«Unde Augustinus dicit, quod hoc facit meretrix in mundo, quod sentina in mari, vel cloaca in palatio: “Tolle cloacam, et replebis foetore palatium”: et similiter de sentina: “Tolle meretrices de mundo, et replebis ipsum sodomia”.»
Tommaso d’Aquino
“De Regimine Principum”
Liber IV,14.
Antica come l’umanità, la prostituzione è l’unico mestiere che non conosce mai crisi.
Intrinsecamente correlata col fardello del sesso, costituisce da sempre un tabù. Però fa notizia; stuzzica certi appetiti, scatenando i pruriti e le fantasie a pagamento dei ‘benpensanti’.
I padri della chiesa paragonavano le meretrici ad una cloaca, disgustosa ma necessaria, reputando la prostituzione una pratica necessaria (tanto da costituire un antidoto contro la sodomia), fornendo una valvola di sfogo sociale nell’ambito di una realtà profondamente sessuofobica. E sarà per questo che Agostino e Tommaso ne parlano in continuazione, essendo al centro del loro interesse e delle tentazioni nella vita dei santi.
Nell’ipocrisia schizofrenica che da sempre aleggia sull’argomento, si possono distinguere tre approcci di base alla questione:
a) La necessità di monetarizzare il fenomeno, tramite la legalizzazione dei postriboli per il finanziamento statale, come una normale attività di mercato;
b) Stigma e riprovazione sociale, che condanna l’offerta e quasi mai la domanda;
c) Per contro, a questa si accompagna sempre una certa tolleranza per la prostituzione cortigiana, esercitata in forma privata come intrattenimento dei ricchi e potenti.
Se ci fate caso, nel corso dei secoli, tale impianto ‘culturale’ si è sempre riprodotto sostanzialmente intatto e con ben poche variazioni… Al colmo della sua legittimazione informale, la prostituzione di corte, con le sue cortigiane a libro paga del sovrano, ha raggiunto l’apice con le “cene eleganti”. Al contrario, si biasima e si disprezza la “puttana” comune, come oggetto di corruzione morale e materiale, ma poi si perdona il puttaniere che può sempre contare sull’indignata indulgenza di una consorte devota, giacché la donna oggettuata ed usufruita come merce non presuppone adulterio. Si invoca l’esercizio della pratica in recinti protetti, che ovviamente nessuno vuole nel proprio quartiere e meno che mai nel proprio condominio.
Dalla pretesa di regolarizzare il fenomeno, nasce invece la volontà di fare cassa: se la prostituzione genera introiti per miliardi di euro, perché non tassarli alla fonte, incrementando il gettito erariale e correggere al rialzo il PIL?!? Esempio concreto di uno Stato che si trasforma in pappone, nello sfruttamento legalizzato della prostituzione.
In tal senso, fa quasi sorridere l’ingenuità e l’approssimazione con la quale ci si approccia alla questione dagli alti scranni parlamentari. L’ultima in ordine di serie è per esempio è l’iniziativa legislativa della deputata ‘democratica’ Annamaria Spillabotte, ciociara come l’Aquinate, che con fideistica convinzione guarda al “modello tedesco” (tanto per cambiare!). E in merito conciona qualcosa a proposito di vaucher per prostitute disoccupate, nell’ambito di quel “Jobs Act” che costituisce un’indubbia puttanata, ma non per questo applicabile alla categoria di riferimento.
Ennesima dimostrazione della perniciosità che prevale sull’inutilità del partito bestemmia.
Sfugge come la scelta dell’attività prostitutiva presupponga spesso e nolente una scelta tutt’altro che volontaria, a meno che non si vogliano confondere gli intrattenimenti zoo-pornografici di Olga la Canara o le esibizioni copulatorie di una Valentina Nappi, con tanto di masturbazioni filosofiche della stessa, come l’aspetto predominante di una libera scelta.
Per quanto, qualche punto alla Valentina lo concediamo…
Lungi dall’essere un esempio “virtuoso” e per questo riproponibile in Italia, il cosiddetto modello tedesco, a meno di 14 anni dalla sua applicazione in Germania, costituisce in realtà un mezzo fallimento che infatti sta per essere rottamato da una nuova legge, attualmente in discussione nel Bundestag berlinese. In concreto, la virtuosa legge tedesca del 2002, quella da prendere a ‘modello’, si attiene ad un modello puramente fiscale, volte alla capitalizzazione contabile delle prestazioni sessuali a pagamento, secondo un’economia estrema di mercato che di ‘sociale’ non ha proprio nulla. Le finalità non sono quelle di garantire maggiori tutele per le sex-workers, introducendo garanzie in materia di profilassi socio-sanitaria, ma incrementare gli introiti derivanti dalla tassazione nello sfruttamento del meretricio organizzato, che infatti si configura come “promozione delle prostituzione”.
