Archivio per Sicurezza

La Fine delle Libertà

Posted in Masters of Universe, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 25 ottobre 2013 by Sendivogius

YES WE SCAN

L’illusione unipolare, che ad un certo punto della storia recente cominciò a solleticare le menti di quello che già il presidente e generale Dwight Eisenhower chiamava complesso militare-industriale, ha costituito l’archetipo ideologico di ciò che nelle pretese dei suoi visionari ostensori avrebbe dovuto essere il Secolo Americano.
Per lungo tempo, è stata l’ossessione dei neocon statunitensi destinata a infrangersi nella fallimentare esperienza delle guerre bushiane con tutte le loro nefaste ripercussioni.
La ‘scoperta’ di un gigantesco network di intercettazioni illegali, trafugamento informazioni, e spionaggio politico-industriale, messo in piedi dalla NSA ai danni dei maggiori partner e “alleati” con la scusa della lotta globale al terrorismo, il cosiddetto scandalo Datagate, è soltanto l’ennesimo strascico velenoso di una visione imperiale che, nonostante gli strepiti dei governi europei, rimarrà ovviamente senza conseguenze, al di là delle manfrine concilianti di O’Banana.
Prova ne è l’imbarazzato silenzio e la pusillanime ipocrisia con la quale fu velocemente liquidata la denuncia di Edward Snowden, l’ex analista della CIA braccato come un animale in fuga e costretto all’esilio (come Julian Assange prima di lui) dopo aver svelato con largo anticipo il vergognoso segreto di Pulcinella, per troppo amore della Libertà.
edward-snowden-interviewIl caso del soldato Bradley Manning, seppellito vivo in una prigione militare dopo un processo farsa, per aver rivelato al mondo i crimini di guerra perpetrati dallo USArmy, è deterrente alquanto evocativo su come la “patria della democrazia” affronti il dissenso interno e la tutela dei diritti umani.
Bradley Manning prima e dopo la detenzioneOltre un decennio prima, il provocatorio Gore Vidal, con la carica caustica che contraddistingueva la sua penna al curaro, fu tra i primi a parlare di fine delle libertà, criticando lo stravolgimento progressivo dei fondamenti costituzionali, sempre più disattesi in nome del moloch cannibale della “sicurezza nazionale”. Vidal punta il dito contro la scusa di comodo, dietro la quale si cela l’involuzione della democrazia USA verso forme sempre più autoritarie e paranoiche, individuando l’origine giuridica della piaga:

La fine della liberà «Lo spaventoso danno fisico che Osama bin Laden e compagnia ci hanno provocato, durante il Martedì del Terrore, non è nulla rispetto al doppio colpo da KO inflitto alle nostre libertà in via d’estinzione: l’Anti-Terrorism Act del 1991 e la recente richiesta al Congresso di poteri speciali supplementari. Per esempio, quello di eseguire intercettazioni telefoniche senza mandato giudiziario, oppure quello di deportare residenti legittimi e permanenti…. senza rispettare le procedure di legge e così via.
[…] In conclusione, il danno fisico che Osama ed i suoi amici possono infliggerci – per terribile che sia stato fino ad oggi – è niente in confronto a ciò che stanno facendo alle nostre libertà. Una volta alienato, un “diritto inalienabile” può essere perso per sempre, nel qual caso non saremmo più, neanche lontanamente, l’ultima e migliore speranza della terra ma solo uno squallido stato imperiale in cui i cittadini vengono tenuti a bada dalle squadre SWAT e il cui stile di morte, non di vita, viene imitato da tutti.
Dal V-J del 1945 (la Victory on Japan e fine della seconda guerra mondiale) siamo stati impegnati in quella che Charles A. Beard ha definito una “guerra perpetua per la pace perpetua”. Occasionalmente, ho fatto riferimento al nostro club “Il Nemico del mese”: ogni mese c’è un nuovo orribile nemico da attaccare prima che ci distrugga. […] In queste svariate centinaia di guerre contro il comunismo, il terrorismo, il narcotraffico, e a volte contro niente di speciale, siamo sempre stati noi a sferrare il primo colpo

 Gore Vidal
 La fine della libertà.
 Verso un nuovo totalitarismo?
 Fazi Editore (Roma, 2001)

Esaurita la finta indignazione di circostanza, sul “Datagate” calerà un provvidenziale oblio. Non ci saranno ripercussioni sulla prossima stipula del Trattato di libero scambio tra USA ed UE, ovvero la versione aggiornata su variante europea del famigerato NAFTA:

«Il NAFTA stabilisce l’immediata eliminazione dei dazi doganali su metà dei prodotti statunitensi diretti verso Messico e Canada, più la graduale eliminazione di altri diritti doganali durante un successivo periodo di quindici anni.
Il NAFTA prevede inoltre l’abolizione delle restrizioni su molte categorie di prodotti, inclusi motoveicoli, componenti auto, computer e componentistica hi-tech, forniture tessili, agricoltura. Pur proteggendo (per brevissimo tempo) brevetti, diritti di autore e marchi di fabbrica, il NAFTA cancella anche qualsiasi restrizione ai flussi di investimenti tra i tre paesi del continente nord-americano. Il NAFTA diventa quindi un’ulteriore spinta verso una DEREGULATION SELVAGGIA.
[…] Il trend cominciato con il NAFTA è destinato ad allargarsi, espandersi, dilatarsi ben oltre il NAFTA. È destinato a diventare un mega-trend, ciò che oggi chiamiamo GLOBALIZZAZIONE.
Cardine della globalizzazione resta lo outsourcing, appalto esterno, realizzato in prima istanza (produzione) nelle maquiladoras, in istanze successive (logistica) anche per i servizi. A che scopo stipendiare e assicurare un operaio di catena di montaggio a Joliet, Illinois, USA, oppure una centralinista telefonica a Porto di Potenza Picena, Marche, itaGLia, quando – per un decimo, un ventesimo di quei costi – si possono ottenere gli stessi servizi da un ragazzino di quattordici anni di Guadalajara, Mexico, o da una ragazzetta di diciassette anni di Shanghai, Cina?
The Golan Maquiladoras e outsourcing sono lo tsunami dei marchi Made-in-China, Made-in-Malaysia, Made-in-Vietnam, Made-in-Pakistan, Made-in-Wherever. E sono al tempo stesso la pietra tombale di quel marchio di cui tutti andavano tanto orgogliosi: Made-in-the-USA.
Con Schengen e il NAFTA prima, con la globalizzazione poi, l’antico sogno imperial-coloniale di Adam Smith torna così a realizzarsi appieno: materie prime e manodopera a costo quasi zero, niente assicurazioni, niente pensioni, possibilità di licenziare in qualsiasi momento, nessun ostacolo a chiudere bottega dal giorno alla notte, meno di nessun ostacolo per ricominciare daccapo in qualsiasi altra fetida, disperata cloaca del sud del mondo. Alla peggio, bisognerà mettere sul libro paga qualche dittatore-tagliagola in più e riempire di carcasse di morti di fame qualche fossa comune in più

 Alan D. Altieri
AmeriKa dämmerung?
(01/05/08)

Roman_Legion_Carpe_DiemC’è un procedente storico a questa inclinazione sempre più neo-imperiale della politica USA: la Respublica romana e l’istituzione degli stati clientes.
In questo, la piaggeria compiacente del Governo Letta e le minimizzazioni oltre i limiti della sudditanza di Emma Bonino, ministro degli esteri, che a scandalo ancora in corso esclude ogni intercettazione e abuso ai danni delle Istituzioni italiane, rivela l’irrilevanza di un intero Paese. L’esecutivo si prepara ad archiviare frettolosamente l’intera faccenda, non perdendo l’occasione per prodigarsi in atti formali di sottomissione, come si conviene al governo fantoccio di una provincia marginale di un impero in disfacimento.

