Archivio per Soldati

IL MINISTRO DELLA GUERRA

Posted in Risiko! with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 17 settembre 2009 by Sendivogius

 “In Afghanistan bisogna restare per mantenere alto l’onore dell’Italia
 (Franco Frattini; Ministro degli Esteri – 17 Sett. 09)

Soldatini Veramente, ci avevano detto (ed alcuni ci credevano pure!) che la permanenza del contingente italiano in Afghanistan fosse una ‘operazione di polizia internazionale’ volta all’instaurazione della democraziain nome della libertàper la difesa della paceper il ripristino del diritto… ed altre fioritefantasie lessicaliche infarciscono le banalità propagandistiche in ogni campagna bellica.
Inoltre, la missione militare in terra afgana avrebbe dovuto pacificare l’intera regione; stabilizzare la turbolenta area, compresa tra i monti dell’Hindokush ed i deserti del Belucistan; piantare i semi di una solida democrazia e
liberare le donne dalla schiavitù del burqa…
Infatti, gli osservatori europei contestano qualcosa come due milioni di schede contraffatte alle ultime elezioni, che hanno visto la riconferma del presidente uscente Ahmid Karzai. A proposito di diritti e dignità femminile, proprio il presidente Karzai è il firmatario di una legge che, oltre al divieto di circolazione per le donne sposate, stabilisce lo stupro coniugale e, di fatto, la pedofilia col matrimonio di bambine con meno di 12 anni.
[Potrete avere un piccolo ragguaglio leggendo qui]
E per questi eccezionali risultati spendiamo milioni di euro ogni mese, mandando a crepare i nostri soldati!
Delle migliaia di danni collaterali tra la popolazione civile, notoriamente, non frega un cazzo a nessuno.
1880 - 66th soldier in southern AfghanistanAdesso sappiamo che la presenza militare dell’Italia in terra afghana è soprattutto una questione di prestigio nazionale e di ‘onore’… secondo un lessico ideologico di stampo ottocentesco e proto-fascista, che ben si addice alle moderne guerre coloniali dei nuovi imperi e del loro contorno di truppe ausiliarie.
Infatti, dopo ben 7 anni di guerra non-dichiarata, l’Afghanistan è frazionato in satrapie semi-indipendenti, dove i vari Signori della Guerra confluiti nella traballante ‘alleanza anti-taliban’ esercitano un potere feudale, ripartito su base clanica, e puntellato dai contingenti militari stranieri.
Il controllo del governo legittimo-laico-democratico non va oltre il centro di Kabul. Sulla sua stessa sopravvivenza ben pochi scommetterebbero, qualora venisse meno il supporto armato delle forze NATO.
Il tempo del conflitto viene dilatato in una spirale che si avvita su sé stessa in un moto perpetuo dai tempi indefiniti, senza una reale prospettiva di soluzione né evoluzione, nell’immanenza di un tempo presente cristallizzato nella minaccia perenne.

Il tempo di guerra è il periodo che la gente trascorre sotto i bombardamenti. Molti popoli oggi conoscono il tempo di guerra, direttamente, come i nostri nonni e genitori hanno conosciuto quello delle guerre mondiali.
 Il tempo della guerra non è la contingenza del conflitto armato ma è il periodo in cui tutto ruota intorno all’idea della guerra, ai suoi riti, alle sue minacce. Questa idea pervade oggi ogni politica e ogni attività internazionale. Sembra che non ci sia più altra soluzione che la guerra, altra chance che la guerra. Per farla le è stato perfino cambiato il nome. Gli stessi sforzi per la pace ruotano attorno all’idea di evitare la guerra e nel frattempo essa è tenuta allo stato di immanenza, con la paura. Il tempo della guerra significa che essa è sovrana e sovrasta ogni attività umana. Mentre il tempo di guerra è razionale perché rappresenta un punto eccezionale di esplosione della violenza, il tempo della guerra, come forma mentale, è una tendenza di lungo periodo e quindi irrazionale perché contrasta con le aspirazioni più utili all’uomo: la pace e la cooperazione fra i popoli. Paradossalmente, si può avere il tempo di guerra mentre si cercano la pace e il rispetto dei diritti, ma il tempo della guerra porta soltanto a percepire i diritti come giustificazione per la guerra.”

Sono le riflessioni del Gen. Fabio Mini, riprese da un’intervista di Anna Luisa Santinelli (14 Luglio 2009). Per intenderci, tra i suoi moltissimi incarichi, il generale Mini è stato addetto militare in Cina; osservatore militare in USA; Capo di Stato Maggiore del comando interforze NATO per il Sud-Europa; Comandante NATO in Kosovo; e grande esperto in studi strategici.

