come un ascesso perianale e tempestivo come una perdita radioattiva, a stroncare ogni corrispondenza residua per una Unione europea, che oramai suscita nella maggioranza degli italiani la simpatia di una raspa nel culo. L’ultimo di una serie diventata troppo lunga per essere ancora tollerata è il contributo del supercommissario ai bilanci (e di passaggio alle “risorse umane”), Günther Oettinger, che certo ha migliorato di molto la percezione diffusa che dell’Europa ormai si ha, insieme al profilo segaligno di questi arcigni maestrini del Rigore (in casa altrui) che conferiscono all’intera confezione un tocco quasi lombrosiano.
Ma prima c’era già stato l’articoletto su Der Spiegel, firmato dal solito Jan Fleischhauer, a stemperare le tensioni e dissipare la folata populista, in un concentrato di stereotipi e luoghi comuni estesi a tutti gli italiani indistintamente, che nemmeno nei cessi dei peggiori autogrill..!
Dalle parti della Deutschland che si crede über Alles, i nostri aspiranti castigatori sono un po’ così… o fanno la faccia cattiva da kapò, o (tagliati gli orripilanti baffoni Anni ’70) hanno il profilo sbarazzino, e pure un po’ da frocetto, del provocatore che si crede anche fighetto. Perché quanno ce vo’, ce vo’!
Se questo è il panorama “internazionale”, altro errore da non fare è cassare la scelta di un potenziale ministro, non in virtù del suo curriculum e dei suoi trascorsi personali, ma in merito alle sue idee in ambito squisitamente economico, in un processo alle intenzioni su base suppositiva. Come se le sue opinioni (accademiche) possano essere oggetto di veto preventivo, prima ancora che oggettivo su riscontro concreto. E’ vero che il Presidente Sergio Mattarella esercita i suoi poteri in osservanza dell’Art. 92 della Costituzione (“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”). E solo un imbecille come Giggino O’ Sarracino, imbalsamato nel suo eterno sorriso di plastica, poteva immaginare di sollevare una questione di “alto tradimento”, riguardo all’esercizio di una prerogativa assolutamente legittima.

Ma è anche vero che il Presidente della Repubblica dovrebbe tenere a sua volta presente l’assunto fondamentale contenuto nell’Art.1 (“la sovranità appartiene al popolo”), limitando l’esercizio del diritto di veto nel caso vengano meno i presupposti contenuti nell’Art.54 della Costituzione, nel rispetto della volontà dell’elettorato, espressa in libere elezioni:

Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.”

Ed evitare così di cadere, per una scelta opinabile, nel trappolone abilmente orchestrato da un Matteo Salvini, per meri interessi di bottega elettorale… Non per niente, se il Presidente voleva tutelare gli interessi dei risparmiatori italiani, stando all’andamento dello spread, sembra aver finora ottenuto l’effetto contrario…

«In questa partita Di Maio si stava giocando tutto, Salvini no. Il leader leghista era in posizione win-win: vincente se partiva il governo con il ministro da lui voluto, vincente se si fosse arrivati alla rottura, perché pronto a fare bingo andando al voto. E infatti stasera, a Spoleto, in maniche di camicia e molto più rilassato del suo socio, Salvini era capace perfino di fare ironia, “potevano dircelo prima che non potevamo governare almeno non stavamo a far notte sul programma”.
E così si arrivati al crac, alla rottura. Non è servito il rassicurante comunicato domenicale dello stesso Savona, non è servito il bassissimo profilo tenuto dal premier incaricato Giuseppe Conte finito per sbaglio o vanità in un gioco molto più grande di lui.
Nella sua ricostruzione alla Sala della Vetrata, Mattarella è partito quasi con una excusatio non petita, sostenendo di avere fatto di tutto per lasciare che Lega e M5S arrivassero al loro governo, di avere aspettato i loro tempi, il loro “contratto”, le loro votazioni on line e ai gazebo, di avere anche superato “le perplessità per un premier non eletto” (frecciata pesante verso chi di questo slogan aveva fatto una bandiera), infine di avere accettato tutti i ministri proposti da Conte – cioè dai suoi azionisti. Tutti tranne uno.
Eccolo qui, l’ostacolo insormontabile, un signore ottuagenario dal curriculum senza fine e senza zone oscure, che però pensandosi fuori dai giochi da qualche anno aveva deciso di togliersi i sassolini dalle scarpe sull’euro, sulla sua architettura sbilenca, sul dominio tedesco, sulla necessità di rinegoziare molte cose comprese alcune di quelle che l’ortodossia di Bruxelles e Berlino considera non negoziabili, non oggetto di mediazioni.
E viene a mente un altro caso, un caso di tre anni fa probabilmente molto presente nell’animo di di Mattarella, da giorni. Il caso di Yanis Varoufakis, certo uomo di altra estrazione politica rispetto al governo gialloverde, eppure di idee così simili a Savona per quanto riguarda il giudizio su quest’Europa e sulla sua moneta, e quindi (come Savona) inaccettabile per Bruxelles e Berlino, che l’osteggiarono fino a chiudere i rubinetti dei bancomat a un intero Paese – e a ottenerne la testa.
No, Mattarella non è uomo della Troika, dei mercati, dei poteri forti europei, di Berlino e delle banche. Ma è cosciente che quei poteri esistono e soprattutto che sono capaci di mettere in ginocchio un Paese. Perché questa è la realtà, al momento. Una realtà atroce – e già in Grecia si era visto quanto violenta era stata l’imposizione su un governo eletto dal popolo, su un referendum in cui aveva votato il popolo. Ma una realtà fatta di condizioni oggettive.
Così l’Italia sta vivendo la questione fondamentale del presente, l’esternalizzazione del potere dalle democrazie nazionali ai vincoli economici internazionali.
Una questione in cui Di Maio e Salvini (piacciano o facciano orrore) hanno le loro fondate ragioni: abbiamo votato, si faccia come vogliono i cittadini; eppure le ragioni le ha anche Mattarella, non solo nell’esercizio delle indiscutibili prerogative che la Costituzione gli assegna ma anche nel merito, nel contenuto: no, oggi non si può fare come vogliono i partiti scelti dai cittadini perché se lo si fa andiamo tutti incontro a un massacro, com’è avvenuto in Grecia, e io come presidente ho appunto le prerogative costituzionali per provare a evitarlo.
Quello che oggi in Italia è uno scontro istituzionale – purtroppo – rivela quindi la contraddizione più bruciante del nostro tempo, cioè la convivenza che si fa talvolta impossibile tra democrazie e libero mercato, dopo un secolo in cui si era pensato che solo nel libero mercato fiorissero le democrazie. E invece non è più così, non c’è più coincidenza tra i due sistemi, se mai c’è stata. Oggi le democrazie sono rinchiuse all’interno di Stati che non hanno più autonomia di scelta, che per garantire i risparmi dei cittadini devono rinunciare a se stessi.
A questa trappola epocale la reazione diffusa non può che essere il sovranismo, il neonazionalismo. E lo sarà o finché il capitalismo per paura inizierà a trattare o finché la democrazia non diventerà sovranazionale

Alessandro Giglioli
“La trappola della democrazia nel mercato”
(27/05/2018)

Il bel risultato è la più grave crisi politica di tutta la storia repubblicana, per uno scontro istituzionale senza precedenti, che prefigura scenari da Repubblica di Weimar.
Sempre che votare serva ancora a qualcosa…

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FINAL DESTINATION

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 novembre 2012 by Sendivogius

«Dopo un anno l’Italia è saldamente sulla via del cambiamento, di certo è un’Italia che adesso può guardare con più fiducia verso il suo futuro. Un futuro che sarà prospero se si continuerà sulla strada intrapresa, senza disperdere il lavoro che è stato compiuto fino ad oggi.»

 (Il Consiglio dei Ministri – Nov.2012)

Gli strabilianti risultati della terapia bocconiana li avevamo già ricapitolati QUI.
È ovvio che un ‘lavoro’ così ben fatto vada continuato, onde non disperdere effetti tanto straordinari…
Con un’economia reale stremata a condizioni post-belliche, senza alcuna prospettiva di “boom” se non il collasso di un intero tessuto sociale, in Italia siamo ormai alle verità di Fede. Il direttorio tecnocratico crede nei miracoli ed alla realtà dei fatti preferisce il culto delle visioni mistiche. Dall’alto del loro empireo accademico, lontani dalle anguste miserie dei comuni mortali, i professoroni preferiscono la libertà degli spazi siderali, dove l’aria rarefatta amplifica le allucinazioni nello stato comatoso di tunnel senza luci. E mentre i sacerdoti dell’Austerità per decreto trasformavano l’Italia in un immenso laboratorio accademico per i loro esperimenti sociali di teoria macroeconomica, ci hanno rifilato una riuscita serie di spauracchi costruiti ad hoc (la Grecia) e favolette di successo (secondo le quali avremmo vissuto al di sopra delle nostre possibilità), opportunamente amplificate dai media embedded dei potentati finanziari, interessati al grande piano di riorganizzazione post-democratica.
Bocciata nei fatti su tutti i parametri [QUI] l’Agenda Monti rimane la bibbia di riferimento per padroni e sindacati gialli, nella prosecuzione di un’esperienza che (per carità!) non va certo dissipata.
Principale (se non unico) risultato, è il contenimento dello spread sui titoli di Stato, ovvero il differenziale con i bund tedeschi, ad una media di 360 punti, che comunque (a fronte di una cura da cavallo) rimane elevato e non giustificabile. Più è alto il differenziale di riferimento, più aumenta l’importo degli interessi da pagare ai sottoscrittori dei titoli pubblici, emessi per il finanziamento delle spese correnti inerenti il funzionamento della macchina statale, incrementando di converso l’enorme debito pubblico che grava sul bilancio italiano.
Nella notte buia in cui tutte le vacche sono nere, ci si dimentica di dire però che nel 2007 lo spread era sotto i 50 punti e certo non costituiva un problema per l’incremento di un debito pregresso, in massima parte ereditato dalla finanza allegra degli anni ’80 [QUI!], e nell’ultimo decennio tenuto costantemente sotto controllo, senza incidere sulla tenuta economica e la stabilità finanziaria di un intero Paese, fino a quando non è improvvisamente diventato un problema…

Infatti, bisognava scegliere se continuare a finanziare la spesa corrente degli Stati a sostegno delle politiche sociali o drenare risorse pubbliche per colmare la voragine del Credito privato, dissanguato dalle speculazioni della finanza strutturata. Ovviamente, si è optato per la seconda scelta col beneplacito delle oligarchie liberiste della UE ed il sostegno incondizionato dei nipotini di Milton Friedman (diffidare sempre dei nani!), tanto non pareva loro vero di poter ridisegnare la geografia sociale dell’Europa a immagine e somiglianza del Cile di Pinochet. Non per niente gli emuli nostrani dei Chicago Boys sono tra i più fieri sostenitori del Montismo ad oltranza e rilascio rapido.
Tanto per dire, un affresco del fallimento delle politiche rigoriste di ispirazione neo-monetarista ce lo danno i prudentissimi rapporti dell’ISTAT: nota congrega sovversiva di anarco-insurrezionalisti. Per questo i report in questione vengono di solito snobbati dalla grande stampa moderata e benpensante, sempre così pensosa dei destini del Paese e soprattutto del ‘mercato’.
E dunque riscopriamoli insieme…

La Dittatura del Debito
 Nel Rapporto Annuale del 2010, prima della svolta tecnica, l’ISTAT esamina le cause della crescita del debito pubblico, nell’ambito della più generale crisi dell’euro (moneta nata male, strutturata peggio, ma la quale è vietato criticare) e soffermandosi sull’analisi del “saldo primario”, ovvero l’avanzo nei bilanci degli Stati. E viene calcolato al netto della spesa per interessi sui titoli emessi per il finanziamento corrente, che impropriamente chiamiamo “debito”.
Il saldo primario è una diretta conseguenza delle politiche fiscali adottate dai singoli Paesi e riflette le decisioni dei governi in materia economica e gestione di spesa.

«Il saldo primario, nella media dell’area è andato progressivamente deteriorandosi, passando da un avanzo del 2,3 per cento del Pil nel 2007 a disavanzi superiori al 3 per cento negli ultimi due anni.
Nel complesso del triennio 2008-2010, il saldo primario ha contribuito alla crescita del peso del debito sul Pil per 5,7 punti percentuali per l’insieme dell’UEM [Unione Monetaria Europea], ma per 47 punti percentuali in Irlanda, 20 punti in Grecia, 19 in Spagna, 14 in Portogallo e 10 punti in Francia. Solo in Finlandia, Italia e Germania ha offerto un contributo negativo, rispettivamente per 2,7, 1,7 e 1,5 punti percentuali. Nel 2010, il saldo primario è migliorato in tutti i paesi a esclusione di Irlanda, Paesi Bassi e Austria

Una situazione drammatica, ma non disperata. E soprattutto non tale da ingenerare il panico che ne è seguito. Le conseguenze (indirette) sul debito pubblico sono state esasperate in seguito all’esplosione della bolla speculativa statunitense, che ha travolto come un’onda lunga la finanza europea e in particolare le banche franco-tedesche sovresposte verso il sistema creditizio di Irlanda, Islanda e Grecia. L’Italia compariva perfino tra i paesi virtuosi!
Insomma, nulla che avesse a che fare con l’andamento sostanziale dell’economia reale. E niente che giustificasse l’imposizione delle politiche di austerity teutonica, calibrate dai tedeschi in modo da essere etero-indirizzate pro domo sua.