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Sorvegliare e Punire

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 21 ottobre 2011 by Sendivogius

In questa propaggine reazionaria del post-fascismo di ritorno chiamata Italia, dove tutti si considerano “ceto medio”, in cui la forma è sostanza nel terrore di sembrare poveri, e il ‘centro’ è la stella polare di un timone politico sempre più spostato a destra, c’è una sola cosa che spaventa più del conflitto sociale… è l’ammissione stessa che questo possa esistere.
Pertanto, l’imperativo d’ordine è la sua negazione, nell’obnubilamento del medesimo in nome della perpetuazione dello statu quo, perché nulla deve turbare i rituali del familismo allargato nello stagno consociativista. Il dissenso dunque va sempre rimosso in ogni sua forma e ricondotto nell’alveo rassicurante di un conformismo omologante, dove il numero è tirannia e la volontà delle maggioranze relative si fa dittatura.
Soprattutto, il dissenso va ostracizzato, negandogli rappresentanza politica (grazie ad una legge elettorale infame) e riconoscimento sociale nella cancellazione di spazi e legittimazione. Va azzittito, attraverso la stesura di ‘leggi-bavaglio’, che oscurano i canali della comunicazione informale, dopo aver normalizzato i media ufficiali.
In Italia, il dissenso di fatto non ha una vera cittadinanza: viene tollerato fintanto che è impotente e resta muto; diventa un problema quando non è controllabile, né gestibile per conto terzi a fini elettorali.
Ma se il dissenso assume l’aspetto e le frustrazioni di un’intera generazione, relegata ai margini estremi di una società gerontocratica e immobile, allora viene inteso unicamente come un problema di ordine pubblico, da demonizzare preventivamente e da punire a posteriori.
Con simili presupposti, fondati su una esclusione ad oltranza, la “violenza” lungi dall’essere una opzione nefasta, rischia di diventare una scelta ed una pratica diffusa, quasi fosse l’unica alternativa possibile… E un comodo alibi a disposizione di un potere consolidato, che può così esercitare meccanismi collaudati, a protezione di un sistema che si reputa perfetto e si vuole sostanzialmente immutabile. Scolpito nella legge. Meglio se per decreto, o con voto di fiducia, tra gli orpelli di un formalismo democratico sempre più svuotato di sostanza e fondato sull’abuso legalizzato delle nuove aristocrazie timocratiche.
Si parva licet componere magnis, parliamo di una società che, nel suo piccolo (piccolissimo), è arrivata a negare la concessione di licenze commerciali ai locali etnici per motivi di ‘pubblica sicurezza’ e bolla gli avventori come ‘elementi di degrado’ (accade in quel laboratorio neo-nazista chiamato padania), per comune accordo di entrambe gli schieramenti politici ufficializzati.
Se questo è lo zeitgeist dominante, è ovvio che l’esistenza stessa di realtà complesse e non conformi, strutturate in dissenso organizzato (e soprattutto pubblico) siano intollerabili.
 A tal proposito, è emblematica la caccia all’untore che si è scatenata dopo i moti di Roma. La sommossa che ha sconquassato parte del centro della Capitale, è stata relegata per comune accordo a mero problema di ordine pubblico, priva di qualsivoglia dimensione sociale. Non ci sono cause pregresse, la sua natura è circoscritta ad una esclusiva questione di ‘sicurezza’ e priva di qualsivoglia ragione. Per l’occasione, analisti e commentatori dei media nazionali, hanno messo da parte le divergenze ed ogni distinguo politico, rinunciando ad ogni analisi complessa del fenomeno. In compenso fioccano gli stereotipi più ritriti nella stigmatizzazione unanime che non ammette eterodossie: i “violenti”? Poche centinaia, probabilmente provenienti da Marte, sicuramente infiltrati; ultras e figli di papà annoiati, secondo la più becera e classica delle rappresentazioni, che esorcizza ogni implicazione sociale nella rimozione delle cause. E intanto sui quotidiani fioccano interviste farlocche a sedicenti black-bloc che, per antonomasia, non parlano con i giornalisti ai quali però raccontano con dovizia di particolari vita, morte, e miracoli, di un ‘movimento’, evidentemente composto da falangi di Gino Canterino in preda a confessioni compulsive.
Mancando ogni volontà di analisi e gli elementi culturali per farlo, in assenza di qualsivoglia mediazione, è chiaro che l’unica risposta possibile non può essere che rimessa alle soluzioni antiche di chi non conosce altra risposta: REPRESSIONE.
Sorvegliare e punire; secondo i meccanismi consolidati della sorveglianza gerarchica.
La stato confusionale di una politica professionalizzata nel suo autismo referenziale, che incentra la sua azione nel livellamento delle differenze e nella tutela del privilegio esteso alle enclave protette del clientelismo elettorale, è misurabile proporzionalmente all’isteria collettiva che pervade le aule parlamentari e di una società chiusa nell’ineluttabilità dell’immutabile.
Incapaci di affrontare il problema, perché incapaci di risposte che non siano declinate in prospettiva unicamente repressiva, fioccano le proposte demenziali per accordo trasversale con relativi distinguo, molti se e qualche ma…
 Antonio Di Pietro, in una delle sue tipiche esplosioni di demagogia tribunizia, non ha trovato niente di meglio che andare a ripescare dalla fogna dei reazionari lo Stronzo Reale e la sua omonima legge (che consente di sparare in assenza di minacce), salvo poi negare l’evidenza. Il PD in teoria è contrario, ma è aperto a qualsiasi miglioramento
Grande è stato invece il giubilo di tutta la fascisteria di contorno che fa a gara a chi la molla più grossa, tale è l’effetto dell’orgasmo repressivo nella geriatria di casta e di governo.
 Roberto Maroni, il peto del meteorismo leghista flatulato agli Interni nella grande costipazione berlusconiana, si è detto massimamente d’accordo. Già comandante della Guardia Nazionale Padana, la milizia (dis)armata della Lega di secessione e di poltrone, il solerte Maroni è stato rimandato a giudizio per “attentato alla Costituzione e integrità agli organi dello Stato”. Evidentemente, la cosa non gli ha impedito di diventare Ministro degli Interni (italiano mica  padano). Roberto Maroni è lo stesso che all’indomani degli scontri ha parlato di “terrorismo urbano”, promettendo sanzioni eccezionali ed un pacchetto di leggi speciali per punire i ventenni che hanno osato opporre resistenza alle manganellate dei poliziotti ed ai caroselli di cellulari e veicoli, impegnati a fendere la folla dei manifestanti con gimcane potenzialmente omicide.
Considerati dunque alla stregua di “terroristi”, i sospettati potranno essere sottoposti a fermo preventivo di 96 ore. In pratica, senza alcuna fattispecie di reato, in concomitanza di qualsiasi manifestazione, l’interessato viene messo sotto custodia, per la bellezza di quattro giorni, a discrezione delle autorità di polizia. Ma si parla anche dell’introduzione del processo per direttissima con aggravio di pena. Paradossalmente, in termini di condanna, sarà più conveniente rapinarla una banca piuttosto che romperne le vetrate: la pena è di gran lunga più mite. L’estensione della flagranza di reato (che prevede l’arresto in carcere) a 48h; cosa che peraltro è già prevista dal Codice Penale (art.336) in caso di resistenza o minaccia a pubblico ufficiale. Interessante sapere che la medesima disposizione si applica anche per la “corruzione di minorenni” (art.530), anche se nipoti di Mubarak, ma su questo si può transigere…
Il provvedimento sicuramente più gustoso è pero l’ipotesi di introdurre una tassa sui cortei, con la stipula di una fideiussione bancaria a carico degli organizzatori per la copertura di eventuali danni. Non sappiamo bene come funzionino le cose nelle fumerie d’oppio in padania; tuttavia bisognerebbe ricordare all’allucinato Maroni che la responsabilità è sempre individuale e non si può configurare come attribuzione collettiva delle azioni dei singoli. Notevole poi la concezione democratica del ministro, convinto si debba pagare per poter manifestare: interessante esempio di democrazia censitaria su base timocratica.
Immaginiamo che la tassa sarà applicata anche per i raduni secessionisti di Pontida e Venezia, annualmente organizzati dai gauleiter leghisti.
Tra gli altri provvedimenti in esame, c’è l’uso di pallottole di gomma che se esplose a distanza ravvicinata uccidono come quelle ordinarie. E l’utilizzo di idranti con sostanze coloranti per
identificare i manifestani (che verrano arrestati in virtù della flagranza di reato e sottoposti a fermo preventivo). Da notare che i “cannoni ad acqua” sono stati abbondantemente usati a Piazza San Giovanni a Roma. E, così come le manganellate, i getti d’acqua venivano dispensati un po’ dove capitava. Inutile dire che tra i bersagli prediletti c’erano i manifestanti pacifici, assiepati contro le mura del palazzo del Vicariato, che ne sono usciti fradici come pulcini. In virtù della disposizione maroniana, avrebbero dunque dovuto essere arrestati in massa e puniti con “pene esemplari”.