Winston Churchill asseriva che la guerra fosse una cosa troppo seria per lasciarla ai generali. Evidentemente non aveva mai conosciuto i politici italiani…

Liberthalia - LA RUSSA dux

Da bambini tutti abbiamo giocato coi soldatini, ma qualcuno continua a farlo anche da adulto con risvolti preoccupanti. È il caso di Ignazio Benito La Russa, lo scoppiettante Ministro della Guerra arruolato alla corte di Re Silvio.
La Russa appartiene alla nutrita schiera di folgorati  che si improvvisano grandi strateghi e, travestiti da generali, tengono il proprio culo comodamente al sicuro dietro le retrovie. In qualità di ministro, probabilmente si crede un incrocio tra Rommel ed Alessandro il macedone.
LA RUSSA IN AFGHANISTANLa Russa ferox, quello che trapiantato da almeno 40 anni a Milano parla ancora come un picciotto da “Commissario Montalbano”, è colui che più di ogni altro si è battuto per la modifica delle regole di ingaggio, che disciplinano la condotta dei militari italiani impegnati in missioni all’estero. Con la rimozione dei “caveat” e l’estensione delle ‘regole’ in senso maggiormente operativo, per interventi armati di tipo offensivo e l’impiego attivo in azioni di combattimento, il contingente italiano è diventato a tutti gli effetti una forza belligerante impegnata in operazioni di guerra. È superfluo dire che ciò risulta in palese contrasto con il dettame costituzionale e le finalità stesse della missione. 00 - Afghanistan (Dic.1878) - Peiwar Kotal battle
Tuttavia, La Russa (alias la ‘Volpe di Battriana’) non era ancora soddisfatto…
Vuoi per distinguersi con gli altri contingenti occidentali; vuoi per acquisire benemerenze atlantiche; vuoi per una insana idiozia… la Volpe di Battriana ha ottenuto che il corpo di spedizione italiano (2800 unità) venisse dislocato nel pericoloso settore sud-occidentale dell’Afghanistan, tra le province di Herat e Farah (proprio là dove i talebani sono più coriacei), insieme ad un distaccamento di 500 soldati di stanza a Kabul (a rotazione tra paracadutisti e alpini). map of Afghanistan

Nella loro nuova veste operativa, le truppe italiane, devono arginare l’avanzata dei talebani che da Farah premono verso le province occidentali del Nord e contenere le infiltrazioni dei talebani cacciati dall’offensiva anglo-americana nella vicina provincia di Helmand.
Soprattutto gli italiani devono assicurarsi il controllo ed il costante sminamento della route 517, la principale arteria stradale che attraversa tutto il territorio di Farah e collega il capoluogo provinciale alla cosiddetta ‘Ring Road’: la circolare dal quale si irradiano le principali linee stradali dell’Afghanistan.
La ‘messa in sicurezza’ della route 517 è il motivo dei frequenti giri di perlustrazione delle pattuglie meccanizzate dell’esercito italiano. A battere la strada 517 sono i convogli formati dal veicolo VTLM ‘Lince’, che la truppa chiama meno prosaicamente “scarrafone”. Maggiori sono le uscite di pattugliamento, più aumentano i rischi di attentati esplosivi ed il rischio di cecchinaggio a colpi di lanciagranate RPG… Si tratta di attacchi come quello che il 14 Luglio 2009 ha ucciso il c.m. Alessandro Di Lisio.
Approssimativamente, questo è il trappolone esplosivo nel quale lo zelo della Volpe di Battriana ha cacciato le truppe italiane.
I famosi ‘blindadi linge‘, come li chiama La Russa, sono una variante del versatile VM-80 di produzione Iveco, rinforzati con una corazzatura leggera. Al contrario dei più resistentiPUMA autoblindo PUMA e dei pesanti cingolati DARDO, hanno il pregio di essere più veloci, più maneggevoli e dinamici ma, a dispetto di quanto si dice, offrono una protezione sicuramente minore per l’equipaggio. E l’ultimo attentato nella capitale Kabul lo dimostra in modo eloquente.
DARDONell’esplosione che ha ucciso sei paracadutisti del 186° Reggimento c’era anche il c.m. Pistonami, che il 03/08/09 aveva rilasciato un’intervista profetica a Barbara Schiavulli, inviata del settimanale “L’Espresso”. Il reportage aveva un titolo eloquente: “Trappola Afghanistan”.
Ne riportiamo una parte significativa:

“Il primo caporalmaggiore Giandomenico Pistonami, come il collega Di Lisio deceduto il 14 luglio scorso, è un mitragliere, quello che sta in ralla, il più esposto perché sbuca con il corpo fuori dal Lince. “Esco tutti i giorni, faccio da scorta a materiali e persone”, racconta Pistonami, 26 anni di Lubriano (Viterbo): “Il mio è il ruolo più importante della pattuglia, ho più campo visivo e uditivo, con un gesto posso fermare le macchine che passano”. Un lavoro pericoloso, di concentrazione e tensione che lascia poco spazio alle emozioni. “Purtroppo la mia famiglia guarda i telegiornali”, aggiunge con un sorriso, “ma sono tranquilli quando mi sentono tranquillo, per fortuna ci sono Internet e il telefono”. Il posto che occupa Pistonami qualcuno lo chiama ‘sedile della morte’ e spiega che ormai molti mezzi militari di altri contingenti tengono il militare dentro al blindato con un sistema di comando per pilotare la mitragliatrice fuori. Per quanto riguarda i nostri, il ministro della Difesa Ignazio La Russa, pensa di aggiungere una protezione, una sorta di torretta. Il ministro ha anche promesso l’invio, già approvato da un decreto, di due nuovi Tornado, che si aggiungeranno ai due parcheggiati a Mazar-i- Sharif, non appena sarà pronta la pista dell’aeroporto di Herat, sulla cui data di apertura non ci sono tempi certi. I Tornado italiani, come quelli tedeschi, per ora vengono usati come ricognitori, ma il governo non nega la possibilità di aggiungere cannoncini, trasformandoli in mezzi che possono sostenere azioni di combattimento. Ma tutti questi accorgimenti per rendere più sicura la missione arriveranno fuori tempo massimo, comunque dopo il periodo fatale che coincide con la campagna elettorale. Così, mentre in Italia il governo si spacca sulla questione cruciale se rimanere o meno in Afghanistan e la Lega, Bossi in testa, mostra tutto il suo scetticismo, qui i soldati affrontano la loro guerra quotidiana senza nemmeno il conforto di avere alle spalle un esecutivo concorde circa l’utilità del loro impegno.”

 

“GRAZIE RAGAZZI!”

Posted in Kulturkampf with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 4 novembre 2008 by Sendivogius

 

90° Anniversario della Vittoria. L’ante-festival

 

mitraglieri-austriaci1 Pompata da una insolita grancassa mediatica nella sostanziale indifferenza generale, oggi si celebra la Giornata delle Forze Armate nonché il “90° Anniversario della Vittoria” dell’Italia monarchica e reazionaria alla I Guerra Mondiale.

Le celebrazioni, fortissimamente volute dal ministro La Russa, si trascineranno per ben tre giorni in una stucchevole sagra patriottarda di revanchismo nazionalista e di propaganda militare, annacquata (oltre che dalla pioggia) da una abbondante spruzzata di retorica istituzionale sulle virtù civiche e morali del buon soldato italiano. Ma la Grande Guerra non fu né popolare né condivisa se non nella coscrizione di massa e nella partecipazione coatta all’enorme mattanza.

A distanza di novant’anni ci si domanda che cosa sia diventata la memoria storica della Grande Guerra. Talora ridotta a pura commemorazione, col passare del tempo e con l’avvicendarsi delle generazioni essa rischia di svuotarsi e di tramandare al futuro soltanto un armamentario anacronistico di retorica, canzoni e miti controversi, spesso infondati storicamente.

  (Gianluca Cinelli, in Attualità della Grande Guerra. 2005 )

In un Paese che sembra impazzito, diamoli un po’ di numeri.

In tre anni e mezzo di guerra circa il 15% dei cittadini mobilitati vennero denunciati ai tribuni militari. Su circa 5 milioni e 200.000 italiani che furono mandati al fronte tra il 1915 e il 1918, ci furono 870.000 denunce:

§     470.000 Renitenti alla leva (in massima parte emigrati impossibilitati a rispondere alla precettazione di guerra)

L’ingente numero dei ricorsi e dei processi da doversi ancora tenere, a fronte di un esercito in via di smobilitazione, indusse a promulgare, il 2 settembre 1919, un’amnistia che interessò, oltre agli emigranti che man mano regolarizzarono la propria posizione presso le rispettive ambasciate, circa 370.000 persone. Furono 20.000 le persone non amnistiate perchè condannate per reati gravi o perchè giustiziate in precedenza.