«Nel nostro Paese, la crescita del rapporto tra debito e Pil durante la crisi è stata determinata prevalentemente dalla spesa per interessi derivante dall’elevato livello di debito ereditato dal passato e dalla contrazione dell’attività economica.
La politica fiscale adottata dal Governo è risultata invece tra le più severe, con un ricorso molto limitato a interventi straordinari anticrisi rispetto agli altri paesi: l’Italia è, infatti, l’unica economia dell’Uem ad aver mantenuto in avanzo lungo tutto il triennio il saldo primario strutturale, calcolato depurando il saldo complessivo al netto della spesa per interessi dalla componente ciclica dovuta all’operare degli stabilizzatori automatici.
[…] Nel 2010, il saldo primario strutturale avrebbe, invece, continuato a segnare un ampio disavanzo in Irlanda (27,2 per cento del Pil), Spagna (6,2%), Francia (4,3%), Grecia (3,3%) e Paesi Bassi (3,2%).»

La mancanza di provvedimenti strutturali che hanno impedito di cogliere i vantaggi oggettivi (come avvenuto in Germania) che la moneta unica pure offriva, sono gli inconvenienti di aver posto alla conduzione dell’Italia un Pornocrate, molto più interessato alla “patonza” che non agli affari di Stato, funzionali più che altro agli introiti delle sue aziende di famiglia.
Ma, si sa, gli italiani amano da sempre gli “Uomini della Provvidenza”… vogliono essere condotti per mano al suono di pifferi magici, come i ciuchini nel Paese dei Balocchi.

Il Pasto Greco
La gestione del debito ellenico costituisce la più grande operazione congiunta di recupero crediti ai danni di una stato sovrano mai realizzata. In pratica, i governi conservatori di Germania e Francia, si sono comportati come la bassa manovalanza criminale, ingaggiata dagli usurai (le Banche d’affari private) per esigere i loro crediti a strozzo. La punizione collettiva del popolo greco (perché di questo si tratta), in nome degli Dei della Finanza, rimarrà un’onta indelebile a carico della UE e foriera di conseguenze sociopolitiche, ben peggiori di quanto una Merkel o le intelligenze artificiali del Governo Monti saranno mai in grado di elaborare.
L’Italia partecipa a pieno titolo nel salvataggio della piccola Grecia, che a sua volta deve sottostare alle condizioni capestro imposte dalla Germania. In poco tempo, un onere contenibile in ambito europeo si trasforma in una voragine senza fondo, sotto i morsi dell’intransigenza interessata di Berlino.
Ma, nella stampa teutonica e scandinava, lo sforzo italiano non viene tenuto in alcun conto ed anzi il Belpaese viene iscritto a forza nei Pigs del cosiddetto Club Med (non senza una punta di razzismo), descritto come un Paese indebitato coi creditori esteri (un falso clamoroso) e si acclara senza alcun riscontro la possibilità di un fantomatico rischio default.
Per uno strano capriccio del caso, l’economia italiana è la principale rivale della pompata locomotiva tedesca, con la quale gareggia in esportazioni e acquisizione di quote di mercato europeo. Le prescrizioni rigorista dilatate su scala continentale provvederanno presto a deprimere il potenziale concorrenziale. Ovviamente, gli interventi congiunti di Francoforte e Berlino e Bruxelles sono stati fatti esclusivamente per il nostro bene.
 Come al solito, per la buona riuscita delle trattative in ambito europeo, non aiutano le perfomances dell’Innominabile che quietamente, nella gaia incoscienza dei controllori, viene lasciato gozzovigliare al governo italiano, umiliando le istituzioni repubblicane e sputtanando il paese in mondovisione.

«Nel 2010 è stato erogato circa un quarto del finanziamento speciale concesso alla Grecia dai paesi dell’Uem (21 miliardi su un totale di 80), il cui onere è stato ripartito tra i paesi membri in proporzione alla loro partecipazione al capitale della BCE: per Italia, Francia e Germania, questo intervento ha determinato un aumento del peso del fabbisogno sul PIL di circa un quarto di punto percentuale; nel 2011 si può stimare un impatto pari a circa 4 decimi di punto per l’Italia e solo marginalmente inferiore in Germania e Francia. La quota di finanziamento a carico di ciascun paese può essere confrontata con un indicatore dei potenziali effetti d’impatto che si ripercuoterebbero sulle rispettive economie in conseguenza di un eventuale consolidamento del debito pubblico greco, costituito dal grado di esposizione dei sistemi bancari nazionali verso operatori pubblici e privati greci. Emerge che le quote di finanziamento del prestito alla Grecia garantite dai principali tre paesi (circa il 27 per cento dalla Germania, il 20 dalla Francia e il 18 dall’Italia) non sono proporzionali al rischio relativo, che è elevato in Francia (con quasi il 40 per cento dei titoli greci collocati presso banche europee), significativo in Germania (con il 25 per cento) e molto ridotto in Italia (con meno del 3 per cento). Gli interventi che hanno inciso direttamente sul debito senza influenzare il saldo di bilancio sono soprattutto l’aumento delle riserve di liquidità e l’acquisizione di attività finanziarie delle banche da parte dei Governi.»

L’Italia e le Banche
 Sicuramente si tratterà di una coincidenza fortuita, ma la guerra dello spread, cominciata con gli avvertimenti intimidatori delle agenzie del rating organizzato e proseguita con le armi di distruzione di massa della finanza speculativa, sembra quasi essere proporzionale alla mancata esposizione del bilancio italiano alle tempeste del credito bancario ed alla mancata emissione di garanzie pubbliche e coperture finanziarie nei confronti delle potenziali perdite del sistema bancario e le esposizioni alle fluttuazioni di mercato.
Nel corso del 2010 i principali governi europei, spaventati dalla crisi del credito privato, corrono a foraggiare gli istituti bancari con cospicue iniezioni di denaro pubblico, fornendo garanzie sui titoli emessi dalle banche in difficoltà finanziarie.

«Gli effetti correnti e potenziali sul debito pubblico dovuti all’adozione di misure straordinarie da parte dei Governi a sostegno del sistema bancario risultano, a fine 2010, eccezionalmente elevati in Irlanda (quasi il 150 per cento del Pil) e significativi in numerosi paesi (Grecia 27 per cento, Belgio 22, Germania 16, Spagna 8, Portogallo 6,8 e Francia 4,6 per cento). Per l’Italia il peso degli interventi attuati a sostegno del sistema finanziario è, invece, marginale (0,3 per cento).»

A dimostrazione forse di un sistema creditizio più sano rispetto agli omologhi europei.
Con lo smantellamento accelerato delle tutele sociali, la cancellazione dei diritti e delle ultime garanzie nell’ambito del lavoro, insieme all’esposizione dello Stato italiano nei confronti delle eventuali banche a rischio insolvenza, coincidono con uno stemperamento dello spread che tuttavia rimane troppo alto e che il Governo Monti si guarda bene dal pubblicizzare troppo tra i suoi successi (presunti). Non per niente, tra i primi atti del decreto Salva-Italia c’è la presa in carico da parte dello Stato delle passività bancarie, con la concessione di garanzie di copertura…

La morsa del Debito
 Il peso del debito pubblico costituisce una morsa incontenibile, che condiziona le politiche economiche ed i piani di crescita da almeno un ventennio. Tuttavia, a fronte di un sistema produttivo ed industriale fortemente sclerotizzato, e refrattario alle innovazioni come agli investimenti, un mercato del lavoro ingessato con divaricazioni sempre più inique nel riconoscimento dei diritti, la tenuta dell’economia italiana è sostenuta in massima parte dai consumi delle famiglie. È questo l’elemento primario, se non unico, che finora ha garantito spinta propulsiva al cosiddetto sistema-paese:

«Nel periodo 1992-2000 la crescita dell’economia italiana è stata sostenuta dai consumi delle famiglie, dagli investimenti e rafforzata da un contributo positivo della domanda estera netta; il contributo dei consumi collettivi, invece, è leggermente negativo, conseguenza di una dinamica restrittiva della spesa delle amministrazioni pubbliche fino al 1995 e di una sua crescita a ritmi molto contenuti dal 1996 in poi.
Nelle altre maggiori economie dell’Uem, costrette ad un processo di convergenza meno oneroso di quello italiano, invece, il sostegno della spesa pubblica, soprattutto nella fase recessiva, è stato positivo.»

Il godereccio ventennio berlusconiano, lungi dal risolvere i problemi li ha acuiti, e gli effetti si vedono…

«Nel periodo 2007-2011, la performance di crescita complessivamente negativa dell’Italia (-1,1 per cento in media d’anno) vede un contributo negativo di quasi tutte le componenti della domanda, in particolare degli investimenti, e un contributo nullo della spesa finale delle amministrazioni pubbliche. Tra gli altri principali partner, Francia e Germania conseguono una modesta crescita, complessivamente favorita dal sostegno della domanda privata e dei consumi collettivi, mentre nella media di periodo la domanda estera netta incide negativamente, principalmente a causa del pessimo risultato del 2009.»

L’equazione tra crescita ed equità è imprescindibile. In Italia si è costantemente proceduto in senso opposto.

L’Equità al tempo dei Tecnici
Nel 2011 abbiamo un nuovo “salvatore della patria”: ce lo chiede l’Europa; lo vuole la BCE; ce lo impone il Colle. E, come tutte le imposizioni dall’alto, si tratta di un’offerta che non si può rifiutare…
Nel solco di un processo di ristrutturazione a livello europeo, con la benedizione delle banche centrali e del Fondo Monetario, per il risanamento dei conti pubblici in nome dei sacri parametri, Mario Monti intraprende una cura fatta di lacrime, sangue e tagli. Il dolore è parte integrante della terapia e non prevede anestesia. Sostanzialmente si tratta di una vivisezione: se la cavia sopravvive alle asportazioni, si aprono per lui le aspettative di una non vita dalla lunga agonia.
Nel rapporto annuale del 2012, l’Istat non manca di osservare come:

«In Germania e in Francia il maggior contributo al risanamento è stato fornito dalle imposte dirette, con incrementi in valore assoluto rispettivamente dell’8,1 e del 10 per cento; nel Regno Unito, invece, il supporto più rilevante alle entrate è giunto dalla dinamica delle imposte indirette (in aumento del 6,4 per cento in termini nominali).»

Le imposte dirette si basano sulla tassazione progressiva del reddito e sulla repressione dell’evasione fiscale, in proporzione alla ricchezza patrimoniale detenuta ed alla propria capacità contributiva. Nei paesi dove più forte è il divario sociale e maggiore l’impronta liberista si prediligono le imposte indirette, che toccano solo marginalmente i grandi capitali ed i redditi più elevati.
In Italia, l’imposizione fiscale (e massimamente dopo l’avvento del Governo Monti) è basata quasi tutta sull’aumento delle imposte indirette, che spostano il peso del risanamento soprattutto a carico del reddito da lavoro dipendente e salariato:

«L’aumento di gettito è stato sostenuto esclusivamente dalla crescita delle imposte indirette (+2,0 per cento) realizzata attraverso interventi sull’Irap, l’introduzione della tassa di soggiorno, l’aumento di un punto dell’aliquota massima dell’Iva e aumenti delle imposte sugli olii minerali.
[…] In Italia si sono registrate diminuzioni dei redditi da lavoro dipendente (-1,2 per cento), delle prestazioni sociali in natura [forniture di beni e servizi alle famiglie n.d.r] (-2,2 per cento), dei trasferimenti di capitale (-8,8 per cento) e dei contributi alla produzione (-6,3 per cento).
[…] La dinamica negativa dei redditi da lavoro dipendente è stata determinata dalla contrazione dell’occupazione e dalla modesta flessione delle retribuzioni pro capite dovuta al congelamento dei rinnovi contrattuali. Il sensibile calo delle prestazioni sociali in denaro ha riflesso prevalentemente l’andamento di alcune componenti della spesa sanitaria (spesa per farmaci e spesa per la medicina di base) che, nel corso del 2010, avevano incorporato il costo dei rinnovi delle convenzioni dei medici di base.»

In pratica la gente risparmia sulle cure mediche, mentre migliaia di posti letto vengono tagliati e gli ospedali chiusi in nome del fiscal compact e dalla spending review che ne consegue. Il prossimo passo del Montismo è la privatizzazione della Sanità? Per crudele paradosso, mentre si pretende di inserire il pareggio di bilancio nella Costituzione, si impone il fiscal compact che di fatto azzera ogni forma di spesa pubblica in Italia, si inaspriscono le politiche di rigore, mentre il debito pubblico esplode in concomitanza col crollo dell’economia e dell’occupazione.
Il caso è da manuale: si tratta del carrettiere che ammazzò il cavallo, convinto che per spronare l’animale a trainare il carro bastassero le sole frustate; aumentando al contempo il volume del carico, nella convinzione che per risparmiare sui costi di trasporto sarebbe bastato eliminare il foraggio e le cure per la bestia da soma.
Un anno dopo la cura Monti, questo è il risultato al settembre 2012, in merito alle prospettive per l’economia italiana, elaborate dall’Istat…
Per quanto riguarda l’Industria:

«Le contrazioni più marcate si rilevano nella metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-15,5%), nella fabbricazione di articoli in gomma, materie plastiche e altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi (-8,3%) e nelle industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-7,6%).
Le variazioni negative più rilevanti dell’indice grezzo degli ordinativi hanno riguardato la metallurgia e fabbricazione di prodotti in metallo (-18,4%), la fabbricazione di macchinari e attrezzature n.c.a. (-17,3%) e l’industria del legno, carta e stampa (-13,1%).»