Ordunque, se la resistenza alla forza pubblica si configura per l’ineffabile ministro come un “atto di terrorismo”, ci sarebbe da aggiungere che il terrorista Maroni nel 1998 è stato condannato a 8 mesi “per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale”, prima che la Cassazione gli commutasse la pena in sanzione pecuniaria nel 2004. Non risulta che il pregiudicato Maroni abbia mai fatto un solo giorno di galera, ma si premura che altri scontino la pena al posto suo, opportunamente quadruplicata.
In fin dei conti sono quisquiglie rispetto al ministro Umberto Bossi che predica la secessione armata da almeno 20 anni, minacciando insurrezioni armate, promettendo pallottole, e informandosi su come reperire mitragliatori in Sardegna… Sarebbe “apologia di reato” e presuppone la “costituzione di banda armata per atti eversivi”, ma se lo dice il cerebroleso di Pontida diventa boutade goliardica. E merita un seggio da senatore con una poltrona nel Governo italiano, contro il quale minaccia la guerra civile.
Come si vede, la condanna della “violenza” è variabile e diventa lecita a seconda di chi la compie o la minaccia.
E del resto è assolutamente coerente con lo spirito di governo, dove un premier puttaniere si intrattiene amabilmente con spacciatori, papponi e pluripregiudicati, invocando sommosse di piazza, assalti ai tribunali ed alle sedi del maggior quotidiano nazionale.
Si tratta della cosa più naturale del mondo. Infatti non ha meritato troppi clamori, né ci risultano editoriali in merito dei pur zelanti Augusto Minzolini e Giuliano Ferrara: fulgidi esempi di meritocrazia applicata e di imparzialità giornalistica.
Un’altro grande sostenitore della tolleranza zero e delle pene draconiane è poi l’imbarazzante Ignazio Benito La Russa: l’ennesima deiezione fascista al governo nell’incredibile ruolo di Ministro della Difesa. La Russa, quello che esprime solidarietà incondizionata alle Forze dell’Ordine, è infatti deciso a stroncare i violenti, denunciando le “contiguità ideologiche” con chi osa “criticare il governo”. Il sulfureo La Russa con la violenza più che contiguo è stato organico. Infatti, nel 1973 è oggetto di una ordinanza di arresto per “adunata sediziosa e resistenza alla forza pubblica”: in pratica Benito La Russa ha organizzato una manifestazione non autorizzata di fascisti, che si sono messi a tirare bombe a mano (non sassi) contro i cordoni di Polizia. L’agente Antonio Marino, di 22 anni, muore dilaniato dall’esplosione con il petto squarciato. La Russa, diventato nel frattempo uomo d’ordine e gran difensore di poliziotti, venne indicato tra i “responsabili morali” dell’omicidio Marino. Ma la sua è una violenza (assassina) che paga e che premia. Infatti oggi è Ministro della Difesa.

 P.S. A proposito di dittature e fascismi, il caro amico Gheddafi è stato drammaticamente trascinato via dalle miserie del mondo, rovesciato da una violentissima rivolta popolare e dopo mesi di conflitti sanguinosi. Ma in questo caso la “violenza” è stata considerata più che legittima e massimamente sostenuta con massicci bombardamenti. In fondo, Muhammar Gheddafi era un feroce dittatore. Per questo, un anno fa veniva accolto a Roma con tutti i riguardi, con tanto di baciamano e genuflessioni da parte del nostro Pornocrate. Quegli stessi Carabinieri che rincorrevano e venivano rincorsi dai manifestanti intorno al Laterano, all’epoca presentavano le armi col picchetto d’onore al dittatore libico. Se indossassimo una divisa dell’Arma, non si potrebbe immaginare umiliazione più grande. Questa sì che è violenza. 

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SUPERCOP

Posted in A volte ritornano, Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , on 30 giugno 2011 by Sendivogius

È fresca di giornata la notizia dell’iscrizione nel registro degli indagati di Vittorio Pisani, capo della squadra mobile di Napoli, con l’accusa di favoreggiamento nei confronti di sospetti camorristi e del clan dei fratelli Lo Russo, nell’ambito di una inchiesta per usura e riciclaggio di capitali illeciti (col coinvolgimento di dozzine di banche compiacenti), in una più vasta operazione di evasione fiscale, secondo le indagini condotte dai magistrati della Procura partenopea e per la quale risulta indagato anche il calciatore Fabio Cannavaro. E’ infatti il “calcio” un altro bel mondo che negli ultimi anni ci ha regalato grandi soddisfazioni fuori dagli stadi.  Sul merito, questo scrive il procuratore di Napoli, che pure indaga sugli scandali della P4:

«Il dottor Vittorio Pisani, legato con solidi e comprovati rapporti di amicizia con Marco Iorio ed in rapporti con Salvatore Lo Russo, suo confidente, non ha esitato a rivelare a Iorio l’avvio dell’indagine da parte di questo ufficio, informandolo al contempo del contenuto di alcune annotazioni di servizio redatte dal suo stesso ufficio. Ciò inevitabilmente ha arrecato un serio pregiudizio alle indagini, specialmente sotto il profilo della compiuta individuazione ed acquisizione dei beni da sequestrare, essendosi sia Marco Iorio che Bruno Potenza, a sua volta informato da Iorio, immediatamente attivati per occultare i capitali, parte dei quali effettivamente già trasferiti all’estero, programmando in queste ultime settimane addirittura la vendita a prestanome delle stesse attività di ristorazione. Ma si è anche accertato che il dottor Vittorio Pisani era da anni a conoscenza del reimpiego dei capitali illeciti da parte di Marco Iorio e non solo non ha mai effettuato alcuna indagine, nè redatto alcuna comunicazione di notizie di reato, ma ha intrattenuto quotidiani rapporti amicali con questo ultimo

A suo tempo, del dott. Pisani avevamo già parlato [QUI]; il superpoliziotto è infatti famoso per l’insofferenza verso l’autodidatta Roberto Saviano, nei confronti del quale non ha mai nascosto la propria stizza, rimarcando con orgoglio virile il fatto che Lui, il superpoliziotto anticamorra, con i boss non ha mai avuto problemi:

«Io faccio anticamorra dal 1991. Ho arrestato centinaia di delinquenti. Ho scritto, testimoniato… Beh, giro per la città con mia moglie e con i miei figli, senza scorta. Resto perplesso quando vedo scortate persone che hanno fatto meno di tantissimi poliziotti, carabinieri, magistrati e giornalisti che combattono la camorra da anni. Non ho mai chiesto una scorta. Anche perché non sono mai stato minacciato. Anzi, quando vado a testimoniare gli imputati mi salutano dalle celle».

Vittorio Pisani
Intervista rilasciata a Napoli on line
(14/10/2009)

Non si può dire che non sia un uomo schietto. Alla luce delle imputazioni (se confermate), tanta esibita sicurezza assume una colorazione diversa. E quantomeno ambigua…

Si dice che le “istituzioni” siano lo specchio del Paese che rappresentano. Solamente nell’ultimo anno, abbiamo avuto Carabinieri coinvolti in ricatti ed estorsioni (Caso Marrazzo a Roma);
omicidio ed usura (Camaiore); depistaggio e occultamento di cadavere (Arce); la Polizia penitenziaria che secca i fermati prima del processo; i massimi vertici della Guardia di Finanza invischiati in una colossale rete affaristico-spionistica, come non si vedeva dai tempi del SIFAR del generale De Lorenzo (o della P2 di Licio Gelli)… E chi più ne ha ne metta!

Adesso si capiscono tante altre cose…

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Il Mostro di Roma

Posted in Ossessioni Securitarie, Roma mon amour with tags , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , , on 10 marzo 2009 by Sendivogius

 

 E lasciavamo le porte aperte…”

 

urlo-scream  Quello delle “porte aperte” è un luogo comune particolarmente caro a certa vulgata qualunquista, cementata nella nostalgia di una sorta di “Età dell’Oro” che non è mai esistita, se non nella fantasia dei suoi ostensori. Si tratta di una proiezione fortunata che si perpetua longeva nel tempo, suffragata dalle presunte reminescenze popolari desunte dalla ‘saggezza degli anziani’, tanto da costituire un richiamo mitologico ad un perduto spirito solidale di comunità idealizzate. Un regno fatato di gente felice in casette di marzapane, non più reale di quanto non sia il Gatto con gli stivali, o la “Terra dell’Abbondanza” coi suoi fiumi di latte e miele, ma del quale si parla e si rimpiange come si trattasse di un mondo devastato da infezione aliena. Perché il ‘Male’ è sempre altro da me.

Pertanto è più facile crogiolarsi nel rimpianto di una purezza primigenia, irrimediabilmente violata, e credere alla leggenda di un passato migliore, coltivando il pensierino rassicurante che imputa al monstrum (nell’accezione prodigiosa e perversa del termine) ogni nefandezza possibile. Si segue l’onda emotiva, scivolando sugli umori della folla, e si dimentica che da sempre (oggi come ieri), l’intreccio perverso che lega tra loro Paura, Criminalità, Politica, può condurre ad esiti devastanti, per le finalità di pochi.

 

La psiche del demente politico esibito (narcisista a contenuto pseudo-etico) aggranfia il delitto alieno, reale o creduto, e vi rugghia sopra come belva cogliona e furente a freddo sopra una mascella d’asino

(Carlo Emilio Gadda – Quer Pasticciaccio Brutto de Via Merulana – Garzanti, 1957)

 

Evidente, nonché emblematica, la vicenda che nella Roma degli anni ‘20 vide, come protagonista, l’innocente Gino Girolimoni il quale si ritrovò coinvolto, suo malgrado, in una storia kafkiana dai risvolti tragici. Bollato col marchio di infamia, Girolimoni è entrato per sempre nell’immaginario collettivo come il “Mostro di Roma”.