Tra le sue moderne innovazioni, nell’ambito di un attento piano di garanzie sociali, viene legalizzata la figura dello sfruttatore, che da squallido magnaccia parassita diventa ‘promotore’ dell’attività professionale della sua protetta. Si considera infatti sfruttamento, solo quando il prosseneta di turno incamera più del 50% dei
guadagni della ‘peripatetica’. I bordelli, indicati con l’elegante nome di “Pussy-Club” (!), vengono trasformati in attività commerciali, che si limitano ad affittare gli spazi dove le prostitute a contratto esercitano la propria professione. Ciò può avvenire a tariffa fissa o variabile, ma il prezzo della prestazione viene stabilito quasi sempre dal protettore, che agisce come un intermediario imprescindibile del mercimonio. Il prezzo della prestazione può essere a forfait; molto gettonata è la “flat-rate sex” che permette di affittare una donna per un tempo prestabilito, senza limiti di rapporti o tipo di pratiche sessuali, solitamente per un prezzo inferiore ai 100 euro. Il cliente può disporne a piacimento, ingurgitando alcolici a volontà ed impasticcandosi di Viagra, per garantirsi quanti più rapporti possibili nel lasso di tempo acquistato. Gli incontri ed il numero di clienti è potenzialmente illimitato. Ma i bordelli più intraprendenti possono
fornire pacchetti all-inclusive, per sesso di gruppo e gang-bang. E non è raro il caso in cui i clienti si lamentino che dopo poche ore le loro bambole di carne perdano la funzionalità d’uso, diventando “inutilizzabili” in quanto non adatte ad un uso prolungato. In tal caso, alcuni bordelli prevedono il rimborso della tariffa. Nei casi più estremi, le prostitute vengono costrette dai “protettori” ad avere rapporti sessuali anche durante il periodo mestruale, utilizzando spugne o tamponi vaginali.
L’esercizio in un bordello non salva dalle aggressioni, né dalla piaga della prostituzione minorile. E si consideri che fino al 2008 l’età minima consentita dalla legge per esercitare il “mestiere più antico del mondo” era di 16 anni.
A proposito di profilassi, l’uso del preservativo non è obbligatorio, con l’eccezione della Baviera. E del resto nessuno controlla. Va da sé che molti dei rapporti mercenari non sono affatto protetti.
I controlli sanitari (che non sono vincolanti) sono spesso aggirati e le condizioni igieniche dei bordelli, com’è facile intuire, sono di gran lunga al di sotto dei minimi standard di igiene, dai lettini alle lenzuola usati ripetutamente da dozzine di clienti giornalieri.
In compenso, la Germania ospita i bordelli più grandi d’Europa, diventati la meta privilegiata per le transumanze dei clienti di mezzo mondo, per prostitute reclutate tra le disperate dell’Europa dell’Est, in prevalenza da Bulgaria ed Ucraina: le cenerentole della UE, che nell’Unione mercantilista possono esportare unicamente la loro manodopera schiava.
In una approfondita inchiesta pubblicata dal settimanale Der Spiegel (26/05/2013) viene illustrata con dovizia di particolari non solo il fallimento del decantato (all’estero) modello tedesco, ma come questo non solo avesse comportato alcun miglioramento tangibile nelle condizioni dell’esercizio della prostituzione, bensì un peggioramento delle situazioni più estreme che passano per le forme classiche dello sfruttamento e della riduzione in schiavitù fin troppo note in Italia. E se il numero delle prostitute in Germania è triplicato, le condizioni di esercizio sono di gran lunga peggiori rispetto a dieci anni prima.
«Cinque anni dopo la sua introduzione, il Ministero della Famiglia ha valutato i risultati della nuova legislazione. Il rapporto stabilisce che gli obiettivi sono stati “solo parzialmente raggiunti” e che la deregolamentazione non ha comportato alcun miglioramento significativo in merito alla copertura sociale delle prostitute, né delle condizioni lavorative, né è migliorata la capacità di uscire fuori dal circuito prostitutivo. Infine, non esiste alcuna prova solida che certifichi una riduzione della criminalità.»