In merito all’industria automobilistica, Gli acquisti di autoveicoli sono crollati a -44,9%. Ma in questo ha contribuito molto la simpatia di Sergio Marchionne.
Stroncato il mercato interno, in nome del risanamento e riordino dei conti che assomiglia ormai ad una composizione della salma prima della tumulazione, i restauri tombali del Governo Monti stanno portando i loro benefici effetti anche nell’ambito del commercio estero. Le esportazioni, seppur in difficoltà, sono sempre state un settore di punta dell’economia italiana ed una voce importante nella strutturazione del PIL nazionale e che, al contrario delle aspettative, non sono state poi così beneficiate dall’introduzione dell’euro come si credeva in origine:

«L’adozione dell’euro ha determinato un impatto positivo, ma non di grande entità, sul commercio bilaterale dei paesi europei. Per alcuni paesi membri (Grecia, Finlandia e Portogallo) l’effetto della moneta unica europea sul commercio sarebbe stato negativo.
[…] Nel caso dell’Italia l’impatto positivo si sarebbe esplicitato attraverso la riduzione dei costi variabili del commercio internazionale, mentre la riduzione dei costi fissi non avrebbe avuto alcun ruolo. La stima differenziata dell’effetto “introduzione dell’euro” rispetto ai mercati di destinazione ha, tuttavia, mostrato un impatto positivo per gli scambi commerciali con i paesi “periferici”, verso i quali le imprese italiane avrebbero aumentato le esportazioni in termini sia di valore sia di varietà dei prodotti esportati. Al contrario, l’effetto sull’export verso i mercati “core” (tra cui la Germania, principale destinatario dell’export italiano) sarebbe stato negativo, indicando il prevalere di un effetto competitività penalizzante per i beni italiani.»

I flussi del commercio estero, scalzati progressivamente dai mercati interni della UE a tutto vantaggio della Germania, si sono concentrati verso i paesi emergenti e le nuove economie dell’Asia, insieme ai mercati tradizionali del made in Italy di qualità, conquistando importanti quote nei nuovi blocchi economici transcontinentali.
 Verso le nuove tigri asiatiche (e tigrotti in crescita) dell’ASEAN: Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Brunei, Vietnam, Laos, Birmania, Cambogia.
Verso i colossi dell’EDA: Singapore, Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong, Malaysia
Oppure puntando sulle grandi potenzialità del continente latinoamericano, puntando ai mercati unificati del MERCOSUR e dell’ANDEAN.
E infatti,

“A settembre si rileva, rispetto al mese precedente [Agosto 2012], una flessione per entrambi i flussi commerciali, più intensa per l’import (-4,2%) che per l’export (-2,0%).
La diminuzione dell’export è di intensità analoga per entrambe le aree di sbocco: -2,1% per i mercati UE e -2,0% per quelli extra UE. In flessione sono soprattutto le vendite di beni strumentali (-4,5%) e di prodotti energetici (-2,3%), mentre i beni di consumo durevoli registrano un aumento dell’1%.
La flessione delle importazioni è rilevante sia dai paesi Ue (-4,4%) sia da quelli extra Ue (-3,9%). Particolarmente accentuata è la contrazione degli acquisti di beni strumentali (-9,7%).”

La flessione delle vendite riguarda tutti i potenziali partner commerciali, interessati alle nostre esportazioni:

Paesi EDA (-26%)
Giappone (-35%)
Cina (-18,8%)
India (-30,9%)
Paesi MERCOSUR (-13,7)
Germania (-10,3%)
Spagna (-12,8%)
Romania (-13,6%)

Aumentano invece i flussi commerciali con i Paesi dell’ASEAN (+22,9%); Paesi OPEC (+18,0%); Russia (+16,7%); USA (+19,4%).

A conti fatti, più che dinanzi ad un governo di risanatori ci troviamo di fronte ad una squadra di becchini. Epperò, dopo Monti c’è solo Monti… per l’estrema unzione?

Attulamente der Professor è ad uno dei soliti, inconcludenti, vertici brussellesi che tanto fanno sghignazzare mercati e investitori di borsa ad ogni puntata. Il copione è sempre lo stesso: Angelona Merkel si impunta come Hitler nell’assedio di Stalingrado senza cedere di un millimetro; il presidente francese cerca di rintuzzare l’intransigenza tedesca, confidando invano nella risicata sponda italica; Mario Monti, nicchia, bluffa, minaccia veti che non porrà mai… ma, finita la recita, prima si piega e poi si spezza. Per non fargli perdere la faccia, l’inflessibile Angelona concede qualche osso al suo fedele cagnolino da riporto e il giorno dopo sconfessa i risultati del vertice, inviando i suoi sabotatori di fiducia (Olanda e Scandinavia). È una tecnica nota ormai a tutti, tranne che ai giornaletti nostrani, i quali celebreranno il ritorno a casa del Professorone con titoloni roboanti sui nuovi “successi epocali”.

All’atto pratico, dopo aver stroncato ogni possibilità di ripresa, estendendo la cura ultra-rigorista all’intera Europa, i tecnocrati della UE e del Fondo Monetario Internazionale hanno rivisto al ribasso tutte le stime di crescita, ammettendo che forse qualcosa non sta funzionando… E dopo aver trasformato una crisi congiunturale, in una devastante recessione su scala continentale, senza che si prospettino reali prospettive di uscita, iniziano a profilarsi all’orizzonte concreti timori sulla tenuta sociale e democratica negli stessi Paesi coinvolti nella ‘cura’.
Se è vero che sbagliare è umano, perseverare è diabolico. Ci troviamo di fronte ad un gruppo di cerusici ottocenteschi che, dinanzi all’aggravarsi della malattia, intensificano i salassi al paziente anemico, prescrivendo in aggiunta una serie di clisteri al malato rigorosamente tenuto a digiuno, pur di non rimettere in discussione le teorie del loro manuale scolastico. Evidentemente, è radicata la convinzione nietzschiana, secondo la quale ciò che non uccide fortifica.

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LE PAROLE E I FATTI

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 20 novembre 2012 by Sendivogius


Ci sono due modi per smantellare l’impalcatura sociale di un Paese:

1) Da una parte, l’impeto fracassone e la cialtroneria ducesca delle nuove oclocrazie populiste, che si alimentano dell’esibizionismo pornografico e dell’arroganza pacchiana dei provinciali arricchiti, attraverso il saccheggio compulsivo della respublica.
2) Dall’altra, il mondo fluttuante della finanza globalizzata, il verbo liberista sceso ad ispirare i teatrini della post-democrazia, che diventa carne geneticamente modificata nell’austerità tecnocratica di distinti signori borghesi, provenienti delle aristocrazie timocratiche e dalle sagrestie della finanza bianca d’ispirazione confessionale.
In entrambe i casi, a perderci è la Democrazia.
Solitamente, il primo sistema si nutre del gigionismo esasperato di vecchi avanzi da cabaret. Spesso, la loro eccitazione istrionica attira troppe attenzioni e viene reputata sconveniente nei salotti che contano: gli utili idioti hanno in genere tempi di scadenza ravvicinati. Perciò, la tendenza a strafare e l’eccessiva sovraesposizione finiscono quasi sempre con l’annullare gli effetti desiderati. Nei casi più estremi, si rischia di mandare a puttane intere nazioni. E mai metafora fu interpretata alla lettera come in Italia!

Al contrario, il secondo sistema punta all’esatto opposto del primo: liquidata la volgarità dei servi, concentra tutto sulla sobria austerità della nobiltà padronale, travestita da buon fattore. Se il trucco riesce, si finisce con lo scambiare la tutela di una serie di interessi proprietari per interessi comuni. La prassi ordinaria rifugge da gesti eclatanti e da ignobili pagliacciate. Piuttosto, si nutre di imperativi categorici, quasi sempre provenienti da entità astratte di eterea collocazione: Ce lo chiede l’Europa… Bisogna assecondare le percezioni dei mercati… Ce lo chiedono gli investitori
È un po’ come Mosé che sente le voci e convince il popolo a seguirlo nella “Terra Promessa”, salvo girare a vuoto per 40 anni in un deserto inospitale!
Il paradosso più eclatante di una situazione surreale, che la dice lunga sulla maturità democratica di un popolo e l’intelligenza politica degli italiani, è di aver considerato come una cosa assolutamente normale la presenza in cucina di un pornomane che grufola, mangia con le mani e flatuleggia, mentre si ingozza insieme alla sua vorace corte dei miracoli. Secondo i moderati nostrani, non c’era niente di meglio disponibile sulla piazza. Invece, si è reputata un’eccezione la presenza di un’ospite che a tavola si serve di coltello e forchetta, sa come si usano e conosce le basi della buona educazione.
È il caso fortunato del prof. Mario Monti: antitetico nei modi e nell’aspetto al suo predecessore, ne eredita il programma di governo e la prassi emergenziale, insieme a certe estemporaneità promozionali: come il Pornonano, va in giro per il mondo a rilanciare l’immagine del Paese e la propria (fortunatamente con effetti diametralmente opposti!). Avido di complimenti e di riconoscimenti, ad un anno dal suo insediamento al governo, se li tributa da solo con manifesti celebrativi pubblicati on line sul sito del governo: 14 pagine di indulgente auto-sbrodolamento. Naturalmente, non perde occasione di incensare il suo operato, con un’opera dal titolo evocativo: Le Parole e i Fatti. Evidentemente, il magnifico professore non sa che chi si loda s’imbroda. E magnifiche sono state le circostanze di promozione editoriale: all’Università Bocconi, davanti una platea di privilegiati, mentre all’esterno dell’ateneo privato gli studenti della scuola pubblica in protesta contro i tagli del governo all’Istruzione venivano manganellati dalla polizia.
Raccoglie il copione dal passato, ma reinterpreta il tutto in maniera “sobria” all’insegna dell’Austerità. Ad un anno dall’insediamento del professore e del suo direttorio tecnocratico, così com’era comparsa inaspettata, come per incanto la famigerata crisi è svanita.
I risultati ci sono, ma non si vedono (è sempre un problema di percezione!). E dunque, ad un anno di distanza vediamoli questi risultati così eclatanti…
I dati sono desunti dalla Banca d’Italia ed elaborati dal Sole 24 Ore (noto foglio bolscevico). Giudicate da soli:

DER PROFESSOR
Dalla sua realtà parallela, Mario Monti interpreta il triplice ruolo di Commissione, Studente e Professore, si valuta da solo e ovviamente si promuove a pieni voti.
In un afflato rassicurante, ci fa sapere che l’Italia è una grande potenza industriale (ma va?!?) dai solidi fondamenti economici e sopratutto (udite! udite!):

L’Italia non è un paese debitore, non deve neanche un euro ai fondi ‘salva-Stati’ ed è il terzo contributore non solo dei bilanci Unione Europea, ma anche dei salvataggi verso Atene e il Portogallo.
 (18/11/2012)

Ad un anno dalla terapia ‘tecnica’ che sta stroncando il nostro tessuto produttivo e sociale, apprendiamo dunque che l’Italia non solo non è mai stata a rischio default e che, nonostante un debito pubblico nel frattempo lievitato a 2.000 miliardi (in massima parte pregresso), il Paese non è esposto verso i creditori esteri, ma si può altresì permettere di foraggiare gli anelli deboli della UE. E dunque la famosa emergenza?

«Il governo ha cercato di mettere in sicurezza i propri conti pubblici, come richiesto dall’Europa e dalla Banca Centrale Europea […] Per farlo si sono messe in atto politiche rigorose ma necessarie sia in termini di consolidamento di bilancio che di riforme strutturali. Il governo ha proseguito in questo senso l’impegno preso nell’estate del 2011 dal precedente esecutivo di portare il bilancio dello Stato in pareggio già nel 2013, cioè prima rispetto a tutti gli altri stati dell’Unione Europea

Praticamente, in base al necrologio celebrativo per la prossima dipartita di questa pestilenza tecnocratica, il direttorio bocconiano ci sta dicendo che ha guidato l’Italia verso la peggiore recessione degli ultimi 80 anni, con incipienti fenomeni di stagflazione e depressione economica, per fare bella figura con la BCE ed i tecnoburocrati di Bruxelles, quando poteva negoziare condizioni meno draconiane?!?
E se al contrario la crisi congiunturale del Paese era così grave, perché non si è intervenuto in anticipo per la rimozione del Pornocrate e la sua banda di predoni? Perché non si è intervenuti finché la situazione era ancora recuperabile, nel lontano Dicembre 2010, quando il governo del pornonano fu salvato con la più scandalosa compravendita di voti della storia parlamentare e grazie ai temporeggiamenti del Monitore dall’alto del Colle, che nulla ebbe a dire sulla circostanza, né prima, né durante, né dopo?!?
In compenso, è consolante sapere cheforse alcuni errori sono stati commessi, ma che tutte le misure prese, a partire dalla fantomatica ‘riforma del lavoro’, sono state finalizzate “a superare le segmentazioni che tendono a escludere o marginalizzare i giovani”. E la differenza si nota! Sarà per questo che, da quando i tecnici sono arrivati al governo, sono aumentati i pestaggi legalizzati della polizia?

UN ANNO DI SUCCESSI
 Ad ogni modo, usando le “parole”, vediamoli in sintesi questi “fatti” del Governo Monti, i cui fautori millantano la prosecuzione ad libitum, in una sorta di monarchia tecnocratica per investitura oligarchica.

1. CREDIBILITÀ
Gli ostensori del direttorio tecnico sottolineano come l’Italia avesse un problema di “credibilità” in ambito internazionale… Succede, quando hai un gangster plurinquisito come premier, che fa cambiare le leggi in parlamento dai suoi avvocati-deputati, per mandare in prescrizione i processi che lo riguardano; si circonda di una corte di lenoni, papponi, faccendieri e mafiosi che gli riempiono le ville di mignotte, ripagandoli con commesse pubbliche e creste milionarie sugli appalti di Stato. E ciò è avvenuto senza che peraltro l’opinione pubblica, né stampa benpensante, né vertici istituzionali se ne scandalizzassero più di tanto.
Forse, i ‘mercati internazionali’ più che ai vizi privati del caligola brianzolo, erano molto più interessati alla solvibilità creditizia dell’Italia ed alla quantificazione del suo debito strutturato in prodotti derivati, da parte di amministrazioni locali (Regioni e Comuni) completamente fuori da ogni controllo contabile. Al contrario che da noi, gli investitori stranieri il problema se l’erano posto eccome. E cercavano rassicurazioni in proposito. Bastava sfogliare la stampa specializzata in questioni finanziarie per comprenderlo, così come certi provvedimenti scaturivano più da una ideologia neo-mercantilista del capitale finanziario, che non da un’esigenza dell’economia reale.
Noi ne avevamo parlato QUI e ripreso il discorso QUI.