Il ‘Caso G.’, pur con le sue peculiarità storiche, dimostra due cose molto semplici: che la ferocia criminale non è una specificità dei nostri tempi; che certe distorsioni degenerative del sistema repressivo non sono appannaggio esclusivo di un’epoca…

Sul “caso Girolimoni” esistono svariate fonti documentali. All’occorrenza, noi ci avverremo (in massima parte) dell’ottimo saggio monografico di Giangiulio Ambrosini, già magistrato di Cassazione, pubblicato nel 1997 sugli “Annali della Storia d’Italia”.

 

“Sbatti il mostro in prima pagina!”

La storia giudiziaria di ogni Paese è costellata di “mostri”, autori di gravissimi delitti consumati a danno di bambini, di giovani donne, di persone incapaci di difendersi o scelte per puro caso: delitti efferati in cui la componente sadica o sessuale gioca molto spesso un ruolo determinante, collegati fra loro in sequenze ossessivamente ripetitive. Il linguaggio giornalistico ribattezza oggi il “mostro” serial killer, ma la vecchia definizione continua ad avere sicura presa nella coscienza collettiva.

L’idea del mostro colpisce la fantasia popolare, incoraggiata dalla disinvoltura da parte dei media nel sollecitare una sotterranea morbosità da cui non è esente alcuno strato sociale, e autorizza l’opinione comune ad attribuire al soggetto demonizzato persino più delitti di quanti al limite ne abbia potuti commettere. Così può accadere che, quando un mostro venga per avventura catturato, si chiudano in un sol colpo casi che meriterebbero maggiore approfondimento e altri colpevoli ottengano un’insperata impunità.

La creazione del mostro ha il risultato di far accreditare a tutti i costi una persona, non importa se colpevole o innocente (indicata spesso sulla base di esilissimi sospetti dagli organi di polizia), che presenti idealmente i requisiti della “mostruosità” in ragione di qualche anomalia rispetto al sentire comune: avere lo stigma dell’emarginato, ostentare disponibilità superiori alle possibilità concrete, abbigliarsi o acconciarsi in maniera stravagante, condurre una vita poco appariscente e per ciò stesso misteriosa; in ultima analisi avere caratteristiche “diverse”.

(…) Il mostro in fuga non può che “essere tra noi”, quindi tutti si sentono autorizzati a promuovere la cultura del  sospetto, verso il vicino di casa,  nei riguardi del collega, persino ai danni di uno sconosciuto senza motivo apparente. L’istituto, di assoluta inciviltà, che si definisce “taglia”, può aprire un’autentica lotteria moltiplicando sospettanti e sospetti.

L’ammissione “spontanea” dello squilibrato, la confessione poi riconosciuta estorta con la violenza da disinvolti funzionari di polizia che si prefiggono di ben figurare per aver risolto il “caso”, la lettura frettolosa di indizi apparenti, possono comportare danni irreparabili.

Quando si procede contro un “mostro” individuato e dato per certo, si abbandonano tutte le altre piste.

Se poi il preteso mostro sarà riconosciuto innocente dai giudici (a parte le gravissime conseguenze patite dal soggetto che, suo malgrado ne ha rivestito i panni) le indagini ritorneranno talmente indietro da essere di regola irrimediabilmente compromesse.

(…) L’esigenza di trovare un colpevole coinvolge al tempo stesso investigatori e cittadini. Il colpevole indubbiamente esiste, perché reati sono stati commessi; la necessità di individuarlo a tutti i costi supera ogni ragionevole ipotesi di giustizia.

Se tutto ciò è vero in tempi di democrazia, a maggior ragione lo è quando giustizia, garanzie del cittadino, ricerca della verità, sono beni sacrificabili ad altri valori, di natura eminentemente politica, come il dimostrare l’efficienza di un regime, il simulare la capacità di garantire sicurezza sociale, il pretendere di essere in grado di rendere immediatamente giustizia.

(…) Di fronte al mostro, la cui esistenza non si è potuta celare, diventa necessario impedire la sconfitta nelle indagini e si impone quindi una rapida cattura (possibilmente credibile) e una condanna (eventualmente esemplare).

Il fascismo, nei primi anni di vita, ha avuto a che fare con qualche “mostro”. Uno dei più noti porta il nome di Gino Girolimoni, un uomo qualsiasi, a cui vicenda apparve sin d’allora ed è, riletta a distanza di anni, inquietante.

[ G.Ambrosini ]

 

L’incubo di Roma: il Martirizzatore di bimbe”

Tra il 1924 ed il 1927, Roma è sconvolta da una serie di brutali omicidi a sfondo sessuale. Le vittime sono giovanissime bambine che vengono rapite, seviziate, e uccise con raccapricciante ferocia da un maniaco, che agisce indisturbato nel cuore della città e sembra inarrestabile.

Il 31 Marzo 1924, Emma Giacobini (4 anni ancora da compiere) viene rapita in pieno giorno nei centralissimi giardini di Piazza Cavour, approfittando di un attimo di distrazione della madre. La bambina, “con un fazzoletto colorato strettamente legato al collo e segni di violenza sul corpo”, verrà ritrovata poche ore dopo da un gruppo di contadini nei campi a ridosso di Monte Mario, richiamati dalle urla strazianti della piccola. Emma è viva. Viene ricoverata in ospedale e sopravvive. Evidentemente il bruto non ha fatto in tempo a strangolare la vittima. Alcuni testimoni parlano di un uomo anziano e ben vestito, che si allontana in tutta fretta dal luogo dello stupro.

Il 4 Giugno del 1924, a pochi mesi dalla prima violenza, si registra un tentativo di rapimento ai danni di Armanda Leonardi (di appena due anni). La bambina viene afferrata sulla soglia di casa da uno sconosciuto. La piccola grida ed il rapitore, spaventato, fugge lasciandola cadere.

La sorte di Armanda è comunque segnata. Tre anni dopo, il 12 Marzo 1927, il maniaco arriva ad introdursi nella casa della bambina che “viene rapita dal suo letto nella sua abitazione al rione Ponte (…) Il fratellino Francesco si mette a urlare, accorre la madre che prima di svenire riesce a scorgere in fuga un uomo elegante con un cappotto nero e un ombrello. Il mattino successivo il corpo di Armanda viene trovato in un prato ai piedi dell’Aventino. La bambina è stata violentata e strangolata”.

Torniamo al 4 Giugno del 1924, la piccola Armanda è appena scampata al suo primo tentativo di rapimento, ed il ‘mostro’ (evidentemente insoddisfatto) si accanisce su un’altra bambina, Bianca Carlieri (4 anni), rapita in serata a Trastevere. “La polizia e gli abitanti del rione danno vita ad una gigantesca battuta per ritrovare la piccola ed il suo rapitore, indicato come un signore alto, elegante, anziano”. Il corpo di Bianca Carlieri verrà ritrovato il giorno seguente, nei pressi della basilica di S.Paolo fuori le mura, a notevole distanza dal luogo del rapimento. A questo punto, la psicosi del mostro si impossessa della popolazione, sfiorando l’isteria collettiva: “si racconta di un colonnello in pensione che, nei giardini di Piazza Vittorio, aveva giocosamente avvicinato una bambina rischiando il linciaggio”. A dire il vero, le testimonianze oculari sul presunto rapitore della Carlieri, sono diverse e spesso discordanti. Cosa che complica non poco il lavoro (già pessimo) degli inquirenti. Vengono approntati i primi identikit, talmente approssimativi da risultare inutili. Dell’uomo si sa vagamente che è una persona anziana, snella ed elegante con baffetti a spazzola. La stampa si scatena in una campagna forsennata che alterna resoconti morbosi sugli omicidi ad attacchi feroci contro l’incompetenza della polizia. Le indagini vengono ulteriormente fuorviate dalle false testimonianze di mitomani e millantatori.

Nel Giugno 1924, Presidente del Consiglio è il cavalier Benito Mussolini; il fascismo in ascesa consolida il suo controllo delle “forze dell’ordine”: Arturo Bocchini diventa Direttore generale della Pubblica Sicurezza. Luigi Federzoni è promosso Ministro degli Interni e il Questore di Roma viene rimosso senza troppi complimenti. La ‘Sicurezza’ diventa un affare politico. “Il numero dei fermati si moltiplica all’infinito (tra gli indiziati ci saranno anche dei suicidi). Viene offerta una prima taglia di diecimila lire”.

08 Luglio 1924. Il Consiglio dei Ministri approva il decreto governativo che pone serie limitazioni alla “Libertà di Stampa”. Niente più notizie sgradite al premier che possano alimentare allarmismi sociali e minare la base del suo imbarazzante consenso.