§     189.425 Disertori

Alla rivolta i soldati erano indotti dalla profonda stanchezza per la guerra, dal senso della giustizia offeso e dalla disperazione. Soldati fuggiti dal fronte, una volta tratti in arresto e crollate le speranze di sfuggire a un destino di morte, diedero libero sfogo alla propria rabbia: «In trincea dovrebbero mandarci tutte le persone che vogliono la continuazione della guerra»

[Sentenza di morte emessa dal tribunale del VI corpo d’armata l’11 dicembre 1916] (B.Bianchi)

Si badi bene che per “diserzione” si intendeva anche l’allontanamento provvisorio, ma non autorizzato, del proprio reparto. “In maggioranza i soldati si allontanarono per ragioni familiari (oltre il 64%), le loro assenze furono brevi (il 52% si allontanò per non oltre 10 giorni), seguite da spontaneo rientro (61%). Si trattava quindi di soldati che non avevano intenzione di abbandonare definitivamente le file dell’esercito e che avevano fino ad allora tenuto buona e ottima condotta. Soprattutto tra i soldati settentrionali prevalsero le fughe brevissime (da 1 a 3 giorni), motivate dal desiderio di riabbracciare i congiunti prima di partire per il fronte.

Oltre alla punizione di disertori e fiancheggiatori (nel settembre 1917 a Stienta presso Rovigo la popolazione civile aggredì i Carabinieri delle compagnia di disciplina, a caccia di disertori, e li gettò nel canale), furono previste ritorsioni anche nei confronti dei famigliari, come la confisca dei beni e la privazione del sussidio per effetto della sola denuncia.

§     31.000 casi di “indisciplina”

In tempo di guerra […] soltanto le condanne capitali possono avere efficacia intimidatrice, ma nei processi contro molti imputati […] gli elementi di accusa sono spesso soltanto indiziari, e perciò i tribunali militari non possono – come sarebbe salutare – concludere con esemplari condanne a morte. E’ quindi vivamente da deplorare che l’attuale codice penale militare non conceda più, nei casi di gravi reati collettivi, la facoltà della decimazione dei reparti colpevoli, che era certamente il mezzo più efficace – in guerra – per tenere a freno i riottosi e salvaguardare la disciplina.

(Lettera del 14 gennaio 1916 del generale Cadorna, diretta a Salandra, il Presidente del Consiglio)

Bastava poco per finire davanti al plotone di esecuzione: un moto di rabbia, insubordinazione agli ordini, insulto ai superiori, ma anche un semplice atteggiamento di sfida, un tono irriverente o atteggiamenti scomposti (fumare in presenza di ufficiale; non salutare militarmente).

Alla fucilazione non si fece ricorso soltanto in situazioni estreme, ma anche per riaffermare i rapporti gerarchici: soldati indisciplinati e ribelli furono considerati elementi dannosi, da eliminare non soltanto dalle file dell’esercito, ma dalla convivenza sociale. Ne è un esempio il caso del soldato Paolo Arnoldi, fucilato il 22 agosto 1917. Dal rapporto informativo che accompagna la notifica della sua esecuzione si viene a sapere che era considerato indifferente, cinico, ribelle, privo di ogni sentimento e che «fu colta l’occasione per eliminarlo». Più volte ammonito, fu passato per le armi per essersi rifiutato di partecipare a una esercitazione e aver minacciato il suo superiore.

[“Relazione sulle decimazioni”, cit., all. 20. Invece di ricorrere alla denuncia a un tribunale militare, da parte del quale probabilmente si temeva un atto di clemenza, il soldato fu fucilato senza processo 48 ore dopo i fatti]  (B.Bianchi)

Le mancanze disciplinari dei soldati che furono freddati dai loro ufficiali non avevano un carattere di particolare gravità: «Non vado più avanti perché non ne posso più, non vado più avanti aspirante del cazzo», aveva gridato nel giugno 1917 un soldato durante una marcia verso le prime linee. Il soldato faceva parte di una pattuglia incaricata di un trasporto di cavalli di Frisia. Il cammino era faticoso e i cavalli si impigliavano continuamente nella vegetazione. All’altezza della terza linea di resistenza gli uomini in testa alla colonna si fermarono chiedendo qualche minuto di riposo. Al rifiuto dell’ufficiale esplose la rabbia del soldato, subito soffocata da un colpo partito dalla pistola dell’aspirante.