2. Lo SPREAD impazzito
 Protagonista indiscusso delle disamine economiche degli ultimi mesi, è praticamente scomparso dalle valutazioni dell’agenda del Governo Monti.
Se pensate che la febbre degli spread sia stata debellata da una massiccia cura di antibiotici e dall’inoculazione di un valido vaccino, vi sbagliate di grosso.
La cura approntata per placare l’esplosione dei differenziali dei titoli di Stato assomiglia un po’ ai rimedi medioevali in caso di influenza: qualche pannicello caldo, brodo di pollo, e tante preghiere confidando nella guarigione per intercessione divina.
Una ‘ricaduta’ è possibile in qualsiasi momento…
Innanzitutto, perché le armi di distruzione di massa in dotazione alla speculazione finanziaria non sono state affatto disinnescate, o messe in condizioni di non nuocere, da chi avrebbe potuto e dovuto. Per farvi una piccola idea sull’argomento, potete leggere QUI.
E poi perché al momento c’è una sorta di tregua in armi da parte dei famigerati speculatori senza volto, i quali tutto sono tranne che sconosciuti, travolti per troppa ingordigia e attualmente in attesa (non si uccide la pecora che si vuole tosare).
Se volete avere una piccola panoramica sulle loro identità e la potenza di fuoco a loro disposizione, potete dare un’occhiata QUI.
Valutate quindi quale sia il reale potere di contrasto dei raffazzonati provvedimenti, messi in piedi dalla UE e sistematicamente boicottati da Berlino.

3. Le RIFORME EPOCALI
 Ovvero come produrre fuffa, ma venderla bene spacciandola per oro colato…
Un prodotto di marketing, per essere vendibile, richiede sempre un nome ad effetto. Nella pioggia di decreti-leggi, che ha fatto del ricorso alla decretazione d’urgenza la prassi ordinaria del Governo Monti, ci sono certamente il “Salva-Italia” ed il “Cresci-Italia”.

Il SALVA-ITALIA arriva in tempi di spread alle stelle, una voragine di discredito internazionale grazie al Grande Statista di Arcore, ed il totale fallimento della finanza creativa targata Tremonti. Quindi si concede al Governo Monti il beneficio delle buone intenzioni, sotto le pressioni fortissime del momento, con l’urgenza di mettere in sicurezza i conti pubblici.
E infatti, per non far torto a nessuna delle elite cooptate al governo nazionale, si provvede subito a garantire le banche, con la presa in carico del loro debito privato da parte dello Stato. Innanzitutto, si proroga e si amplia la concessione di garanzie dello Stato sulle passività degli Istituti di Credito. Quindi con la scusa della lotta all’evasione fiscale, si riduce il limite della tracciabilità dei pagamenti a 1.000 euro per far impazzire gli uffici di tesoreria delle grandi aziende e spingere i correntisti a usare la carta di credito (il miglior strumento di indebitamento individuale che esista). Ma ci si guarda bene dall’introdurre il registro clienti-fornitori, che permetterebbe invece di tracciare qualunque flusso ingente di denaro.
Quindi, si provvede a fare cassa, aumentando il gettito delle entrate…
In ossequio alla conformazione classista di tipo ottocentesco di un esecutivo, che sembra uscito fuori tempo massimo da un gabinetto sabaudo, NON vengono toccati i costosissimi giocattolini dell’ammiraglio Giampaolo Di Paola, nel frattempo transitato alla Difesa.
Stipendi ed emolumenti dei super-manager e boiardi di Stato vengono appena lambiti dalla riforma, mentre tutte le politiche fiscali del governo vengono modulate in segno restrittivo, con il ricorso ad un fiscalismo bizantino che ha il suo punto di forza nella tassazione indiretta e, contro ogni principio di equità, è completamente sbilanciato a carico dei ceti medi e medio-bassi. Soprattutto, colpisce i consumi delle famiglie piuttosto che i redditi e meno che mai le rendite di posizione, innescando una micidiale spirale recessiva, ulteriormente aggravata dalla perdita di potere d’acquisto e contrazione salariale.
Anni di studi e ricerche specializzate nell’olimpo accademico della teoria economica, hanno prodotto risultati eclatanti e provvedimenti altamente tecnici come l’aumento delle accise sui carburanti, l’aumento di due punti dell’IVA, delle sigarette e degli alcolici.
Sono queste alcune delle riforme epocali che hanno stupito il mondo!
Al contempo, il Governo Monti esclude categoricamente ogni forma di ‘patrimoniale’ o di reale contributo da parte dei redditi più alti, con prelievi sui patrimoni mobili e finanziari. La motivazione ufficiale è che una patrimoniale, sui valori mobiliari e non, in realtà è stata già introdotta.
La tutela castale dei ceti sociali di riferimento è talmente evidente nella protervia di salvaguardia di classe, da risultare quasi provocatoria nell’irrisorietà degli atti…
 TASSAZIONE IMMOBILIARE. Si introduce l’IMU, con la tassazione della prima casa e delle proprietà immobiliari, ma si rimanda ad un secondo momento la revisione degli estimi catastali, col risultato che gli immobili vengono tassati a prescindere dal reddito, dalla composizione del nucleo familiare e di eventuali persone a carico, senza alcuna progressività nel calcolo delle aliquote né la possibilità di esenzioni. Si tassano i vani, ma non l’estensione in mq. In compenso, fino ad ora è escluso dal pagamento dell’IMU l’immenso patrimonio immobiliare del Vaticano, beneficiato da anacronistiche guarentigie.
In pratica, un disoccupato che ha perso il lavoro, ma con il mutuo da pagare e una famiglia da mantenere, deve versare la tassa di proprietà sulla casa in cui vive. Un convento trasformato in albergo extralusso invece non paga nulla.
 RENDITE FINANZIARIE. Dopo molte insistenze, il Governo Monti ha introdotto una tassazione sui cosiddetti “capitali scudati”, ovvero sui soldi riciclati all’estero da delinquenti ed evasori fiscali, rientrati in Italia grazie al condono di Giulio Tremonti [QUI].
L’aliquota aggiuntiva di bollo è fissata al 10 per mille (avete letto bene!) per l’anno 2012, al 13,5 per mille per l’anno 2013 e al 4 per mille a decorrere dall’anno 2014 dei capitali, che rimangono così anonimi. Ma per coloro che decidono di rinunciare all’anonimato non è dovuto alcun importo!
Viene introdotta la revisione del bollo su titoli, strumenti e prodotti finanziari, con la strabiliante aliquota dell’1,5 x mille. È un’imposta di tipo regressivo: più soldi hai e meno paghi.
In pratica, per un conto titoli di 50.000 euro si pagano circa 50 euro. Ma in ogni caso la tassa non può superare un importo massimo di 1.200 euro: sia che si abbia un patrimonio da un milione di euro, o da dieci o da cento milioni, il contribuente continuerà a versare sempre lo stesso importo per non più di 1.200 euro.
Al contrario, l’imposta sui conti deposito (in pratica i libretti postali al risparmio) sale allo 0,15% col risultato che i risparmiatori si trovano a pagare più tasse di chi specula in Borsa.
Quantomeno, è stata reintrodotta l’addizionale erariale per i veicoli oltre i 185 kw. Il Pornocrate aveva circoscritto il pagamento ai veicoli superiori a 225 kw. Ma l’imposta diminuisce sensibilmente in base all’anno di immatricolazione.
 Ed è stata ripristinata altresì l’imposta erariale su aerei ed elicotteri privati e barche. Berlusconi l’aveva abolita nel 1994 con un occhio alla sua flotta privata e l’altro a quella dei suoi amici. E’ ovvio che in assenza di controlli supplementari ed una migliore definizione della norma, la tassa può essere facilmente elusa, registrando aerei e yacht all’estero. E quindi è inefficace
Ci si richiama genericamente ad una lotta senza quartiere contro gli evasori fiscali, ma a tutt’oggi non è stato ancora approntato lo strombazzato “redditometro”, per la verifica incrociata dei dati tra reddito dichiarato e patrimonio posseduto. Né è stato firmato, nonostante le profferte della controparte elvetica, il patto con la Svizzera per la consegna dei nominativi degli evasori che nascondono i soldi nei caveau d’oltralpe. In compenso, si lanciano messaggi in codice agli evasori: forse, non so quando, dovrò fare una patrimoniale o scovare i vostri capitali anonimi… perciò, fate sparire il malloppo finché siete ancora in tempo! In ogni caso, il povero evasore può sempre contare sul pagamento di una aliquota ridotta al 25% e comunque trattabile

 Nel cosiddetto Decreto CRESCI-ITALIA si ravvisano tanti buoni propositi, ma nel concreto risultati risicati. A meno che non si voglia credere davvero che la soluzione alla disoccupazione giovanile consista nell’improvvisarsi tutti imprenditori, con capitale sociale di un euro, ma 45 giorni per aprire un C/C alle Poste e 5.000 euro o più da versare in contributi annuali, a prescindere dalle entrate e dal ritorno economico dell’attività commerciale, anche se a gestione unica.
Le liberalizzazioni delle tariffe e la revisione degli Ordini professionali rimangono nel novero delle buone intenzioni e più che altro si esplicano in una presa in giro che rasenta la farsa.
In merito alla crescita, più che intravedere la luce alla fine del tunnel, sembra di osservare la luna dal fondo di un pozzo… Freschi di giornata sono gli ultimi dati ISTAT, su fatturato e ordinativi dell’industria, in riferimento al Settembre 2011. Nell’ordine, rispetto al mese di Agosto (un periodo di solito fiacco), l’industria registra una riduzione del 4,2% dei fatturati, con una diminuzione del 3,7% sul mercato interno e del 5,3% su quello estero.
Gli indici destagionalizzati del fatturato segnano cali congiunturali per l’energia (-9,6%), per i beni strumentali (-4,7%), per i beni intermedi (-4,5%) e per i beni di consumo (-1,5%).
La diminuzione più pesante si verifica nel settore della metallurgia, con un devastante -15,5%. Che nei fatti si traduce in licenziamenti di massa per un’industria in via di dismissione. Fino a pochi anni fa, prima dei vincoli UE, eravamo uno dei principali produttori europei, in concorrenza con la Germania. Coincidenze?
Da notare che il crollo della fabbricazione di lavorati in metallo comporta una flessione delle nostre esportazioni (che costituiscono ormai la voce più importante del nostro PIL), con un abbassamento delle vendite di macchinari e apparecchi in Cina, Francia e Germania (a tutto vantaggio di quest’ultima). La diminuzione tendenziale di tali esportazioni comporta un punto in meno del PIL.
Prodotto Interno Lordo che in alternativa si è pensato di incrementare con una serie di proposte demenziali, tipiche dei nostri ‘economisti’ da salotto, che nulla hanno capito della crisi ma hanno le idee chiarissime su chi debba pagarne le conseguenze: più ore lavorate a parità di salario, riduzione della pausa pranzo; eliminazione delle pause da 10 minuti in catena di montaggio dopo 4 ore di lavoro; cancellazione delle feste nazionali, ma solo quelle laiche! Si elimina la celebrazione di fondazione della Repubblica, la Festa dei Lavoratori (che di questi tempi hanno poco da gioire)… In compenso si festeggia la Befana, per non dispiacere il Vaticano.
Altri bagliori nel buio hanno illuminato in tempi recenti l’operato dei professoroni di finanza e governo [QUI].
Sulla famigerata controriforma del lavoro, fatta per rispondere ad una percezione dei mercati piuttosto che ad una serie di problematiche e distorsioni oggettive, che spaccia per nuove alcune normative e tutele già esistenti, ma cancella tutte le altre senza minimamente incidere sulla precarietà lavorativa, abbiamo già parlato diffusamente QUI e anche QUI.
Tuttavia, la parola d’ordine è sempre la stessa: “Monti ha salvato l’Italia”.
C’è da chiedersi chi salverà gli italiani…

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Mercati senza volto

Posted in Business is Business, Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 23 luglio 2012 by Sendivogius

Dinanzi al susseguirsi di “Venerdì neri”, di “borse” al massimo ribasso, mentre gli spread si impennano incontrollati oltre i 500 punti, le tecnostrutture europee perseguono imperterrite nella cura letale, piuttosto che prendere atto della nefasta inefficacia delle politiche ultra-monetariste all’origine dell’attuale crisi economica e con le quali invece ci si ostina a risolvere un problema di cui sono la causa costante.
Se la farsa non preannunciasse un’imminente tragedia, sarebbe quasi divertente riepilogare gli ossimori coi quali, alla stregua di un velo pietoso, gli ostensori del Governo Monti cercano di coprire un fallimento annunciato, dopo fiumi di editoriali incensatori e nonostante le strombazzate “riforme epocali” in contiguità col lessico berlusconiano.
Il caso più emblematico rimane comunque quello di Eugenio Scalfari: il Machiavello liberal, che da almeno 30 anni sbaglia nella scelta del “Principe” da consigliare, mentre si agita in una ampolla di vetro sempre più angusta. Nella sua consueta omelia domenicale, l’anziano fondatore de La Repubblica si esercita nella difficile arrampicata sugli specchi, sostenendo ciò che fino a qualche settimana prima aveva negato recisamente: scioglimento anticipato delle Camere, col famigerato ricorso alle elezioni in autunno.
E piuttosto che rimettere in discussione le proprie certezze assolute (che ormai trascendono la realtà entrando nell’universo della metafisica), raggiunge vette parossistiche nella mistificazione del problema:

Naturalmente non sarebbe certo uno scioglimento determinato dal cattivo esito della politica di Monti. Al contrario: proverrebbe da una valutazione positiva dell’operato del governo e dai suoi dieci mesi di attività. Di qui la necessità di proseguire quella politica non più affidandola ad un governo tecnico ma con la diretta partecipazione di esponenti politici, come del resto Monti avrebbe voluto che avvenisse anche nel governo attuale.