Il 24 Novembre 1924 scompare un’altra bambina: Rosina Pelli. Questa volta il rapimento avviene addirittura sotto il colonnato di Piazza S.Pietro. La salma di Rosina verrà rinvenuta in aperta campagna (allora), da un fornaciaro al Prataccio della Balduina. Il modus operandi dell’assassino è lo stesso riscontrato nei delitti precedenti. I testimoni, che pure hanno visto, non hanno saputo indicare di meglio che un uomo con cappellaccio scuro e cappotto marrone, ma anche dall’aspetto distinto e ben vestito. Ai funerali della bambina parteciperà persino la regina Elena di Savoia.

Il 30 Maggio 1925 il ‘mostro’ è di nuovo a caccia di giovani prede nel rione Borgo, a ridosso del Vaticano: dopo un primo tentativo di adescamento ai danni della piccola Anna del Signore, che (a conferma dei precedenti indizi) descriverà un uomo elegante, in abiti grigi, cappello scuro e baffi, il serial killer circuirà e ucciderà con le solite modalità una bambina di sei anni, Elsa Berni. Il corpo della piccola verrà rinvenuto in prossimità del fiume, sul Lungotevere Gianicolense.

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Il Ministro dell’Interno Federzoni, tramite decreto, dispone una nuova taglia:

un premio di lire 50.000 a favore di quei privati o confidenti che in qualunque modo, mediante informazioni o indicazioni, riusciranno a far identificare e assicurare alla giustizia il colpevole del truce delitto. Il funzionario o agente che riuscirà nell’eguale scopo otterrà una promozione straordinaria.

È giunto il tempo per gli sciacalli e per gli arrivisti zelanti.

26 Agosto 1925. L’efferatezza del maniaco si fa sempre più audace. Celeste Tagliaferri, una bimba di appena 17 mesi, viene rapita nella sua stessa culla, poco dopo mezzogiorno. Sempre nel rione Borgo. Qualcuno è entrato dalla porta aperta dell’alloggio rimasto incustodito. La bimba viene trovata, ancora vita, da un sarto sulla Via Tuscolana, in un canneto, “distesa su alcuni giornali, con un fazzoletto annodato intorno al collo e una ferita al basso ventre”. Nonostante i soccorsi, Celeste Tagliaferri non sopravviverà.

12 Febbraio 1926. Elvira Coletti, sei anni, viene rapita e violentata sotto Ponte Michelangelo, ma riesce a sfuggire al tentativo di strangolamento.

Nel corso del 1926, sembra che il maniaco abbia adescato altre bambine, ma la censura di regime oramai ha superato il rodaggio iniziale e le notizie vengono taciute o minimizzate; almeno fino al 12 marzo 1927, quando il predatore di bimbe si accanisce nuovamente contro la sfortunatissima Armanda Leonardi. Il suo corpo sarà rinvenuto dalle parti dell’Aventino.

È l’ultimo delitto del mostro. Mussolini promette la sua cattura (…) Il fascismo non può accettare una sconfitta tanto impopolare. È necessario trovare un responsabile, a qualunque costo, non importa se colpevole o innocente”. (G.Ambrosini)

 

“Il capro espiatorio”

Il 13 Marzo del 1927, commisariato P.S. di Borgo Pio, l’oste Giovanni Massaccesi, insieme ad altri testimoni suoi dipendenti, riferisce che la sera del delitto di Armanda Leonardi era entrata nel suo locale una bambina del tutto somigliante alla vittima, accompagnata da un uomo sospetto, mancino, con grossi baffi neri. Particolare significativo: l’uomo aveva sul collo un foruncolo sanguinante, che copriva con un fazzoletto. In realtà, si trattava di un operaio, Domenico Marinutti, che era entrato nell’osteria di Massaccesi insieme alla figlioletta. Marinutti, uomo onesto, dopo aver appreso la notizia sui giornali, si era recato spontaneamente al commissariato per rendere la sua deposizione e, pur mostrando la cicatrice rilasciata dal famigerato foruncolo, non era stato creduto.

Poco tempo dopo, nello stesso commissariato si presenta anche l’ing. Pacciarini, denunciando un tentativo di molestie ai danni della sua domestica dodicenne, da parte di uno sconosciuto che gira con una Peugeot di colore verde. Il sospetto viene quindi posto sotto osservazione e pedinato. D’altro canto, il possesso di un veicolo (una vera rarità per quei tempi) spiegherebbe il ritrovamento dei corpi in posti tanto lontani dal rapimento.

A seguito di un presunto tentativo di abbordaggio della giovane domestica, l’uomo viene arrestato. Il suo nome è Gino Girolimoni: trentotto anni e infanzia difficile, scapolo, fotografo amatoriale, di professione “mediatore”. In pratica, Girolimoni “procurava clienti ad agenti di assicurazione e ad avvocati e, grazie alla sua indubbia intelligenza, aveva ottenuto un certo successo economico. Guadagnava dalle 3000 alle 4000 lire al mese. Aveva fama di donnaiolo. E su questa debolezza scivolò (…) Girolimoni venne arrestato il 2 Maggio 1927. Tacque, negò ostinatamente ogni addebito, aggravando in qualche modo la sua posizione”. Soprattutto perché si rifiuta ostinatamente di confessare, rintuzzando con successo le domande dei suoi inquisitori. Si scoprirà poi che Girolimoni aveva intrecciato una relazione adulterina con la signora Pacciarini, la moglie dell’ingegnere, e blandiva la servetta per far pervenire alla signora i suoi bigliettini amorosi. Il galante corteggiatore, durante gli interrogatori di polizia, aveva tenacemente tenuto nascosto il nome della donna per non comprometterla. La denuncia dell’ing. Pacciarini, tutt’altro che disinteressata, era in realtà la vendetta di un marito cornuto.

La stampa, con il permesso del regime, si scatenò inscenando un vero linciaggio mediatico contro “l’immondo carnefice”, dando grande enfasi al fatto che Girolimoni avesse la disponibilità di due case e l’incredibile guardaroba di 12 abiti, degni di un “trasformista” amante dei travestimenti, condendo il tutto con altre argomentazioni deliranti.

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Convocato dalla polizia per l’identificazione, l’oste Massaccesi confermò naturalmente il riconoscimento, anche se la descrizione rilasciata in precedenza non corrispondeva affatto col Girolimoni, che peraltro non aveva mai portato i famigerati baffi attribuiti all’assassino e tanto meno risultava essere mancino. Il pagamento della taglia di 50.000 lire contribuì a cancellare ogni dubbio nella memoria più che interessata del Massaccesi.

Vennero inoltre messe agli atti le testimonianze ‘pilotate’ di bambini e piccoli testimoni, enormemente suggestionabili, per certificare le presunte attenzioni del pedofilo Girolimoni (qualcosa del genere è successo in tempi recenti a Rignano Flaminio).

“A Girolimoni vennero dedicate le prime pagine, furono scritti articoli-fiume, insieme a decine di sue fotografie. Cosa che consentì a non pochi cittadini di riconoscerlo”, in una girandola crescente di accuse e calunnie più o meno interessate.

Scrive sempre il giudice Ambrosini:

L’occasione per invocare il ripristino della pena di morte fu ghiotta, benché il linciaggio apparisse più efficace presso l’opinione pubblica. È troppo pensare che il caso sia stato determinante, ma non passarono molti anni prima che il codice Rocco reintroducesse la pena capitale. Il comunicato ufficiale della polizia, pubblicato sui giornali l’11 Maggio, si esprimeva enfaticamente in questi termini:

   Le incessanti indagini per la scoperta dell’autore degli assassini di Leonardi Armanda e di altre bambine, condotte silenziosamente ma tenacemente, sotto la personale direzione del Questore di Roma, sono state coronate da pieno successo. Dopo una lunga serie di appostamenti e osservazioni, l’assassino, raggiunto da un cumulo di elementi di prova, che appaiono irrefragabili, è stato identificato e arrestato. Egli è il mediatore Gino Girolimoni, nato il 1° Ottobre 1889 a Roma, dove ha vari appartamenti (…) Vero tipo di degenerato, si è potuto accertare durante il periodo in cui è stato sottoposto a pedinamento, che ha una abilità davvero eccezionale nell’eclissarsi dopo i tentativi di adescamento, ricorrendo anche al travisamento, come risulta da numerose fotografie rinvenute in uno dei suoi appartamenti. Procedutosi al suo arresto, l’assassino, sottoposto a stringenti interrogatori, ha mostrato il più ripugnante cinismo, negando sempre e dimostrando quell’audacia e quella scaltrezza che aveva già dimostrato nei suoi orribili delitti. Ma contro di lui stanno le prove schiaccianti, e particolarmente gli atti di ricognizione eseguiti con numerose persone che lo avevano precedentemente veduto e che lo hanno riconosciuto senza possibilità di equivoci o di inganno.