[“Relazione sulle decimazioni”, all. 13. Il soldato, Gregorio G., fu fucilato il 14 giugno 1917] (B.Bianchi)

la-grande-guerraNella migliore delle ipotesi, eventuali mancanze disciplinari come canzoni antimilitariste, lettere considerate disfattiste, o semplici atti di umana solidarietà col nemico, venivano considerate forme di follia. “In una ricognizione di pattuglia eseguita la notte della Vigilia di Natale potetti acciuffare una dozzina di austriaci che placidamente dormivano in una grotta […]. Ebbene detti soldati non erano uomini, ma scheletri, non mangiavano da due giorni per mancanza di pane. Intanto i miei soldati con sollecitudine offrirono loro delle pagnotte e alla vista di quel ben di Dio per loro, allegri presero la via delle nostre linee. Non dimenticherò mai in vita mia quei baci ricevuti dai nostri nemici. 

[Archivio ospedale psichiatrico di Treviso, cartella clinica 2865]

Persino il colonnello Douhet, capo del neonato spionaggio militare, fu condannato a un anno di reclusione per aver inviato una memoria critica al consiglio dei ministri circa l’operato dei generali. In pratica aveva comunicato con largo anticipo la preparazione dell’offensiva austriaca di Caporetto allo Stato Maggiore italiano, che semplicemente ignorò i dispacci.

§     15.000 denunce per autolesionismo o mutilazioni volontarie

Così alta era l’adesione e l’entusiasmo per questa “grande guerra patriottica sul campo del sacrificio e dell’onore” che gli autolesionisti si “sottoponevano alle torture più incredibili: gocce di acido muriatico nelle orecchie; iniezione di petrolio nella spina dorsale; timpani forati con chiodi; cecità procurate spalmandosi negli occhi secrezioni blenorragiche; ascessi ottenute con iniezioni sottocutanee di benzina, petrolio, piscio; mani mozzate con colpi di vanghetta o stritolate sotto grossi massi; colpi d’arma da fuoco sparati a bruciapelo sugli arti.  (Revelli)

§     8.500 denunce per “resa o sbandamento”

Cadorna “aveva fatto fucilare, nel corso delle decimazioni da lui ordinate, anche dei soldati che non si trovavano in zona di operazioni nei giorni in cui si erano verificati gli eventi per i quali erano stati condannati. Cadorna non aveva mai creduto doversi preoccupare troppo per le condizioni materiali dei suoi uomini.  (Mack Smith)

In condizioni normali, la truppa veniva stimolata all’assalto “con colpi di moschetto” alle spalle. I soldati italiani non avanzano contro il nemico allorché ne vien dato loro l’ordine dai superiori e occorre spingerli in avanti con il fucile e a ogni ostacolo si fermano e che egli dovette far fuoco sui soldati della sua compagnia.

[Tribunale supremo (ts), Atti diversi (ad), Processi ufficiali]

 1916-milizia-terrle-con-fucile-vetterli

Le condanne a morte furono 4028, quelle all’ergastolo più di 15 mila.

Per quanto riguarda le pene capitali emesse esse furono, secondo fonti dell’ufficio statistico del ministero della guerra, 1.066 più altre 3.000 in contumacia, ma non tutte fortunatamente vennero eseguite e quindi il numero delle fucilazioni scende a 750. Si tratta di dati ufficiali che non tengono conto però delle esecuzioni sommarie eseguite in zona di guerra dai graduati e dai Carabinieri, pertanto non si potrà mai giungere ad un computo definitivo degli uccisi: si pensi al barbaro metodo del sorteggio, tramite il quale venivano scelti i fucilandi per reprimere i reati di natura collettiva. (Forcella-Monticone)

L’Italia perse nella guerra oltre 600.000 uomini “in un enorme spreco di energie e di risorse naturali in cambio di poche soddisfazioni e molte amarezze (…) Un complotto tramato da Salandra con la complicità del re (…) avrebbe condotto l’Italia a 25 anni di rivoluzioni e tirannia.(Mack Smith)

 

Ministro La Russa, che cazzo c’è da ringraziare?!?

Bibliografia essenziale:

BIANCHI Bruna “La follia e la fuga. Nevrosi di guerra, diserzione e disobbedienza nell’esercito italiano 1915-1918. Bulzoni; Roma  2001.

FORCELLA Enzo, MONTICONE Alberto; “Plotone d’esecuzione. I processi della prima Guerra Mondiale”. Laterza; Bari 1968.

ISNENGHI Mario, “Il mito della Grande Guerra”. Il Mulino; Bologna 1979.

MACK SMITH Denis, “Storia d’Italia 1861-1969.  Laterza; Bari 1987.

REVELLI Nuto, “Il mondo dei vinti”. Einaudi; Torino 1977.