  Eugenio Scalfari
  (22/07/2012)

Più che altro, il povero Scalfari suscita ormai tenerezza, ridotto com’è all’ombra di sé stesso e del grande giornalista che fu un tempo.
Nei fatti, la “valutazione positiva” è una recessione di lungo corso, col crollo verticale di tutti i parametri di crescita; una disoccupazione reale di gran lunga superiore al 10% (con punte del 35% per quanto riguarda gli under-40); il tracollo della produzione industriale ed il collasso dei redditi, con una contrazione dei consumi ed una progressiva retrocessione ai livelli di vita da anteguerra; un tessuto sociale sfilacciato e dissanguato, ma prossimo all’esplosione…
Sull’efficacia della politica estera del premier Monti e sulla sua capacità di influire in ambito europeo, è meglio lasciar perdere…!
È evidente che il “governo tecnico”, nella sua inefficacia strutturale, non è capace di convincere gli investitori esteri (nonostante i viaggetti promozionali del premier) e tanto meno è in grado di offrire un valido argine contro una speculazione senza freni, nel macroscopico vuoto di regole condivise. E sarebbe assurdo pretendere che un elite tecnocratica di banchieri, e uomini cresciuti nel grembo del potere finanziario, possa agire in tal senso.

È altresì evidente che, nonostante l’affastellarsi delle manovre di bilancio e di emergenza, non si assiste alla tanto invocata virata virtuosa, né al cambio di percezione dei “mercati” che sul fronte italiano, dopo aver sfondato le difese di Grecia e Spagna, sperano di riuscire ad aprire la breccia che farà crollare la fortezza euro, con la Germania trincerata nel bastione delle Bundesbank che spera di superare l’assedio mandando al macello l’Europa meridionale, traendo però il massimo beneficio per sé.
E sarà bene precisare che nessun Paese, per quanto possa essere ‘ricco’, può pensare di uscire da una asfissiante spirale recessiva con manovre che si susseguono oramai a ritmo mensile, per un importo complessivo che si aggira attorno ai 60 miliardi di euro all’anno, ai quali vanno aggiunti i circa 80 miliardi di interessi da pagare sul debito (che cresce unicamente a causa degli spread), con l’unico effetto di drenare la ricchezza privata, prosciugare i risparmi familiari, distruggere lo Stato sociale e paralizzare l’economia reale, strettamente interconnessa col mondo delle commesse pubbliche.
Le si chiami pure manovre correttive.. aggiuntive.. straordinarie.. l’impatto non cambia.
L’ultima tranche di questa macelleria sociale che sembra non conoscere fine né decenza, è la “revisione di spesa”, per indicare la quale si preferisce il suo omologo inglese: spending review… Così il giornalino degli squali di Wall Street capisce meglio! A quanto pare, le leggi scritte sulla carne viva degli italiani vanno formulate secondo le prospettive degli speculatori e non in funzione della cittadinanza che quei provvedimenti li subisce e li paga, senza meritare risposte né rassicurazioni.

Pertanto, la spending review del direttorio tecnocratico, con i suoi 9 miliardi di tagli tutti a carico di Comuni ed enti locali, rischia di paralizzare nei fatti l’attività dei servizi di base, che in tal modo saranno pronti per essere dismessi, smantellati e privatizzati, secondo l’ideologia dominante e pervadente del neo-liberismo d’assalto, che fa delle crisi economiche il proprio trionfo nel ribaltamento del suo fallimento. Si chiama razionalizzazione dei servizi: un termine molto in voga, che nel mondo del Lavoro ha sostituito la parola licenziamento. Nelle imprese infatti non si licenzia più, si razionalizza, in conformità col nuovo gergo fatto di esodati ed esodandi, intermittenti e somministrati, nella ricerca di un neologismo tecnocratico sempre attento a non nominare mai la ‘persona’, negando pervicacemente la dimensione umana del problema.
Naturalmente, visto il successo della prima revisione di spesa, si parla già di una seconda spending review per altri 10 miliardi di tagli ulteriori.
 Tagli che NON riguarderanno gli indecenti emolumenti dei manager pubblici, per i quali basterebbe ripristinare la norma sul tetto degli stipendi (prontamente abolita del Governo Berlusconi)… Tanto per dire, mentre si comprimono salari inferiori ai 2.000 euro al mese (naturalmente per esigenze di risparmio), all’insegna della ritrovata sobrietà montiana, il nuovo direttore generale della RAI, Luigi Gubitosi, dovrà accontentarsi di appena 650.000 euro all’anno. E, come ci insegna l’accoppiata Monti-Fornero, siccome il posto fisso è noioso e il lavoro non è un diritto, per Gubitosi è già pronto il contratto a tempo indeterminato. Tempi magri anche per il presidente Anna Maria Tarantola, che dovrà farsi bastare la miseria di soli 430.000 euro all’anno. Rispettivamente, l’uno proviene da Bank of America e l’altra dalla Banca d’Italia. Pare che il Professore della Goldman non frequenti e conosca altro che banchieri. Come ebbe a dire una volta Carlo Freccero: “sembra che Monti abbia una banca al posto del cervello”.
È superfluo dire che non verranno riviste le aliquote per gli evasori che hanno aderito allo scudo fiscale, pagando un irrisorio 5% sui soldi evasi. La motivazione montiana è stata che il governo non poteva mica venire meno al patto sottoscritto coi suoi cittadini (i LADRI): ne sarebbe valsa la credibilità del sistema. Oh parbleu!
Il patto invece è stato considerato revisionabile (e violabile), nel caso degli oltre 300.000 lavoratori che avevano sottoscritto i piani di uscita con le aziende e con la Pubblica Amministrazione, in virtù della razionalizzazione del personale. E che ora si ritrovano senza lavoro e senza stipendio, per aver creduto nella parola dello Stato e nel rispetto degli accordi contrattati. Non per niente, dinanzi ad una giubilante platea di banchieri, Mario Monti ha avuto modo di spiegare come “la concertazione sia tra le cause dei nostri mali” e all’origine dell’attuale crisi finanziaria.
Naturalmente, a tutt’oggi, non è stato sottoscritto il Piano Rubik: la convenzione fiscale con la Svizzera, che permette di recuperare le tasse evase dagli italiani, con depositi bancari in territorio elvetico. Il governo italiano tergiversa perché considera il piano dannoso e controproducente. Infatti è molto meglio chiudere gli ospedali e ritornare alla carica con la privatizzazione dell’acqua nonostante gli esiti referendari. Ai ‘mercati’ piace di più.
Tanto per dire, la convenzione ha fruttato alla Germania (che l’ha ratificata) qualcosina come 4 miliardi di euro, praticamente piovuti dal cielo. Evidentemente, i tedeschi non hanno avuto di queste preoccupazioni.

E non verranno riviste le spese militari per l’acquisto dei costosi giocattolini voluti da Giampaolo Di Paola, ammiraglio e ministro, per armare la sua nuova portaerei Cavour (costata 1,5 miliardi di euro). Oltre agli ormai famosi F-35 (l’aereo più costoso ed inutile della storia), ci sono i circa 4 miliardi previsti per l’acquisto dei nuovi elicotteri NH-90 per la Marina. Poi ci sono altri 5 miliardi per la realizzazione delle fregate FREMM, specializzate in bombardamento costiero e fuoco di copertura, in appoggio alle operazioni di sbarco. Si tratta di navi che, per uno strano caso, a noi sono costate molto di più dei francesi.
E non mancano gli 1,3 miliardi di euro per l’acquisto di droni aerei senza pilota. A questi vanno aggiunti i costi ordinari per le missioni estere (1,4 miliardi), tra le quali bisognerà includere la decennale presenza in quella terra di libertà e democrazia chiamata Afghanistan, per splendidi risultati evidenti a chiunque. Infine, esiste un preventivo di spesa attorno ai 12 miliardi di euro (per difetto), inerente il programma di digitalizzazione per la creazione del Soldato del Futuro.

Dopo qualche sforbiciata, nonostante le esigenze di bilancio, i programmi non sono stati ridimensionati più di tanto, per non scontentare le lobby che gravitano attorno alla Difesa.
È più utile chiudere le scuole e raggruppare 30 alunni per classe.
Quando non parlano di gay, di primarie, di alleanze elettorali, ogni tanto giunge qualche colpetto di tosse pure dai banchi del PD: il partito “serio e responsabile” per antonomasia:

Non accettiamo tagli al sociale, che per noi significa sanità, scuola, servizi sociali di base dei Comuni.”

Pierluigi Bersani
 (05/07/2012)

Perché, sennò che fai?!?
Monumento all’Inutile, che fluttua smarrito nel vuoto pneumatico del partito bestemmia, Bersani non si rende evidentemente conto di ciò che supinamente sottoscrive e vota.

  “AMORE CRIMINALE”
   di Alessandra Daniele

«La strategia del PD non è né incerta, né ambigua, è d’una semplicità elementare, ed è perseguita con determinazione granitica: ”l’Italia è in maggioranza di destra, quindi per avere la maggioranza bisogna essere di destra”.
Non c’è da stupirsi che per i dirigenti PD i diritti civili siano sempre subordinati ai capricci del Vaticano, proprio come i diritti dei lavoratori sono sempre subordinati ai profitti delle banche. La marcia verso destra del PD è cominciata quando si chiamava ancora PCI, e ogni anno segna una nuova tappa in quella direzione: con questo ritmo, entro la legislatura sorpasserà a destra Casini, ed entro il decennio doppierà Pinochet.
Eppure, nonostante questo fa-shift, questa progressiva deriva fascista del PD, milioni di elettori di sinistra continuano a votarlo, a considerarlo un’opzione legittima, anzi, a volte l’unica opzione praticabile. A guardarli si prova lo stesso misto di rabbia e compassione provocato dalle truci docufiction di Amore Criminale su certe mogli convinte che l’uomo che le pesta, le tradisce, e le deruba sia innamorato di loro, e sia recuperabile. Finché lui le massacra e le butta in un fosso, magari dando la colpa agli ”stranieri”, oppure, se colto sul fatto, alle ”voci nella testa”.
Per il corrente massacro del Welfare e dello Statuto dei Lavoratori, gli stranieri espiatori sono stati prima i greci, poi i tedeschi, ora gli spagnoli, mentre le ”voci nella testa” restano sempre quelle della BCE.
Da quasi vent’anni la classe dirigente dell’attuale PD rastrella voti spacciandosi come l’unico possibile argine al berlusconismo, contribuendo a produrre quasi vent’anni di berlusconismo, durante i quali tutte le sinistre sono state accuratamente spazzate via dal Parlamento fino all’ultima briciola, e tutte le destre sono cresciute e si sono moltiplicate come scarafaggi.
Le uniche due parentesi governative gestite dalla classe dirigente dell’attuale PD sono state caratterizzate da alcune delle iniziative più di destra del ventennio, come l’approvazione del pacchetto Treu, che ha dato il via alla precarizzazione del lavoro, e i bombardamenti di Belgrado, con le conseguenti stragi di civili. Mentre gli interessi politico-economici di Berlusconi venivano protetti e favoriti.
Tutte le politiche più di destra del ventennio attuate dai governi Berlusconi hanno sempre avuto l’approvazione della classe dirigente dell’attuale PD, privatizzazioni, precarizzazioni, lottizzazioni, criminalizzazioni del dissenso, spedizioni coloniali, e stangate finanziarie. Tutte le iniziative e le manifestazioni in netta difesa dei lavoratori e dei diritti civili hanno ricevuto dal PD reazioni ostili, dalla diffidenza allo scherno, fino alla condanna, e alla denuncia.
Ancora oggi, nonostante il catastrofico fallimento delle politiche socio-economiche di destra, chiunque si azzardi a proporre al PD iniziative di sinistra viene trattato da illuso, rompicoglioni, sabotatore, e terrorista.
Che in Italia ci sia ancora qualcuno deciso a votare Berlusconi non mi stupisce: so che gli stronzi esistono. Le persone di sinistra ancora disposte a votare PD invece mi fanno schizzare gli occhi dalle orbite come in un cartone animato di Tex Avery. Mi domando quale altra porcata dovranno ancora fare i dirigenti del PD, mentre vanno a caccia dei voti di Casa Pound, per perdere i loro

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Finanza Creativa (V)

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 7 luglio 2012 by Sendivogius

Neanche una settimana!
Tanto è durata l’euforia dei cosiddetti ‘mercati’, dinanzi all’effimera “svolta epocale” del già dimenticato vertice di Bruxelles (29/06/12)… quello che doveva rivoluzionare la stessa architettura politica della UE e spuntare gli artigli della speculazione con un grande piano di rilancio economico. Ovvero, l’eurosummit che avrebbe dovuto sancire la difesa della moneta unica; realizzare un cordone sanitario volto al contenimento degli interessi sui titoli di Stato; mettere in sicurezza il sistema bancario, onde evitare che la crisi del credito iberico inneschi un devastante effetto a catena su scala continentale.
Infatti, coerentemente con quanto avevamo già scritto QUI, il valore dell’euro è ai suoi minimi storici (1,24 sul dollaro), mentre il differenziale tra i BTP italiani e Bund tedeschi è schizzato a quota 470, con un onere del debito da pagare per interessi superiore al 6%. Il risultato peggiore di sempre, alla faccia delle strombazzate controriforme del Governo Monti.
Eppoi c’è il bel venerdì nero, con tutte le Borse in picchiata libera.
I rendimenti decennali dei titoli spagnoli sono invece schizzati al 7%, con l’aggravante che le banche iberiche non potranno beneficiare del fantomatico piano di salvataggio e di ricapitalizzazione previsto dal nuovo fondo salva-stati (ESM), che non sarà operativo prima della metà del 2013 o altra data da rinviarsi. In assenza dei necessari organismi di vigilanza, nulla di fatto anche per lo scudo anti-spread: il grande trionfo di Montinator (e delle sue intelligenze aliene), destinato a rimanere nel limbo dei trofei di latta (ma ben lucidati) dei quali il professorone ama fregiarsi.