 

La ‘brillante’ operazione che portò all’arresto di Girolimoni, gratificò il capo della polizia (Bocchini), il questore di Roma (Angelucci) e alti funzionari che vennero convocati a Palazzo Venezia per ricevere l’encomio di Mussolini. L’incubo durato per tre anni aveva finalmente avuto fine grazie alla sagacia della polizia. Il caso, per quanto riguardava il potere politico, era chiuso”.

 

“L’Assoluzione”

gino-girolimoni1  Le “irrefragabili” prove della colpevolezza di Girolimoni, supervisionate dal questore in persona “senza possibilità di equivoci o inganno”, ad un più attento esame si rivelarono talmente inconsistenti da crollare miseramente già in corso di istruttoria, senza che si arrivasse nemmeno ad un pubblico dibattimento. Gino Girolimoni viene scarcerato l’8 Marzo 1928 da una magistratura, evidentemente, non ancora asservita alla volontà del regime.

Il proscioglimento e la scarcerazione di Girolimoni passarono sotto silenzio (…) Non si poteva ammettere una sconfitta così clamorosa, con il rischio di riaprire nella capitale la psicosi del mostro. Si disse comunque che Girolimoni era stato ampiamente indennizzato e che era stato autorizzato a cambiare cognome”.

FALSO. Girolimoni non ricevette mai alcun indennizzo e le sue richieste di poter cambiare cognome vennero sistematicamente ignorate. “Continuò a vivere a Roma circondato dall’ombra del sospetto. Non poté riprendere la sua attività, cessò la vita brillante e, (rovinato economicamente) si mise a fare il ciabattino. Non riuscì a trovare casa perché nessuno era disposta ad affittargliela. Non si sposò”. Morì poverissimo il 19 Novembre del 1961 e venne tumulato nel cimitero del Verano, a spese del Comune.

Il vero martirizzatore di bambine non fu mai trovato.

 

“I malvagi dormono in pace”

Tra coloro che contribuirono a demolire il castello probatorio costruito contro Girolimoni, va sicuramente ricordato il commissario di P.S. Giuseppe Dosi che, nonostante l’aperta ostilità dei suoi superiori, riuscì probabilmente a identificare il vero colpevole. Dosi incominciò a condurre indagini in proprio e annotò come tutti i rapimenti fossero avvenuti in un area piuttosto ristretta della città, in un raggio di ½ Km intorno alla basilica di S.Pietro. “Rilevò che quando il rapitore era stato scorto da taluno, era stato indicato come una persona alta, distinta elegante, anziana, con baffi curati, e secondo alcuni con accento straniero”. Vestito con abiti grigi o scuri. Da clergyman. Il commissario Dosi annotò altre circostanze: vicino al corpo di Rosina Pelli era stato rinvenuto un fazzoletto con le iniziale R.L. in caratteri gotici; nel caso di Elsa Berni erano stati trovati i frammenti di una lettera scritta in inglese; mentre vicino al cadavere di Armanda Leonardi erano stati repertati i resti di una rivista religiosa, sempre in lingua inglese. Dosi scoprì che, a Roma, coloro che ricevevano tale pubblicazione in abbonamento erano solo tre persone. In particolare, l’attenzione del poliziotto si concentrò su un pastore protestante della Holy Trinity Church, di nome Ralph Lyonel Brydges, ultrasessantenne, ma dal fisico asciutto e con baffetti molto curati. Durante l’arresto di Girolimoni, il religioso si era recato a Capri e, durante il breve soggiorno, si era subito dedicato a quello che sembrava essere il suo passatempo preferito: l’adescamento di bambine. Sorpreso a molestare una bambina inglese di sette anni, Patricia Blakensee, il sacerdote venne fatto pedinare per ordine del podestà dell’isola e successivamente arrestato per atti di libidine violenta, sempre ai danni della stessa Blakensee. Grazie all’intercessione del console britannico, il sacerdote venne prosciolto e dichiarato infermo di mente. Tuttavia, per la determinazione pressoché isolata di Dosi, nell’Aprile 1928 R.L.Brydges venne formalmente incriminato per i delitti del “mostro di Roma” e nuovamente prosciolto, perché impotente. Il pedofilo sembrava infatti godere della protezione della Chiesa Anglicana e, soprattutto, del Vaticano (vizietto antico). Trasferitosi in Sud Africa, pare abbia ripreso la sua attività di ‘serial killer’. “Dal Sud Africa sarebbe poi passato in Canada dove sembra sia morto in un manicomio. Altri lo vorrebbero finito sulla forca in Inghilterra, ma l’evento non ha mai avuto conferme”. Il commissario Dosi venne dapprima trasferito, poi arrestato, e successivamente rinchiuso in manicomio per ‘megalomani’. Liberato dopo la caduta del fascismo, venne reintegrato nella polizia divenendo uno dei massimi dirigenti dell’Iterpol.

Le notizie di queste indagini furono tenute segrete e non approdarono mai alla stampa. Tuttavia, è possibile che di “mostri” in circolazione ce ne fossero addirittura due: in alcuni casi, l’assassino aveva dimostrato un’ottima conoscenza della città e del rione di Borgo Pio, dando prova di sangue freddo e spietata determinazione. Ma in altre circostanze, gli stupri si erano conclusi in maniera frettolosa, nelle immediate vicinanze del luogo del rapimento, e spesso il pluriomicida non aveva trovato il tempo o la forza per strangolare le sue giovani vittime. Ma alla polizia e, soprattutto, al governo il ‘Mostro di Roma’ non interessava più.

 

DOCUMENTAZIONE :

Giangiulio Ambrosini; Il mostro di Roma: Gino Girolimoni – Annale XII della Storia d’Italia. Einaudi, 1997

Per una panoramica completa e particolarmente curata sull’argomento, potete leggere l’ottimo: “GIROLIMONI (e) IL MOSTRO DI ROMA”

 

The Italian Watchmen

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , on 1 marzo 2009 by Sendivogius

 

“Ti regalerò una ronda…”

 

severed-arm L’Italia è un paese strano. È allergico a qualsiasi norma; è insofferente a qualunque regola civica. Ha una considerazione del “bene comune” prettamente familiare, che non va oltre la dimensione clanica della non-società italiota: perché sperperarlo in pubblico? Se non è mio, che bene è?!? Molto meglio che venga spartito in famiglia, come se fosse una Cosa nostra.

Vota in massa per i suoi pregiudicati preferiti. Adora i condoni. Ammira il furbo e denigra l’onesto. Non vuole noie e pensa sempre ai fatti propri. Nel senso più (ri)stretto del termine. Come a Bologna, dove ad una ragazzina di 15 anni che chiede aiuto, mentre viene stuprata in mezzo alla strada, il bravo passante risponde: ‘non mi interessa’. Mica m’è parente! O come a Roma, quartiere Quartaccio, dove nessuno si affaccia alle finestre, perché in TV danno la partita della “Magica”. Però vuole più “sicurezza”.

Un paese spaventato, che agita la forca e predica la “tolleranza zero” (per gli altri), ma non s’impiccia. Non interviene, non previene, se non a fuochi spenti (come tutti i vigliacchi), che invoca e cerca il linciaggio, assicurandosi prima che il delinquente sia ammanettato.

Un brutto Paese di mala gente che, tuttavia, come il brigadiere Pasquale Zagaria, ama la mamma e la polizia. Ma non disdegna il “fai da te”.

Dalla recente promulgazione del DL 11/2009 che autorizza la costituzione delle “ronde” (Art. 6. Commi 3;4;5;6), è tutto un gran proliferare di pettorine colorate, prese in prestito dalla cantieristica stradale, del volontario tuttofare che gioca a guardie e ladri. Patetici Van Helsing in guerra contro le ‘creature della notte’. L’iniziativa ha suscitato grande entusiasmo al Nord, rispetto al più smaliziato Meridione dove le “onorate società” di galantuomini controllano ormai da tempo il territorio, con pieno successo. Si registrano ingolfi a Padova dove, con leggero ritardo sul carnevale, si è festeggiato Arlecchino: ronde ‘di sinistra’ che controllano le ronde ‘di destra’, divise per colori tra militanti (post)fascisti di A.N e puri fascisti storaciani. Nel mezzo, ronde di quartiere autoctone, controbilanciate da ronde di immigrati extracomunitari e le neo-ronde di romeni contro i romeni che delinquono. Tutti, a loro volta, sono stati seguiti dalla Polizia di Stato, ridotta a fare la badante di un nutrito stuolo di deficienti massimamente assortito.

Come questi bolsi pattuglioni di casalinghe (più o meno disperate) fresche di coiffeur; attempati “benemeriti” in congedo, acciaccati vegliardi in fuga dai centri anziani, rachitici travet dal fisico temprato nel lancio dei coriandoli, pensano di contrastare la ‘criminalità predatoria’ di gente indurita dalla vita di strada, svelta di mano, e abile di coltello, resta un mistero.

