Che gli italiani non fossero brava gente (anche se a loro piace credere il contrario), è una di quelle evidenze nascoste sotto lo strato degli stereotipi assolutori di una folla solitaria, più massa che popolo, schiumata nella “gente”, che del proprio passato non sa nulla. Vive (o per meglio dire, consuma) solo il presente, come eterni bambini mai cresciuti. Ed è incapace di pensare il futuro, se non come un’estensione indeterminata del proprio presente senza tempo.
Il mito degli “italiani brava gente” è innanzitutto una leggenda fortunata, di quelle dure a morire, come il mostro di Loch Ness, l’autostoppista fantasma, l’uomo falena, la fatina dei dentini, Babbo Natale, l’immacolata concezione, Luigi Di Maio ministro degli Esteri (ah no, quello è reale!), gli Illuminati (o chi per loro) che controllano il mondo, le sirene, i vaccini che fanno venire l’autismo… E come tale è falso.
Che gli italiani non sarebbero usciti migliori dalla pandemia di Covid-19 era nell’ordine delle cose… Che non sarebbe andata affatto bene, una conseguenza naturale, nonostante le sciroppose paternali a cura del Min.Cul.Pop di governo e di gentismo spiccio a fondo perduto. Insomma, il processo di involuzione antropologica in corso dura da almeno cinque lustri. Troppi per pensare di invertire la tendenza. Né era difficile prevedere quale effetto avrebbe avuto rinchiudere un branco di scimmie spaventate e arrabbiate nella gabbia dello stato d’eccezione.
A giudicare dal ritratto che annualmente ne fa il CENSIS, gli italiani visti allo specchio già facevano abbastanza schifo di loro, ma alla vigilia del 2021 sembra siano percolati in qualcosa di ancora peggio, imprigionati in un loop di quello che il rapporto chiama vero e proprio “sovranismo psichico”; che surroga aspirazioni e realizzazione personale, in un “egolatrico compiacimento dei consumi”…
DOPO IL RANCORE, LA CATTIVERIA
«Al volgere del 2018 gli italiani sono soli, arrabbiati e diffidenti. La prima delusione ‒ lo sfiorire della ripresa ‒ è evidente nell’andamento dei principali indicatori economici nel corso dell’anno. La seconda disillusione ‒ quella del cambiamento miracoloso ‒ ha ulteriormente incattivito gli italiani. Così, la consapevolezza lucida e disincantata che le cose non vanno, e più ancora che non cambieranno, li rende disponibili a librarsi in un grande balzo verso un altrove incognito.
Gli italiani sono ormai pronti ad alzare l’asticella: sono disponibili a un funambolico camminare sul ciglio di un fossato che mai prima d’ora si era visto da così vicino, perfino a un salto nel buio, se la scommessa è quella poi di spiccare il volo. È quasi una ricerca programmatica del trauma, nel silenzio arrendevole delle élite, purché l’altrove vinca sull’attuale. È una reazione pre-politica che ha profonde radici sociali, che hanno finito per alimentare una sorta di sovranismo psichico, prima ancora che politico. Un sovranismo psichico che talvolta assume i profili paranoici della caccia al capro espiatorio, quando la cattiveria diventa la leva cinica di un presunto riscatto e si dispiega in una conflittualità latente, individualizzata, pulviscolare e disperata, ma non più espressa nelle manifestazioni, negli scioperi, negli scontri di piazza tipici del conflitto sociale tradizionale.
[…] La dimensione culturale della insopportazione degli altri sdogana ogni sorta di pregiudizio:
Il 43,2% degli italiani non vuole convivenze tra persone non sposate.
Il 37,1% è paladino della tradizionale divisione dei ruoli (l’uomo al lavoro e la donna in casa con i figli).
il 22,7% è convinto che le faccende domestiche debbano sempre e comunque essere in capo alle donne, che lavorino fuori casa o meno (lo pensa anche il 19,7% delle donne stesse).
Le diversità dagli altri sono percepite come pericoli da cui proteggersi: il 69,7% degli italiani non vorrebbe come vicini di casa rom, zingari, gitani, nomadi, il 69,4% persone con dipendenze da droghe o alcol, il 24,5% persone di altra etnia, lingua o religione. Sono i dati di un cattivismo diffuso ‒ dopo e oltre il rancore ‒ che erige muri invisibili, ma non per questo meno alti e meno spessi. Il 52% dei cittadini è convinto che si fa di più per gli immigrati che per gli italiani, quota che raggiunge il 57% tra le persone con redditi bassi.
[…]
Con tutta la loro potenza iconoclasta, internet e i media digitali personali sono diventati le tecnologie dell’immaginario dominanti. E abbiamo finito per sacrificare ogni mito, divo ed eroe sull’altare del soggettivismo, potenziato nei nostri anni dalla celebrazione digitale dell’io.»
Ed era solo il 2018. Quindi si è passati ad una “società ansiosa, macerata dalla sfiducia“ per “il furore di vivere”, che nel vissuto quotidiano si tradurrebbe in:
“Stress esistenziale, disillusione e tradimento originano un virus ben peggiore: la sfiducia, che condiziona l’agire individuale e si annida nella società. Il 75,5% degli italiani non si fida degli altri, convinti che non si è mai abbastanza prudenti nell’entrare in rapporto con le persone.”
Poi per fortuna è arrivato il fatale 2020, quello che secondo Giuseppi Conte doveva essere una anno bellissimo, e che nei fatti si è rivelato essere:
“L’ANNO DELLA PAURA NERA”
Meglio sudditi che morti
Sono soddisfazioni grosse, perché come conseguenza diretta:
a) il 57,8% degli italiani è disposto a rinunciare alle libertà personali in nome della tutela della salute collettiva, lasciando al Governo le decisioni su quando e come uscire di casa, su cosa è autorizzato e cosa non lo è, sulle persone che si possono incontrare, sulle limitazioni della mobilità personale;
b) il 38,5% è pronto a rinunciare ai propri diritti civili per un maggiore benessere economico, introducendo limiti al diritto di sciopero, alla libertà di opinione, di organizzarsi, di iscriversi a sindacati e associazioni.
La paura pervasiva dell’ignoto porta alla dicotomia ultimativa: “meglio sudditi che morti”. E porta a vite non sovrane, volontariamente sottomesse al buon Leviatano. Cresce allora il livore della logica “o salute o forca”.
il 77,1% degli italiani chiede pene severissime per chi non indossa le mascherine di protezione delle vie respiratorie, non rispetta il distanziamento sociale o i divieti di assembramento;
il 56,6% vuole addirittura il carcere per i contagiati che non rispettano rigorosamente le regole della quarantena e dell’isolamento, e così minacciano la salute degli altri;
il 31,2% non vuole che vengano curati (o vuole che vengano curati solo dopo, in coda agli altri) coloro che, a causa dei loro comportamenti irresponsabili o irregolari, hanno provocato la propria malattia;
il 49,3% dei giovani vuole che gli anziani siano curati dopo di loro.
Non sorprende, quindi, che persino una misura assolutamente indicibile per la società italiana come la pena di morte torni nella sfera del praticabile: quasi la metà degli italiani (il 43,7%) è favorevole alla sua introduzione nel nostro ordinamento (e il dato sale al 44,7% tra i giovani).