«Mario Monti è stato il protagonista numero uno […] quello che è riuscito a impedire un finale generico e senza risultati come molti prevedevano sarebbe avvenuto, è stato Monti. È andata esattamente così. Il nostro premier ha portato a casa quanto aveva promesso, non soltanto per far fronte alle necessità impellenti del nostro Paese ma anche per rafforzare l’Europa modificandone il quadro generale e le prospettive di fondo.»

  Eugenio Scalfari
  (01/07/2012)

Poi, si sa, mentre nonno Eugenio continua a sognare il suo Principe in nutrita compagnia, la notte porta (cattivo) consiglio…

L’inconfondibile Angela Merkel si è rimangiata tutte le promesse, rinnegando gli impegni presi neanche 48h prima. Si tratta di una costante tedesca, secondo la più classica “Teoria dei Giochi”. Quindi, fedele ad un copione ormai collaudato, ha scatenato le sue Schutztruppe di complemento (Olanda e Finlandia), senza esporsi direttamente ma boicottando nella sostanza l’accordo brussellese.
Al contempo, il prof. Monti ha trascorso metà della settimana a rassicurare Angelona, che mai avrebbe richiesto l’applicazione dei provvedimenti anti-spread, quasi a scusarsi dei risultati ottenuti al vertice. O, più probabilmente, per non rendere palese l’aleatorietà delle decisioni (non) prese.
Nel frattempo, a complicare ulteriormente le cose, si è ‘scoperto’ pure che le banche di Sua Maestà britannica taroccavano allegramente i tassi del Libor, aprendo un nuovo fronte nella crisi del Credito… E tutto il fragile castello di carte è venuto giù alla prima raffica di vento, travolto dall’ennesima onda lunga della recessione USA, a dimostrazione di quanto fragile sia l’intera costruzione, e inutile il vertice con le sue intese scritte nella sabbia, nella medesima inconcludenza decisionale che accomuna le due sponde dell’Atlantico.
Intanto, per non parlare dell’esercito dei sottoccupati, in Italia, la disoccupazione giovanile ha toccato vette del 36%. La Recessione (ormai prossima ad evolversi in Depressione), dopo l’eurozona, ha ormai raggiunto la Gran Bretagna e la sua sterlina; blocca le aspirazioni della ripresa USA e le ambizioni alla rielezione di Obama (vai a casa pure te, bello!); investe in pieno i Brics: i nuovi giganti (d’argilla) dell’economia globale…

Coerentemente, Banca Centrale Europea (BCE), Federal Reserve statunitense (FED), insieme alle banche centrali britannica e cinese, si sono messe a tagliare i tassi di interessi a tutto spiano nell’illusione di rianimare i propri sistemi creditizi in funzione anti-recessiva, senza ottenere alcun sollievo tangibile. In compenso, rischiano di innescare gli effetti irreversibili (e devastanti) di un’enorme Trappola della Liquidità su scala globale.
Sul ‘fronte interno’ invece, la Guerra del Credito va persino peggio… In pratica il debito privato delle banche (non solo spagnole), sovresposte e a rischio insolvenza, viene appoggiato al Tesoro nazionale e rifinanziato dall’erogazione del FMI e BCE, che però accolla il debito alle casse pubbliche dello Stato e non agli istituti che beneficiano del prestito. Lo Stato poi rigira i fondi agli istituti bancari, con interessi minimi, facendosi garante del debito e iscrivendo il medesimo nei propri registri di bilancio. In tal modo, si incide sui livelli (fittizi) di indebitamento pubblico e si determina l’aumento dei tassi di interessi sui nuovi titoli emessi per rifinanziare il “debito sovrano” (in realtà il debito bancario garantito dal Pubblico). Finora, non si sono viste né l’apertura di nuove linee di credito, né la concessione di prestiti d’impresa (e tanto meno una dilazione dei pagamenti per i debitori in difficoltà), né la concessione di mutui o condizioni meno onerose per i clienti. Gli istituti di credito si limitano, come contropartita per l’aiuto ricevuto, ad acquistare i titoli del debito pubblico lucrando sugli spread e speculando sul rialzo dei rendimenti.
È un circolo vizioso che, una volta innestato, è in grado di portare al tracollo qualsiasi economia, anche nel Paese più virtuoso (e non parliamo certo dell’Italia!)… Perché un valido governo può anche avere una buona gestione di spesa, garantendo servizi pubblici efficienti, ma in totale assenza di regole non può controllare il sistema bancario con i suoi flussi di denaro internazionali, né intervenire per impedire le operazioni di credito più spregiudicate, salvo poi far fronte alle eventuali perdite con i soldi dei cittadini. Un debito collaterale (per svariati miliardi di euro!), indotto per salvare le banche, e in nome del quale si spazzano via 50 anni di conquiste sociali, improvvisamente diventate “troppo onerose”…
Ancora una volta, privatizzazione degli utili e socializzazione delle perdite. Solitamente, non manca mai in tali frangenti l’utile idiota matricolato che straparla di “meritocrazia”, rotea il ditino ammonitore al cielo dicendoci che “abbiamo vissuto sopra le nostre possibilità” e predica “l’austerità”, mentre i CEO della finanza assistita si spartiscono i finanziamenti pubblici e si aumentano il bonus di fine anno, a dispetto di prestazioni miserrime.
Tanto per dire, la Barclays bank di Londra, specializzata in operazioni su derivati, è stata appena alleggerita di 450 milioni di dollari di multa per aver manipolato i tassi che regolano le transazioni interbancarie sui mercati internazionali (sterlina-dollaro), condizionando indirettamente le oscillazioni di 360 trilioni di dollari in obbligazioni, con l’immissione di dati falsi. Ciò non ha impedito a Bob Diamond, dimissionario chief executive officer della Barclays, cacciato a furor di popolo, di portarsi a casa nel 2011 oltre 20 milioni di dollari di stipendio (con un incremento dell’11%) a fronte di perdite in borsa (per la banca) del 21,6% nell’anno 2011. A queste si aggiunge l’attuale 32,7% di perdite di valore, dopo l’esplosione dello scandalo.
E non meglio se la passa la JPMorgan che, grazie al suo trader più spregiudicato, l’anglo-francese Bruno Iksil, soprannominato “Lo Squalo” ma meglio conosciuto nella City londinese come “Voldemort”, è riuscita a cumulare un passivo di 9 miliardi di euro facendo incetta di CDS e scommettendo compulsivamente sul default di Spagna e Italia e Grecia.
È bene sapere per pagare chi stiamo facendo i famosi “sacrifici” e perché le nostre tutele sociali vengono smantellate.

Poi, certo, una trattazione a parte meriterebbero i raiders della turbo-finanza… gli Oscuri Signori degli hedge funds, specialisti in “derivati” e prodotti finanziari… Ovvero, i famosi “speculatori senza volto” dei quali, a volerli cercare (e a riprova di un’idiozia diffusa come l’ignoranza), si conosce praticamente tutto:
Carl Icahn, signore e padrone della omonima Icahn Associates con un pacchetto da guerra di quasi 10 miliardi di dollari a disposizione per speculazioni selvagge, lo scorso anno ha guadagnato qualcosa come 2,5 miliardi di dollari, giocando coi CDS e scommettendo sul tracollo dell’euro.
James H. Simons, esperto matematico (meglio di Ricucci!) e fondatore della Renaissance Technology: 2,1 miliardi di dollari di ricavi personali.
Poi ci sono i mostri sacri della BRIDGEWATER che, con un portafoglio in assets per 122 miliardi di dollari, dispone di una potenza di fuoco praticamente illimitata.

«E non muoiono di fame neanche Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Pure Apha (1,9 miliardi l’incasso personale 2011 e 72 miliardi di dollari il patrimonio gestito dalla sua società) e Stephen Schwarzman, il chief executive di Blackstone che si è messo in tasca 1,6 miliardi. Un po’ in sordina nell’anno scorso il mitico John Paulson, l’uomo che guadagnò 3,5 miliardi secchi speculando al ribasso con il suo Advantage Fund sui Cdo costruiti con i subprime all’inizio del 2008 (e 4,9 miliardi nel 2010 “ritagliandosi” profitti stavolta sulla ripresa statunitense), oppure il “filantropo” George Soros, l’uomo che sbancò la Bank of England (e la Banca d’Italia) nel 1992, settima persona più ricca d’America con 36 miliardi di fortuna personale. Soros si è preso una specie di anno sabbatico limitandosi a fare il guru sull’eurozona in pagatissime conferenze in giro per il mondo, senza trascurare naturalmente di sovrintendere alla gestione del suo Quantum Endowment Fund forte di 31,2 miliardi di dollari di asset under management al 31 dicembre 2011. Benvenuti nell’iperuranio degli hedge fund. Se siete scandalizzati per gli stipendi dei banchieri, qui entrate in un’altra dimensione. E’ vero che non ci sono azionisti di minoranza da tutelare, regole Sec o Consob da rispettare, codici morali e parametri etici cui attenersi, ma certo qui saltano tutti gli standard, tutti i paragoni con noi poveri stipendiati, qualunque riferimento al “capitale lavoro” o simile. In questo mondo ingovernabile si annidano gli speculatori che mandano sull’ottovolante i titoli europei: proprio il redivivo Paulson ha gelato tutti annunciando senza falsi pudori che stava giocando al ribasso sui titoli di Stato tedeschi nelle ore del vertice europeo di Bruxelles, giovedì notte, quando è emerso che la Merkel stava facendo qualche concessione. I tentativi di mettere ordine in questo funambolico settore sono sempre stati vani e poco significativi.»

 Eugenio Occorsio
 Affari e Finanza – (02/06/2012)
 Articolo completo QUI.

Sono questi gli scogli contro cui si infrangono i ruttini del fiscal compact e della spending review, con gli statarelli europei in ordine sparso e senza coordinamento, ed i nein della Germania che per il solo fatto di essere stata finora graziata dagli squali della finanza  si illude di condurre i giochi e scampare all’ecatombe, imponendo sacrifici umani al Minotauro della finanza nel labirinto osceno dei “mercati”…

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ORO ALLE BANCHE

Posted in Business is Business with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 17 marzo 2012 by Sendivogius

In una nostra precedente pubblicazione sulla creatività finanziaria [QUI: “La ricetta perfetta”], all’origine dell’attuale crisi economica, ci chiedevamo se lo spauracchio del default greco applicato alla situazione italiana non fosse in realtà un sofisticato diversivo tattico che, partendo da un problema oggettivo, rispondeva in realtà a ben altre esigenze, seguendo un preciso disegno ideologico sotto mentite spoglie “tecniche”…
Soprattutto, ci chiedevamo perché, nonostante la raffica di pesanti manovre correttive, il cosiddetto spread continuasse a viaggiare su livelli pur sempre sostenuti. E constatavamo come una fetta consistente del debito pubblico italiano fosse una diretta conseguenza delle allegre speculazioni sui titoli tossici della finanza derivata; nonché un’eredità degli artifici contabili dell’era Tremonti-Berlusconi (sull’origine storica del Debito, e sui principali responsabili del suo incremento costante, ci eravamo già soffermati QUI).

Dunque avanzavamo l’ipotesi che la diffidenza dei famosi “investitori” fosse dovuta innanzitutto alla mancata liquidazione dei debiti cumulati dall’Italia, tramite una disastrosa serie di operazioni sul mercato dei derivati, con una sovraesposizione nei confronti delle grandi banche d’affari statunitensi, aggravata da un’opacità contabile sull’esatta definizione del debito contratto e del relativo calcolo degli interessi da pagare.
Sottolineavamo come il problema fosse stato sollevato a suo tempo da analisi, pubblicate sul NYT e dall’agenzia Bloomberg, volte a evidenziare le enormi responsabilità delle investment bank nell’esplosione dei “debiti sovrani”. E illustravamo come la presunta opera di risanamento non fosse altro che un operazione di recupero crediti su vasta scala verso i debitori più esposti. Una operazione di rientro gestita da commissari liquidatori di fiducia (i “tecnici”) e premiata ad ogni tranche di pagamento, con un decremento degli spread ed una pagellina positiva rilasciata dagli interessati signori del rating organizzato.
Oggi, leggendo la pagina economica del quotidiano La Repubblica, abbiamo avuto una ennesima riprova di tali supposizioni, a dimostrazione di come il piano di “riforme strutturali” non sia tanto funzionale al Paese, bensì al ripianamento dei crediti dei grandi speculatori internazionali:

DERIVATI, SPECULAZIONE FALLITA
ORA L’ITALIA PAGA 3,4 MILIARDI
Assegno a Morgan Stanley per chiudere i contratti del ‘94