In compenso, esaltati, spostati e frustrati di ogni ordine e grado, potranno costituire la loro ‘brava’ compagnia privata (di pirla al posto dell’anello) e improvvisarsi cavaliere di ventura. Tutto ciò, in attesa che il ministro Maroni si degni di istituire un registro per questi rambo della domenica, specificando i “requisiti di appartenenza” e “gli ambiti operativi”.

Per il momento abbiamo rifondato le milizie di partito. Per le crociate ci siamo già organizzati. Un duce e re ce l’abbiamo già. Per il feudalesimo invece bisogna ancora aspettare… Non per molto.

 

Il Sindaco delle Meraviglie ( II )

Posted in Roma mon amour, Stupor Mundi with tags , , , , , , , , , , , , , , on 4 ottobre 2008 by Sendivogius

 

“C’era a Roma un cinese in coma”

 

Per fortuna il sig. Tong Hongshen in coma non è mai entrato, a dispetto del titolo parafrasato dal cinema di Verdone. Il muso giallo è stato eletto a provvisorio compagno di giochi da una banda di ragazzini di Tor Bella Monaca, quartiere della periferia sud-est di Roma. Un simpatico diversivo per scacciare la noia dei giovani razzisti in erba (14-17 anni), in cerca di emozioni a buon mercato.

Tong Hongshen è un immigrato cinese di 36 anni, con regolare permesso di soggiorno. Il 2 Ottobre, Tong era fermo alla fermata in attesa del bus, in pieno giorno. Ad inchiodare la baby gang alle sue responsabilità è stata la testimonianza di Fernando Vendetti, consigliere di AN per l’VIII Municipio di Roma. Il sindaco Gianni Alemanno ha tuonato contro l’aggressione con parole di fuoco, invocando la massima severità e pene esemplari qualora “dovesse essere confermato il movente di natura razzista”. Il giorno dopo l’aggressione, nonostante le roboanti dichiarazioni degli alfieri tricolore della zero tolerance, la faccenda sembra destinata a concludersi velocemente a tarallucci e vino con tanto di ricevimento in Campidoglio: lacrime e moccoloni dei teppisti ritornati bimbi (un pò troppo vivaci), un buffetto da parte dei Vigili Urbani, cipiglio severo di facciata ed un pizzico di bonarietà. Siate comprensivi… so’ regazzetti de borgata! Coattate da pischelli.

Durante la campagna elettorale, agitando lo spettro della paura, Alemanno si è presentato ai suoi elettori nei panni del liberatore venuto a redimere la città, schiacciata sotto il peso dell’insicurezza diffusa frutto del degrado e di una criminalità incontrollata che ci raggiunge fin dentro la pace delle nostre abitazioni . Toni apocalittici da invasioni barbariche. In pratica, l’arrivo di Wyatt Earp a Dodge City: gli mancava solo lo spolverino sulle spalle e la colt nel cinturone.

I professionisti della paura, i cultori di Phobos, hanno lucrato sulla sua coltivazione strumentale. Con cura, ne hanno concimato i semi su terreno già fertilissimo… La creazione dell’emergenza come strumento di legittimazione e rendita elettorale per politicanti senza scrupoli. L’insicurezza come ossessione di massa. Il crimine deformato da fenomeno sociale a infezione virale da contagio xenobio. Lo straniero come untore e veicolo di infezione. La repressione usata come strumento propagandistico per la raccolta dei consensi. È stata un’ottima mietitura. Ma la paura si autoalimenta della sua stessa percezione, rinsaldando le radici dell’odio nella mala pianta dell’intolleranza, i cui frutti maturano sempre più precoci e rigogliosi. Tuttavia si tratta sempre di frutti avvelenati.

Ritornando a Roma, ora che Alemanno è diventato sindaco, naturalmente, la città è ritornata ad essere prospera e sicura. Ed ha un bello sbracciarsi il povero Gianni nel richiamare all’ordine i suoi camerati, che si sentono investiti della stessa missione salvifica, e ricacciare nello stomaco i gas mefitici di una sottocultura razzista e reazionaria cinicamente utili ai fini dell’elezioni ma pessimi per l’amministrazione della città. Certe tossine, una volta sprigionate, sono difficili da neutralizzare.

Gli assalti ai negozi cingalesi dei giustizieri del Pigneto.

Il raid squadrista dei picchiatori di Forza Nuova all’università La Sapienza, che dopo essere stati ignominosamente respinti dagli studenti dei Collettivi, andavano a frignare su tutte le TV per bocca dell’immarcescibile Roberto Fiore, (ex) terrorista di Terza Posizione.

Le continue lezioni di machismo impartite agli irriducibili frocetti che si ostinano a frequentare il “Coming out”, locale gay della Capitale.

L’accoltellamento di tre militanti di sinistra di ritorno da un concerto in ricordo di Renato Biagetti, a sua volta ammazzato a Focene, sempre dopo una manifestazione musicale, dalle solite rasate teste di cazzo.

Il pestaggio di un venditore di bibite (l’ennesimo negro di merda) sulla spiaggia di Ostia, nella più totale indifferenza dei bagnanti.

I continui sfregi sulle lapidi dei trucidati alle Fosse Ardeatine.

Ultime di una lunga serie, le scritte antisemite che al quartiere Prenestino sembrano aver trovato un nuovo bersaglio: Anna Frank. Non c’è limite all’infamia!

Questo è solo un piccolo elenco tanto per citare i fatti più eclatanti.

Alemanno condanna, strepita, si indigna, ma al contempo nicchia a Salò, precisa e si distingue. La realtà è che intanto a Talenti, quartiere di Roma nord-est, da giorni campeggia un grande striscione, con tanto di picchetto d’onore, con la scritta: “Talenti Fascista”. Anche se ricordarlo non è più molto di moda, l’esaltazione del fascismo è (ancora) apologia di reato, ma l’applicazione della legge non sembra riguardare minimamente i nostri osannati tutori dell’ordine, nè mi risulta che la cosa abbia mai turbato i sonni di quegli amministratori e politici, i quali (a parole) si professano tutti “antifascisti” ortodossi. Alemanno non si dissocia, non condanna, non esterna. Tace. Fino al prossimo pestaggio o peggio.

 

  P.S.  È stato oggi reso pubblico un’altro simpatico eventi avvenuto all’areoporto di Ciampino, dove una donna somala di 51 anni, Amina Sheikh Said, sposata con un italiano, al suo ritorno da Londra è stata dapprima fermata con l’accusa di rapimento di minori (viaggiava coi nipoti), poi sospettata di traffico internazionale di stupefacenti. “Invitata” (immaginiamo con grande cortesia) a denudarsi dagli agenti per sottoporsi ad ispezione ispezione anale e vaginale, la solita negra si è rifiutata di sottostare al controllo corporalle e pare che, con condivisibile gesto di stizza, abbia tirato i propri vestiti contro gli agenti addetti alla perlustrazione interna. Naturalmente la signora è stata denunciata per resistenza a pubblico ufficiale. Condotta nuda in ospedale, dopo essere stata imballata col cellophane, per controlli radiologici, la negra è risultata pulita. Nel senso che non era un corriere della droga s’intende! È ormai opinione assodata che “sporchi” i negri lo siano per principio.

Ah! Naturalmente Alemanno condanna “l’atto scellerato”.

 

Italiani Brava Gente

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , , , , , on 24 settembre 2008 by Sendivogius

“NON È UN PAESE PER NEGRI”

 

 Germania, 15-08-07. Sei immigrati vengono trucidati a fucilate, all’uscita di un ristorante. Tutti vengono finiti con un colpo di pistola alla testa. In tutto sono stati esplosi 70 proiettili: tanti i bossoli ritrovati. È strage. Nelle cronache verrà ricordata come laStrage di Ferragosto. La città di Duisburg ne è sconvolta ed esprime il suo sgomento portando fiori e bigliettini di cordoglio sul luogo del delitto. La stampa tedesca, impressionata dalla gravità della carneficina, riserva alla notizia il massimo rilievo.

Le sei persone uccise sono tutte originarie della Calabria (Italia). Cinque delle giovani vittime provengono dal borgo aspromontano di S.Luca. Da anni le ‘ndrine del paese si scannano in una faida sanguinosa che oppone il clan dei Nirta-Strangio a quello dei Pelle-Vottari. Una faida che non conosce confini.

Italia, 18-09-08. È buio sulla Statale Domitiana, ma i killers ci vedono benissimo. Una tempesta di fuoco e tungsteno rovente si abbatte su quel piccolo pezzo d’Africa, che dopo il lavoro nei campi si riconosce davanti la sartoria Exotic, e ne trapassa il corpo come fosse di burro. Si spara a casaccio nel grande safari di Castel Volturno, tanto i negri si assomigliano tutti: la stessa faccia scura della miseria. La selvaggina non manca… è caccia grossa stasera!