 «L’italia e i derivati. Nel giorno in cui lo spread sfiora quota 275, il minimo da agosto e proprio quando il Tesoro lancia il BTP Italia, il primo indicizzato all’inflazione e sottoscrivibile on line, s’apprende che il Paese ha pagato 3,4 miliardi di dollari a Morgan Stanley per uscire da una scommessa sui tassi d’interesse. Per questo, la banca d’affari ha annunciato di aver tagliato la sua “esposizione netta” verso il Tesoro nazionale dello stesso importo.
L’agenzia Bloomberg, nel dare la notizia, spiega che il Paese, il secondo più indebitato della UE, ha pagato questa somma per svincolarsi da contratti derivati che risalivano agli anni ’90. Motivo: era diventato meno oneroso cancellarli che rinnovarli. In base ai dati raccolti l’Italia, già gravata da un debito-monstre, avrebbe perso sui derivati più di 31 miliardi di dollari agli attuali valori di marcato. La cifra pagata a Morgan Stanley equivale a circa la metà della somma che il governo conta di incassare quest’anno dall’aumento dell’IVA. E, soprattutto, evidenzia i rischi posti dai derivati che i paesi usano per abbassare i costi di indebitamento e ripararsi dall’altalena dei mercati.
Secondo la ricostruzione di Bloomberg, quando i debiti contratti dall’Italia hanno sfondato i mille miliardi di euro a metà anni ’90, il Paese ha iniziato ad utilizzare gli swap sui tassi d’interesse e le cosiddette swaptions (opzioni per entrare in uno swap) per tagliare i costi del servizio del debito. Molti bond all’epoca avevano scadenze a 5 o 10 anni, alcuni pagavano cedole fino al 10%: l’Italia ha usato gli swap per spalmarli su un arco di 30 anni e oltre e ha ridotto i suoi costi per gli interessi, emettendo swap-options. Le entrate incassate dalla vendita dei derivati sono servite per pagare i debiti. Quando i tassi degli swap, che seguono i rendimenti dei bond tedeschi, sono iniziati a crollare dopo il 2008 e la volatilità delle opzione ad aumentare, l’Italia si è trovata a dover pagare alle banche soldi sui derivati.
Silenzio degli interessati sull’intera vicenda. Fonti italiane tuttavia fanno sapere che i contratti con Morgan Stanley sono un accordo-quadro del 1994 dove c’è la clausola rescissoria in favore dell’istituto USA. L’operazione in questione è però unica nel suo genere e l’accordo è stato chiuso proprio perché la banca ha fatto valere questa clausola, su pressione delle autorità americane. A inizio anno, la Morgan Stanley ha comunicato alla SEC, l’organo statunitense di controllo della Borsa, di aver “effettuato alcune ristrutturazioni sui derivati chiuse il 3 gennaio 2012” e di aver ridotto l’esposizione verso l’Italia di 3,4 miliardi di dollari. Nel quarto trimestre l’istituto bancario ha registrato profitti per 600 milioni, anche grazie alla risoluzione dei contratti italiani.
I cinque principali operatori di swap USA sono: oltre alla Morgan Stanley, Goldman Sachs, Bank of America, Citigroup e JpMorgan Chase. Complessivamente hanno una esposizione netta sui derivati con l’Italia di 19,5 miliardi di dollari. Cifra che, sommata agli importi relativi delle banche europee rese note nel corso degli stress test condotti dall’European Banking Authority (EBA), porta l’ammontare a 31 miliardi di dollari. Lo spread italiano ha chiuso a quota 281. Il Btp Italia avrà un tasso minimo garantito del 2,25%»

  La Repubblica – 17/03/2012

 È da notare l’opacità nell’intera gestione dell’operazione finanziaria, attraverso le anomalie contrattuali e la sottoscrizione di clausole capestro, la sottovalutazione dei rischi e la sovraesposizione del Tesoro italiano alle perdite, insieme alla sostanziale segretezza con la quale la catastrofica transazione è stata gestita, salvo condividere ora i costi in perdita con un intera nazione. Infatti, non c’è niente di meglio che accollare il pagamento degli interessi alla massa dei lavoratori salariati da 1.000 euro mensili, che avrebbero generato il debito vivendo ben al di sopra delle proprie possibilità.

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Finanza Creativa (III)

Posted in Business is Business, Masters of Universe with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 19 febbraio 2012 by Sendivogius

LA RICETTA PERFETTA

Prendete l’8^ potenza economica globale, ma con la più indecente classe ‘dirigente’ del mondo occidentale; un elevato (ma non enorme) debito pubblico, speculare ad un altissimo livello di evasione fiscale, insieme ad una corruzione pressoché strutturale. Considerate uno dei Paesi più prosperi del pianeta, ma con un’estesa sperequazione nella distribuzione della ricchezza, un fortissimo immobilismo sociale, all’ombra di un insanabile familismo amorale, e radicate sacche di neo-corporativismo.
Lasciate frollare il tutto per almeno una ventina d’anni, spargendo un po’ di aromi profumati là dove più forte si avverte l’odore della putrefazione. Speziate il resto con ingredienti coloriti, meglio se presi dal folklore locale.
Poi, aggiungete un pugno di economisti cresciuto alla scuola dei supply-siders e convertito alle formule politiche del “riformismo” consociativo. Appesantite il tutto con un indebitamento esponenziale verso le principali banche d’affari, senza tralasciare una crisi recessiva lasciata montare come una maionese impazzita. A questo punto, spruzzate ampie manciate di professori d’economia ed “esperti” (meglio se laureati alla Bocconi), che di quelle banche hanno fatto parte a vario titolo, certificandone strategie speculative ed investimenti finanziari.
Aggiungete ancora una troi(k)a di inflessibili creditori franco-tedeschi, pronti però a sottoscrivere nuove cambiali in cambio dell’acquisto di armamenti. Aggiungete infine gli immancabili sciacalli del Fondo Monetario Internazionale per il prestito a strozzo di ultima istanza: privatizzazioni selvagge, smantellamento delle politiche sociali, contrazione salariale e cancellazione delle tutele sul lavoro, alti tassi di interesse sul credito erogato. Naturalmente, non dimenticate i condimenti classici del liberismo neo-monetarista, all’origine della grande recessione.
Avvolgete il tutto con la rassicurante sfoglia di un “governo tecnico”. Quindi immergete il preparato in una abbondante salsa greca e agitate per bene prima dei tagli.
Avrete lo sformato Grecia applicato all’Italia; ovvero: come parlare ad Atene perché Roma intenda.
Ciò che non funziona in periodi normali, può risultare efficace in frangenti straordinari…
Terrorizzate un intero Paese, sventolategli sotto il naso l’incubo del default, paragonandolo ad una piccola nazione alle propaggini meridionali della penisola balcanica. Prendete un commissario europeo e un nugolo di banchieri interessati al recupero crediti; fate loro scrivere una letterina minatoria all’abominevole governo in carica, con una serie di condizioni non negoziabili, in nome di interessi privati travestiti da “richieste europee”. Scatenate con opportune imbeccate gli speculari finanziari, che di quegli istituti di credito detengono titoli e consultano i ratings di agenzie ad essi collegate. Costringete il suddetto governo alle dimissioni e insediate un nuovo esecutivo “tecnico” con gli stessi autori dell’ultimatum elevato a programma. Avrete il governo del prof. Mario Monti.
Perché poi il famigerato spread (divenuto ormai il termometro dei governi), ovvero il differenziale dei titoli di Stato con i buoni del tesoro tedesco, continui a viaggiare sostenuto, dopo le spaventose impennate dell’ultimo trimestre 2011, e nonostante una raffica di manovre correttive, è un piccolo ‘mistero’ che richiede comode bugie…
In tempo di crisi, quando dinanzi ad un paziente pieno di metastasi il chirurgo non sa bene dove incidere, la soluzione può risiedere nella creazione di diversivi verso i quali stornare l’attenzione.
In Italia, la principale questione che affligge il Governo Monti sembra essere l’estensione della libertà di licenziamento, a totale discrezione dei padroni assistiti delle nuove ferriere.
Si comprende bene che il problema non è la recessione economica.. non il ritorno dell’inflazione.. non l’esplosione del prezzo dei carburanti (e dei beni al consumo), grazie all’aumento delle accise voluto dai professoroni.. non una disoccupazione record.. non l’impressionante impoverimento dei lavoratori dipendenti (che pagano le tasse)… non la scandalosa persistenza di cartelli assicurativi e bancari… non l’intollerabile stretta creditizia ai danni del tessuto produttivo… non gli sprechi insopportabili di una Pubblica Amministrazione sempre più inefficiente…
Infatti, i diritti di chi lavora pare siano diventati la fucina estrema da cui scaturisce ogni male.
Annichilita l’opposizione e tutto il resto del Parlamento, raggrumato nella nuova adunanza dell’ABC (Alfano-Bersani-Casini), allineati i media dell’editoria assistita in unico peana prezzolato, per paradosso, sembra quasi di assistere ad una nuova “lotta di classe”, stavolta attraverso la dichiarazione di guerra unilaterale dei ricchi e potenti, contro la parte più debole e maggioritaria della nazione.
Eppure, a preoccupare quelli che qualcuno ha chiamato “speculatori senza volto” (in realtà notissimi: QUI nella seconda parte del commento), suscitando in particolar modo le ansie della finanza anglosassone, non è tanto il bistrattato Art.18, ma la sovraesposizione creditizia di alcune importanti banche d’affari statunitensi nei confronti di Stati a rischio solvibilità.
Gli istituti di credito in questione sono l’immancabile Goldman Sachs insieme alla JPMorgan Chase. Le due investment bank sono infatti al centro di accorate disamine da parte della stampa statunitense che, al contrario del rivoltante “Wall Street Journal” di Rupert Murdoch, hanno ben chiaro dove risiede il fulcro del problema.
Utilizzando in sostanza lo stesso modello dei mutui subprime che ha portato all’esplosione della bolla speculativa, Goldman e JPMorgan hanno esteso il sistema al debito sovrano degli Stati, erogando crediti per svariati miliardi di dollari a Paesi con un altissimo deficit pubblico e scarsa solvibilità, tramite il massiccio acquisto di prodotti strutturati della finanza derivata.
In pratica, le due banche hanno erogato cospicui crediti, in Grecia, Portogallo, Spagna, Irlanda, e Italia, appioppando loro una massa di obbligazioni a garanzia dei debiti collaterali (CDO). Si tratta di uno strumento finanziario che solitamente racchiude in un unico pacchetto i crediti inesigibili, a carico di debitori individuali considerati insolventi o ad altissimo rischio di mancato pagamento. Sostanzialmente, sono compresi nel gruppo i titoli tossici rimasti nella pancia delle banche dopo la crisi dei sub-prime.
L’apertura di queste speciali linee di credito bancario veniva sottoscritto tramite la stipulazione di swap; nella fattispecie, si tratta di interest-rate-swap e currency-swap: scambio di flussi di cassa e di obbligazioni creditorie, con riporto valutario in euro-dollaro, a garanzia degli interessi sul capitale in prestito.
Il problema insito nel rilascio di questo tipo di crediti è che costituiscono un indebitamento costante per gli Stati, esponenziale nel tempo, che non viene però messo a registro nei bilanci. In pratica, non risultando registrati come nuovi debiti, è impossibile avere una panoramica certa dell’ammontare dell’asse debitorio (e degli interessi da pagare sul nuovo debito contratto), generando incertezza ed apprensione tra gli investitori che, nel dubbio, evitano di sottoscrivere i titoli degli Stati coinvolti nella transazione.
La questione è stata sollevata in tempi recenti da broker trading come “Bloomberg”, con informative dal titolo assai evocativo:

JPMorgan si unisce alla Goldman Sachs per tenere all’oscuro gli investitori sui rischi dei derivati italiani.

  di Christine Harper & Michael J. Moore
  (16/11/2011)

JPMorgan Chase & Co. e Goldman Sachs Group Inc, tra i principali operatori al mondo di prodotti derivati al credito, hanno comunicato agli azionisti di aver venduto garanzie su più di 5 miliardi di dollari a copertura del debito su scala globale.
Ma non chiedete loro come gran parte di queste siano state emesse a copertura dei debiti di Grecia, Italia, Irlanda, Portogallo, e Spagna, conosciuti come PIIGS.
Riguardo alla possibilità che questi Paesi potrebbero non essere in grado di onorare i crediti erogati, gli investitori sono stati tenuti all’oscuro in merito al rischio che le banche statunitensi siano esposte ad un possibile default. Gli istituti come la Goldman Sachs e la JPMorgan non forniscono un quadro completo sulle perdite potenziali ed i profitti di un simile scenario, dando solo cifre nette o escludendo del tutto alcuni derivati.

L’articolo integrale, ed in lingua inglese, lo trovate QUI.

Per tutelarsi dall’eventuale mancato pagamento dei debiti, a loro volta gli istituti coinvolti emettono a garanzia dei loro crediti inevasi i famigerati CDS (credit default swap); in pratica, si vendono ai potenziali investitori dei contratti di assicurazione sull’eventuale fallimento dei debitori (in questo caso gli Stati), ad altissimo rendimento, incrementando di fatto la speculazione sui debiti sovrani e sulle possibilità di bancarotta di un intero paese.
Sul ruolo della Goldman Sachs nella crisi europea e nell’esplosione del caso Grecia, è opportuno riscoprire un lungo reportage, pubblicato sul New York Times il 13/02/2010 [QUI], dove si solleva il sospetto (neppure troppo velato) che l’Italia, come la Grecia, possa aver truccato lo stato delle proprie finanze…
Se vi fidate della traduzione:

WALL STREET AIUTÒ A MASCHERARE IL DEBITO, ALIMENTANDO LA CRISI EUROPEA

  di LOUISE STORY, LANDON THOMAS Jr. & NELSON D. SCHWARTZ

«I guai della Grecia scuotono i mercati mondiali, documenti ed interviste dimostrano che con l’aiuto di Wall Street, il paese ellenico intraprese uno sforzo decennale per aggirare le disposizioni europee sul controllo del debito. Si tratta di un’operazione messa in atto dalla Goldman Sachs, che ha aiutato ad occultare miliardi di debito dal controllo degli ispettori di bilancio di Bruxelles.
Nel momento in cui la crisi si stava avvicinando al suo punto critico, le banche si misero a cercare il modo per aiutare la Grecia ad evitare la resa dei conti. Ai primi di Novembre (tre mesi prima che Atene diventasse l’epicentro delle ansie della finanza globale), in base a quanto riferito da due persone che furono presenti alla riunione, una squadra della Goldman Sachs giunse nell’antica città con una proposta molto moderna per un governo che fatica a far quadrare i bilanci.
I banchieri, guidati dal presidente della Goldman, Gary D. Cohn, tirarono fuori uno strumento di finanziamento che avrebbe spinto lontano nel futuro il ripianamento del debito greco, allo stesso mondo con cui i proprietari insolventi di un’abitazione accendono una seconda ipoteca, pensando di poterla estinguere con le loro carte di credito.
L’opera era già cominciata in precedenza. Nel 2001, subito dopo l’ammissione della Grecia nell’unione monetaria europea, come ci è stato riferito da persone informate sulla transazione, la Goldman aiutò segretamente il governo greco a prendere in prestito svariati miliardi.
L’operazione finanziaria, nascosta all’attenzione pubblica perché gestita come un commercio di valuta piuttosto che come un prestito, aiutò Atene a venire incontro alle regole sul deficit imposte dall’Europa, mentre continuava a spendere oltre le proprie possibilità.
Atene non seguì fino in fondo il piano di rientro della Goldman, ma in seguito allo scricchiolamento della Grecia sotto il peso dei suoi debiti e con i suoi ricchi vicini impegnati a correre in suo aiuto, le operazioni intercorse negli ultimi dieci anni hanno sollevato domande sul ruolo di Wall Street nell’ultimo dramma della finanza mondiale.
Così come è avvenuto per la crisi americana dei subprime e per l’implosione dell’American Internationl Group, i prodotti della finanza derivata hanno giocato un ruolo nell’incremento del debito greco. Gli strumenti finanziari sviluppati dalla Goldman Sachs, JPMorgan Chase e da un nutrito gruppo di altre banche hanno aiutato i politici a mascherare l’ulteriore indebitamento di Grecia, Italia, e probabilmente di qualche altro Paese.
In dozzine di accordi stipulati per tutto il continente, le banche hanno provveduto a fornire finanziamenti anticipati in cambio di pagamenti pubblici per il futuro, senza che le passività venissero messe a registro.
La Grecia, per esempio, ha ceduto i diritti di riscossione delle tasse aeroportuali e gli introiti delle lotterie per gli anni a venire.
I critici sostengono che simili accordi, proprio perché non sono registrati come prestiti, traggono in inganno gli investitori e le autorità di controllo in merito all’entità dei passivi di bilancio degli Stati.
Ad alcuni dei prodotti finanziari ellenici è stato dato il nome dei personaggi della mitologia. Uno di questi, per esempio, è stato chiamato Eolo, il dio dei venti.
La crisi greca costituisce la sfida più significativa alla moneta unica europea, l’euro, e all’obiettivo di una unità economica del continente. Il paese è, nel gergo bancario, troppo grande per fallire. La Grecia deve al mondo 300 miliardi di dollari e molti dei più importanti istituti di credito si trovano sulle spine per quel debito. Un eventuale default avrebbe ripercussioni in tutto il mondo.
Una portavoce del Ministero delle Finanze ellenico ha detto che il governo si è incontrato con diverse banche negli ultimi mesi e non ha sottoscritto alcuna delle loro offerte. L’intero debito finanziario “è stato gestito nella massima trasparenza”, ha riferito. Goldman e JPMorgan hanno evitato di commentare.
Mentre l’opera svolta da Wall Street in Europa ha ricevuto poche attenzioni su questa sponda dell’Atlantico, tale operato è stato criticato aspramente in Grecia e da riviste come Der Spiegel in Germania.
“I politici vogliono calciare la palla in avanti, e se un banchiere può mostrare loro il modo con cui rimandare il problema in futuro, essi ci cadranno”. Così dice Gikas A. Hardouvelis un economista ed ex funzionario governativo che ha aiutato a scrivere il recente rapporto sullo stato delle politiche finanziarie delle Grecia.
Wall Street non ha creato il problema del debito europeo. Ma i banchieri hanno fatto in modo che la Grecia, insieme ad altri paesi, si indebitasse stipulando prestiti oltre la propria portata, tramite una serie di operazioni perfettamente legali. Poche regole stabiliscono come le nazioni possano chiedere soldi in prestito per finanziare le spese militari ed il sistema sanitario. Il mercato dei debiti sovrani (il termine con cui la Borsa definisce i prestiti ai governi) è tanto vasto quanto libero da vincoli.
“Se un governo vuole truccare i conti, può farlo”, dice Gerry Schinasi, un veterano dell’unità di controllo dei mercati finanziari del Fondo Monetario Internazionale.
Le banche hanno sfruttato avidamente quella che per loro era una simbiosi ad altissimo profitto con la libertà di spesa dei governi. Mentre la Grecia non riceveva alcun vantaggio dall’offerta della Goldman Sachs nel Novembre 2009, versava in ogni caso alla banca una parcella di circa 300 milioni di dollari per mettere in ordine i propri saldi contabili del 2001, secondo quanto riferito da alcuni banchieri che hanno avuto a che fare con l’operazione.
Tali derivati, che non vengono apertamente documentati o resi pubblici, aggiungono ulteriore incertezza su quanto siano profondi i guai della Grecia e su quali altri governi possano aver utilizzato simili artifici contabili fuori bilancio.
L’ondata di panico adesso sta travolgendo anche altri paesi in difficoltà economica alla periferia dell’Europa, rendendo molto costoso per Italia, Spagna e Portogallo, contrarre nuovi prestiti.
Nonostante tutti i vantaggi di unire l’Europa con un’unica moneta, la nascita dell’euro sconta un peccato originale: paesi come l’Italia e la Grecia sono entrati nell’unione monetaria con un debito molto più grande di quanto fosse loro consentito dal trattato di adesione alla moneta unica. Tuttavia, piuttosto che aumentare le tasse o ridurre la spesa, questi governi hanno ridotto artificialmente i loro debiti ricorrendo alla finanza derivata.
I prodotti derivati non sono necessariamente negativi. Le transazioni del 2001 hanno visto l’utilizzo di un derivato conosciuto come swap. Uno di questi strumenti, conosciuto come interest-rate swap (scambio del tasso d’interesse), può aiutare imprese e stati a fronteggiare le variazioni del costo del debito, tramite lo scambio di pagamenti a tasso fisso con pagamenti a tasso variabile, o viceversa. Un altro tipo, il currency swap (scambio di titoli in valute differenti), può minimizzare l’impatto dei tassi di cambio per valute estere particolarmente volatili.
Ma con l’aiuto della JPMorgan, l’Italia è stata capace di fare molto di più. Malgrado la persistenza di un alto debito pubblico, nel 1996 i prodotti della finanza derivata hanno aiutato l’Italia a portare il bilancio in linea, tramite uno scambio di valuta con la JPMorgan ad un tasso di cambio favorevole che in effetti ha messo nelle mani del governo un bel po’ di denaro.
In cambio, l’Italia si è impegnata per futuri pagamenti che non sono stati contabilizzati come passività.
“I derivati sono strumenti molto utili”, ha detto Gustavo Piga, un professore di economia che ha stilato un rapporto per il Council on Foreign Relations sullo stato dei conti pubblici italiani. “I derivati diventano un male se usati come una vetrina per far apparire i conti migliori di quanto non siano”.
In Grecia, le magie finanziarie sono andate anche oltre. In quella che ormai assomiglia ad una svendita di oggetti usati su scala nazionale, i funzionari greci hanno in sostanza ipotecato gli aeroporti nazionale e le autostrade nel disperato tentativo di racimolare soldi.
Eolo, un titolo legale creato nel 2001, ha aiutato i greci a ridurre il debito di bilancio sui saldi dell’anno corrente
Come parte dell’operazione finanziaria, i greci hanno ottenuto contanti, impegnando come garanzia gli introiti futuri delle tasse aeroportuali.
Nel 2000, un’operazione simile chiamata Arianna, ha divorato le entrate che il governo ellenico aveva raccolto attraverso la lotteria nazionale. Tuttavia, i greci classificano queste transazioni come vendite e non come prestiti [con relativi interessi da pagare in futuro, N.d.T.], nonostante i dubbi di molti critici. Questo genere di operazioni commerciali hanno suscitato parecchie controversie all’interno dello stesso governo per anni. Già nel 2000, i ministri delle finanze di vari paesi europei hanno dibattuto ferocemente se gli strumenti derivati, utilizzati nella finanza creativa, debbano essere registrati in bilancio oppure no.
La risposta è stata NO. Ma nel 2002 è stata richiesta una verifica contabile su molti prodotti come Eolo e Arianna, che non appaiano nei bilanci nazionali, costringendo i governi a registrare tali operazioni come prestiti piuttosto che come vendite.
In tempi più recente, nel 2008, l’Eurostat, l’agenzia statistica europea, ha riportato che “in diversi casi, le operazioni di cartolarizzazione prese in esame sembrano essere state gestite in modo tale da garantire un gettito immediato, senza tenere conto del valore economico dell’operazione”.
Simili artifici contabili possono portare benefici nel breve periodo, ma sul lungo periodo possono comportare effetti disastrosi.
George Alogoskoufis, che è diventato ministro delle finanze dopo il patto con la Goldman, ha criticato l’accordo in Parlamento nel 2005. L’operazione, ha argomentato Alogoskoufis, avrebbe gravato il governo greco con pesanti pagamenti da versare alla Goldman fino al 2019…»

È interessante notare che, nel periodo interessato, a gestire la divisione europea per la Goldman Sachs era l’allora vicepresidente Mario Draghi e attuale governatore della BCE. È un’altro di quei salvator patriae giunti a portarci fuori dal guado di una crisi da loro stessi innescata!

Sull’argomento potere anche leggere:

Finanza Creativa (I) – Canis edit canem
Finanza Creativa (II) – Lo schema di Ponzi

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Grazie Silvio!

Posted in Business is Business, Muro del Pianto with tags , , , , , , , , , on 9 novembre 2011 by Sendivogius

Domani, giovedì 10 novembre, ci sarà l’asta pubblica dei BTP… Ora, sorvoliamo sul fatto che per una strana progressione statistica, la peggiore giornata dei rendimenti di borsa, con le massime perdite al ribasso è proprio il giovedì, salvo poi recuperare a chiusura settimanale il venerdì… Ci sarebbe da interrogarsi sull’opportunità di andare alla vendita dei titoli di Stato con simili presupposti…
Sulla Cambogia che attende l’asta dei titoli pubblici italiani nella giornata di giovedì abbiamo già avuto un abbondante anticipo nella devastante debacle finanziaria del 09/11/11, durante la quale il differenziale con i titoli di stato tedeschi ha sfondato la soglia di guardia, raggiungendo il micidiale 7,42% di spread sui titoli decennali. Tecnicamente, siamo in default formale.
Come le peggiori previsioni lasciano intendere, il giovedì nero della Borsa italiana potrebbe veder salire lo spread fino alla micidiale quota dell’8% e forse addirittura superarlo. In tal caso il default italiano diverrebbe sostanziale, con tutto quello che ne deriverebbe…
È l’ultimo regalo avvelenato del papi nazionale; il prezzo da pagare per le sue mancate dimissioni. In compenso si dichiara “disponibile” all’atto, nella fumosa aleatorietà delle intenzioni da parte di un mentitore compulsivo.
È  lo scotto subito per aver mantenuto al suo posto un personaggio impresentabile, privo di qualsiasi credibilità internazionale e senza più una maggioranza, al quale un Presidente della Repubblica ottuagenario, invece di pretendere le dimissioni immediate, ha voluto concedere ulteriore tempo e prolungare la permanenza al potere. Peggio! Gli ha affidato la stesura di una legge finanziaria (ora, per volere di Tremonti, si chiama di stabilità), ancora tutta da definire nei tempi e nei contenuti, in un parlamento screditato di gorgoglioni interessati unicamente alla ricandidatura o alla maturazione dei tempi legali per ottenere il vitalizio.
Un maxi-emendamento da votare a scatola chiusa e che vincolerà le scelte economiche dei prossimi anni.
È la follia di affidare la cura a colui che per anni ha negato l’esistenza della malattia, diventando con la propria incompetenza la causa principale della virulenza del morbo. È l’ectoplasmaticità di un sistema istituzionale che ha perso i suoi anti-corpi, con un Presidente che si atteggia a “garante della Costituzione” e si trincera dietro i vuoti formalismi di facciata, ma si guarda bene dall’assumere una ferma presa di posizione, incapace di una scelta precisa neppure dinanzi all’irreversibilità degli eventi, salvo gorgogliare vuoti appelli ciceroniani alla concordia ordinum e tossire qualche “malumore” senza alcuna conseguenza, esternando “preoccupazione” poco o nulla facendo.
È l’assenza di coraggio di opposizioni pletoriche che, invece di presentare un’immediata “mozione di sfiducia”, esitano.. tergiversano.. per non mettere in imbarazzo l’Uomo del Colle chiuso nella sua teca di vetro… per sondare le solite, eterne, inconcludenti “convergenze al centro”.
È davvero emblematico che il Grande Bugiardo, in piena crisi di governo e dopo averci portato sull’orlo della bancarotta, renda subito evidenti le priorità che più lo preoccupano, tanto per non smentirsi, organizzando un vertice con il suo avvocato di fiducia (Ghedini) e l’amministratore delegato delle sue proprietà (Confalonieri).
È l’indecenza di un nano che ha fottuto un’intera nazione (più che compiacente), e che adesso rischia di trascinare nel tracollo  non solo l’Italia ma l’intera Europa con ripercussioni persino Oltreoceano, nella pusillanimità di chi avrebbe dovuto fermarlo per tempo. Adesso all’estero non ridono più.

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