I proiettili sparati sono 130; si usano pistole semiautomatiche, UZI, Kalashnikov. Sei sono i corpi che rimangono sull’asfalto. Sei ragazzi venuti da posti lontani, da luoghi che pochi saprebbero indicare sull’atlante: Liberia, Togo, Ghana…. Soltanto sei negri. Sei negri di meno.

Nel paese delle emergenze le sirene dell’allarme criminalità sono rimaste mute. Né mi risulta che ci sia stata particolare indignazione contro “la barbarie che minaccia la nostra civiltà”.

Certamente, non da parte dei nostrani paladini di Ordine e Sicurezza, di solito così solerti nel denunciare “l’aggressione extracomunitaria” alle nostre città. L’ineffabile Maroni, ministro agli Interni, ha detto che l’impiego dell’Esercito per questo tipo di circostanze “non serve” (subito smentito al successivo Consiglio dei Ministri). Infatti i militari sono molto più utili a presidiare il Nulla nel centro di Milano: forse è una rilettura post-moderna della “piccola vedetta lombarda” nel deserto dei Tartari. Sicuramente sono indispensabili a Firenze, per la serie: marmittoni in gita con badante al seguito. Fondamentali a Roma per la lotta agli scippatori (meglio se zingari). Assolutamente superflui invece a Castel Volturno, altrimenti bisognerebbe spiegare che in Italia c’è un’emergenza CAMORRA; bisognerebbe chiarire che con la MAFIA non si convive. E questo non giova agli affari, nevvero ministro?!?

Ma la cosa non sembra preoccupare nemmeno quei giornali, che hanno relegato la notizia alla cronaca interna dopo l’infortunistica stradale: normale regolamento tra bande di spacciatori, affari loro. Caso chiuso. Titoli meravigliosi del tipo: “Casertano. Emergenza Criminalità: extracomunitari aggrediscono la Polizia”.

Nel paese dove criminali notori sono innocenti fino al III° di giudizio, se sei negro, sei colpevole a prescindere. Giudicato, condannato… sentenza eseguita. Morte.

 

P.S.  Ieri (martedì 23 settembre) si sono svolti i funerali di Abdul Guibre, detto “Abba”, ladro di biscotti e (colpa ben più grave) “sporco negro”. È stato ammazzato a bastonate nella Milano da dimenticare del sindaco Moratti. La morte di questo Abba, ha creato inutili difficoltà a due bianchissimi cittadini dell’Italia che lavora, i sigg. Fausto e Daniele Cristofoli, che incidentalmente si sono trovati a sprangare il negretto impertinente. Pare che i poveri Cristofoli abbiano piccoli precedenti penali per reati contro il patrimonio (Truffa? Ricettazione? Furto? Rapina?). Peccatucci veniali…mica roba paragonabile alle colpe di Abba!

Ho ascoltato ai TG pezzi di rara maestria giornalistica dei nostri pennivendoli con cervello all’ammasso, appendici del loro microfono, che MAI pongono e si pongono una domanda:

Guibre in fondo era colpevole perché più che i biscotti, pare, avesse rubato i soldi nella cassa del bar.

Certo come no?!? Notoriamente i bar alle 6,00 di domenica mattina hanno la cassa piena per l’eccezionale numero di clienti.

Da parte dei baristi non c’era volontà omicida.

Come potrei mai pensare che menare cinque fendenti con una spranga uncinata e di ferro possa spaccare il cranio ad un ragazzo di 19 anni?!?

Tantomeno c’era pregiudizio razziale.

Da noi infatti dire a qualcuno che è un “negro di merda” è un complimento.

 

“Chi coltiva il seme di Phobos…”

Posted in Ossessioni Securitarie with tags , , , , , , , , , on 16 settembre 2008 by Sendivogius

 

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LA PAURA COME FABBRICA DEL CONSENSO  

 

 

  Una società sana possiede in sé gli anticorpi necessari per superare i traumi e rigettare gli eccessi, senza rinunciare per questo alle sue responsabilità nei confronti della collettività. Quando però quella stessa società giace schiacciata tra le labili prospettive di una realtà stagnante, il seme di Phobos germoglia. L’esempio più lampante è forse il caso Roma, dove una cattiva gestione dell’ordine pubblico, aggravata dai colpevoli ritardi di un governo inconcludente, ha condotto l’attuale sindaco Alemanno ad una insperata vittoria, sull’onda lunga di un crescente allarmismo sociale sui temi della criminalità e di una sicurezza avvertita come troppo labile. Considerata fino a non molto tempo fa una città felice (con un tasso di criminalità tra i più bassi), la Città Eterna è precipitata tra le metropoli più ansiogene in assoluto, trasformandosi (secondo la recente indagine del CENSIS) nella città più impaurita del mondo. Un disagio indotto esclusivamente da una inaspettata recrudescenza della delinquenza e della violenza da strada?
La sottovalutazione del problema criminalità esaspera la maggior parte dei cittadini, che con quel problema ci devono convivere loro malgrado. Sminuire la gravità del crimine perpetrato, offende coloro che il reato lo hanno subito. Tuttavia, dilatare la percezione dell’insicurezza, fomentare le paure, esasperarne la portata, strumentalizzando il loro effetto destabilizzante, è un pò come quel medico incosciente che alimenta le paranoie del malato ipocondriaco.
Un malato va innanzitutto rassicurato e curato con responsabile professionalità.
In una comunità depressa, ripiegata in un declino incipiente, spaventata dalle incognite di un futuro sempre più incerto, la politica dell’emergenza può colmare il vuoto programmatico che affligge quei ceti dirigenti dalla pomposa inconsistenza, e travestire le ripetute improvvisazioni in rapide decisioni. L’uso politico della paura affievolisce le riserve critiche del pensiero complesso, in nome della coesione sociale contro la comune minaccia. Delinea gli schieramenti di battaglia con una definizione identitaria forte quanto approssimativa, nei suoi contenuti forzosamente semplificati dalla visione manichea di una società in stato di guerra. Coesione sociale coagulata intorno alla definizione di un nemico. È speculare all’edificazione di una società elementare, fatta di rassicuranti certezze, in libertà vigilata. Ma la paura non è un rubinetto che si può aprire e chiudere a piacimento, secondo le proprie convenienze elettorali. Una persona spaventata continuerà ad avere paura, anche dopo che la causa originaria del suo disagio sarà venuta meno, giacché le vecchie angosce saranno soppiantate da nuovi timori, giunti ad alimentare i primi mai sopiti. Il demone della paura, una volta evocato, è difficile da esorcizzare.
La paura risveglia gli istinti più inconsci dell’individuo, ne riduce le aspirazioni a necessità primarie in una fittizia lotta per la sopravvivenza. Risponde a pulsioni irrazionali e travalica in fretta l’entità dell’episodio scatenante. La paura distorce l’evento delittuoso, ingigantendone la valenza criminogena a livelli di pandemia. Trasforma le singole cicatrici di una società ferita in metastasi diffuse, per le quali le uniche cure possibili sono rimesse ad amputazioni frettolose in ambito di garanzia e libertà personali. Corrode la nostra serenità. Scava nei nostri malumori, smuove i gas intestinali nella pancia delle nostre insofferenze, anestetizza le coscienze. Al contempo, offusca la nostra lucidità di giudizio. E, come si sa (se non ci si sveglia in tempo), il sonno della ragione può generare mostri.
Una società spaventata è più malleabile, maggiormente predisposta a immolare sull’altare della sicurezza i propri diritti, in cambio di assicurazioni e protezione. Obbediranno per una parvenza d’ordine. Sacrificheranno le loro libertà per chiudersi dentro un recinto guardato a vista e ringrazieranno i loro carcerieri per questo.
Sotto questa prospettiva, riflessione e ponderatezza sono inutili concessioni verso un nemico sempre più astratto, che si materializza nelle forme dello straniero, del diverso, del non omologato, tutti ridotti a qualcosa di alieno, destrutturato in categorie de-umanizzate. La comprensione una debolezza esecrabile, che mina la compattezza del gruppo, assediato nel suo fragile fortino.
Naturale conseguenza è la compressione dei diritti di cittadinanza che vengono limati, erosi, sbriciolati in progressione, con metodica costanza. È questo che rende ammissibili, persino desiderabili, soluzioni che non avremmo mai accettato in momenti di maggior lucidità: accettare l’esercito nelle strade come una necessità contingente; la militarizzazione delle metropoli come qualcosa di auspicabile e positivo per sedare i demoni della paura. Il controllo diffuso. Il presidio armato permanente a normale espressione del panorama urbano. E invece di provare imbarazzo dinanzi all’inquietante analogia sudamericana, ci si sente rassicurati e compiaciuti dal ritrovato spirito marziale dell’Italietta in uniforme.